
"Can you see me now? Can you see me now?". Brock Lesnar non riesce a trattenere l’entusiasmo e l’adrenalina del suo primo successo in UFC. Al suo secondo incontro nella federazione ha trasformato Heath Herring nel suo punchball personale, dimostrando una ferocia, una tecnica e una velocità che in pochi potevano attendersi alla vigilia.
È felice ma non è solo la vittoria a scatenargli quel moto d’orgoglio verso il pubblico. È al settimo cielo perché la faccia tumefatta di Herring rappresenta un punto di svolta per la sua la sua carriera. Vincere in UFC, respingere le critiche piovutegli addosso dopo la sconfitta all’esordio, lasciarsi definitivamente alle spalle l’etichetta di wrestler ed essere considerato un lottatore vero, in grado di imporsi nella federazione più importante delle arti marziali miste è quello che gli serviva per mettere fine al momento più delicato della sua vita.
Sono passati quattro anni da quando ha abbandonato la WWE, da quando ha deciso che essere uno dei personaggi più famosi al mondo non era abbastanza per lui per sentirsi appagato, per sentirsi felice.

Brock Lesnar nel 2001. Foto di Kypros / Getty Images.
Here come the pain
Il grande pubblico incontra per la prima volta Brock Lesnar il 18 marzo 2002 quando irrompe sulla scena di Monday Night Raw per rifilare una spinebuster su un bidone dell’immondizia ad Al Snow, una portentosa F-5 a Maven e tre power bomb consecutive al povero Spike Dudley. Il mondo del wrestling non sarà più lo stesso.
Ha solo 25 anni ma oltre a un fisico scolpito e a una ferocia innata, possiede quel mix di tecnica, aggressività e ambizione di cui Vince McMahon si innamora facilmente ancora oggi. Il soprannome, “The Next Big Thing”, sta lì a testimoniare che rappresenta il futuro e il presente dello sport entertainment. Nell’agosto di quello stesso anno batte The Rock nel main event di SummerSlam e diventa il più giovane nella storia della federazione a conquistare la cintura WWE. È un periodo d’oro, che nel luglio del 2003 culmina nella firma di un contratto di 7 anni che gli garantisce 45 milioni di dollari tra ingaggio base, royalties per PPV, presenze e merchandising. Un accordo remunerativo, che però lo costringe a vivere sul ring.
Partecipa ad almeno 5 show alla settimana, un’agenda ricca di impegni che con il prosieguo del tempo non è in grado di affrontare senza due amici che ben presto si trasformeranno nei suoi compagni di viaggio più fidati: il Vicodin e la vodka. Come molti dei suoi colleghi, combatte su infortuni pregressi, peggiorando la sua situazione clinica, senza avere mai a disposizione il tempo necessario per recuperare pienamente.
«Vivi 300 giorni l’anno fuori casa ed è questa condizione a farti impazzire» ha raccontato anni dopo Lesnar. «Non è una vita vera ma molte persone all’interno del business pensano che lo sia. Io mi ero stancato di interpretare un personaggio sul ring e poi essere me stesso a casa mia per due giorni alla settimana. Quelli veramente intelligenti sono quelli che decidono di uscire da questo sistema».
Lesnar è nato e cresciuto in una piccola fattoria del South Dakota. Qui ha imparato che prendersi il proprio tempo è un obbligo morale, mentre trascorrere tutta la vita lontano da casa e dai propri cari è un esercizio di spirito che nessuna cifra al mondo può giustificare. Finché l’incoscienza della sua giovane età - e gli alcolici, e gli antidolorifici - gli annebbia la mente, agisce come un qualsiasi ragazzo ventenne appena diventato milionario. Compra quattro ville, due Hammer, un jet privato. Insomma, non si nega nulla ma non appena capisce quale sia il vero prezzo da pagare per potersi permettere tutto ciò, ovvero la propria salute, si chiama fuori.
Nel wrestling il lato dello spettacolo supera di gran lunga quello della lotta. In ogni incontro, però, c’è sempre un elemento di realtà: il dolore. Oggi non è più comune ma all’epoca il rischio di cadere in depressione, di sviluppare una dipendenza da qualsiasi tipo di sostanza stupefacente o di sottovalutare i rischi di una commozione cerebrale era decisamente alto. Nella sua visione della realtà, Lesnar stava girando il mondo con uomini di 35/40 anni che stavano sacrificando il momento migliore della loro esistenza per fare degli stunt sul ring anziché starsene a casa con mogli e figli, con la grande possibilità di subire delle conseguenze fisiche o psichiche nel lungo termine. Per questo motivo arriva alla conclusione che non ha intenzione di dedicare tutta la sua vita al wrestling, o per lo meno non con quel grado di coinvolgimento. Prende in mano la sua vita e, complice uno screzio con McMahon alla fine del 2003, decide di abbandonare la WWE. In quel momento era l’uomo immagine della federazione.
Quella che presumiamo essere la sua ultima cartolina come wrestler è datata 14 marzo 2004: a WrestleMania 20 perde contro Goldberg in un match che sulla carta sarebbe il main event dei sogni di ogni appassionato di wrestling ma che nella realtà dei fatti si tramuta nel peggior incontro nella storia della WWE. Entrambi sono in uscita dalla federazione. Il pubblico del Madison Square Garden lo sa e i dieci minuti che trascorrono fra l’entrata dei due wrestler e la prima vera mossa sono surreali: cori, prese in giro e boati di disapprovazione. Terminato il match, Lesnar rispetta per un’ultima volta la kayfabe: mostra il dito medio al pubblico prima di agitarlo in faccia a Stone Cold Steve Austin, l’arbitro speciale del match. È il suo commiato alla World Wrestling Entertainment e la stunner che riceve in punizione per il suo atteggiamento provocatorio è traducibile come la firma di Vince McMahon sulla sua lettera di dimissioni.
Lesnar tornerà in WWE nel 2012 e troverà il modo di entrare ancora una volta nella storia della federazione interrompendo la streak di The Undertaker a Wrestlemania. Con 504 giorni diventerà il wrestler che ha tenuto più a lungo uno dei massimi titoli della WWE nell’era moderna battendo il record di CM Punk. Due risultati che hanno cementato la sua legacy ma che non avrebbero mai avuto la stessa risonanza senza quegli 8 anni di interludio in cui ha assaporato il sapore amaro del fallimento, ha toccato con mano il concetto di sconfitta ma ha comunque trovato la forza per rialzarsi e diventare quello che oggi conosciamo come The Beast Incarnate.
L’approdo in UFC
Dana White corre nello spogliatoio. Vuole congratularsi con lo sconfitto perché è rimasto impressionato da ciò che ha appena visto sul ring. È sinceramente sorpreso. Brock Lesnar, il più famoso tra gli ex atleti della WWE ad aver mai tentato il salto in UFC, non solo ha dimostrato di essere un lottatore vero ma nonostante una sconfitta maturata per un errore banale, di inesperienza, può essere già considerato uno dei migliori pesi massimi della federazione.
È veloce, tecnico, potente ma soprattutto è un personaggio così magnetico che in un modo o nell’altro arriva al pubblico. C’è chi lo ama per la sua natura selvaggia, chi lo odia perché pensa che sia un personaggio mediatico che la UFC sta sfruttando per fare più soldi a discapito di lottatori più dotati di lui. Insomma, ancora una volta Brock Lesnar si ritrova ad essere “The Next Big Thing”.
Probabilmente nemmeno lui se lo aspettava quando nel 2007 al termine di UFC 74, superò il cordone di sorveglianza per raggiungere Dana White e convincerlo a dargli un’opportunità. «Non rispondeva alle mie telefonate. Avevo vinto il mio primo match nelle MMA [contro Min-Soo Kim a Dynamite!!USA nda] ma non voleva comunque rispondere alle telefonate del mio manager e del mio agente. Così mi sono detto: “va bene”. Quando ho scoperto che Randy Couture avrebbe affrontato Gabriel Gonzaga per il titolo dei pesi massimi ho detto loro di comprarmi un biglietto. Alla fine dell’evento ho superato il cordone degli agenti di sicurezza e sono corso dietro a Dana White. L’ho toccato sulla spalla, mi sono presentato e da lì è iniziata la mia esperienza”.
Le arti marziali miste entrano nella vita di Lesnar dopo un lungo pellegrinaggio. Abbandonata la WWE, aveva tentato una carriera in NFL. Ottenne un provino con i Minnesota Vikings. I suoi numeri alle combine erano di tutto rispetto: nonostante i 130 chili correva lo scatto sulle 40 yards in 4,75 secondi. L’idea del coaching staff è quella di trasformarlo in un defensive tackle. Nelle sei settimane di prova, i compagni di squadra restano impressionati dalla sua dedizione al lavoro e stupiti dal fatto che non sia in cerca di notorietà ma che semplicemente voglia giocare a football. E ci riuscirà, dato che scenderà in campo in due partite di pre-season ma non si esibirà mai sul palcoscenico della NFL.
Verrà tagliato pochi giorni prima dell’inizio della stagione regolare perché ancora alle prese con i postumi di un duro incidente stradale e perché, come ammetterà lui stesso, non era allo stesso livello dei suoi compagni di squadra. Inoltre, quando c’è da sistemare una questione con un avversario non perde tempo in discussioni. Preferisce fare a botte, «il modo più semplice per uscire da una situazione di cui non capivo il significato».
L’aneddoto più leggendario riguarda uno scrimmage con i Kansas City Chiefs. Secondo le regole non scritte del football americano, durante le amichevoli a porte chiuse i tackle sui quarterback sono vietati ma nel corso della partita il QB dei Vikings, Daunte Culpepper, finisce a terra a causa di un placcaggio molto duro. Brock Lesnar non vede la scena completa ma una volta notate le condizioni del suo compagno di squadra comincia a condurre delle indagini personali per scoprire il colpevole. Identificato il responsabile, Lesnar gli si avvicina e senza troppi giri di parole gli regala la cittadinanza onoraria di quella che anni dopo diventerà ‘Suplex City’ scaraventandolo a terra con uno dei suoi poderosi German Suplex.
Chiusa la sua breve esperienza nel football, torna nel mondo del wrestling e nell’ottobre del 2005 accetta un’offerta da parte della NJPW, la più grande e importante federazione giapponese, conquistando la cintura dei pesi massimi al suo primo incontro in assoluto. La decisione di combattere in Giappone segna però l’inizio di una battaglia legale dato che per salire sul ring è costretto a denunciare Vince McMahon.
Al momento del suo addio alla WWE,Lesnar aveva firmato un patto di non concorrenza secondo il quale non avrebbe potuto lavorare per nessun’altra federazione fino al giungo del 2010. Complice la decisione di emigrare nel Sol Levante, la questione si trasforma in una disputa legale in cui entrambe le parti lavorano per raggiungere un accordo che salvaguardi i rispettivi interessi. Da una parte Lesnar sostiene di essere schiavo di quell’accordo sottolineando che non riceve nessun introito e che una volta che sarà scaduto sarà ben oltre il prime della sua carriera. Dall’altra Vince McMahon, probabilmente uno degli uomini d’affari più cinici al mondo, un personaggio poco incline a fare sconti e che in questo caso vuole vendicarsi per il tempo e il denaro che ha investito per trasformarlo in una star planetaria prima di essere abbandonato. La causa dura poco meno di un anno e non arriverà mai in tribunale grazie a un accordo tra le parti che libera Lesnar da ogni vincolo contrattuale con la WWE e che allo stesso tempo, come si legge nel comunicato ufficiale rilasciato dalla federazione di Stamford: «Protegge il grosso investimento fatto dalla WWE nella creazione del personaggio Brock Lesnar».
Nel 2007, dopo un ultimo match in Giappone contro Kurt Angle, decide di lasciare nuovamente il wrestling e tentare il salto nel vuoto che tornerà a dare un senso alla sua carriera: le arti marziali miste. I combattimenti in un modo o nell’altro hanno sempre fatto parte della sua vita ma quando decide di oltrepassare il confine, abbandonando lo sport entertainment per le MMA, sono passati sette anni dal suo ultimo vero incontro, la vittoria del titolo NCAA per University of Minnesota nel 2000.
Reputazione, soldi, ambizione, vendetta, incoscienza: probabilmente sono queste le ragioni che lo spingono a provarci ma è il duro allenamento quello che la sera del 2 giugno 2007 nella cornice del Memorial Coliseum di Los Angeles gli permette di chiudere in un minuto e venti secondi il suo debutto assoluto nella nuova disciplina contro Min-Soo Kim, medaglia d’argento nel judo alle Olimpiadi di Atlanta 1996. Sono invece sette i secondi che impiega per mandare al tappeto Frank Mir, ex campione dei pesi massimi, al suo esordio in UFC il 2 febbraio 2008.
Lesnar è semplicemente una forza della natura: con le sue mani enormi, coperte da guanti XXXXL, scarica pugni che hanno la forza d’urto di macerie che cadono dal terzo piano. È tutto perfetto, persino troppo. E infatti commette un errore da rookie. Lascia la gamba destra scoperta e, come i serpenti che a poco a poco stringono la preda all’interno della loro presa, Mir ci si avvolge intorno prima di trascinarlo al tappeto con lui. È questione di attimi: prova a divincolarsi ma è costretto a cedere per evitare che la tibia gli si spezzi in due.
L’ingenuità che gli costa la sconfitta non è l’unica cosa che Lesnar conserva di quella sera. Ci sono anche i fischi del pubblico al momento del suo annuncio sul ring e quando Joe Regan lo avvicina per la classica intervista post-match. È per questo motivo che qualche mese dopo, quando costringe l’arbitro a interrompere il match contro Heath Herring per ko tecnico nel corso di UFC 87, si rivolge al pubblico urlando tutta la sua frustrazione. È invece più rilassato quando a UFC 91 batte Randy Couture con un’altra pioggia di pugni che al suo terzo incontro assoluto nella massima federazione delle arti marziali miste gli consegna il titolo dei pesi massimi. È rilassato nonostante il pubblico lo subissi di fischi ma questo clima di sfiducia nei suoi confronti è il terreno fertile su cui cresce la sua immagine di villain.
Avere la cintura intorno alla propria vita gli permette di fregarsene dei giudizi nei suoi confronti. È felice, soddisfatto, orgoglioso del suo percorso. Voleva provare a sé stesso di poter combattere ai massimi livelli e ci è riuscito, dimostrando addirittura di essere il migliore quando in tanti si aspettavano un fallimento. Ha riprovato sensazioni che aveva conosciuto da ragazzo e che da tempo non sperimentava più.
«Cosa si prova a distruggere qualcuno?» gli chiedono qualche settimana prima di vincere il titolo in un’intervista rilasciata a ESPN. «Beh, è una bella sensazione. Fare a botte con qualcuno e farlo sentire inferiore a te è eccitante».
Non fraintendiamoci. Queste sono le parole di un bullo che prova estasi nel pestare a sangue un altro essere vivente ma nella costruzione del personaggio Lesnar, o per meglio dire nella trasposizione mediatica della sua natura quotidiana, è quanto di meglio ci possa essere per convincere il pubblico della sua cattiveria e del fatto che nel corso dei suoi combattimenti i normali codici di rispetto che esistono tra lottatori possono venire meno.
L’inizio della fine
«Frank Mir aveva un ferro di cavallo infilato nel culo. Glielo avevo detto un anno fa. L’ho tirato fuori e l’ho usato per colpirlo in testa». La citazione colorita è di Lesnar ovviamente, e arriva nei secondi successivi alla difesa vincente del titolo pessimi massimi a UFC 100 per ricordare al suo avversario che se in passato ha vinto contro di lui è stato solo per fortuna.
Quella sera Lesnar si prende una rivincita contro l’uomo che lo ha sconfitto al debutto e dimostra al mondo di essere talmente forte da non doversi piegare alle regole di comportamento tra lottatori, ai canoni di atteggiamento nei confronti del pubblico e al politically correct delle interviste post-match.
Il play-by-play della sua serata racconta che: al momento dell’ingaggio non scambia i pugni con Mir, a inizio secondo round scaraventa il suo avversario al tappeto ma anziché colpirlo aspetta che si rialzi per poi fargli un cenno come a dirgli di farsi avanti, una volta vinto il match si presenta nell’angolo avversario gridando ‘’Talk all the shit you want now” poi si gira verso il pubblico mostrando il dito medio e infine, come ciliegina sulla torta, si sente talmente carico che annuncia al mondo che potrebbe fare sesso con sua moglie non appena tornerà nella sua stanza di albergo.
È l’apice della carriera in UFC di Lesnar. È il miglior fighter, il più pagato, il più odiato e quindi di conseguenza il più famoso. La sua ascesa è inarrestabile. Per quasi sette anni UFC 100 resterà l’evento più venduto in pay-per-view e verrà detronizzato solamente nel 2016 da UFC 196, primo capitolo della sfida McGregor vs Diaz.
Proprio come in WWE è il volto della federazione ma proprio come ai tempi del wrestling a bloccare la sua scalata verso la leggenda è la sua vita personale. Questa volta non è nessuna dipendenza o dilemma esistenziale a costringerlo ad uscire di scena. Lesnar contrae la diverticolite, una malattia dell’apparato digerente che tra il 2009 e il 2011 lo costringe a due operazioni chirurgiche, una delle quali comporta l’asportazione di 30 centimetri di colon.
La comunità medica ancora oggi non ha saputo stabilire con certezza quale sia la causa scatenante di questa malattia, indicando una serie di fattori come una dieta povera di fibre oppure un massiccio utilizzo di medicinali che hanno la costipazione come effetto collaterale (leggi antidolorifici). Allo stesso tempo tutti i medici sono unanimi nel sostenere che nonostante la diverticolite sia una malattia debilitante, l’intervento chirurgico è la soluzione d’emergenza. In poche parole, Lesnar è costretto a finire sotto i ferri perché è in pericolo di vita.
Tutto questo però non basta per fermarlo. «Se Dio avesse mai voluto creare un guerriero, lo avrebbe fatto a immagine e somiglianza di Brock» ha detto una volta di lui Bill Goldberg, griffando la migliore descrizione possibile di Lesnar. Per avere un’idea concreta del suo livello di agonismo non guardate solo i suoi incontri ma cercate anche i video dei suoi allenamenti. Sono sfiancanti solo a guardarli. Ovviamente questa natura competitiva ha anche un lato oscuro. Lo stupore che scatena la vista dei suoi enormi deltoidi mette in secondo piano l’aspetto mentale che condiziona la vita di atleti come lui. Senza motivazioni non sarebbe mai diventato il migliore al mondo ma questa condizione di perpetua negazione della sconfitta e questa sua riluttanza all’abbandono lo rendono schiavo della sua stessa natura competitiva, costringendolo a tornare sul ring anche quando non dovrebbe.
Lo farà per tre volte nel corso della sua malattia. La prima, UFC 116, coincide con una vittoria alla terza ripresa che gli riconsegna la cintura che aveva reso vacante, titolo che perderà tre mesi dopo a UFC 121 contro Cain Velasquez. Quel match gli regalerà una cicatrice sulla guancia che anni dopo gli varrà qualche milione di dollari. Il 30 dicembre 2011, infine, affronta Alistair Overeem a UFC 141. Torna a combattere per la prima volta in oltre un anno ma l’hype che accompagna l’incontro svanisce dopo due minuti e 26 secondi per via di un calcio all’addome che gli spezza il respiro prima di farlo crollare al tappeto.
L’arbitro dichiara il TKO e Lesnar esce di scena da sconfitto. «Questa è stata l’ultima volta in cui mi avete visto nell’ottagono. L’ho promesso a mia moglie, ai miei figli», dichiara nell’intervista a fine match e per la prima volta il pubblico è dalla sua parte. Lo applaude perché intuisce che quelle parole sono sincere. Qualcosa a livello mentale è cambiato. L’arroganza che lo accompagnava nei suoi primi mesi di UFC è stata spezzata. La malattia lo ha debilitato. Inoltre, i suoi avversari sanno benissimo qual è il suo punto debole e, come dimostrato da Overeem, non si faranno troppe remore a sfruttarlo a proprio favore.
Non è più una macchina indistruttibile. È solo Brock Lesnar, un uomo che ha deciso di mettere la famiglia e la salute al primo posto.

Foto di Tom Dahlin / Getty Images.
Ritorno alle radici
Come ogni atleta professionista, Lesnar è sempre attratto dai soldi e infatti non terrà fede a quella promessa, alternandosi negli anni successivi tra WWE e UFC. Nel luglio 2016 tornerà in gabbia per il main event di UFC 200 dove affronta e sconfigge ai punti Mark Hunt. Nei libri di storia, però, quel match è registrato come no contest in quanto Lesnar venne trovato positivo al clomifene in due test effettuati prima del match. La punizione fu una multa da 250mila dollari e una squalifica di un anno, sospesa nel febbraio 2017 quando lo stesso Lesnar notificò alla USADA il suo secondo ritiro dalla UFC e scontata definitivamente tra la fine del 2018 e l’inizio del 2019 quando Lesnar, con poche e semplici parole, aveva annunciato un nuovo ritorno in gabbia: «DC! I’m coming for you motherfucker!». Il DC in questione è Daniel Cormier, il primo fighter nella storia della federazione a difendere con successo sia il titolo LightHeavyweight che quello Heavyweight.
I due sembravano destinati a un incontro, tanto che Lesnar era rientrato nel programma antidoping della USADA sostenendo nove esami. Nell’aprile del 2019, però, Lesnar ha notificato il suo ritiro definitivo dalla UFC al presidente Dana White. Il motivo di questa decisione è ignoto come sono ignoti i risultati degli esami sostenuti da Lesnar con la USADA, per i più maligni la vera ragione per cui non vedremo più Lesnar in UFC.
Una spiegazione più concreta, però, riguarda i soldi. In UFC ha guadagnato circa 5 milioni di dollari, una cifra che avrebbe potuto anche raddoppiare nel caso di un incontro con Cormier, ma negli ultimi anni è riuscito a strappare alla WWE contratti altamente remunerativi con condizioni decisamente favorevoli. Oggi guadagna 12 milioni di dollari l’anno con la possibilità di diluire le sue presenze in tv e nei pay-per-views. Nel 2019, secondo i dati di IMDB, è apparso solo in 13 occasioni a Monday Night Raw e in 5 a SmackDown partecipando a sette incontri totali di cui uno trasmesso in televisione in occasione del lancio di SmackDown su Fox e un altro in occasione di Crown Jewel, evento tenutosi a Riyadh che fa parte dell’accordo decennale stretto dalla WWE con il governo dell’Arabia Saudita. Quell’incontro conferma la teoria che alla base della decisione di proseguire la sua carriera nel wrestling ci siano i soldi dato che per partecipare all’evento ha ricevuto un compenso a sette cifre.
Inoltre, il suo avversario è stato Cain Velasquez, l’uomo che gli aveva preso il titolo dei pesi massimi in UFC. L’approdo di Cardio Cain in WWE, finora limitato a quel match, rappresenta l’ennesima prova di come MMA e wrestling siano due mondi sempre più connessi ma anche di come sia diventato più naturale per un ex atleta UFC approdare in WWE rispetto al percorso contrario, d’altronde l’ultimo main event di WrestleMania ha avuto in Ronda Rousey una delle sue protagoniste.
Escludendo per un attimo il lato economico dalla vicenda, è probabile che Lesnar abbia deciso di non mettere più piede nell’ottagono perché non sente il bisogno di aggiornare la sua legacy in UFC. Ha combattuto solo otto incontri ma ancora oggi è considerato come uno degli atleti più importanti della federazione, contribuendo alla crescita in termini di immagine e di seguito del movimento delle MMA.
Probabilmente non sente più il fuoco sacro della competizione ardere dentro di sé. Più semplicemente è un uomo felice, un marito, un padre, in pace con sé stesso che pensa a rimpinguare il suo conto in banca grazie alla sua prima passione, il wrestling, e ai milioni di dollari che gli piovono addosso ogni volta che il suo nome viene citato. Come quelli che si è messo in tasca per affrontare Ricochet nella prossima edizione di Crown Jewel, match che a meno di clamorosi colpi di scena è destinato a vincere dato che nel suo futuro c’è Drew McIntyre e il main event di WrestleMania 36.