Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
Buckets, vol.4: Kawhi Leonard
05 mar 2014
Il quarto numero della serie di fanzine cestistiche realizzate con Rivista Ufficiale NBA è dedicato a Kawhi Leonard. Aka The Hand, aka Luau, aka Aztec, il giocatore più silenzioso dell'NBA, il nuovo Scottie Pippen, il futuro dei San Antonio Spurs, l'unico in grado di marcare LeBron James.
(articolo)
12 min
Dark mode
(ON)

KAWHI, AMORE MIO

di Tim Small (@yestimsmall)

Gli Spurs sono noiosi? In un certo senso, sì. Stesso allenatore, stesso core da quasi vent'anni. Parker rimane un PG sottovalutato, Ginobili rimane un mancino come pochi, Duncan rimane il PF più efficiente di sempre. Sono sempre lì, primi a Ovest, indipendentemente da che annata strepitosa farà Portland o dove arriverà Curry con i suoi Warriors. Indipendentemente da quanti punti metterà a tabellone Durant—48, 39, 48 di nuovo. I più forti, a Ovest, sono sempre gli Spurs. Sono sempre lì. Che noia, no? Il fatto è che Popovich sa, come sempre, cosa sta facendo. A parte, chiaro, le disastrose rotazioni difensive nei 3 minuti finali della partita più importanti degli ultimi nove anni, ma quello è un'altro discorso. Quindi sì, gli Spurs sono noiosi. Ma, mettendo a lato l'amore tutto italiano che proviamo nel vedere Belinelli finalmente entrare nel suo (potenziale sixth man of the year?), per me gli Spurs vale sempre la pena vederli, da tre anni a questa parte, per tenere d'occhio uno dei giovani più interessanti della Lega. Il mio giocatore preferito. Kawhi.

Lo dico: io Kawhi lo amo. Lo amo puramente. È veramente il mio preferito. Incarna tutte le caratteristiche che ammiro di più: costanza, serietà, impegno, talento, dedizione, un senso dell'umorismo molto secco. Tutte le cose che mi mancano, insomma. E poi, non per dire, ma Kawhi si chiama Kawhi, che si pronuncia Kawai, che, in giapponese vuol dire cute, vuol dire “carino”. E Kawhi è, obbiettivamente, molto carino. Il che non gli fa male.

Ebbene, molti sono delusi da Kawhi, quest'anno. Lo guardano e vedono un potenziale raggiunto, un giocatore che ha già giocato al suo livello migliore. Ma non è così. È indubbiamente vero che l'anno scorso Kawhi Leonard è stato sull'orlo del cosiddetto “breakout year”, e che quest'anno sarebbe dovuto essere l'anno del salto: l'anno in cui avremmo visto Kawhi diventare una vera e propria stella dell'NBA, seguendo il tracciato di Paul George, l'altra ala piccola fenomenale che scalpita all'ombra di LeBron. Sarebbe dovuto esserlo, ma diciamolo subito: non lo è stato. O meglio, non lo è stato, se seguiamo la definizione classica del breakout year.

I numeri di KL, a vederli uno per uno, sono tutti più bassi, in ogni senso. Se l'anno scorso Kawhi viaggiava a una media di 12,2 punti a partita, condita da 6 rimbalzi e 1,8 assist, tirando con il 49.4% dal campo e un ottimo 37,4% da tre, quest'anno il prodotto di San Diego State ha deluso in ogni senso. I rimbalzi e gli assist sono perlopiù uguali, un pelo inferiori, ma i punti sono scesi a 11,9. La flessione principale è avvenuta dietro la linea dei tre punti, dove è sceso a un francamente misero 25%. Però—e questo è un gran però—la stat-line non spiega pienamente tutto quello che avviene in campo, perlomeno non se la si legge con superficialità. Kawhi, infatti, sebbene sia nettamente peggiorato nei tiri da tre, è migliorato in ogni altro aspetto, semplicemente perché questi numeri sono sì inferiori, ma Leonard gioca molti minuti in meno. Per non parlare della difesa: tutti questi numeri non toccano nemmeno lontanamente il lavoro incredibile che Leonard fa in difesa (e lì non possiamo dirgli niente: è il decimo giocatore per defensive efficiency nell'intera Lega).

Tornando ai minuti: la rotazione di San Antonio è—assurdamente—ancora più ferrea dell'anno scorso, e la notevole miglioria nell'apporto della panchina degli Spurs ha coinciso con un minutaggio inferiore per tutta la starting five. Kawhi, quest'anno, arriva a malapena a 29 minuti di media a partita. Con questo minutaggio, stiamo parlando di una crescita notevole in ogni campo (a parte, come detto prima, per quanto riguarda i tiri dalla distanza). Questo vuol dire che Kawhi sta crescendo in maniera atipica, in maniera—e qui vorrei usare la parola alla quale pensiamo tutti quando si parla del 22enne più silenzioso della Lega: maturo. Kawhi sta crescendo in termini di efficienza (tira con 52% dal campo), uno dei concetti preferiti dal suo allenatore e mentore, il leggendario Greg Popovich. Tira meno, e tira meglio. Gioca meno, e quando lo fa, incide. Non si perde in tiri inutili e non commette errori. Difende come una roccia e poi corre in attacco e partecipa ai movimenti, al pick-and-roll, fa schermo, si muove, e tira solo quando deve, quando è il tiro giusto, e torna in difesa sempre. E intendo dire: SEMPRE.

Prendiamo le quattro partite che ha giocato nella settimana precedente al momento della scrittura di questo articolo (14 gennaio 2014)—partite, per inciso, in cui Kawhi ha giocato una media di minuti molto maggiore (33,5 al posto di 29), risultando in una media punti/partita che sale da un 11,9 a un ottimo 14,8. Bene, il 13 gennaio, contro New Orleans, Kawhi mette a segno 13 punti e 6 rimbalzi in 33 minuti di gioco. I 13 punti li fa centrando 4 canestri su 6 tentativi. FG%? 66%. 12 gennaio, contro Minnesota: 17 punti e 6 rimbalzi in 35 minuti di gioco. 8 su 11 dal campo. FG%? 73%. 8 gennaio, contro Dallas: 12 punti, 8 rimbalzi in 26 minuti. Dei nove tiri, ne ha messi 5, per una FG% di 55%. 7 gennaio, a Memphis. 17 punti e 6 rimbalzi in 33 minuti di gioco. Ne ha messi 7 di 9, per una FG% mostruosa: 78%. Se non è efficienza questa. E se la crescita di un giocatore, nel senso più tecnico del termine, significa anche la consapevolezza di che ruolo si incarna in campo, di come giocare e di concentrrsi sulle cose importanti, le cose che lo rendono più forte degli altri, allora Kawhi è cresciuto moltissimo. Certo, non sta mettendo sul tabellone quelle stat-line da perfetta ala piccola, quei 22-6-4 a cui ormai ci ha abituati Paul George. Ma sapete come li mette su George? Li mette come principale terminale offensivo, come tiratore principale di una squadra la cui PG è George Hill, la SG Lance Stephenson, il PF David West e il centro Hibbert: tutti giocatori che non eccellono in attacco. Li mette su giocando quasi 38 minuti a partita, con una percentuale realizzativa dal campo di 44%. Kawhi gioca con bestie offensive come Tim Duncan e Tony Parker, gioca con una panchina fatta quasi esclusivamente di tiratori (per dire, Patty Mills, nella stessa partita in cui Kawhi ha tirato 9 volte cal campo mettendo 7, ha tirato dalla distanza SETTE volte—mettendone tre).

Certo, c'è una altra ala piccola nella Lega che sta migliorando molto in termini di efficienza. Il suo nome è LeBron James. Il prescelto quest'anno mette su 27-7-7 in 36 minuti, mantenendo una percentuale realizzativa mostruosa: 59%. Dovremmo chiedere a Kawhi cosa ne pensa lui, a questi punto di dover crescere in una Lega nello stesso ruolo del più grande cestista di sempre. Probabilmente non ci risponderebbe. D'altronde, anche Popovich ha detto che “Kawhi non parla da due anni”. Le cose che contano, invece: quelle le fa. A parte, come dicevamo, i tiri da tre. Ma, come si sa, quelli a volte entrano e a volte no. Se ritrova il suo stroke dalla distanza, state attenti, perché le Finals, quest'anno, potrebbero finire diversamente.

PIPPEN 2.0

di Alessio Marchionna (@alessiomarchio)

Una delle prime cose che ho pensato alla fine di gara-5 delle finali 2013 è stata: se San Antonio vince e quelli della NBA sono persone serie, il premio di miglior giocatore delle finali lo danno a quello con le treccine, le braccia sterminate e il numero 2 sotto lo sperone. Fino a quel momento aveva fatto un lavoro difensivo incredibile su LeBron James. Era riuscito non solo a farlo tirare peggio ma anche a farlo tirare meno. Kawhi Leonard sembrava un prototipo di difensore creato da un laboratorio di genetica per arginare il giocatore più forte del mondo: un po’ più basso ma con braccia lunghissime per colmare il gap, i muscoli e il peso per non farsi spazzare via, gambe veloci come quelle di una guardia, grande intuito per recuperare palloni e un’ottima tecnica difensiva. Poi si arriva a gara-6. A quei due tiri liberi a 19.4 dalla fine. Kawhi va in lunetta con la solita faccia da cane bastonato. Dietro di lui Ray Allen – che probabilmente ha già capito tutto – incita la folla per farlo distrarre. Fa uno su due, dopo che Ginobili ne ha già sbagliato uno e prima che gli Spurs sbaglino tutte le scelte difensive possibili. Quarantott'ore dopo LeBron James festeggia cullando il trofeo di MVP tra le braccia mentre Kawhi è nello spogliatoio a leccarsi le ferite insieme agli altri Spurs. Provo a ipotizzare il dramma di un ragazzo di 22 anni che per 288 minuti ha portato il mondo sulle spalle e se l'è visto crollare addosso in 19 secondi. Poi però penso che quel tiro libero sbagliato non può alterare due fatti. Il primo: il futuro di San Antonio gli appartiene. Il secondo: Kawhi è un giocatore eccezionale che somiglia tanto a uno dei giocatori più eccezionali di sempre. Leonard è un po’ più basso e meno forte in attacco (per ora), ma in difesa ha lo stesso istinto e la stessa capacità di capire il gioco e, con un po' di esperienza, potrà acquisire la stessa incredibile abilità nel dettare i tempi difensivi alla squadra. Quel giocatore portava il numero 33 su sfondo rosso e si chiamava Scottie Pippen. E ha vinto il primo campionato a 26 anni.

EARLY KAWHI

di Mauro Bevacqua (@rivistaNBA)

Diciotto

(gennaio 2008)

Papà Mark era al lavoro, come sempre, all’autolavaggio. Fine giornata. Si è fermata un’auto. L’ultima. Volevano rapinarlo. Han finito per sparargli. Uccidendolo.

“È Los Angeles. Ce ne sono in continuazione di omicidi. E i colpevoli non vengono mai trovati. È semplicemente la realtà. Credo”.

Diciassette

(punti)

La gara contro Dominguez High (l’high school di Compton dove son passati Tyson Chandler e Tayshuan Prince) è in calendario il giorno dopo la morte del padre. Si gioca in una delle cattedrali del basket scolastico losangelino, la casa di UCLA, il Pauley Pavilion. Kawhi vuole/deve scendere in campo. Ne mette 17, la sua Riverside King perde (60-68), lui alla sirena scoppia in lacrime tra le braccia della madre.

“Il basket è la mia vita. Volevo giocare per non pensare ad altro. È stato tristissimo. Mio padre doveva essere sugli spalti”.

Venti

(rimbalzi)

Con undici punti, sei stoppate, tre recuperi. È il tabellino di Kawhi Leonard. È un senior. Riverside King sconfigge Santa Ana Mater Dei (71-56). Vince il titolo divisionale.

“Eravamo fiduciosi di poterli battere”.

Novanta

(miglia)

È la distanza che separa casa dal campus di San Diego State. Steve Fisher (quello in panchina a Michigan coi Fab Five) lo aspetta. Lui e il suo assistente Justin Hutson sono gli unici ad averlo reclutato da subito, quando tutti lo snobbavano. Kawhi sale sulla sua Chevy Tahoe, saluta zio Dennis, e va a sud.

“Zio, resto al college solo due anni”.

Sei e trenta

(del mattino)

Estate 2010. Fisher ha già lasciato il campus. Leonard è rimasto a San Diego. L’allenatore riceve una telefonata. C’è un problema con Kawhi. È già la seconda mattina di fila. Si è presentato in palestra alle 6.30, quando le luci sono ancora spente. Si è portato due lampade da casa. E ha iniziato ad allenarsi.

“Ed è una storia vera” – Steve Fisher

Quindici

(Draft)

Lo sceglie Indiana, ma R. C. Buford tira i fili. Mette giù la cornetta del telefono e dice: “È nostro”. Gli Spurs cedono George Hill ai Pacers per assicurarsi Leonard.

“Se vuoi arrivare a qualcuno di buono devi rinunciare a qualcuno di buono” – Gregg Popovich

L'INCOMUNICABILITÀ DELL'ANIMA

di Dario Vismara (@Canigggia)

Nell'agosto del 2012 Gregg Popovich ha definito Kawhi Leonard “il futuro della franchigia”. Vi sorprenderà saperlo, ma coach Pop si sbagliava: Kawhi Leonard è il presente dei San Antonio Spurs. E non ci riferiamo a quello che succede in campo, ma quello che Kawhi (non) fa fuori, davanti ai microfoni. Non esiste nessuno che incarni il leggendario basso profilo degli Spurs meglio di Kawhi Leonard. Se Tim Duncan è stato l'emblema dell'anti-divo, l'All-Star silenzioso e “non commercializzabile” della Lega, Kawhi è la sua versione 2.0 aggiornata all'era di Twitter (di cui non ha un account, of course). Ecco il meglio delle sue interviste.

REGULAR SEASON

Alla fine del tuo primo anno hai comprato un Porsche, ma vai ancora in giro con quella Chevrolet Malibu da due soldi. Perché? “Consuma meno”.

Hai un bell'orologio d'oro e una catena. Ti piacciono i gioielli? “Sì, ma ne ho solo uno ciascuno. Non mi metto a comprare qualcosa di costoso solo per farlo vedere alla gente”.

Dove pensi di poter migliorare?

“In campo so di dover comunicare di più. L'anno scorso più che altro non sapevo cosa dire. Non conoscevo tutte le rotazioni e gli schemi che stavamo facendo”.

NBA FINALS

Cosa ne pensi di dover fare 30 minuti con la stampa tutti i giorni durante le Finals? “Non mi piace per niente. Vorrei parlare solo andare in campo ed evitare di rispondere sempre alle stesse domande”.

Pop ha detto che sarai la faccia della franchigia.

“Sì, l'ho sentito. Ma per me non vuol dire niente ora. In questo momento sono un giocatore di ruolo. Non vengono chiamati schemi per me. Non vado in isolamento. Vado in campo e gioco”.

Avere le braccia lunghe e le mani grandi ti aiuta a marcare LeBron James? “Non lo so, non ho mai avuto le braccia corte e le mani piccole”.

Secondo te, stai difendendo bene su di lui?

“Onestamente no. Quando è aggressivo riesce a segnare ancora dei canestri in fila”.

Hai rivisto la tua schiacciata su Mike Miller su SportsCenter? “Non vedo SportsCenter dai tempi del liceo”.

POST-NBA FINALS

Hai fatto fatica a superare il risultato delle Finals? “Non ci ho pensato troppo. Abbiamo perso”.

Ti ha sorpreso il tuo rendimento nelle Finals? “Non molto”.

Hai fatto qualcosa di divertente quest’estate? “No”.

Cosa hai fatto? “Mi sono allenato, mi sono preparato mentalmente per la stagione, mi sono riposato”.

Su cosa hai lavorato? “Tutto”.

Cosa ne pensi del finale di Breaking Bad? “Mai sentito nominare”.

BONUS TRACK “DICONO DI LUI”

“Penso di non averlo mai sentito parlare” – Dwyane Wade

“Quanta fiducia ha ora Kawhi? Non lo so, Kawhi non mi ha mai parlato” – Gregg Popovich

“Noi non gli abbiamo fatto niente, era già così quando è arrivato. [...] Se tutti i pianeti e gli agenti si allineano nel verso giusto, ci piacerebbe rimanesse uno Spur a vita” – Gregg Popovich

“Fuck” – LeBron James (vedendo rientrare Kawhi Leonard in campo per marcarlo)

Le altre fanzine:

Buckets, vol.5: Lance Stephenson.

Buckets, vol.3: Nick Young.

Buckets, vol.2: DeMarcus Cousins.

Buckets, vol.1: Stephen Curry.

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura