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Federico Principi

Gianluigi Buffon è stato il più grande portiere della storia?

Si ritira il portiere italiano per definizione.

«Finisce qua. Mi hai dato tutto. Ti ho dato tutto. Abbiamo vinto insieme». Con queste parole il 2 agosto 2023 Gianluigi Buffon ha annunciato, dopo un lungo silenzio, il suo addio al calcio. Ci aveva abituato negli ultimi tempi a una comunicazione sempre più pomposa e roboante ma efficace, anticamera di una sua ipotetica futura carriera politica, ma di fronte a una scelta così difficile ha deposto le sue abituali armi retoriche e ha optato per un messaggio secco, asciugato da qualsiasi prosopopea. Un messaggio più diretto e riuscito del solito.

 

Del resto la comunicazione, che piaccia o meno, è sempre stata uno dei tratti distintivi della grandezza di Buffon. La personalità e la forza delle sue idee, anche quando si sono rivelate controverse, sono il riflesso del suo carisma in campo, inteso come quell’influenza invisibile che i grandi leader riescono a trasmettere per migliorare i compagni. Come sappiamo, quello del portiere è un ruolo particolare. Un ruolo esistenzialista, dove il concetto di responsabilità può diventare schiacciante, nonostante poi il fatto di subire o meno un gol dipende più di ogni altra cosa da un lavoro di squadra. Di Buffon ricordiamo le parate iconiche – quella su Zidane nella finale dei Mondiali, quella su Inzaghi nella finale di Champions – ma è la sua continuità, quella che resta meno impressa la memoria, ad averlo reso davvero eccezionale nella storia del ruolo. Ma come si misura la continuità, la costanza, l’affidabilità di un portiere? Un dato spicca su tutti, il più semplice: in tutta la sua carriera, tra club, Nazionale maggiore e nazionali giovanili, è sceso in campo 1175 volte subendo solamente 983 gol.

 

Su questi numeri in quale misura hanno influito le sue favolose doti tecniche e quanto il suo carisma? Quanto ha inciso la sua personalità nel fatto che oggi che ha annunciato il ritiro in molti si affrettano a definirlo “il miglior portiere di sempre”?

 

Buffon ha debuttato a 17 anni contro il Milan ed è stato il migliore in campo. Da lì è riuscito a estendere la sua carriera professionistica per 28 anni. Se lo sport contemporaneo ci sta abituando ad atleti sempre più longevi, Buffon è andato oltre, fino al punto in cui sembrava semplicemente inconcepibile il suo ritiro. Per moltissimi anni, perfino in quest’ultima stagione in cui ha giocato sostanzialmente part time nel Parma, Buffon ha davvero dato l’impressione di essere immarcescibile, immune alla forza del tempo che passa.

 

La candidatura come miglior portiere di tutti i tempi è credibile, ma forse vale la pena interrogarsi se Buffon sia stato addirittura il calciatore italiano più forte di sempre, e che posto ha, più in generale, nella storia del nostro panorama sportivo.

 

Il posto di Buffon nella storia

Di recente Buffon stesso ha detto, non esagerando più di tanto, che «per la carriera che ho fatto, avrei potuto fare sette Mondiali». Nonostante la prima spedizione senza di lui della nostra Nazionale, Euro 2020, si sia rivelata vittoriosa, si poteva legittimamente pensare che anche nel ruolo di portiere di riserva, nello spogliatoio o anche in campo, chiamato all’improvviso in situazione di emergenza, la sua figura potesse comunque lasciare il segno – come avvenuto negli ultimi mesi nella Juve, con Pirlo. Del resto come tutte le leggende, in qualsiasi sport, anche Buffon ha assunto quello status per il quale la sua sola presenza sposta comunque qualcosa. Da oggi sarà chiamato a esercitare la sua influenza non più sui compagni di squadra in campo ma sulle nuove generazioni.

 

In pochi anni Buffon è riuscito perfino quasi a oscurare il suo più diretto punto di riferimento nella Juventus e nella nostra Nazionale, Dino Zoff, unico portiere della storia del nostro calcio ad aver vinto due grandi manifestazioni da titolare – Europei 1968 e Mondiali 1982. Se già è complesso paragonare due portieri di epoche così lontane tra loro, figurarsi quanto lo sia collocarli in un’ipotetica classifica che comprenda tutti i calciatori, da Maldini e Cannavaro a Totti, Baggio e Del Piero, per risalire a Paolo Rossi, Riva e ancora a Piola e Meazza. Si può però certamente dire che Buffon, e lo stesso discorso vale ad esempio per Roger Federer, Michael Jordan e Valentino Rossi, sia stato la più grande fonte di ispirazione nel suo ruolo nel momento in cui lo sport è diventato davvero globale dal punto di vista mediatico.

 

E come tutte le leggende anche Buffon è riuscito a spostare più in là le frontiere della tecnica del ruolo. Lo ha fatto in modo diverso da Neuer, che ha innovato le funzioni stesse del portiere, e cioè spingendo al massimo i limiti dei fondamentali classici. Quando debuttò in Serie A, in Parma-Milan 0-0 del 19 novembre 1995 a 17 anni e 9 mesi, Nevio Scala lo preferì – in emergenza – al secondo portiere Alessandro Nista, che però racconta: «Io non ci rimasi male. Già il secondo giorno che arrivai a Parma mi accorsi che c’era questo fenomeno nelle giovanili. Aveva un attacco palla impressionante, in un periodo in cui invece l’impostazione del portiere era molto più passiva. Lui è stato un pioniere di quel gesto».

 

L’esordio.

 

In determinati periodi circoscritti, anche quando non era ancora invecchiato, si può perfino dire che alcuni portieri – per motivi di condizione atletica o più in generale per un loro stato di grazia – gli siano stati quanto meno alla pari, se non superiori. Dida nel periodo 2003-2005, Julio Cesar nella stagione del triplete di Mourinho, hanno raggiunto picchi di rendimento tra i pali probabilmente perfino più alti quelli del Buffon dell’epoca, per non parlare di Neuer del 2014 – quando però Buffon aveva già 36 anni. Nessuno di loro, però, ha avuto la sua costanza tra i pali; nel lavoro, cioè, di prevenire i gol avversari.

 

Questo discorso non vuole certamente sminuire i picchi di Buffon, anzi. Se dovessimo fare una sorta di ranking delle migliori parate di tutti i portieri del mondo negli ultimi 30 anni, molte sarebbero proprio sue. Forse, agli occhi di un giovane appassionato di oggi, non risalta più tanto la potenza atletica di Buffon, magari superata dai fenomeni di adesso, quanto soprattutto quel tipo di parate che contenevano rabbia agonistica. Un gesto istintivo di rifiuto del gol, un riflesso primordiale che osserviamo nel calcio.

 

Ci sarebbero tantissime parate per definire Buffon: da quella sul tiro di Recoba all’incrocio nello spareggio Inter-Parma del 2000, a quella su Pippo Inzaghi nella finale di Champions 2003, per arrivare a quelle su Podolski e Zidane che ci hanno fatto vincere i Mondiali. Ne voglio scegliere due, un po’ diverse tra loro. Questa sotto, in Nazionale contro la Georgia, perché è forse la parata simbolo di Buffon, quella in cui sembra letteralmente prendere il pallone dal fondo della porta e buttarlo fuori, solo che la palla ovviamente non aveva varcato la linea:

 


E questa sotto, a 38 anni contro i Lione, è forse tecnicamente la più difficile della sua carriera. In questa parata c’è la lucidità di riuscire in un millesimo di secondo a leggere la deviazione sulla traiettoria del tiro, a un’età dove, oltretutto, il riflesso puro è una caratteristica inevitabilmente un po’ peggiorata nell’essere umano e dove il portiere di solito fa più la differenza con l’esperienza e la posizione che non con questo tipo di interventi istintivi. Ma evidentemente Buffon non appartiene alla nostra stessa categoria di esseri umani.

 


Eppure la caratteristica principale del portiere, nonostante l’evoluzione del ruolo, resta sempre la sua affidabilità nel lungo periodo, per permettere alla società di poter pianificare con sicurezza a lungo termine, consolidando l’organizzazione difensiva e la comunicazione. E su questo aspetto, al di là dei riflessi e delle parate, Buffon è stato senza alcun dubbio il miglior portiere degli ultimi 40 anni: almeno fino al 2017 qualsiasi società, avendo ipoteticamente un budget illimitato, avrebbe scelto Buffon in porta senza pensarci un secondo.

 

L’affidabilità di Buffon è rimasta costante, inscalfibile, nonostante gravi infortuni che si sono succeduti nel corso del tempo: la frattura alla mano prima di Euro 2000 che avrebbe potuto lanciare definitivamente Toldo come titolare fisso della Nazionale, posto che invece Buffon si è subito ripreso in autunno; la lussazione alla spalla dell’agosto 2005, dalla quale si è completamente ripreso a gennaio 2006, cinque mesi dopo; e soprattutto l’operazione alla schiena dell’estate 2010, l’infortunio più rischioso e con la degenza più lunga, anche in quel caso rientrando solo per il girone di ritorno ma stavolta senza convincere più di Storari che aveva giocato nella prima metà di stagione. La stagione successiva, però, è ripartito fortissimo. È tornato a fare la differenza con la Juve di Conte, è tornato a vincere lo Scudetto. Un altro dei momenti che ci ha ricordato la sua grandezza, la sua resistenza allo scorrere del tempo e all’invecchiamento.

 

Il più grande di sempre?

Buffon lascia il calcio all’età di 45 anni compiuti, con un anno di anticipo sulla scadenza del suo contratto con il Parma. Per pochi mesi non è riuscito a diventare il calciatore più anziano mai sceso in campo nella storia delle prime due divisioni del nostro calcio: l’ultima partita di Buffon resterà Parma-Venezia del 19 maggio 2023, giocata a 45 anni, 3 mesi e 21 giorni; Andrea Pierobon, a maggio del 2015, difese la porta del Cittadella in Serie B contro il Perugia a 45 anni, 10 mesi e 3 giorni.

L’ultima partita e le ultime grandi parate di Buffon in carriera.

 

I record di anzianità in Serie A e B sono praticamente gli unici che gli mancheranno, almeno nel panorama del calcio italiano. Buffon ha stabilito primati assoluti di presenze sia in Serie A (657), che in Nazionale (176), di imbattibilità consecutiva in Serie A (974 minuti, nella stagione 2015/16) ma anche di vittorie di Scudetti (10), Coppe Italia (6) e Supercoppe Italiane (7). Sono numeri importanti anche se non è certo da queste cifre che si può quantificare esattamente la sua portata storica, e non è certo solamente dai record ottenuti nel calcio italiano che Buffon basa la sua straordinaria legacy.

 

Nel suo ruolo di portiere ha elevato al massimo tutte le qualità classiche richieste: riflessi, continuità, comunicazione con i compagni. Come tutte le leggende ha rappresentato una figura in grado di identificare tutti. In Italia ci è riuscito anche più di Zoff, perché più carismatico. Ma non si è limitato al nostro paese: Buffon è riuscito a spostare più in là la concezione stessa del ruolo, come fatto da Yashin prima di lui e Neuer dopo.

 


È interessante il confronto col tedesco, che è stato l’apice di uno stile completamente diverso, più fisico, di posizione, e con posture del corpo diametralmente opposte. Se per l’utilizzo del portiere nella costruzione dal basso c’è un prima e un dopo Neuer, si può sostenere che quello che il portiere del Bayern ha rappresentato negli ultimi 10 anni, Buffon lo abbia fatto per oltre 20 anni già da fine anni ’90. Per questo motivo e anche per una maggiore continuità nelle singole stagioni, oltre che nel lungo periodo, credo che si debba mettere Buffon ancora su un posto più in alto di Neuer nella storia del calcio.

 

Più difficile invece il paragone con Yashin, forse l’unico vero profilo a cui Buffon può essere accostato, ma la cui distanza storica rende difficile il confronto. Probabilmente il russo fu più superiore ai suoi colleghi dell’epoca di quanto non lo sia stato Buffon e, forse, dal punto di vista fisico il russo ha rappresentato un’avanguardia ancora più marcata, essendo in anticipo di parecchi decenni. Tuttavia la sua carriera calcistica cominciò in pianta stabile solamente a 25 anni, provenuto dall’hockey, il che da un lato la rende ancora più eccezionale quello che è riuscito a fare, mutuando le abilità sviluppate in un altro sport con così tanto successo, dall’altro racconta come quella fosse un’epoca molto diversa per lo sport, dove le dinamiche di crescita e affermazione dei migliori campioni erano totalmente diverse da quella di oggi.

 

Fare paragoni nello sport poi, oltre che difficile, finisce spesso per essere sterile, se non pretestuoso. Per Buffon, allora, uno degli argomenti più efficaci per valutarne la grandezza leggendaria è la capacità che ha avuto di restare ai livelli più alti attraversando epoche diverse. Buffon ha parato dagli anni ’90 ai ’20, attraversando un millennio, la rivoluzione digitale, l’avvento dei social network, modi diversissimi di giocare a calcio. Ha parato a padri e figli, è stato un Superman sbruffone prima e un padre della patria poi. È stato controverso e democristiano. Odiato e amato. Insomma, Buffon è stato quasi tutto per un periodo lunghissimo sempre rimanendo il più costante, il più forte, il più sicuro. E non c’è niente di meglio per un portiere che essere sicuro. Una longevità che è sconfinata nel leggendario e in questo, nella storia del calcio, in qualsiasi ruolo, a nessuno è riuscito meglio che a Buffon.

 

 

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Federico Principi nasce nel 1992 e si ammala di sport. È telecronista della Serie C su Eleven Sports Italia. Ha scritto "Formula 1 2016: The review", un libro completo sulla stagione 2016 di Formula 1.