NICK YOUNG IS MY HOMEBOY
di Francesco Casati (@franklincasati)
Non essendo un allenatore di basket posso solo amare Nick “Swaggy P” Young.
Il suo jumpshot (swoosh), l’andare on fire come in NBA JAM, il cambiarsi le scarpe all'intervallo quando i tiri non entrano, lo stupire tutti con giocate impossibili e poi sbagliare cose elementari sono ciò che lo rendono il giocatore più entusiasmante che ho seguito in questi anni.
Con lo stesso entusiasmo nel 2009 proposi all’Università Statale di Milano una tesi di laurea su di lui, mischiando sport e integrazione razziale. La prima reazione del relatore fu: “Chi è Nick Young? Scusami, non puoi farla su qualcuno di più noto?”. Mi bastarono venti minuti, giusto il tempo di raccontare la sua storia per avere il prof. dalla mia parte e procedere spedito con la tesi.
Oggi Nick ha realizzato il sogno di giocare per i Lakers, guida il secondo quintetto come se fosse ispirato dalle note di “Today was a good day” di Ice Cube e cattura gli sguardi di Rihanna (anche se non ha preso il posto di Kobe come avrebbe voluto ai tempi di USC, il Black Mamba rimane il Black Mamba, lui si deve accontentare di essere il Bench Mamba).
Ma non c'è solo gioia nella sua vita. La sua famiglia, infatti, è segnata da un lutto tremendo. Suo fratello maggiore, Charles Jr., fu ammazzato per errore all'uscita di un piccolo community college da un membro dei bloods, gang di Los Angeles. Morì sul colpo tra le braccia della sua fidanzata Jennifer, incinta di una bambina. Quella bambina si chiama Simone e si è laureata a Long Beach State nella stessa estate in cui Swaggy tornava a casa per giocare con i Lakers. Un momento importante, per una famiglia che ha sofferto troppo e che ha trovato proprio in Nick, il più piccolo di cinque fratelli, la forza per stare insieme.
Nel 2008 mi sono auto-inviato alla Summer League di Las Vegas. Lo vidi giocare da bordo campo. Energia impossibile da misurare, contagiosa e vibrante. Sugli spalti a tifare per lui, come se fosse una gara-7, mamma Mae, papà Charles e Carol, la fidanzata del tempo (compagna di corso a USC, olimpionica per Porto Rico sui 200 metri). Finita la giornata di allenamenti/partite Nick metteva tutto nel suo zaino griffato e scappava via dal Thomas&Mack Center abbracciato ai genitori, senza mai mollare un secondo la mano della mamma.
In quei giorni riuscì a intercettarlo per una foto – riuscendo anche ad accennargli alla mia idea per la tesi. Sorridendo esclamò: “Really?”, e mi domandò se volevo chiedergli qualcosa.
Avrei avuto mille domande. Proprio per questo non ne feci nemmeno mezza. Mi bastò dargli un 5 e vederlo giocare. Col sorriso, ovviamente.
PEANUT BUTTER & JELLY
di Mauro Bevacqua (@RivistaNba)
Look, if you had one shot, or one opportunity
Nick Young ne aveva tre.
Primo tentativo: fallito, 0/1.
Would you capture it
Secondo tentativo: fallito, 0/2.
Or just let it slip
Segnare, non è mai stato un problema per Nick Young.
Studiare, quello è un altro discorso.
“Non è stupido – diceva al tempo il suo tutor al liceo – ma fa fatica con alcune nozioni base. Ha bisogno di più tempo del normale per apprendere”. Non in campo, mai, anzi (27.2 con 10.8 rimbalzi a sera da senior, a Cleveland High). Sui banchi di scuola sì, però (è pronta l’etichetta: “Special Education Student”). Solo che per andare al college bisogna superare il SAT – Scholastic Assessment Test – la soglia minima di punteggio è 820, i tentativi al massimo tre.
Dei primi due già sapete.
Poi un giorno a casa Young arriva un pacco. Dentro ci sono un po’ di libri. Dentro uno di questi, un biglietto.
“Ho seguito questo corso per il SAT prima di fare l’esame. Questi libri fanno parte del materiale che ci hanno dato per prepararci e credo mi siano serviti tantissimo. Spero siano di aiuto anche a te. Vorrei che tu ce la facessi, che potessi ottenere dalla vita tutto ciò che desideri – o che almeno ti sia data l’opportunità di provarci. Non vedo l’ora di vedervi tutti al Pauley Pavillon, il 3 gennaio, ma intanto buona fortuna. Restiamo in contatto.
P.S. – Buon Natale e felice anno nuovo
Jordan Farmar, UCLA”.
Jordan. L’amico Jordan. Il compagno di squadra Jordan. Il rivale Jordan. Amico sui playground di L.A., “from sun up to sun down”, dall’alba al tramonto, per poi la notte sognare in gialloviola. Compagno nelle summer league estive, Nick “Peanut Butter” Young & Jordan “Jelly” Farmar, a prendere a calci in culo in finale nazionale Dwight Howard e i suoi Atlanta Celtics (“A Nick Jordan piaceva un casino, perché gli passava sempre la palla”, ricorda l’allenatore). Rivale al liceo, Cleveland High vs. Taft, battaglie all’ultimo sangue nella West Valley League per essere king of L.A..
Finché, è il Natale del 2003, proprio da Farmar arriva l’assist più importante per la carriera di Nick.
“Questi libri credo mi siano serviti tantissimo. Spero siano di aiuto anche a te”.
Terzo tentativo: 890.
Si va al college, riprendono le sfide: sono cross town rivals, Young a USC e Farmar a UCLA, “i Magic e Bird della Pac10”, scrive il Los Angeles Times.
Poi si ritrovano nella NBA – sì, proprio la Lega di Magic e Bird – prima da avversari poi, finalmente, quest’anno, da compagni di squadra. Con che maglia? Quella dei Lakers, ovviamente. Lieto fine.
Lieto fine, sì – non ci fosse un piccolo problema. “Jordan mi ha detto di scordarmi l’1: il mio numero ora apparteneva a lui. Ho scelto lo 0 allora. Perché sto iniziando di nuovo dal fondo”.
E, canta Drake, started from the bottom now WE’RE HERE.
SCUOLA DI VITA CON SWAGGY P
di Francesco Pacifico (@FzzzPacifico)
Nick Young su Instagram è swaggyp1. Ha più di 223mila follower. Instagram scandisce la sua vita felice: figlio, amici, USC Trojans, famiglia, Ferrari, la collana, il cibo. Ecco le ultime foto.
SP1 con figlio addormentato contro la maglietta bianca del padre, sotto una coperta nera. “Lunga giornata di trasloco stanchi tutti e due”. Sono seduti sul parquet. 18859 mi piace.
In camicia bicolore, bianca e jeans, con zainetto rosa e collana d’oro. Scarpe scamosciate bianco sporco, slacciate. 19465 mi piace.
Screenshot di un uomo e una donna (lei guarda malissimo lui), in un film o scena tv che non riconosco, con scritto sopra e sotto: “Le donne che ti amano veramente sono così… se vuoi tenerti tutti i denti stai attento a come rispondi alle mie domande, so molto più di quanto pensi”. 9516 mi piace.
Nick e Jordan Farmar in campo, dopo un canestro, in uniformi “sunday whites”. 23069 mi piace.
Foto del fratello in giacca e farfallino. “Buon compleanno a uno dei più spassosi senza filtro (ve la dico com’è gente lo so) hahah mio fratellone ti voglio bene…” 7646 mi piace.
Festa del ringraziamento: i Lakers sono in trasferta. Sbracati sui divani, Kaman è in tuta grigio chiara di felpa che pare un pigiama. 18105 mi piace.
Foto di un piatto di indistinguibili robe fritte di almeno quattro colori diversi. “Boy boy boy happy thanksgiving good lookin mamba on the food it’s over for this plate”. 17778 mi piace.
Si sbaciucchia il figlio che porta una fascetta blu e rossa NBA e una jersey giallorossa di USC. “Buon ringraziamento a tutti grazie Dio per le benedizioni che hai dato alla mia famiglia & agli amici… Mamma e papà salvatemi un piatto non fate mangiare tutto a @firstclassmahoney e @a_love20… E @keonnanecole non provare a uccidere mio figlio facendo il tuo primo tacchino oggi ok lol”. 21808 mi piace.
In un garage, con dietro la sua Ferrari blu metallizzata con cerchioni neri, insieme al suo amico @bigmeat2000. SP1 porta una specie di vestitino da donna a scacchi fin sopra al ginocchio, e sotto dei pantaloni di pelle con zip doppie all’altezza delle ginocchia. E delle Jordan primi anni Novanta. 14838 mi piace.
BRING THE SWAGNESS
di Tim Small (@yestimsmall)
"Swag" deriva da "swagger". Inizialmente, lo "swagger" era una parola che indicava un tipo di camminata particolarmente ritmata, ondeggiante, fiera e piena di sè, la camminata dei papponi, degli spacciatori, degli sbruffoni, poi adottata dai rapper. Da lì il significato di "swagger" si è espanso, andando a descrivere il tipo di attitudine da cui nasce quella camminata: arrogante, fiero, fresco, e conscio di esserlo. Da lì, è diventato semplicemente l'attitudine dietro l'essere, per usare la parola italiana più simile, "stilosi". Da lì, è stata accorciata in Swag, poi popolarizzata dagli Odd Future Wolf Gang Kill Them All fino alla morte. La usano come clap sul beat in almeno due loro pezzi. Ora "swag" è, molto semplicemente, solo e semplicemente l'essere stilosi. O lo sei o non lo sei.
Nota importante: a differenza di altre caratteristiche positive (es. essere "figo", "simpatico", "attraente"), dire di essere swag non ti rende automaticamente non-swag.
Nick Young non smette un secondo di dire di essere swag. Lui stesso si è dato il soprannome di "Swaggy P"—ed è divenuto poi noto quando stava ai Clippers, due anni fa, e si presentò alla conferenza stampa dopo gara 4 dei playoff contro i Grizzlies. La telecamera stava su Chris Paul, il capitano, in giacca e cravatta, con suo figlio in braccio. A un certo punto dell'intervista, CP3 dice, "One of the biggest shots of the night was taken by... my man, [sorriso] Swaggy P, right here." La telecamera a quel punto allarga il campo e appare Nick Young, alla sinistra di Paul, con indosso una camicia di seta e denim di Versace di color oro, azzurro e bianco, con un pattern che rimanda all'Antica Grecia, al collo una catena d'oro, due orecchini di diamanti ai lobi, enormi occhiali da sole, il sorriso stampato. E questo figuro dice, "It was the shirt," prendendosi la larga camicia tra le dita e sbattendola via dal petto—nell'occasione mostrando anche un'enorme orologio d'oro. Risposta dei giornalisti: risatine, domande a CP3 in cui chiedono di commentare la camicia. Dopo qualche sorriso, CP3: "Man. What you want me to say? I mean, all I'm sayin' is you gotta feel pretty good about yourself, to wear that shirt... and my man Swaggy P feels great about hisself." Giornalisti: enormi risate. Al che appare Blake Griffin, vice-capitano, e Swaggy si alza, gli cede il posto, ma prima che se ne vada, CP3 aggiunge, "He was just bringin' some flava to the press conference." Giornalisti: innamorati.
Così nacque la leggenda di Swaggy P. Poi s'è scoperto che da piccolo sua madre gli prestava i soldi dell'affitto perché potesse comprarsi altre Jordan. La stessa che, appena suo figlio è arrivato nell'NBA, gli ha portato una Ford Explorer esclusivamente piena di vestiti. Oggi ha delle paia di LeBron che non ha nemmeno LeBron. Swaggy P parla come il personaggio di Terrence Howard in Hustle & Flow. Non è bravissimo a giocare a basket: si prende una quantità di tiri assurda considerando le sue percentuali realizzative, e non la passa mai. Appena arriva a San Antonio la prima cosa che twitta è "do San Antonio have a good mall". Ma, ogni tanto, solo ogni tanto, gli entrano alcune cose pazzesche, cose che solo un uomo così swaggy oserebbe provare. Quelle cose che, quando le fa, James Worthy in studio dice, "That's Swaggy P, gettin' his swag on". E tu sorridi tantissimo, di gioia pura, come uno scemo. Il suo account twitter è @SwaggyP1. Se vi interessano dodici selfie al giorno ognuna con un outfit diverso e didascalie che sono solo ed esclusivamente giochi di parole con "swag", vi consiglio di seguirlo. Io lo faccio.
Le altre fanzine:
Buckets, vol.5: Lance Stephenson.
Buckets, vol.4: Kawhi Leonard.
Buckets, vol.2: DeMarcus Cousins.
Buckets, vol.1: Stephen Curry.