
«Alle volte la vita ti dà una chance, e io sentivo che era questa la mia», dice Alexander Bublik, o quel che resta di lui, dopo la vittoria contro Jack Draper. Forse per la paura di perderla, questa chance, faceva le cose di fretta, in quell’ultimo game surreale, in cui serviva per il match. Per andare ai quarti di finale di uno Slam per la prima volta in carriera.
Nevrotico, sull’orlo del panico, non faceva passare che pochi secondi fra un servizio e l’altro, per non darsi il tempo di pensare, per togliersi la partita come se fosse un cerotto. E se doveva perdere il servizio, e subire la rimonta, che perdesse, non voleva più pensarci. Forse è in ansia che la sua ispirazione possa andare via, come se potesse scomparire da un momento all’altro, quella specie di fuoco sacro che gli ha fatto giocare l’ora e mezza di tennis migliore della sua vita. Qualcuno o qualcosa lo aveva posseduto, e doveva sbrigarsi a spremere il punteggio e a far finire il match, prima che quel qualcuno o quel qualcosa potesse andare via.
Il game è stato una sequenza apparentemente senza senso di servizi sparati in zone casuali del campo. La seconda a volte era più veloce della prima. A volte il servizio entrava, altre volte no. Poteva essere ace, o poteva uscire fuori dal campo di diversi metri. Non c’era un filo logico di nessun tipo, solo il cervello di Bublik bruciato che si riversa con tutte le sue turbe sul campo.
Poi la partita è finita davvero, non si sa come, e Bublik è davvero ai quarti di finale. Non ci crede nemmeno lui, mentre si rotola a terra.
Da qualche anno Alexander Bublik abita il circuito ATP come una specie di giullare. La sua funzione è comica, o critica, a voler essere buoni. È uno di quelli che passa la vita a dirsi che non gli interessa per paura di non essere abbastanza. Bublik sembra volerci ricordare che niente è davvero importante, figurati il tennis.
Per questo è stato particolarmente bello vederlo rotto dall’emozione, la faccia sporca di terra. Sdraiarsi sulla panchina con l’aria di uno che non se ne vuole più andare. Andare ai microfoni e dire: «È il giorno più bello della mia vita»; e quando Corretja gli chiede di lasciar andare l’emozione lui risponde: «No, ragazzi, ho un’altra partita da giocare». Come un vero professionista. Non pensavamo di vivere abbastanza per vedere Bublik vivere un momento così intenso. Lui che disse: «Non mi vedrete mai così sconvolto dopo una partita».
Allo stesso tempo, però, Bublik non si è snaturato, ha vinto a modo suo. Prima della partita lo aveva annunciato: «Non posso correre cinque ore di fila contro Jack. Devo trovare un’altra soluzione». Quali sono state queste soluzioni? Difficile da dire. Colpi tirati a tutto braccio da ogni zona del campo, palle corte da tutti i lati, discese a rete, prime e seconde alla stessa velocità. Nessun servizio dal basso, perché bisognava comunque restare seri dentro quella follia. Ogni volta che però la palla gli arrivava, Bublik poteva inventare qualsiasi cosa. Davvero qualsiasi cosa. E per Draper era difficile trovare il ritmo, opporre resistenza.
Il primo set è andato come doveva andare. Draper strappa il servizio sul 5-5 con Bublik che crolla dalla tensione e fa doppio fallo sulla palla break. A quel punto in molti hanno pure spento. Draper è uno dei tennisti che ha vinto più partite nel 2025, è in una fase di grande solidità.
Nel secondo set succede qualcosa. Ci sono le variazioni, certo, ma ci sono soprattutto una serie di bordate tirate seguendo una specie di furia cieca. Incredibilmente, Bublik non sbagliava mai. Quando poi il punto è da inventare, Bublik è nel suo territorio.
Bublik è uscito dallo scambio in maniera morbosa, sempre presto. La palla corta è stata forse il colpo del match. Il gioco del kazako è tutto un contrappunto tra la potenza esagerata dei suoi colpi, e gli arresti improvvisi dei suoi ricami. Draper barcolla.
Le smorzate sono piovute dal lato del dritto o del rovescio prendendo traiettorie sempre diverse, come questa di rovescio del tutto illeggibile.
Persino su seconde di servizio ingrassate d’effetto, Bublik estraeva dal cilindro una palla corta senza sforzo apparente.
Ma Bublik ha anche corso come un pazzo, disperatamente, in punti che un’altra persona avrebbe mollato. Sollecitando una condizione fisica che sembrava scadente e invece non lo era (Bublik ha la pancetta). E anche questa è la follia di Bublik: dare l’impressione di fare le cose col minimo sforzo, e poi all’improvviso trasformarsi nel più ostinato rematore iberico da fondo campo.
Questi punti hanno infiammato il pubblico, e permesso a Bublik di giocare in uno stato di esaltazione mistica. All’inizio del quarto set, ormai nel bel mezzo di un gioco che non esiste, il kazako ottiene il primo break con questa risposta. Solo di braccio, laterale alla rete, con le gambe dritte.
C’è stata anche la parte meno appariscente del suo gioco. Il rovescio per esempio, dominante nella diagonale di dritto con Draper; e poi il servizio, devastante nei pressure point, che Bublik ha vinto praticamente tutti, dimostrando grande concretezza nei bivi decisivi. Questo non significa che si sia messo a manovrare da dietro.
Racconta che da junior ha chiesto a Medvedev e Rublev dei consigli. Quelli gli hanno detto: «devi tirare 15 rovesci di fila», «Ma per me è impossibile tirarne anche tre di fila». Lo stile di gioco di Bublik è quindi un’emanazione della sua identità. Lo abbiamo visto ieri: avrebbe tutti i mezzi atletici per giocare un tennis più regolare e di più alto livello, ma ha rinunciato perché non ha voluto accettare i sacrifici esagerati che richiede il miglioramento continuo. Gli sembra una cosa senza senso. Gli danno del pazzo, ma crede che in fondo siano gli altri a essere pazzi e lui normale: «Con il mio team ci siamo sempre chiesti e anche con la mia famiglia se siamo noi i diversi o sono loro. Io la vedo così, perché penso di essere molto normale dal mio punto di vista».
Così è diventato questa biglia impazzita, del tutto imprevedibile, che usa solo una percentuale del proprio talento e che deve usarlo attraverso un’applicazione costante della sregolatezza. Lui ne fa un piano razionale.
In un tennis di ritmo e regolarità, Bublik fa tutto quello che non bisognerebbe fare. Ogni scelta, è una scelta sbagliata, ma per questo è così difficile da leggere. Ieri Draper è sembrato entrare dentro un fenomeno naturale - un uragano, un terremoto - su cui non aveva alcun controllo. Togliere il controllo a giocatori che sono abituati ad averlo, e farlo attraverso la sregolatezza pura, talvolta condita da un pochino di genio, può diventare paradossalmente molto efficace. Bublik gioca come se fosse una manifestazione dell'inconscio.
Si può giocare sempre così, come ha giocato ieri Bublik? Certamente no, ed è stato sfortunato Jack Draper a subire le conseguenze di un evento raro come lo scontro fra due buchi neri nello spazio.
Sinner, però, non entrerà certamente in campo tranquillo contro di lui. È il tennista al lato opposto dello spettro, uno che ha perfezionato se stesso fino a trasformarsi in una macchina da tennis infallibile. Dal punto di vista di Bublik, è certamente un pazzo. E se non è pazzo, allora non è un essere umano, non fa parte della sua stessa specie: «Tu non sei umano», gli aveva detto qualche anno fa. Possiamo dargli torto?
Sinner ama il controllo tecnico, ambientale e psicologico assoluto, e Bublik farà di tutto per romperglielo.
È un giocatore amatissimo, da anni ha una sua reputazione culto. Lui gioca per il pubblico e il pubblico lo ama: per lui l’intrattenimento è più importante della competizione - perché la competizione ha un costo troppo alto. Gli appassionati di rito bublikiano - schiera a cui non appartengo - forse coltivavano segretamente questa speranza; che prima o poi il tennis completamente irrazionale di Bublik avrebbe coinciso con una giornata di magia e ispirazione divina. Una giornata in cui la sua follia avrebbe coinciso in modo più o meno accidentale con una partita di tennis di alto livello.
Siamo stati tutti testimoni.