
UNA PERSONA NORMALE
Le interviste di Anthony Davis
«Sono sicuro che sarà difficile ambientarsi nella NBA, adattarsi allo stile di vita, imparare a gestire tutti i soldi: non abbiamo mai avuto così tanti soldi, dobbiamo amministrare tre milioni di dollari, dieci milioni, venti milioni, non sappiamo cosa farci con cifre del genere, per cui il programma di transizione alla NBA per i rookie è un buon modo per imparare a gestire i soldi. Come gestire le donne che ci verranno sotto, alcune per fregare soldi e il lato affaristico della NBA.»
«[Alle Olimpiadi Kobe, LeBron e gli altri] mi hanno insegnato come trattare coi fan, come trattare coi media, tante cose, come trattare con le donne… Ci provano tutte, con noi, donne che pensavi non ti avrebbero mai filato si fanno sotto… Ragazze che al liceo e al college niente, ora ti vengono dietro.»
«I soldi cambiano la gente, spesso. C’è gente con cui non parlo da anni che viene a chiedermi soldi. Parenti con cui non parlo da tempo che mi chiedono soldi. Anthony puoi darmi duemila dollari, mi dai questo, mi dai quest’altro. Mi compri una macchina? Compri una casa alla mia famiglia? Vengono dai miei genitori. O perfino da mia sorella, da mia nonna. Mia nonna è bravissima, nemmeno me lo dice. Mamma e papà, se pensano sia una richiesta importante che può starmi a cuore, me lo dicono. Ma sento che sono i miei soldi, ho lavorato duro. Ho già perso un paio di amici, mi chiamano, neanche rispondo, perché so cosa vogliono.»
«[Fra due anni all’All Star Game] avrò venti persone nel mio entourage… Assistente del PR, assistente dell’assistente, magari pure stagista dell’assistente. Continuo a crescere.»
«Se avessi saputo che la Lega era così fisica sarei restato un altro anno a Kentucky per diventare più forte fisicamente. Ma allo stesso tempo vuoi arrivare alla NBA, se hai l’occasione vuoi coglierla, perché non sai cosa ti succederà se decidi di restare. Può succedere di tutto.»
«Cerco di ricevere palla lontano dal canestro. So di non essere più grosso dei miei marcatori, quindi mi piace ricevere in post alto, mettermi subito faccia a canestro e fare in fretta, dovunque voglio andare per tirargli sopra la testa finché i difensori ancora sono in movimento.»
A. D.
Avanti Davis (ovvero: quando Davis non era Davis)
di Alessio Marchionna (@alessiomarchio)
All'inizio del 2010 Anthony Davis era uno dei migliori talenti degli Stati Uniti ma quasi nessuno sapeva chi fosse. In un certo senso non lo sapeva nemmeno lui. Giocava nella squadra della Perspectives Charter School nella Blue Division di Chicago, un campionato troppo scarso per finire sulle carte geografiche del basket studentesco nazionale. La scuola non aveva una palestra, la squadra si allenava in quella di una chiesa nelle vicinanze. Le voci su uno spilungone capace di fare qualsiasi cosa su un campo da basket erano partite dai campetti di Englewood e si erano sparse per il South Side di Chicago, forse arrivando anche all'inquilino di Greenwood Avenue che giusto due anni prima si era trasferito in un ufficio ellittico in una casa più grande a Washington, D.C; avevano superato i confini della zona più povera di Chicago viaggiando veloci sulle rotaie del loop, il meraviglioso cuore circolare della città. Magari nel resto dell'Illinois qualcun altro ne aveva sentito parlare, ma niente di più. Poi, in primavera, lo spilungone con le sopracciglia di Frida Kahlo ha partecipato a una serie di tornei dilettantistici, tra cui quello dell’Amateur Athletic Union Circuit. Su YouTube c'è qualche spezzone di partite di quel torneo giocato in un rettangolo di parquet minuscolo con i muri a ridosso delle linee e quattro gatti a bordo campo. AD, che ha appena compiuto 17 anni, porta una canotta che gli sta quattro volte, gioca guardia – perché è il più alto ma anche quello che sa trattare meglio la palla – tira da tre dal palleggio, fa crossover e serpentine in mezzo all'area, manda i compagni a canestro con passaggi dietro la schiena, schiaccia in contropiede. In difesa gioca praticamente fermo sotto il canestro e stoppa con il gomito i ragazzini sprovveduti che si avventurano in area. Qualcuno di quei video ha fatto il giro del web fino ad arrivare ai coach delle università di tutto il Paese, che si sono innamorati all'istante di quel mix di atletismo e intelligenza. A fine aprile è arrivata la prima offerta, dall'università di Syracuse, e tre mesi dopo AD si è accordato con Kentucky. Meno di due anni dopo è arrivato nella NBA con la stessa scioltezza con cui aveva conquistato il South Side di Chicago. Ma stavolta sapeva benissimo chi fosse e dove volesse arrivare.
LA STORIA DI PIERRE & ANTHONY
Destini paralleli di mascotte e uomo-franchigia dei Pelicans.
di Mauro Bevacqua (@RivistaNba)
C’era una volta (28 giugno 2012) un vecchio commissioner che, dal podio del Prudential Center di Newark (NJ), annunciava: “With the first pick in the twenty-twelve NBA Draft, the New Orleans Hornets select Anthony Davis”. Centoventiquattro giorni dopo, l’esordio in campo.
E c’era una volta (31 ottobre 2013) un uccellino bianco su sfondo azzurro che, dall’account ufficiale dei New Orleans Pelicans (ex Hornets), cinguettava allegro: “Introducing the new mascot Pierre the Pelican!” Due giorni dopo, il debutto casalingo.
[Definizione: “PELICAN (ita: Pellicano): 1. Uccello nuotatore e pescatore che presenta ali lunghe e robuste, coda corta, piedi palmati e lungo becco”; 2. Giocatore dei New Orleans Pelicans.]
Analogia n°1: le caratteristiche fisiche.
L’apertura alare di Pierre, quella di braccia di Anthony Davis (allargandole arriva a 227,33 cm e alzandole raggiunge i 274 – a una spanna dal ferro anche solo in punta di piedi). Uno di lungo ha il becco, l’altro le sopracciglia, anzi il monociglio, un’unica striscia di pelo senza soluzione di continuità. Entrambi incutono timore, ai tifosi il primo, agli avversari il secondo.
Analogia n°2: gli infortuni.
Secondo partita della carriera di AD, avversari gli Utah Jazz. Un gomito “amico”, quello di Austin Rivers, lo colpisce sulla testa. Leggera commozione cerebrale, sufficiente per fargli saltare due partite. Torna in campo, ma dura una settimana. Stavolta è la caviglia, e il danno è più serio: altre 11 gare out. Va peggio a Pierre. L’8 febbraio 2014, in allenamento, durante una penetrazione, una spinta di Grizz, mascotte di Memphis, lo manda a sbattere contro il sostegno del canestro. A una leggera commozione cerebrale come per AD si somma qualcosa di peggio: la frattura al becco, che richiede un intervento chirurgico eseguito dal Dr. Matthew McQueen tre giorni dopo. #GetWellPierre l’hashtag per augurargli una pronta guarigione, che avviene in effetti a tempo di record: Pierre the Pelican, con un becco tutto nuovo, torna in campo contro Milwaukee 24 ore dopo l’intervento, il 12 febbraio.
Analogia n°3: le statistiche.
Prima di doversi fermare per l’infortunio al becco, nelle 24 partite interne di cui era stato protagonista Pierre aveva prodotto statistiche di tutto rispetto [fonte: sito ufficiale New Orleans Hornets]: 193 t-shirt sparate tra il pubblico col cannone (8 a sera), 453 foto coi tifosi (18,9), 679 palloncini distribuiti (28,3). Allo stesso modo, nelle 31 gare interne disputate nel suo anno da rookie, Anthony aveva fatto registrare 433 punti (14 di media), 257 rimbalzi (8,3) e 60 stoppate (1,9) [fonte: NBA.com/stats].
FANTASY(A) DAVIS
Il miglior pick al secondo round del Draft dell'anno
di Tim Small (@yestimsmall)
Anthony Davis, l'anno scorso, non è stato Rookie of the Year per due ragioni. La prima: non ha giocato regolarmente, per via di costanti infortuni. La seconda: Damian Lillard. Il numero 0 di Portland ha giocato con una tale costanza a livelli così alti che Davis non ha retto il confronto. Certo, quando ha giocato per tante partite di fila, ha giocato bene, benissimo, ma è successo troppo poco perché potesse dimostrare a tutti il suo valore. Non che sia stato un errore, il premio a Lillard, anzi: il play di Rip City s’è meritato il titolo di ROY, e le statistiche di quest'anno lo dimostrano. I Blazers sono diventati una squadra legittima anche e soprattutto grazie alla sua crescita. Ma, guardando i numeri di quest'anno, non c'è confronto. Davis è il giocatore migliore. Entrambi sono diventati All-Star nel loro sophomore year, sia chiaro, ed entrambi sono giocatori fenomenali, ma Davis? Davis è di un altro pianeta. Per dimostrarvelo, penso che svolterò nettamente nel regno della nerditudine.
Quest'anno è il secondo anno in cui mi diletto con il Fantasy Basketball di Yahoo! Sports. La mia squadra, i Big Papis, in onore di David Ortiz dei Red Sox, è prima in classifica, grazie principalmente al fatto che ho draftato Kevin Durant come seconda scelta del primo round (e al fatto che ho avuto l'intuizione geniale/il culo di draftare Isaiah Thomas al tredicesimo round). Ma è tutto l'anno che provo comunque a fare uno scambio tra KD e monociglio, scambio che il manager dei Berlin Freeze – il mio amico Tom – rifiuta sempre. Penso che questo vi dia un’idea di che tipo di giocatore stiamo parlando. Certo, la fantasy league in cui gioco ha delle caratteristiche molto particolari. Le nostre statistiche vengono calcolate in base a nove caratteristiche – FG%, FT%, tiri da tre realizzati, punti, assist, rimbalzi, palle rubate, stoppate e doppie-doppie. Il che vuol dire che le tre palle perse a partita di Goran Dragic non contano niente, il che lo rende il mio secondo giocatore preferito (mio, nel senso che è nella mia squadra). Anthony Davis, quest'anno, viaggia a questi numeri: FG% 53, FT% 78, 20,8 punti, 10,2 rimbalzi, 1,6 assist, 1,2 palle rubate, uno straordinario 2,9 stoppate e 0,6 doppie-doppie di media. A partita. Da inizio anno a oggi. È raro vedere uno stat-stuffer come Davis ed è assolutamente incredibile 1) pensare che un giocatore con questi numeri abbia iniziato a bere legalmente a marzo di quest'anno (non che beva, ovviamente, dato che Davis è una persona seria) e 2) giochi nella NBA da sole due stagioni. Pensare che Tom ha preso Davis al secondo round del Draft mentre io prendevo Derrick Rose (sigh) al secondo e Marc Gasol (doppio sigh) al terzo mi riempie tutt'ora di rimpianti. Secondo Yahoo! Sports, Anthony Davis è stato, in media, il secondo miglior giocatore della NBA, quest'anno, in termini di statistiche utili al fantabasket. Subito sotto Kevin Durant. La differenza? Durant mette 2,3 triple a partita. Davis non ne mette manco mezza. A parte quello, siamo sugli stessi livelli. Certo: meno punti, meno assist. Ma molti più rimbalzi. E moltissime più stoppate. Anche perché non c'è nessuno che ne fa più di lui, in tutta la Lega. Esatto: il leader per stoppate è anche un giocatore capace di mettere quasi 21 punti di media a partita. Vedete voi.
C'è un articolo che gira su Internet in cui un giornalista americano prova a rispondere alla domanda, “A che grandi giocatori del passato assomiglia Davis?" E inizia dicendo: Marcus Camby. Ma AD è più forte in attacco. Quindi si dice: Kevin Garnett. Ma Davis è più veloce, con un miglior palleggio. Poi dice: Hakeem Olajuwon. E poi: Patrick Ewing. David Robinson. Kareem-Abdul Jabbar. Shaquille O'Neal. Insomma: tutti i migliori lunghi degli ultimi trent'anni. La conclusione che raggiunge poi l'articolo è simile a quella che ha raggiunto Frank Vogel, head coach degli Indiana Pacers, conclusione con cui sono d'accordo anche io. “Non penso sia corretto paragonare Davis ad altri giocatori, perché non penso che ci siano mai stati dei giocatori come lui. Difende, segna dal post, segna dal perimetro, è fenomenale nel gioco aereo, crea tantissimi spazi, corre bene. Non difende solo il canestro, difende anche il suo uomo. È incredibilmente versatile.” E sono sicuro che Vogel amerebbe averlo in squadra.
Io, ovviamente, posso dirlo. Anche io lo vorrei nella mia.
Le altre fanzine:
Buckets, vol.5: Lance Stephenson.
Buckets, vol.4: Kawhi Leonard.
Buckets, vol.2: DeMarcus Cousins.
Buckets, vol.1: Stephen Curry.