All’indomani della sconfitta di Trapani del 249 a.C., la più pesante della prima guerra punica, sulle radio romane rimbalzava l’episodio dei polli augurali annegati. Il Console Publio Claudio Pulcro fu richiamato a Roma, processato per incompetenza ed empietà, condannato a pagare un'ingente multa. Morì poco dopo, suicidandosi.
«Ave Mario, sono Marco Giunio da Porta Querquetulana, ti avevo chiamato a Quintilis con nonna Livia, il giorno del compleanno suo. Senti io proprio non mi do pace per ‘sta sconfitta. È una guerra che va avanti da quindici anni, io capisco che non sei voluto andare a rafforzare l’assedio di Lilibeo, che hai voluto provare il colpo a sorpresa nel porto di Drepano… sia chiaro che non metto in discussione l’aspetto tattico. Che poi, se vogliamo, lo sappiamo tutti che le navi cartaginesi sono più agili e la loro fanteria marina è più esperta della nostra, ma io sono sempre stato dell’idea che il Console è lui, il Comandante è lui, e sul campo di battaglia decide lui. Però qua il dato preoccupante è un altro. La schiava di mio fratello c’ha avuto un impiccio con uno degli àuguri che stava sulla nave del Console… insomma Ma’, pare che i polli augurali prima della battaglia non mangiavano l’offa, non la toccavano proprio… e quindi il segnale era chiaro, ‘sta battaglia non si doveva da fare. Mbè lo sai che ha fatto il signor Console Publio Claudio Pulcro? Li ha buttati a mare! “Se non vogliono mangiare, che bevano” gli ha detto… e allora però qui signori il discorso è un tantinello diverso, questa si chiama empietà. Tu la battaglia la puoi pure perdere, ma non in questo modo, in questo modo non è accettabile Mario. Mo hai perso 120 navi e lo sai che c’è? Te sta pure bene».
Pochi giorni fa, dopo il sofferto pareggio con la Fiorentina, l’attenzione dell’ambiente giallorosso si è concentrata sul caso Renato Sanches. Il centrocampista portoghese, che ha giocato soltanto scampoli di partite a causa dei continui problemi muscolari, si è sfogato con l’ex compagno Ikoné nel tunnel degli spogliatoi dell’Olimpico. Nel dialogo, ripreso da una telecamera, Renato Sanches dice: «Non so neanche cos’ho, forse qualcuno mi ha fatto una maledizione». Sui social il virgolettato circola e inizia ad essere discusso. Tutti i romanisti però sembrano essere sicuri di una e una cosa sola: ma che non lo sa che siamo maledetti?
Martedì Repubblica esce con un articolo che titola: «Renato Sanches va dallo sciamano: "Troppi infortuni, forse sono maledetto"». Il pezzo non sembra lasciare spazio a dubbi: “(...) non certo una novità per chi lo conosce bene. Sanches infatti la scorsa stagione, al culmine della frustrazione per i continui infortuni muscolari, si era rivolto ad uno sciamano parigino. Un consulto speciale del quale il portoghese non fa mistero e che nei mesi scorsi ha colto di sorpresa più di qualcuno a Trigoria. Dopo anni intermittenti, pieni di infortuni e ricadute, la scelta estrema era ricaduta su chi comunica con le potenze superiori. Una scelta drastica che però non sembra aver sortito effetti”.
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Come si è passati da un video in cui si riesce a fatica a intuire un’espressione colloquiale che ha tutta l’aria di essere metaforica alle granitiche certezze del pezzo di Repubblica? Le strade sembrano essere due: un'inchiesta con fonti a Roma e forse anche a Parigi che ha fornito prove incontrovertibili; oppure, la malafede di solleticare, peraltro con un immaginario dal retrogusto razzista, la delusione di una piazza che, come sempre, aveva garantito a Renato Sanches una fiducia incondizionata al momento del suo arrivo. La smentita del protagonista su X sbugiarda quantomeno che “il calciatore non ne faccia mistero”, ma basta a togliere ogni dubbio sulla maledizione? C’è un video in cui un calciatore della Roma ricalca una sensazione tipica del tifoso romanista, c’è uno dei principali quotidiani nazionali che assicura che quella sensazione sia in realtà una ferma convinzione, c’è una smentita e l’ubiquo vociare di sottofondo che conferma, rielabora, smaschera, contraddice. Poi c’è un calciatore tormentato dagli infortuni e dalla paura degli infortuni, che nell’ultima partita è stato sostituito da Mourinho dopo 18 minuti dal suo ingresso in campo per scelta tecnica. Come in Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, la catastrofe altro non è che un “vortice, un punto di depressione ciclonica nella coscienza del mondo, verso cui hanno cospirato tutta una molteplicità di causali convergenti”. Un “nodo o groviglio, o garbuglio, o gnommero, che alla romana vuol dire gomitolo”.
Come Gadda, il tifoso romanista è un maniaco dell’ordine e del controllo ma vive in un mondo di garbugli inestricabili. Se in psicologia il locus of control può essere interno o esterno, a seconda che l’individuo ritenga che gli eventi della vita siano prodotti dai suoi comportamenti oppure da cause esterne indipendenti dalla sua volontà, nella collettività giallorossa i due concetti si fondono. Uno stadio che è certo di poter spingere fisicamente la palla nella rete avversaria, e che spesso ha dato manifestazione di questa volontà di potenza. Una tifoseria sempre alla ricerca spasmodica delle cause e delle concause dei grovigli che la tormentano.
La storia della maledizione degli infortuni
I grovigli che la tormentano, va detto, sono eccezionali per qualità e quantità. Vale la pena di fare una breve rassegna, limitandosi soltanto agli infortuni e tralasciando, ad esempio, l’impressionante continuità in vetta alle classifiche dei legni colpiti.
Uno dei talenti più puri della generazione che avrebbe fatto la storia della Roma negli anni ‘80, Francesco Rocca, si è infortunato palleggiando scherzosamente con l’ex arbitro Lattanzi nel campo di allenamento del Tre Fontane. Il legamento del suo ginocchio sinistro, che aveva subito una botta una decina di giorni prima, si è disintegrato improvvisamente, senza alcun contatto, e il terzino è svenuto dal dolore. In un articolo a lui dedicato, il quotidiano Il Romanista ne parla così: “Colpito da nessuno, anzi dalla ‘maledizione’. Dopo. Intervento. (...) Ma niente. La maledizione ha avuto il sopravvento, come una malefica fattucchiera”. Si ritirerà definitivamente nel 1981.
Nello stesso anno è un altro giovane romanista a subire lo stesso infortunio, Carlo Ancelotti, che salterà prima il Mondiale dell’'82 a causa della rottura del crociato del ginocchio destro, poi la cavalcata nella Coppa Campioni ‘84 a causa della rottura del crociato del ginocchio sinistro. Stefano Impallomeni, allora giovane talento che aveva esordito con la Roma a 16 anni, si rompe tibia e perone in uno scontro con Costacurta mentre è in prestito al Parma “a farsi le ossa”. Identico infortunio che il difensore centrale Lassisi subì dopo 7 minuti in campo nell’amichevole-festa della Roma scudettata alla vigilia della stagione 2001/02 contro il Boca Juniors. Non esordirà mai e la sua avventura con la Roma si concluderà in tribunale.
Zero presenze anche per Gilberto Martinez, esterno ingaggiato dal Brescia poco dopo essersi rotto i legamenti crociati nel Mondiale del 2006. Due anni prima una leggenda giallorossa come Damiano Tommasi aveva rischiato la carriera per un altro infortunio di gravità inconcepibile, in amichevole contro lo Stoke City: lesione complessa di tutte le strutture capsulo-legamentose del ginocchio destro, rottura dei menischi interni ed esterni, rottura del crociato anteriore e posteriore, rottura del collaterale mediale, rottura dell'inserzione dei flessori della coscia destra. Un infortunio che anni dopo sarà paragonato a quello di Riccardo Calafiori, allora giovane terzino romanista in rampa di lancio in una partita di Youth League. I medici che per primi lo visitarono dissero che era un infortunio che capitava una volta ogni dieci anni: «Una cosa così accade di solito nel motocross, non nel calcio».
A questi infortuni, poi, andrebbero aggiunti altri problemi fisici ancora più complessi, patologie che non pensavamo di poter associare al calcio. Per esempio l'ipertrofia del muscolo cardiaco che di fatto ha messo fine alla carriera del promettente terzino nigeriano Abdullahi Nura (già colpito da rottura del crociato) oppure il cavernoma al cervello che ha sbattuto fuori dal calcio d’élite Leandro Castan dopo alcune ottime stagioni in maglia giallorossa.
Serve un fast forward per arrivare al cuore della tetra vicenda degli infortuni della Roma. Se quelli descritti fino ad ora possono sembrare episodi sfortunati di cui è costellata tutta la storia del calcio, ciò che è successo alla Roma dal 2014 in poi non solo non può che spingere con tormento alla ricerca di cause e concause, ma rende quantomeno comprensibile che la ricerca sfoci di frequente nel paranormale.
Nella stagione 2013/14 la Roma di Garcia parte a razzo con 10 vittorie consecutive e a inizio marzo, nonostante la portentosa rimonta della Juve, conserva ancora speranze di scudetto. Fra i molti protagonisti spicca Kevin Strootman, che a centrocampo fa la guerra con furia e sapienza. A Napoli, dopo 6 minuti, un contrasto con Dzemaili fa saltare il legamento crociato anteriore del suo ginocchio sinistro. Alcuni tifosi azzurri anche in questo caso suggeriscono che la punizione più che terrena sia divina, per via dello sputo con cui bagnò la pista d’atletica del San Paolo dopo un’espulsione circa un mese prima, in una semifinale di ritorno persa per 3-0.
Torna in campo dopo 8 mesi ma di lì a breve si accascia nuovamente in un match contro la Fiorentina. Il secondo infortunio al crociato di Strootman è anche il primo dei VENTI occorsi a giocatori della Roma nei successivi 6 anni e mezzo. Non è un dato che un tifoso può accettare passivamente, ci deve essere una spiegazione. Un filo, tirato il quale, il groviglio si scioglie.
La pista fisica
Ma ovviamente di fili da provare a tirare, in un gomitolo, ce ne sono molti. Ci sarebbe, ad esempio, quello della qualità dei campi di Trigoria, definiti troppo duri da molti, tra cui l’ex preparatore atletico di Rudi Garcia, Paolo Rongoni. Spinta dalle voci sempre più insistenti di una città che non ha tardato a invitare degli agronomi in radio, la società giallorossa ha proceduto di recente a rizollare i campi, senza sortire però grandi effetti sull’incidenza degli infortuni.
Ci sarebbe, poi, quello ortopedico. A Roma il sovrano indiscusso dell’ortopedia è il Professor Pier Paolo Mariani da Villa Stuart, in arte “il signore dei crociati”. Mariani, che era salito alla ribalta con l’intervento a Nesta nel 1998, si è trasformato in una figura leggendaria grazie all’operazione che ha permesso a Totti di giocare e vincere i Mondiali del 2006. Le interviste a e su di lui si sprecano, sul suo sito sfilano oltre 1.200 atleti professionisti curati dalle sue mani e ogni tifoso romanista può vantare di avere almeno un amico o un parente operato dal celebre professore.
Dopo l’infortunio a Rüdiger nel 2016, Mariani dichiara che con il suo protocollo i calciatori che hanno subito un infortunio al crociato possono tornare a disposizione in 90 giorni, una dichiarazione che ha tutta l’aria di un colpo di hybris. Passano alcuni mesi e Alessandro Florenzi, tre mesi e mezzo dopo il suo infortunio al crociato e la conseguente operazione da Mariani, si fa male in un allenamento con la Primavera. La diagnosi è sempre la stessa: rottura del legamento crociato del ginocchio sinistro. Il dubbio sul protocollo rapido di Mariani comincia a serpeggiare. Sandro Sabatini a Radio Radio dichiara: «Che Mariani dica questo [«Il legamento era perfettamente guarito e si è rotto. C'è stato l'elemento sfortuna», nda] rientra nella prassi. Io solo alla sfortuna per abitudine non ci credo. Qualcuno che deve fare un esame di coscienza credo ci sia». Di lì a poco le ricadute si moltiplicano. Su Twitter e nelle chat della carboneria romanista i nomi dei giocatori operati da Mariani che hanno subito un secondo infortunio si ripetono come una cantilena: Perin, Ghoulam, Florenzi, Milik, Zaniolo. I più esperti citano i giovani Bouah e Luca Pellegrini, differenziano chi ha la ricaduta sullo stesso ginocchio da chi si fa male all’altro, il dubbio si stratifica, diventa teoria.
La pista cristiana
Anche chi crede a questa teoria non verificata, però, concorda sul fatto che può spiegare solo una minima parte del fenomeno. Non basta. Ci sarebbe allora la sempreverde dottrina del Golgota, secondo la quale un peccato grande come la responsabilità giuridica della crocifissione di Cristo non sia ancora rimesso e si abbatta dunque contro gli eredi di Ponzio Pilato in maglia giallorossa. Non tutti sono d’accordo, però, e alcuni sollevano obiezioni teologiche, partendo dall’evangelista Luca, che al versetto 23:34 riporta la celebre frase di Gesù: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno”.
La pista cristiana non si esaurisce qui. Già nel 2015, un articolo di Guido D’Ubaldo sul Corriere dello Sport denuncia: “La Roma è sempre più laica. Nei giorni dell’Anno Santo straordinario, la società ha smantellato la cappella voluta da Franco Sensi a Trigoria”. Rincara subito la dose il giornalista Roberto Renga, su Twitter, dove scrive di avere “i brividi” al pensiero che si possa togliere questa cappella. Nel frattempo si attiva Mario Corsi (“un conduttore radiofonico ed ex terrorista italiano”, per citare la sua incredibile pagina Wikipedia) che durante la trasmissione Te la do io Tokyo conversa con il vaticanista Piero Schiavazzi, presente all’inaugurazione della cappella in occasione del Giubileo del 2000: «Che questa cappella nell’anno del Giubileo [il Giubileo straordinario della misericordia del 2015,nda] sia adibita a magazzino è vergognoso. Baldissoni sostiene di averla trovata così, ma nulla toglie che una società come quella attuale, che si è professata cattolica, abbia delle responsabilità. (...) Lunedì Baldissoni vedrà Monsignor Fisichella per parlare di un evento in vista del Giubileo. Ma il Pontefice tiene di più all’apertura della cappella, a una iniziativa di continuità, che ad un evento che ‘conviene a tutti’”». Secondo Schiavazzi, il Papa in persona tiene particolarmente alla riapertura della cappella di Trigoria.
La famiglia Sensi si mobilita per fare luce sulla questione. Inizia Maria Sensi, moglie del compianto Presidente Franco: «Io sono andata a comprare la via Crucis… Me ne sono occupata personalmente. Su questa cosa mi arrabbio molto. Franco donò la Salus Populi Romani: se non è stata messa a bilancio, la rivorrei indietro. Perché questa Roma non è degna di tenere questo quadro della Madonna. Che si venga a dire che la cappella l’abbiamo resa noi magazzino è una cosa vergognosa. Sono disgustata». A rincarare la dose arriva poco dopo la figlia, nonché ex Presidente, Rosella Sensi: «Mi stupisco che Baldissoni dica una cosa del genere, visto che non c’era. Che senso ha questo intervento oggi? Ce l’ha con me anche se c’è il sole? O perché non piove? (...) Un po’ di eleganza e un po’ di stile! Poi sulle scelte del dopo io non entro. Ma non si scherza sulla religione».
La stagione della Roma di Garcia procede piuttosto bene e il caso scema. Una questione che sembrava soltanto un pretesto per criticare la società americana viene ruminata silenziosamente per anni, finché non si presenta l’occasione giusta. All’inizio della stagione 2019/20 la tradizionale sagra degli infortuni raggiunge nuove vette. Mimmo Ferretti e Stefano Petrucci, dalle frequenze di TeleRadioStereo, invocano la questione della cappella, aggiungendo un tecnicismo: il problema è che la cappella, da anni dismessa e adibita a magazzino, non è stata sconsacrata. Il quotidiano Leggorincara la dose a fine ottobre: “Ogni luogo di culto, terminata la sua attività ha bisogno di un apposito protocollo gestito dal Vicariato e dal vescovo di zona. Tutto questo a Trigoria non è stato mai fatto e, forse per una punizione divina per tanto lassismo, la Società dal dopo Sensi a oggi ha avuto ogni tipo di iattura. Quest'anno poi si sta toccando quota esorcismo: 18 infortuni da inizio stagione”. Nel frattempo, durante i sempre più frequenti interventi radio di Ferretti e Petrucci sul tema della cappella, si sente in sottofondo il rombo del motore di una Formula 1. È il suono della redenzione. Dopo le pressioni mediatiche, la Roma si è operata e Monsignor Fisichella (omonimo del pilota Giancarlo, da cui la sottile ironia tipica del gusto radiofonico romano) si è recato a Trigoria per benedire il centro sportivo. IlCorriere dello Sporttitola: “Roma, soluzione contro gli infortuni: sconsacrata la chiesa e benedetta Trigoria”. Leggo: “Un gesto che, risultati alla mano, ha funzionato: dopo il rito purificatore sono arrivate tre vittorie di fila, la Roma gira come una macchina perfetta, non c’è stato neanche un infortunato e alcuni giocatori sembrano rinati”.
Monsignor Fisichella insieme all'ex amministratore delegato della Roma, Guido Fienga, e all'ex direttore generale del club giallorosso, Mauro Baldissoni.
Un mese dopo, sotto il manto di un campo di allenamento di Trigoria sono state ritrovate venti bombe da mortaio inesplose, risalenti alla Seconda Guerra Mondiale. Di lì a poco inizierà il calvario della più grande promessa della storia recente della Roma, Nicolò Zaniolo.
I tentativi per ingraziarsi le forze divine nel frattempo non si sono fermati. Nel luglio del 2022 l’ex cappellano di Trigoria, Monsignor Frezza, è stato creato cardinale. Alla guida dei giallorossi è arrivato José Mourinho (amico personale del cardinale portoghese José Tolentino de Mendonça, con il quale ha avuto una conversazione poi pubblicata sul sito della società), che in riferimento ai continui infortuni della Roma ha parlato di “storia clinica” dei suoi giocatori, sottolineando cioè che la strategia di mercato romanista ha imposto l’acquisto di profili soggetti agli infortuni, come Dybala e lo stesso Renato Sanches. Cosa voleva dire Mourinho? Forse che la Roma stava cercando di prendere giocatori già infortunati per evitarne di nuovi? Di sicuro nulla di tutto questo è servito. Se infatti le parole di Mourinho possono spiegare molti degli infortuni muscolari, diverso è il discorso per i 18 infortuni traumatici con cui la Roma ha chiuso la scorsa stagione, tra cui la rottura della tibia di Wijnaldum durante la preparazione e tre immancabili infortuni al crociato (Darboe, Kumbulla e Abraham, quest’ultimo a dieci minuti dal termine della stagione).
Come spiegare tutto questo, allora? Si può fare come da millenni, affidandosi ai polli augurali, ravvisando maledizioni e invocando benedizioni. Oppure si può fare alla maniera di Gadda: arrendersi al fatto che in molti pasticciacci il colpevole c’è, ma non si trova, che la realtà è complessa e tanto più proviamo a spiegarla, tanto più ci sfugge.
Ma in effetti, a pensarci bene, il nome Trigoria deriva dal latino tres gores, tre fiumi. In quella zona però, di fiumi non ce ne sono. Un mio caro amico giura che in realtà scorrano sotterranei al campo sportivo, generando un microclima smisuratamente umido, che fiacca le ossa e i muscoli dei calciatori della Roma, favorendo gli infortuni. In effetti, basta una breve ricerca per scoprire che lo storico Giuseppe Tomassetti imputa l’origine del nome “ai numerosi affluenti del Fosso di Malafede”. Un nome troppo evocativo per credere che sia solo un caso.