A partire da ottobre, L'Ultimo Uomo e Rivista NBA hanno creato BUCKETS, una serie di fanzine monografiche sui nostri cestisti preferiti, allegate mensilmente all'uscita di Rivista NBA. Ogni numero è dedicato a uno dei "nostri" giocatori: non necessariamente i più forti o più giovani, ma solo quelli ci piacciono di più, uno per ruolo, uno per mese, per sei mesi (sì, avremo anche il nostro sesto uomo). Il primo numero, dedicato appunto a Stephen Curry, è uscito un mese fa. Questo mese, allegato al numero attuale della rivista, troverete il numero due, dedicato a DeMarcus Cousins. Quindi correte in edicola! Nel frattempo, per chi se li fosse persi, ecco alcuni contenuti della fanzine del mese scorso.
Steph ama BUCKETS
STEPH, SONYA & THE COLLEGE DAYS
Steph Curry prima che diventasse STEPHCURRY!! [™Brian Philips, Grantland, 2.11.2011] Da dove partire?
di Mauro Bevacqua (@RivistaNba)
SONYA. Da un video stupido&divertente allo stesso tempo di una college band stupida&divertente chiamata Fountains of Wayne. «Steph, can I come over after school? / We can hang around by the pool / Did your mom get back from her business trip?» (OK, c’è Stacy al posto di Steph nel testo e nel titolo originale, ma ci siamo quasi). Dev’essere successo più di una volta, al primogenito di casa Curry. La piscina è quella che papà Dell, 16 anni nella NBA, si è potuto sicuramente permettere. Mamma – “mom”, il vero interesse dei brufolosi compagni – è Sonya, come il babbo anche lei atleta (pallavolista) a Virginia Tech e donna che non lascia indifferenti. Né gli amichetti del piccolo Steph, né – anni dopo – il pubblico televisivo di tutta America, che la incorona plebiscitariamente “College Basketball’s Favorite Mom” (di Steph prima e del fratellino Seth a Duke, poi).
VT. Negli anni intanto il piccolo Steph cresce, come il padre gioca a basket e come il padre (e la madre) vorrebbe farlo a Virginia Tech, con la maglia degli Hokies. Porte chiuse. Una delusione. O chissà, forse una benedizione. È il 16 aprile 2007, Steph nel frattempo si è iscritto a Davidson, gioca per coach Bob McKillop e giusto un mese prima, il 15 marzo, ne ha messi 30 per battezzare la sua prima partita di torneo NCAA con i Wildcats, una sconfitta contro Maryland. Nel campus che avrebbe dovuto essere suo, a Blacksburg, Virginia, un senior di nome Seung-Hui Cho apre il fuoco alla cieca, ammazza 32 persone, ne ferisce altre 17 e poi si toglie la vita. Sliding doors.
DAVIDSON. Un anno dopo tocca a Steph Curry aprire il fuoco – ma solo in campo – durante il torneo NCAA 2008. Fa vittime eccellenti: Gonzaga (40 punti), Georgetown (30), Wisconsin (33 di fronte a LeBron James, che l’anno dopo lo vedrà metterne altri 44 vs. NC State) e Kansas (25). Quattro partite, dieci giorni, centocinquantadue minuti, centoventotto punti. Eccolo il momento in cui Steph Curry diventa STEPHCURRY!! [™]. Tutta America diventa familiare con il n. 30 che vede sulla maglia rossa dei Wildcats e che ritrova poi tatuato sul suo polso, insieme alle lettere TCC (“Trust. Commitment. Care”, il mantra di coach McKillop). Davidson diventa la squadra Cenerentola, il college per cui fa il tifo tutta America.
Curry a Davidson: 44 punti contro NC State.
CODICE D’ONORE. Un college piccolo, nel North Carolina, fondato nel 1837, ben 74 anni prima che in città si vedesse transitare la prima automobile e famoso per quelle che negli Stati Uniti chiamano “Liberal Arts”. Un college con solo 1.700 studenti, dove l’America è ancora America e Steph Curry è la superstar che aiuta i freshmen neo-arrivati a trascinare pesanti frigoriferi verso i propri dormitori, la stella che conosce tutti e saluta tutti tra un caffè al “Summit” e una birra alla “Brick House Tavern”. Il segreto di questa unione? Un Codice d’Onore, una cosa d’altri tempi, firmato, rispettato e onorato da tutti dal primo momento in cui si mette piede nel campus. Questo.
«On my honor i have neither given nor received unauthorized information regarding this work, I have followed and will continue to observe all regulations regarding it, And i am unaware of any violation of the honor code by others.»
Fine della storia. Steph Curry è diventato STEPHCURRY!! [™]. Welcome to the NBA.
OAKTOWN
Giù le mani dai Warriors, patrimonio di Oakland. O forse no. O forse “chissenefrega”.
di Tim Small (@yestimsmall)
«We intend to build the most spectacular arena in the country for all Bay Area residents, not just San Francisco, to be proud of», così dice Joe Lacob, uno dei co-proprietari dei Warriors, per quanto riguarda i loro piani di costruire una nuova arena sul lungomare di San Francisco, proprio sotto il Golden Gate Bridge. Lacob vorrebbe trasformare i Golden State Warriors nei San Francisco Warriors, entro il 2017, ma possibilmente senza inimicarsi la gente di Oakland. «I Warriors sono la squadra di tutta la Bay Area», dice Lacob. Frisco, Oakland: tutto uguale, no? Così sostiene Lacob.
Ma non è uguale. Anzi: non potrebbe essere più diverso. Oakland e San Francisco sono due città vicine, separate da una baia, due città che forse è estremo definire due “città” separate, ma tu chiamale come vuoi, anche “posti”, OK, posti. Sono due posti che più diversi non si può. Oakland è il luogo più cutting-edge, più cool d’America, sta crescendo a vista d’occhio, è roots, è blue-collar, è etnicamente diversissima (principalmente afro-americana), è pericolosa, è vera. È l’esatto contrario di San Francisco: una città talmente ricca, bianca, economicamente contemporanea e chicchettosa che, contando sui soldi dei baby-billionaires di Silicon Valley, è diventata la città per la quale ESPN utilizza il cost-of-living differential più alto di tutti. Pure più di New York. In altre parole: se tu lavori per ESPN a New York, e ti trasferisci a San Francisco, sempre lavorando per ESPN, per fare lo stesso lavoro, vieni pagato di più, perché con uno stipendio di New York non puoi permetterti di vivere a San Francisco.
E se il paragone NY/SF vs. Brooklyn/Oakland è facile, e forse scontato, è anche un po' vero: le due città sono una lo specchio riflesso dell'altra, dall'altra parte degli Stati Uniti. Con la differenza che San Francisco è ormai più ricca e puzzona di New York, e Oakland è ormai più cool e working-class di Brooklyn. È un rapporto ancora più estremo, sono due poli ancora più lontani. È un rapporto più sentito: pochi Brooklynites si arrabbiano se li definisci Newyorkesi, ma prova a dire a un tifoso dei Raiders che è di San Francisco.
Ma è anche vero che, se Oakland rischia di perdere gli Athletics, destinati a San José (la vicina capitale della Silicon Valley), e anche i Raiders, destinati a un ritorno a Los Angeles, spostare i Warriors dall'altra parte della baia non è una vera e propria “perdita”. Oakland e SF sono vicine, vicinissime. E io penso: che perdita, comunque. Oakland, la città più vera della West Coast, perde le sue squadre. Che peccato.
Poi, penso a quanto sarebbe bello vedere Stephen Curry con indosso la maglia di THE CITY, e tutt'a un tratto, così, mi immagino la perfezione di quell'immagine, e penso, chissenefrega di Oakland.
Un sogno che si avvera
UNA GIORNATA PARTICOLARE
27/02/13. 54 punti al Garden. 18/28 FG, 11/13 3s. 7/7 FT.
di Francesco Pacifico (@FzzzPacifico)
Top of the key, supera Felton che si schianta sul blocco, long two per evitare il braccione di Melo. Assist dalla lunetta, braccio sopra la testa, a superare Tyson Chandler, per una tripla dall’angolino sinistro di H. Barnes. Finta su Shumpert, corridoio centrale, una lacrima. Tra due difensori, terzo tempo, centrale. Tiro libero. Tripla dall’angolo destro. Isolamento contro Prigioni, tripla. Palla rubata a Melo con Klay Thompson, in campo aperto, stop e tripla. Riceve, top of the key, tripla. Riceve a destra sull’arco, penetra in orizzontale, tra Kidd e Schumpert, nasconde la palla alzando le braccia, si ferma su due piedi, jumper anticipando Chandler. Penetra, assist con la mano sinistra sopra la testa a Landry dalla lunetta. Campo aperto, allontana Schumpert con l’anca, long two. Salta Schumpert, fallo, 2 liberi. Altri 2. Riceve nell’angolo sinistro, Felton corre sbracciandosi, finta e lo fa volare, tripla. Tiene Felton a destra in pick and roll con Ezeli, passaggio incrociato con la sinistra a Ezeli che schiaccia. Ezeli blocca Felton, Curry sguscia, tripla. Quasi inciampa sull’arco, palleggiando, seguito da Felton, arriva fino in fondo, lo aspetta Chandler, segna col tabellone, cade. Dalla lunetta, scarica a sinistra per Jarrett Jack, tripla. Pick and roll con Ezeli, va a destra, a sinistra, Felton arriva a toccare terra con due mani, tripla. In campo aperto, assist a incrociare per Landry. Blocco di Jack su JR, Smith, tripla a un metro dall’arco. Penetrazione contro Prigioni, sotto canestro si allunga in verticale Amaré, Curry contro il tabellone. Tripla uscendo dal blocco, oltre il braccio teso di Chandler, cadendo. Assist a braccio alzato, incrociato da destra verso sinistra, per il jumper di Draymond Green. Lato sinistro, ingabbiato da Felton e Chandler, taglio centrale per Green. Campo aperto, stop e tripla. Dalla rimessa, lato destro, si gira e tira, tripla. Pump fake, 2 liberi.
54 punti al Garden
IL TIRO PERFETTO
O della sua ricerca ossessiva. Finalmente terminata.
di Alessio Marchionna (@alessiomarchio)
Per dire la mia su Wardell Stephen Curry II devo prima parlare di Mark Price e Allan Houston. Devo raccontare la storia della mia ricerca ossessiva del tiro perfetto. Quando ho cominciato a giocare, a metà degli anni novanta, ero ossessionato dai tiratori, o meglio: ero ossessionato dalla tecnica di tiro. Guardavo le partite in TV e a ogni jump shot non seguivo la palla che andava verso il canestro, come le persone normali. Rimanevo fisso sul tiratore, per studiare ogni istante del movimento, dalla ricezione all'atterraggio sul parquet. E in base alla meccanica di tiro giudicavo i giocatori e sceglievo i miei preferiti. Per dire, non mi piaceva il lancio del peso di John Stockton: preferivo la fluidità di Price. Odiavo il rilascio a tenaglia di Reggie Miller: ero innamorato della morbidezza di Houston. Così, quando quindici anni dopo ho visto giocare per la prima volta il figlio di Dell, un ragazzino smilzo con gli occhi di ghiaccio e il sorriso insolente, ho pensato che la ricerca ossessiva fosse finita.
Tempo fa, in un articolo di Chris Ballard su Sports Illustrated, ho letto che c'è stato un tempo, quando era al liceo, in cui Steph Curry tirava a canestro come Shawn Marion, praticamente dall'ombelico. Papà Dell lo obbligò, letteralmente, a ricostruire il suo tiro, portando la palla sopra la testa. Si direbbe che la cura traumatica abbia funzionato. Oggi forse Steph abbassa ancora un po' troppo la palla in fase di caricamento, ma recupera la frazione di secondo persa piegando poco le ginocchia, rilasciando la palla all'inizio dell'elevazione e a una velocità irreale (forse solo Carmelo Antony la fa partire con la stessa rapidità, ma il movimento di Steph è più fluido). Quindi è praticamente impossibile da stoppare, anche quando il difensore è vicinissimo. Lo capisci quando gli vedi fare cose come il tiro dall'angolo nel secondo quarto di gara-2 contro Denver, negli ultimi playoff: ricezione, partenza a sinistra, step(h) back, tiro dalla linea di fondo, canestro. Per non parlare di quando, in gara-1 delle semifinali di conference contro San Antonio, nel terzo quarto, ha raccolto la palla da terra (letteralmente) davanti a Tony Parker, si è alzato in una frazione di secondo e ha segnato da sette metri. Quello che mi sconvolge di più di Steph Curry è che tira da tre con la facilità con cui gli altri tirano da due. Lo guardi scappare dal difensore, uscire dietro al blocco, lo vedi ricevere-caricare-tirare in un unico meraviglioso movimento e pensi che abbia appena tirato – segnato – dalla media. Poi allarghi la visuale e ti accorgi che ha segnato da dietro la linea da tre, magari da un bel po' dietro, magari cadendo all'indietro, o di lato. Il tutto apparentemente senza sforzo, e senza minimamente compromettere la bellezza del gesto.
The perfect shot
Lanciare la palla verso il canestro è una forma d'arte. È un gesto imperfetto, perché come ogni arte ha migliaia di declinazioni possibili, frutto di scelte complesse e potenzialmente infinite. Guardando tirare Steph Curry, però, cominci a credere che la perfezione sia possibile.
Le altre fanzine:
Buckets, vol.5: Lance Stephenson.
Buckets, vol.4: Kawhi Leonard.
Buckets, vol.2: DeMarcus Cousins.