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Breve storia dell'hooliganismo olandese
02 apr 2024
L'evoluzione delle frange più estreme del tifo olandese.
(articolo)
32 min
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Foto Imago / BSR Agency
(copertina) Foto Imago / BSR Agency
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Il 18 maggio 2023 il West Ham sconfiggeva l’AZ Alkmaar e conquistava l’accesso alla finale di Conference League. Ai festeggiamenti in campo faceva però da contraltare l’assalto dei Ben Side Ultras al settore riservato allo staff e alle famiglie della squadra ospite. Il resto della cronaca è racchiuso nei video comparsi sui social praticamente in tempo reale: si vedono gruppi di persone incappucciate scontrarsi dapprima con alcuni calciatori Hammers, intervenuti a difesa dei propri cari, e poi venire ricacciati indietro da un uomo corpulento posizionato in cima alle scale di accesso al settore.

Chris Knoll, cinquantottenne padre di famiglia e tifoso di lunga data del West Ham, è diventato per molti l’eroe di una serata che, fuori dal campo, avrebbe potuto mettersi parecchio male. Il suo gesto, oltre a costargli un occhio nero, gli è valso un caloroso tributo da eroe nella successiva partita casalinga di Premier League e un biglietto regalato dalla società per l’ambita finale di Praga.

L’influenza inglese

Il contesto di una coppa europea e le immagini finite in rete avevano nel frattempo contribuito a riaccendere i riflettori su un problema già noto in Olanda, ovvero quello della violenza di frange estremiste del tifo. Le origini del fenomeno risalgono agli anni Settanta, in un’epoca in cui l’hooliganismo inglese stava prepotentemente diventando un modello da seguire e replicare, sia per quanto riguarda il modo di vivere le partite, sia per la manifestazione della violenza a esse correlata.

L’allora comune conformazione architettonica degli stadi permette ai giovani olandesi più esagitati di appropriarsi di uno spazio tutto loro (denominato side), solitamente dietro una delle due porte, in cui dar vita alle prime forme di tifo organizzato sulla base di quanto già avvenuto con le youth end britanniche. Nascono in quegli anni l'F-Side dell'Ajax, il North-Side del Den Haag e il Vak-S del Feyenoord. I suoi membri, in particolare, copiano rituali e simboli della terrace culture, come le canzoni "You'll Never Walk Alone" e "We Shall Not Be Moved”, percepite più prestigiose rispetto ai tradizionali cori di incitamento. Contestualmente coltelli, cinghie, catene e altri manufatti contundenti fanno la loro apparizione sugli spalti e negli scontri che iniziano a riempire, seppur solo su piccola scala, le pagine di cronache nazionale. Gli episodi di violenza continuano a consistere soprattutto nel lancio di oggetti e in aggressioni ad arbitri e giocatori innescati dallo svolgimento della partita, come ad esempio un fischio controverso o una sconfitta della propria squadra. Alla gara sul campo se ne affianca un’altra, combattuta al di fuori, il cui obiettivo è superare la controparte per tifo, calore e atmosfera. Insulti e provocazioni sono i mezzi per infiammare i rivali, all’interno di un quadro dove i giovani partecipanti sono chiaramente riconoscibili dai colori sociali del proprio club su berretti, sciarpe e altri capi di abbigliamento.

La data spartiacque è il 29 maggio 1974, quando il Tottenham giunge in Olanda per giocare contro il Feyenoord la gara di ritorno della finale di Coppa Uefa. I sostenitori degli Spurs si scatenano per le vie di Rotterdam e dentro il De Kuip, guadagnandosi la triste fama come prima hooligan firm a essere coinvolta in disordini su vasta scala al di fuori del Regno Unito. Per molti inglesi si tratta della prima trasferta europea, e il basso costo dell’alcool, unito alla sfrontatezza delle frange più numerose, crea i perfetti presupposti per un’atmosfera intimidatoria nei locali del centro città. La polizia olandese viene colta alla sprovvista e non può fare altro che provare a sedare le frequenti risse, scattate già nel pomeriggio. Quando poi l’arbitro annulla per fuorigioco un gol al Tottenham, i suoi hooligan reagiscono abbattendo le barriere del proprio settore e attaccando il pubblico di casa. A poco o nulla vale il disperato appello diffuso dagli altoparlanti dell’allenatore Bill Nicholson: «Siete una disgrazia per il Tottenham e l’Inghilterra! È una partita di pallone, non una guerra». I feriti sono centinaia, di cui due in gravi condizioni, e gli arresti una settantina. Nell’immaginario collettivo, quella sera il calcio olandese perde la propria innocenza e innesca un perverso principio di imitazione che spingerà parte dei propri tifosi, specie tra i più giovani, a costruirsi una terribile fama dentro e fuori una nazione che fino ad allora era stata toccata solo in modo marginale dalla violenza calcistica.

Una storia lunga cinquant’anni

Da lì in avanti gli hooligan rivendicano come proprie quelle porzioni di stadio a carattere popolare costringendo il resto del pubblico a spostarsi altrove. Alcuni prendono addirittura l’abitudine di viaggiare in città come Londra, Manchester e Liverpool per vivere l’esperienza del football hooliganism nella patria dei suoi maestri fondatori. In questa fase i disordini si fanno sempre più frequenti e, sebbene rimangano prevalentemente spontanei e non organizzati, coinvolgono soprattutto squadre storiche come Feyenoord, Ajax, Den Haag e Utrecht, la cui tifoseria dei Bunnikzijde aveva già destato allarme e preoccupazione nell’opinione pubblica per via di presunte escalation che avevano incoraggiato i gruppi rivali a rispondere in maniera analoga. Erano le basi per la futura nascita di una rete di ostilità e alleanze tra fazioni sulla logica della cosiddetta “sindrome del beduino” a regolare i mutevoli rapporti del tifo in casa e all’estero. Difficilmente si andava in trasferta con la chiara intenzione di cercare guai, al contrario la preoccupazione era farsi trovare preparati in un clima di perenne violenza latente, una sorta di spirale competitiva che ruotava attorno alla voglia di sfidare gli avversari invadendo il loro territorio e sconfiggendoli. Si trattava di un qualcosa di mai sperimentato prima che affascinava in maniera decisa un numero sempre maggiore di persone. Di questi in genere solo una piccola percentuale era attivamente coinvolta negli scontri; la maggior parte, invece, si univa ai gruppi organizzati per divertirsi con i propri coetanei e provare nuove piacevoli emozioni.

Foto IMAGO / BSR Agency.

I resoconti settimanali delle sfide di campionato e coppa affiancano pressoché costantemente il calcolo dei danni procurati dalla furia hooligan. Nel 1982 tocca al North-Side del Den Haag finire sulle prime pagine dei giornali per aver appiccato un incendio nelle tribune dello stadio Zuiderpark a seguito della retrocessione in seconda divisione. Nemmeno il tempo di ricominciare il campionato che i North-Side colpiscono di nuovo, stavolta alla prima trasferta stagionale nella vicina Rotterdam. Il loro bersaglio sono i dirimpettai dell’Excelsior e i tafferugli che ne scaturiscono generano la sospensione della partita e la richiesta del sindaco locale di impedire loro l’accesso in città a tempo indeterminato. L’apice arriva il primo marzo 1987 quando scoppiano disordini nella sfida interna contro l’Ajax, innescati dal furto di uno striscione nel settore ospiti che culmina in una maxirissa con cinquanta feriti, alcuni dei quali in gravi condizioni, e nella sospensione dell’incontro. La reazione delle autorità è ferrea: il governo chiede che il settore Nord dello stadio diventi interamente a sedere, ma alla fine il club decide di lasciare una sezione con posti in piedi al centro per il North Side e di predisporre i seggiolini sui lati per il pubblico normale – una sorta di compromesso indice di un certo clima di indulgenza e timore, comune in molte squadre, nei confronti delle frange estremiste.

Un’annosa questione attorno al calcio olandese ha riguardato il grado di integrazione degli hooligan all’interno delle società. Più volte le autorità sono arrivate a chiudere le sedi dei tifosi, talvolta collocate praticamente dentro lo stadio, salvo poi riaprirle perché era l’unico posto in cui, di sicuro, potevano trovarli. In un clima di violenza organizzata, diversi club avevano paura di isolare i teppisti per evitare ritorsioni. Spesso gli stessi presidenti temevano a livello personale perché gli hooligan sapevano dove vivevano, conoscevano tutto sulle loro abitudini e quelle della famiglia e volevano evitare di ricevere visite sgradite a casa. È questo il motivo per cui a lungo in Olanda sono state intraprese azioni blande contro i tifosi violenti.

In questa fase dell’hooliganismo, l’etichetta di voetbalvandalisme (teppismo calcistico) comincia a essere utilizzata in riferimento ad azioni che hanno luoghi in contesti più o meno legati alle partite di calcio. Mentre la militarizzazione degli stadi porta solo al graduale contenimento delle intemperanze, spostando al contempo i disordini in altri luoghi come le stazioni ferroviarie — teatro nella seconda metà degli anni Settanta di soventi vandalismi sui treni — alle rivalità locali si aggiungono quelle derivanti dalle sfide di coppa contro i club tedeschi e inglesi. Questi ultimi, in particolare, rappresentano un eccitante banco di prova per gli olandesi che vogliono metterne in discussione lo status elitario nel panorama hooligan.

Il 2 novembre 1983 un nuovo incrocio tra Feyenoord e Tottenham diventa quasi il revival di quanto successo qualche anno prima: più di cinquanta persone costrette alle cure mediche, un poliziotto gravemente ferito alla testa da una spranga di ferro e l’accoltellamento di un inglese trasmesso in diretta televisiva sono il risultato di un evento che, stando ai racconti del giorno dopo, «non aveva nulla a che vedere con il calcio».

Il 5 novembre 1987 gli hooligan del Feyenoord si guadagnano nuovamente la scena prima dell’incontro di Champions League contro il Manchester United, colpendo a sassate il pullman che trasporta i tifosi dei Red Devils e arrivando persino allo scontro dentro il De Kuip a causa di un cancello erroneamente lasciato aperto nei pressi del settore ospiti.

E se alla base della bellicosità nei confronti dei dirimpettai inglesi c’è soprattutto un principio di emulazione, l’astio verso i tedeschi deriva prevalentemente da ragioni storiche, rintracciabili nei pesanti bombardamenti nazisti cui l’Olanda, e nella fattispecie la città di Rotterdam, fu soggetta durante la Seconda guerra mondiale. Considerato l’alto potenziale di pericolosità, non sorprendono le draconiane misure di sicurezza adottate negli anni dalle autorità per scongiurare possibili escalation di violenza. Il 3 novembre 1994, per esempio, oltre 250 tifosi del Feyenoord vengono arrestati sulla strada per Brema, accusati di vandalismo, incendio doloso, lancio di oggetti e possesso di droga, e rispediti in patria.

Poco o nulla possono invece le forze dell’ordine il 30 gennaio 1999, in occasione dell’amichevole contro il Bayer Leverkusen che permette, in assenza dell’obbligo di acquisto dei tagliandi in prevendita, a molti hooligan di giungere liberamente in Germania a bordo di treni, auto e furgoncini. Risse nei pub e locali cittadini la notte precedente fanno solo da preludio alle tensioni nel post gara, con tanto di rogo appiccato a uno sportello della biglietteria e danni per 270mila euro. Quella sera cinquanta tifosi del Feyenoord vengono pizzicati in flagranza differita dalle riprese video della polizia e finiscono in manette: molti di loro sono facce sconosciute e senza un apparente legame con le frange più estremiste. Sebbene fossero presenti hooligan di vecchia data, a scendere in prima linea a Leverkusen erano stati soprattutto giovani incensurati animati dalla voglia di mettersi alla prova contro i loro coetanei teutonici. La partecipazione agli eventi costa a un totale di 65 tifosi del Feyenoord il bando da tutti gli stadi olandesi per un periodo compreso tra i due e i quattro anni e da quelli tedeschi per cinque anni, oltre al divieto di trasferta imposto dalla stessa società per diciotto mesi.

A fine aprile i festeggiamenti per la conquista del campionato di Eredivisie degenerano nel caos, la polizia spara contro gli hooligan, ferendone quattro, e questi rispondono al fuoco. Per le autorità gli incidenti sono stati pianificati a tavolino e sono necessari 750 agenti per ripristinare l’ordine.

Gli anni Novanta: le infiltrazioni xenofobe e l’impatto dei rave

I fatti drammatici che macchiano le cronache di quel periodo rientrano all’interno di un contesto che vede l’hooliganismo toccare picchi mai sperimentati.

Alla violenza degli anni Novanta contribuiscono due nuove influenze: la cultura dei rave e la xenofobia. A mano a mano che i teppisti del Feyenoord diventano famosi in mezza Europa, nel Paese inizia il movimento di feste a base di pillole e musica techno, che possono anche prestarsi a diventare teatro di risse tra bande rivali. Mentre nel Regno Unito il popolo dei rave si dissocia dal fenomeno hooligan, in Olanda la polizia continua a interrompere questi raduni a causa di episodi di violenza e del persistente consumo di stupefacenti. Oltre ad acuire gli scontri tra tifosi, le sostanze diventano il mezzo che permette a molti hooligan di autofinanziarsi mediante attività di spaccio negli stadi o nei luoghi di ritrovo più comuni. È Rotterdam, nella fattispecie, a fungere da catalizzatore di un’autentica drug culture, sullo sfondo di martellanti bpm, che porta centinaia di persone a drogarsi nei club il sabato sera per restare svegli tutta la notte e dirigersi direttamente allo stadio il giorno dopo.

Il 3 febbraio del 1993 la partita contro la Turchia viene spostata da Rotterdam a Utrecht per timore di incidenti legati a questioni razziali. Peccato, tuttavia, che i locali Bunnikzijde fossero già noti per aver più volte intonato cori antisemiti. Discorso simile per il North Side del Den Haag, storicamente una delle tifoserie più schierate a destra nel panorama nazionale e spesso protagonista di atteggiamenti censurabili. I suoi eccessi erano già costati negli anni Ottanta la richiesta di estromissione del De Haag, da parte della KNVB (Federazione calcistica dei Paesi Bassi), da tutte le competizioni per almeno un anno. Con il passare del tempo la nomea dei suoi tifosi non ha fatto altro che peggiorare, toccando il nadir dapprima nell’ottobre 2004 quando la partita contro il PSV è stata la prima in Olanda a essere stata sospesa per cori razzisti e antisemiti e più recentemente nel gennaio 2016 per via di versi scimmieschi e insultanti verso il giocatore dell’Ajax Riechedly Bazoer con tanto di esposto presentato dal club di Amsterdam.

Il ruolo della rivalità tra Ajax e Feyenoord, dalle origini alla battaglia di Beverwijk

Al di là delle frange estremiste di Den Haag e Utrecht, è stata soprattutto la violenza degli hooligan del Feyenoord ad avere un impatto determinante nello sviluppo del teppismo calcistico, in particolare se rapportata ai tafferugli che li hanno spesso visti protagonisti contro gli acerrimi nemici dell’Ajax, i cui hooligan sono stati a lungo talmente temuti che la polizia aveva proposto di considerare reato la semplice appartenenza agli F-Side, come se si trattasse di un’organizzazione terroristica.

La loro è una rivalità atavica che affonda le radici nello storico dualismo tra le due città, la capitale Amsterdam, e la seconda dei Paesi Bassi, Rotterdam. Distano un’ottantina di chilometri, ma da sempre appaiono due mondi contrapposti. Se la proletaria Rotterdam è famosa soprattutto per l’attività portuale, Amsterdam è di stampo borghese-cosmopolita e i tifosi dell’Ajax vanno fieri dei propri legami con la locale comunità ebraica, tant’è che la città di Amsterdam era un tempo considerata la “Gerusalemme occidentale”.

Fin dagli anni Settanta, le tifoserie di Feyenoord, Utrecht e Den Haag hanno preso l’abitudine di deridere i rivali con cori e striscioni antisemiti, talvolta accompagnati da saluti nazisti e bandiere palestinesi, cui i sostenitori dell’Ajax hanno risposto affibbiandosi l’appellativo di super Jews come motivo di vanto — più una sorta di reazione alle offese altrui che non una vera e propria identificazione con la religione e la politica ebraica.

L'odio tra Feyenoord e Ajax è esploso sul finire degli anni Ottanta, quando ai consueti screzi e lanci di oggetti tra fazioni opposte si sono aggiunti una serie di incidenti di alto profilo che hanno contribuito profondamente a cambiare l’approccio all’hooliganismo. Il 22 ottobre 1989 due bombe artigianali lanciate dai tifosi del Feyenoord esplodono in una zona antistante la curva dei tifosi dell’Ajax e provocano quattordici feriti. L’episodio ha grande risonanza anche all’estero e segna una svolta, spingendo il governo a debellare la piaga degli hooligan usando le armi della polizia inglese: stadi con soli posti a sedere entro la fine del secolo e sistemi di telecamere a circuito chiuso. Le misure, tuttavia, non fanno altro che spostare la violenza dagli spalti alle strade. Mentre il Times sostiene che «l’Olanda sta velocemente assumendo il ruolo di nazione calcistica più turbolenta d’Europa», la pessima fama degli hooligan del Feyenoord conosce un’impennata nel 1991 quando viene accoltellato un tifoso del Twente. È la prima morte legata alla deriva parossistica del tifo olandese che porterà alla condanna del responsabile a cinque anni di carcere per omicidio colposo.

Negli anni a venire le aggressioni diventano sempre più coordinate e pianificate. Il 21 maggio 1995 una sessantina di F-Side attacca uno studio televisivo pochi secondi prima dell’inizio di una trasmissione che avrebbe visto la presenza dei nemici di Feyenoord e Utrecht e il 16 febbraio 1997 una rissa organizzata nei pressi dell’autostrada A10 non si materializza solo perché gli hooligan dell’Ajax fanno dietrofront dopo aver visto i rivali presentarsi armati e in numero decisamente superiore. La polizia, giunta poco dopo sul posto, si limita a rispedire i presenti nelle proprie auto, dalle cui perquisizioni spuntano oggetti di notevoli dimensioni come mazze da baseball, catene e coltelli.

Nei momenti successivi al mancato scontro si susseguono accuse reciproche, anche per mezzo di interviste trasmesse sulle televisioni locali: quelli del Feyenoord definiscono i fuggitivi delle «fighette», che in tutta risposta li accusano di aver violato gli accordi, presentandosi in trecento anziché in cinquanta come inizialmente stabilito.

L’occasione per vendicarsi capita il 23 marzo, stavolta in maniera fortuita. Centinaia di hooligan degli opposti schieramenti si incrociano sull’autostrada A9, vicino a Beverwijk. Stanno andando in trasferta, l’Ajax a Waalwijk contro il RKC e il Feyenoord ad Alkmaar per affrontare l’AZ. Gli scontri durano pochi minuti e si lasciano dietro auto carbonizzate, armi di ogni tipo (persino molotov, storditori elettrici e chiavi inglesi) e soprattutto un corpo riverso a terra. È quello di Carlo Picornie, trentacinquenne leader degli F-Side colpito mortalmente con diversi oggetti, tra cui un martello.

L’episodio è la classica goccia che fa traboccare il vaso e ha l’effetto di sensibilizzare l’opinione pubblica. Il post Beverwijk porta all’arresto o all’interdizione dagli stadi fino a quattro anni di quarantacinque hooligan del Feyenoord e otto dell’Ajax e costringe ad ammettere che il fenomeno è sfuggito al controllo della polizia. Stavolta viene chiamato persino l’esercito, incaricato di trasportare in elicottero le truppe speciali nei punti più caldi.

La battaglia di Beverwijk trascina con sé conseguenze che vanno ben oltre le poche centinaia di persone coinvolte, segnando l’inizio di un modello autoritario nella lotta al tifo violento. Da lì in poi la polizia inizia a trattare le bande di hooligan come organizzazioni criminali a pieno titolo, anche attraverso l’infiltrazione di agenti sotto copertura, intercettazioni telefoniche e la creazione di una rete di informatori. Il messaggio è chiaro: non può più esserci spazio nel calcio olandese per certi individui. I due Klassieker della stagione 1997/98 si disputano senza la presenza dei tifosi ospiti, uno scenario che si ripete nel 2009 a seguito degli ennesimi disordini e il successivo divieto di trasferta per cinque anni — poi prorogato dopo l’incidente dei fuochi d’artificio nella finale di Coppa del 2014 — deciso di comune accordo dagli stessi club e dalla federazione.

Come sono cambiate le politiche securitarie in Olanda

Prima che si arrivasse al punto di non ritorno di Beverwijk, le tecniche di contrasto all’hooliganismo e di gestione dell’ordine pubblico avevano già mostrato i primi segnali di cambiamento, soprattutto grazie alla tecnologia. Le iniziali misure di sicurezza si concentravano sulla repressione e sulla manipolazione dello spazio fisico. Gli stadi erano militarizzati e segmentati sull’esempio della “strategia della segregazione” già sperimentata Oltremanica tramite muri, gabbie e recinzioni per impedire contatti tra opposte fazioni e lanci di oggetti in campo, mentre la procedura di accesso consisteva nel controllo manuale dei biglietti da parte degli steward, con gli spettatori liberi di sedersi o stare in piedi nel settore loro assegnato. Al contempo la presenza della forza pubblica era proporzionale alla minaccia percepita di possibili atti violenti e l’attenzione era soprattutto posta sull’arresto, la successiva interdizione e veloce condanna dei colpevoli.

Nel 1977 vede la luce il primo documento programmatico in materia di football hooliganism in cui si sconsigliano azioni dure e categoriche della polizia in favore dell’adozione di misure preventive. Alla base di questa raccomandazione, fanno notare i legislatori, c’era l’iniziativa avviata dal Den Haag con cui si era tentato di coinvolgere maggiormente i tifosi per rafforzarne il rapporto con il club — seppur con risultati abbastanza contestabili vista la pessima fama dei suoi hooligan.

Il seguente rapporto pubblicato nel 1981 dal “Comitato Stadi Sicuri” della KNVB funge da archetipo per migliorare il coordinamento delle forze di polizia impiegate durante le partite, suggerendo l’istituzione di un “Ufficio di Sicurezza” per la raccolta e condivisione di notizie inerenti all’ordine pubblico, e portare gli stadi a ottemperare a determinati parametri.

Il processo di conversione degli impianti in strutture all-seater, attuato a partire dalla fine degli anni Ottanta, conduce all’introduzione di tornelli automatici e all’installazione di sale di controllo e telecamere a circuito chiuso. I posti numerati sostituiscono le gradinate, spariscono le alte recinzioni perimetrali, i club ampliano la propria dotazione di steward per migliorare il controllo sociale e si assiste a una graduale riduzione della polizia dentro lo stadio. Fuori dal de Kuip viene persino costruito un tunnel per garantire l’incolumità dei tifosi in trasferta durante il passaggio dalla stazione ferroviaria al settore ospiti.

Parallelamente nell’aprile 1986 fa la sua comparsa il CIV (Centraal Informatiepunt Voetbalvandalisme), un organo finanziato dal Ministero dell’Interno e diretto dal capo della polizia con il compito di raccogliere ed esaminare informazioni riguardanti l’hooliganismo grazie a centri di intelligence dislocati nel Paese, nonché a contatti diretti con i club delle prime due divisioni. Il CIV funge anche da Osservatorio sulle manifestazioni sportive, fornendo valutazioni sulle criticità delle singole partite e suggerendo il dispiegamento delle forze di polizia necessarie. La cosiddetta “matrice di analisi del pericolo”, introdotta nel 2005/06, sfrutta la sinergia di forze dell’ordine, club e municipalità per distinguere in gare a basso, medio e alto rischio (categorie A, B e C) e valutare adeguate controffensive come restrizioni sulla vendita di alcolici o limitazioni negli spostamenti. Una di queste si chiama combiregeling(schema combinato), risale al 1984 e obbliga i tifosi che vogliono andare in trasferta a muoversi tutti insieme, sotto sorveglianza della polizia, soltanto dopo aver acquistato il biglietto di viaggio, generalmente in pullman o treno, abbinato a quello della partita.

Ogni anno, in maniera simile a quanto svolto dai colleghi tedeschi dello ZIS, viene elaborato un rapporto da inviare a realtà partner quali i gruppi politici, il Ministero, la Procura, le forze di polizia locali, KNVB e i responsabili sicurezza delle società calcistiche al fine di sviluppare nuove e congiunte pratiche di gestione dell’ordine pubblico attorno al gioco. Dal 1996 il CIV dispone di un database denominato VVS (Football Follow System) dove vengono registrati gli incidenti avvenuti dentro e fuori gli stadi, sia durante che dopo lo svolgimento della partita, oltre ai dati personali dei tifosi fermati in modo da tracciare l’iter della giustizia dall’arresto alla condanna e permettere al pubblico ministero di stabilire se il fatto può essere considerato un football-related disorder (reato correlato al calcio). Qualora si configuri questo scenario, la Federazione può riservarsi di emettere un’interdizione dagli stadi nei confronti del colpevole.

Nel CVV non finiscono tuttavia solo i nomi di tifosi arrestati. Esistono dei dossier a scopo preventivo con i profili di centinaia di hooligan riguardanti la loro occupazione, la composizione del nucleo familiare, la rete di amici e contatti, lo status all’interno del gruppo e persino il veicolo in loro possesso. L’utilizzo di questi fascicoli non è circoscritto soltanto all’Olanda, ma viene condiviso anche agli apparati istituzionali di altri Paesi europei, specialmente in occasione di partite internazionali che coinvolgono squadre olandesi. Da questo punto di vista, il CIV è stato il pioniere nella creazione e nello sviluppo di un network di informazioni attorno all’hooliganismo, anticipando di un paio di anni la creazione del National Football Intelligence United nel Regno Unito.

Con il passare del tempo la prerogativa del CIV è passata da un approccio punitivo post-facto a una valutazione dei rischi a priori, come testimoniato dal progetto Hooligans in Beeld (HiB) lanciato nel 2006 e costato mezzo milione di euro. Dentro questa banca dati erano collezionate notizie su circa cinquecento hooligan di rilievo del panorama olandese concernenti sia i disturbi arrecati durante manifestazioni sportive, sia eventuali problemi con la legge scaturiti in altri contesti.

Oltre alle attività di intelligence, a essere cambiato negli anni è stato anche il comportamento di autorità, polizia e club, che hanno tentato di passare a una gestione delle partite più a misura di spettatore. C'è stato un tentativo di migliorare il rapporto con la tifoseria più giovane grazie ad attività sociali e progetti di inclusione gestiti direttamente dagli appassionati sull’esempio dei fan project tedeschi. L’idea, sviluppata inizialmente per frenare le intemperanze dei più turbolenti seguaci del Feyenoord, prevedeva anche la creazione di una club house che però è stata presto accantonata a causa del clima aggressivo e delle difficoltà finanziare della società prima di trovare un effettivo compimento soltanto nella seconda metà degli anni Novanta.

Un ulteriore sviluppo delle politiche anti-hooliganismo è avvenuto con il tentativo da parte della KNVB di implementare una schedatura obbligatoria, ribattezzata “club card”, che vincolasse l’acquisto dei biglietti al possesso di una tessera rilasciata dalla società. Il primo esperimento si tiene nel 1989 in cinque squadre i cui tifosi sono ritenuti particolarmente pericolosi. Ma il nuovo sistema non decolla dato che in molti riescono ad aggirare il sistema, chi facendosi comprare i tagliandi da altri sostenitori e chi, come quelli del Feyenoord, scegliendo di presentarsi ugualmente in massa nella trasferta contro l’Utrecht. Risultato: tutti dentro nel settore ospiti su decisione della polizia per evitare disordini maggiori tra i cori di scherno degli hooligan all’indirizzo delle autorità.

Passa qualche anno e nel 1996 arriva una nuova schedatura generale, commercializzata come una sorta di carta dei servizi per migliorare l’esperienza dei tifosi durante le partite. Sono due le novità rispetto alla sua iniziale versione. Per prima cosa la tessera diventa necessaria anche per andare in trasferta, a patto che il richiedente non abbia mai ricevuto un divieto di interdizione; in secondo luogo, sulla stessa viene inserita la foto identificativa del possessore. Laddove alcuni ci vedono un modo per tenere lontani i violenti, altri etichettano la nuova “away card” come l’ennesima manovra per regolamentare il comportamento di una minoranza di combinaguai a discapito della maggioranza di tifosi perbene. Il rischio di una forte diminuzione delle entrate derivanti dalla vendita dei biglietti, insieme alle perplessità di club e associazioni dei tifosi per una misura troppo vincolante, portano a rivalutare il progetto e rendere la tessera non obbligatoria. Alle società viene data discrezione circa la scelta di attivarla o meno, portando molte di loro a farne uso solo per fronteggiare partite considerate ad alto rischio. Soltanto cinque squadre, Feyenoord compreso, impongono ai propri tifosi di fornire i dati e una foto alla Federazione per poter assistere alle partite sia in casa che in trasferta.

Gli anni Duemila e la situazione attuale: è tornata la violenza negli stadi?

La fallacia del sistema porta più avanti alla sperimentazione di una nuova tecnica di sorveglianza. Nella stagione 2005/06 la KNVB avvia un progetto pilota volto a verificare il rispetto dei divieti di interdizione e scovare eventuali contravventori utilizzando un riconoscimento biometrico composto da uno scanner dell’iride e dal rilevamento delle impronte digitali ai tornelli.

Nel 2007 Ajax, Feyenoord e Vitesse sperimentano questo nuovo sistema di controllo sociale, giudicato «più affidabile, veloce, fluido e sostenibile» rispetto ad altre tecnologie di identificazione, e nello stesso anno il Den Haag diventa la prima squadra olandese ad implementare la scansione dell’iride nel neonato Bingoal Stadion fresco di inaugurazione. Lo strumento rientra all’interno di un più vasto apparato di sorveglianza elaborato e gestito dalla società Happy Crowd Control: l’ingresso allo stadio avviene con una sorta di meccanismo a paratoia in cui ogni spettatore viene vivisezionato da sei telecamere da altrettante angolazioni diverse, mentre uno scanner controlla a distanza il codice a barre del biglietto o dell’abbonamento in cui è inserito un chip con identificazione a radiofrequenza (RFID). Se il volto coincide con i dati biometrici, si passa al secondo step, quello della perquisizione, altrimenti il tornello resta chiuso e lo spettatore deve tornare indietro.

Nella pancia dello stadio la polizia monitora le immagini, e se qualcuno si comporta male viene pedinato dall’occhio vigile delle telecamere fino alla sua cattura. Il riconoscimento biometrico, oltre a distinguere tra tifosi benvoluti o meno, li classifica in base ai precedenti penali o alla vicinanza a gruppi pericolosi e li profila sulla base di quei dati già presenti negli archivi che la polizia sfrutta in un secondo momento per svolgere attività preventiva contro eventuali atteggiamenti violenti.

Le vigenti norme securitarie vedono il governo centrale giocare un ruolo guida nelle politiche di sicurezza, aiutato da altri attori che nel tempo hanno assunto una importante funzione da comprimari quali la KNVB, le società, le compagnie di sorveglianza private e le associazioni di tifosi. Più nello specifico, in qualità di organizzatori delle partite, i club devono fare tutto quanto in loro potere per garantire la sicurezza e una corretta gestione del pubblico prima, durante e dopo l’evento, preoccupandosi di lasciare fuori tifosi sgraditi e oggetti proibiti e potendo persino emettere ordini di interdizione. Oltre a questi, esistono altre tre sanzioni per i responsabili dei cosiddetti reati da stadio: quella penale può comportare la carcerazione, lavori socialmente utili o una multa; quella civile si risolve nella denuncia anche per fatti commessi lontano dalla partita; infine il provvedimento amministrativo autorizza i sindaci a proibire la frequentazione della zona circostante allo stadio per almeno due anni in combinazione con l’obbligo di firma.

In caso di turbamento dell’ordine pubblico e senza l’intervento giudiziario, la stessa KNVB può addirittura emettere sanzioni fino a trent’anni, insieme al pagamento di un’ammenda, ponendosi sullo stesso livello del tribunale ed equiparando l’infrazione del tifoso alla commissione di un reato.

Per Jan Brouwer, professore all’Università di Groningen ed esperto in materia di ordine pubblico, raggiunto via mail da Ultimo Uomo, «l’Olanda ha la legislazione calcistica più severa al mondo, eppure l’effetto deterrente sui tifosi non sembra essere così rimarchevole».

A tal proposito, secondo Brouwer, servirebbero un paio di aggiustamenti alle attuali norme in vigore: l’obbligo di firma anche per le partite giocate in trasferta presso il comando di polizia della propria città e una maggior collaborazione tra sindaci e KNVB per quanto riguarda l’osservanza dei divieti di accesso allo stadio e di presenza nelle sue vicinanze, pena il pagamento di una multa per ogni violazione commessa. Pur mantenendo un ruolo di primo piano nel garantire la sicurezza attorno agli eventi calcistici, recentemente la polizia ha fatto appello a internet e alla televisione nel tentativo di scovare e arrestare i sospettati di hooliganismo. Nel dicembre 2011, per esempio, sono state diffuse le foto, estrapolate dalle telecamere, di dozzine di tifosi dell’Utrecht presumibilmente coinvolti negli incidenti contro i rivali del Twente e il programma Opsporing Verzocht ha invitato il pubblico a fornire informazioni utili per risalire alle identità dei sospettati.

Oggi, a distanza di oltre un decennio e nonostante la massiccia attività di prevenzione e repressione del teppismo calcistico, sembra che il fenomeno sia entrato in una nuova fase, innescata a detta degli esperti da due fattori direttamente collegati: lo stop causato dal Covid-19 e l’uscita di scena degli hooligan più navigati alla ripresa del campionato. La loro assenza avrebbe permesso a centinaia di giovani scalmanati tra i 18 e i 25 anni di appropriarsi delle curve e di intraprendere una serie di azioni volte ad accrescere il loro status all’interno del gruppo in un clima di generale anarchia, senza nemmeno preoccuparsi delle possibili conseguenze. Generalmente incensurati e occupati, vivono fuori dai grandi centri urbani, molti ancora con i genitori, e sono riconoscibili per i vistosi tatuaggi e la prevalenza del colore nero nell’abbigliamento.

È come, insomma, se i due anni senza pubblico avessero cambiato il modo di essere hooligan, complice la dipartita di tutte quelle figure che avevano a lungo dato un contributo alla polizia e ai club nella prevenzione e gestione del tifo violento e con cui le nuove leve pare non abbiano il minimo accenno di dialogo. L’insofferenza verso le scelte governative per contenere la pandemia ha inoltre generato una sorta di sentimento contro l’autorità e portato ad una forte polarizzazione di gruppo che ha spinto un nutrito numero di persone a ritrovarsi in una bolla condivisa da altri coetanei, tanto nella società quanto nel calcio, e in particolare in una nuova dimensione dell’hooliganismo. Lo dimostrano le decine di fatti incresciosi occorsi nell’ultimo biennio, tali da raddoppiare i divieti di accesso allo stadio rispetto al decennio precedente.

L’episodio più rilevante è capitato lo scorso settembre a seguito dei disordini provocati dai tifosi dell’Ajax che hanno portato alla sospensione della partita contro il Feyenoord e all’ennesima richiesta di un nuovo giro di vite. Erano passati soltanto cinque mesi dal triste precedente dell’accendino lanciato a Klaassen nella semifinale di Coppa d’Olanda disputata al De Kuip che il ministro della giustizia aveva definito «il punto più basso di tutti i tempi» e che aveva irrigidito la norma riguardante le interferenze del pubblico: stop alla gara per il lancio di oggetti in campo e sospensione definitiva in caso di recidiva alla ripresa del gioco.

Nelle settimane seguenti è tornata l’idea, già paventata in passato, di uno scanner per le impronte digitali, collegate al biglietto della partita e registrate negli archivi della polizia. L'intenzione è di inibire l’accesso ai teppisti colpiti da un divieto di interdizione. Prima ancora, sul finire del 2019, la KNVB aveva promosso un ulteriore progetto pilota finalizzato a ostacolare il razzismo e la discriminazione mediante un sistema audiovisivo per riconoscere più velocemente i trasgressori.

Nonostante i notevoli passi avanti nel contrasto al fenomeno, un sondaggio condotto all’inizio della stagione 2023/24 ha rivelato che circa il 35% dei tifosi ha ridotto o abbandonato del tutto la fruizione degli stadi a causa dei molteplici incidenti, costati un totale di 167 sanzioni emesse per mano della KNVB dalla ripresa dei campionati post pandemia per un ammontare complessivo di quasi un miliardo di euro.

Le attuali criticità sono aggravate dal fatto che l’invasione di campo e altre forme di disturbo non costituiscono un reato, circostanza che ha spinto la KNVB a esercitare pressioni sul Ministero della Giustizia e della Sicurezza per equiparare i disordini da stadio a veri e propri crimini normati dal Codice penale. Si sta anche discutendo di una possibile messa al bando dell'alcol sull'esempio del modello inglese.

Di recente la polizia olandese ha commissionato un rapporto di ricerca a Bureau Beke, agenzia specializzata in indagini nei campi della criminalità e della sicurezza, che ha elaborato un documento dal titolo “Imparare dai disordini del calcio”. L’obiettivo era provare a spiegare questo rigurgito della violenza che l’Olanda pensava di essersi messa alle spalle, analizzandone le cause, le carenze del sistema e le opportunità di contrasto del fenomeno. Alla base del lavoro c’era la premessa che a partire dalla stagione 2014/15 e fino al termine della stagione 2018/19 gli incidenti da hooliganismo erano diminuiti, salvo poi aumentare dal 2021/22 proprio in concomitanza con la ripresa del gioco a porte aperte dopo la pandemia. Oltre all’avvento di una nuova generazione di hooligan, il report ha evidenziato le mancanze dei club che non starebbero facendo abbastanza per arginare il fenomeno («guardano dall’altra parte quando i tifosi si comportano male e non fanno rispettare le regole della casa»), mettendo in dubbio il mantenimento della sicurezza nel loro stadio. Terminate le accuse, è arrivato il tempo delle soluzioni.

I ricercatori ne hanno identificate quattro: concedere al sindaco della città ospitante, e non alla KNVB o alle televisioni, il potere di determinare la sussistenza delle condizioni necessarie per disputare una partita in un determinato giorno e orario perché «la sicurezza e l’ordine pubblico hanno la precedenza sugli affari e non sono negoziabili»; rivedere i requisiti minimi di sicurezza negli stadi e investire laddove siano carenti; premiare il buon comportamento dei sostenitori, dando per esempio la priorità nella vendita dei biglietti, e cercare di raddrizzare quelli fuori dalle righe prima con la persuasione e poi con la repressione (ordini di interdizione, divieto di trasferta o di vendita di alcolici); lavorare su una migliore comunicazione con i tifosi che permetta loro di avere maggiori libertà, consapevoli che ad ogni violazione corrisponderebbe una sanzione più severa. Alle proposte dei ricercatori si sono aggiunte quelle degli intervistati, una cinquantina di esperti di polizia, che hanno suggerito di collegare i biglietti alle carte d’identità, incrementare la qualità degli steward e giocare a porte chiuse in caso di gravi incidenti.

La crisi che pare attanagliare l’Olanda non rimane un fenomeno isolato, come certificato dal recente dilagare della violenza un po’ in tutta Europa. Situazioni e contesti tra loro diversi e sfaccettati, uniti però da una conclusione: il calcio si trova nuovamente costretto a fare i conti con un fenomeno estremamente complesso che risponde al nome di hooliganismo. Non esiste una sola causa, non esiste un solo rimedio.

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