Pubblichiamo un estratto da L'arte del calcio sovietico di Carles Viñas (traduzione di Simone Cattaneo) pubblicato da Il Saggiatore.
La diffusione del calcio comportò anche il sorgere del cosiddetto «calcio selvaggio» o «fuorilegge» (dikij), una versione in chiave popolare di questo sport. Fu una comparsa forzata dalla «apartheid sociale» sofferta dai lavoratori nel vedersi esclusi dai club e dalle competizioni calcistiche per via della loro estrazione sociale.
Dal 1910 si cominciarono a creare le prime squadre di lavoratori e studenti delle scuole. A Mosca molti usavano la spianata vicino al cimitero Kalitnikovskaja per dare qualche calcio al pallone. Estranee ai club degli sportsmen e a quelli patrocinati dagli imprenditori, tali società – non registrate ufficialmente – erano guardate con diffidenza dalle autorità. Per via del timore che potessero coprire attività illegali, molte furono chiuse dalla polizia. In risposta a simili provvedimenti i membri di queste associazioni cercarono altri club dove continuare a giocare.
Com’è logico, la Federazione non riconobbe queste squadre, trattandole con sprezzo e arroganza. Non furono nemmeno ammesse ai campionati locali esistenti. «Una squadra di lavoratori che gioca contro i nostri club» era un’ipotesi inconcepibile per i dirigenti del calcio russo dell’epoca. Di fatto, per evitare che potessero accedere ai tornei si aumentò l’apporto di capitale necessario per entrare a far parte del campionato e, inoltre, venne emanato un ordine che proibiva ai direttori di gara di arbitrare partite di «squadre selvatiche». Solo a Mosca esistevano 35 squadre «clandestine». Il calcio, d’altronde, era il riflesso della crescita sperimentata dalla città, in seguito all’esodo rurale vissuto da un paese in piena industrializzazione. Questa rapida crescita, però, fu anche sinonimo di precarietà, povertà estrema, alloggi indegni, crimine, disordini e malattie varie.
Dal 1916, però, la situazione cambiò e si iniziò a tollerare la presenza delle squadre clandestine. Così, divennero abituali i match disputati da squadre come, tra le altre, il Circolo presnenski sparta, il Circolo kremlin, il Simanovski o l’Askold. In precedenza, il governo aveva deciso di accettare la creazione di nuovi club nelle fabbriche e nelle unità dell’esercito e della Marina imperiali con l’obiettivo di neutralizzare la crescente popolarità di quelli «fuorilegge» e dei lavoratori più militanti. Il calcio dikij però non fu sinonimo di calcio operaio, perché a queste partite spontanee partecipavano anche studenti, funzionari, dipendenti e «colletti bianchi» (služaščie).
A Mosca, uno dei referenti del calcio clandestino fu Boris Chesnokov. Figlio di un ferroviere, il giovane Česnokov divenne amico di alcuni lottatori professionisti che alternavano quella pratica sportiva con lavori occasionali nei circhi. Insieme ai tre fratelli, convinse il padre a comprare un pallone da calcio per iniziare ad allenarsi nel cortile del loro appartamento. Passarono quindi a giocare con compagni ed amici del quartiere in campi incolti durante i fine settimana. La presenza di numerosi giovani delle classi popolari in uno stesso luogo provocò l’intervento della polizia, nel timore che la riunione potesse sfociare in disordini.
Venne loro proibito di giocare nei fine settimana sui terreni limitrofi al cimitero dove erano soliti trovarsi. Česnokov però non si arrese e alla fine riuscì a ottenere i soldi per affittare un terreno, vicino al bosco Annengorfski, dove continuare a giocare a calcio. Tra gli assidui di queste partitelle c’erano i futuri fondatori del Rogožskij kružok sporta (Circolo sportivo Rogožskij), il primo club sportivo di operai, che avrebbe incluso anche qualche studente. Inoltre, Česnokov fu l’incaricato di organizzare le prime competizioni di «calcio selvaggio», biasimate dai promotori del campionato ufficiale moscovita. L’esperienza giunse al termine nel 1915, quando la polizia fece irruzione nel campo d’Annengorfski per interrompere, con la forza, svariati incontri. Malgrado i tentativi di negoziare con le forze dell’ordine la continuità delle partite, alla fine, di fronte alla mancanza di dialogo con le autorità, il Rogožskij sospese l’attività sportiva. Allora, l’instancabile Tchesnokov tentò una fusione con il Novogireevo, club del sud-est della città, che non accettò l’offerta ma propose ai migliori giocatori del Rogožskij di entrare a far parte della squadra. Queste incorporazioni aiutarono il Novogireevo a porre fine all’egemonia del Morozovci, che sconfisse, conquistando così il campionato locale. Era la prima volta che una squadra formata esclusivamente da calciatori russi vinceva il titolo. Un successo che, di riflesso, legittimò il «calcio selvaggio».
Anche a Orechovo, la cosiddetta «terza capitale del calcio russo», si moltiplicarono le squadre informali composte da operai. Là, ogni colonia disponeva di un campo da calcio improvvisato. Ben lungi dall’avere divise e scarpe come le squadre ufficiali, questi «calciatori selvaggi» giocavano con un paio di scarpe qualsiasi, stivali, scarpe da tennis, sandali o, persino, a piedi nudi. A mo’ di pallone usavano camere d’aria di caucciù o cuoio imbottite di stracci o carta. Molti sceglievano di non fare colazione e di spostarsi a piedi; in questo modo risparmiavano qualche copeco per poter comprare materiale sportivo decente. Un simile atteggiamento era in netto contrasto con quello delle squadre «ufficiali», come il Morozovci, che ossequiava gli arbitri prima degli incontri con inviti in ristoranti eleganti, tra cui il moscovita Metropole.
Le squadre operaie proscritte prendevano in genere il nome dell’incaricato di organizzarle; per esempio, il Galkinci era stato ideato da Vladimir Galkin. Un altro promotore del «calcio selvaggio», Gryzlov, aveva partecipato attivamente al movimento operaio in qualità di membro del Partito operaio socialdemocratico russo (Rsdrp), organizzazione fondata a Minsk nel 1898. Le squadre di Galkin, più propenso all’anarchismo, e di Gryzlov si affrontarono per la prima volta sul campo di Karasova nel 1909, con la vittoria degli appartenenti al Rsdrp per tre gol a uno.
A poco a poco, il «calcio selvaggio» si diffuse tra i dipendenti di altre fabbriche di proprietà di Savva Morozov. Si crearono così squadre come il già citato Rogožskij, le Aquile di Čibanov (un altro operaio iscritto al Rsdrp), o quella formata nel 1910 da Tanaev con dipendenti adolescenti. Al termine di sfiancanti giornate lavorative di dieci ore, i lavoratori avevano ancora forze sufficienti per giocare a calcio. Alcune squadre arrivarono a usare come magliette sacchi di patate di iuta tagliati e infilati al collo. Altre erano conosciute con un soprannome, come i Vikings di Bukanov, i Selvaggi o i Tartari, chiamati così per via delle origini dei loro membri, che lavoravano in una fabbrica di porcellana. Esistevano persino squadre che prendevano il nome dalla località in cui si trovava il terreno dove giocavano, come il Murzinka FC, composta da lavoratori dell’impianto metallurgico Obukhov di Pietrogrado, fondato nel 1863 per produrre artiglieria navale a partire dai progetti della marca tedesca Krupp.
In parecchi casi il «calcio selvaggio» fu l’antecedente delle squadre create nelle fabbriche. Fu il modo in cui gli operai conobbero l’esistenza di questo sport. In seguito, i dirigenti e i dipendenti stranieri, soprattutto britannici, ne regolarono la pratica. Così accadde, per esempio, a Drezna, una città situata a est di Mosca che prendeva il nome dal fiume omonimo, dove il calcio fu portato dagli inglesi. Di fatto, la località fu creata nel 1897 per alloggiare i lavoratori di una fabbrica tessile costruita da due figli dell’industriale Ivan Simin, originario di Orechovo-Zuevo. Furono due dipendenti dell’azienda, il direttore Eastwood e l’ingegnere Forns, a diffondere, nel 1904, la pratica del calcio tra i lavoratori. Malgrado ciò, sarebbero dovuti trascorrere ancora sei anni affinché si formasse la prima squadra di calcio della città.
Un’altra squadra costituita da operai e chiamata come l’azienda fu il Putilovskij, sorto nella fabbrica di munizioni Putilov di Pietrogrado, i cui giocatori si allenavano nelle strutture del Circolo amateur sportivo Ekaterinhof. Quando nel 1914 le autorità abolirono la proibizione per queste squadre di lavoratori di partecipare alle competizioni ufficiali, sia il già citato Murzinka che il Putilovskij si iscrissero ai campionati ufficiali. Non furono gli unici a compiere quel passo. Nel 1916 altri due club operai disputarono il torneo di Pietrogrado: il Volga, formato dai lavoratori delle fabbriche Aleksandrov, Semiannikov e Atlas, e il Počtovo-telegrafnye činovniki (Ptč), la squadra dei dipendenti delle poste e telegrafi. In fin dei conti, l’ammissione di queste squadre obbedì alla volontà di migliorare il livello del calcio russo.