Jimmy Butler è appoggiato ai tabelloni pubblicitari di gomma a bordo campo dopo aver conquistato gli ennesimi tiri liberi della sua gara-5 delle Finals contro i Los Angeles Lakers. Miami è sotto di un punto in una partita che deve vincere assolutamente se non vuol vedere LeBron James e compagnia alzare il Larry O’Brien Trophy, quarantenato per l’occasione, davanti ai centinaia di tifosi collegati dalle proprie stanzette. Butler ha giocato ogni minuto della partita ad eccezione di 48 secondi alla fine del primo quarto. Ora siamo a 46 dal termine della partita e i suoi due tiri liberi possono riportare davanti gli Heat per l’ennesima volta, nel bel mezzo di una sequenza nella quale Butler e LeBron si erano risposti vicendevolmente sui due lati del campo come un duello d’onore all’arma bianca. Butler recupera il respiro, va in lunetta e segna entrambi i tiri a gioco fermo, il nono e il decimo della sua partita.
Ne serviranno altri due nell’azione successiva, provocando il contatto a mezz’aria con Anthony Davis, e una tripla apertissima sbagliata da Danny Green con conseguente palla persa di Markieff Morris per permettere a Miami di portare a casa la vittoria e allungare ulteriormente la serie. Dopo quella di gara-3, è servita un’altra strepitosa tripla doppia di Butler, che ha chiuso con 35 punti, 12 rimbalzi, 11 assist e cinque palle rubate, per far sì che almeno fino a domenica notte la NBA rimanga a Disney World.
Un riassunto della prestazione di stanotte.
Un matrimonio che s’ha da fare
Il giorno prima di ferragosto, mentre il resto del mondo si preparava per le grigliate e i falò sulla spiaggia, Jimmy Butler era nella bolla di Orlando già da quasi un mese e si stava per sedere davanti alla giornalista di ESPN Rachel Nichols per rilasciare un'intervista sulla sua esperienza a Disney World. Un paio di anni fa Butler aveva già rilasciato a Nichols dopo un allenamento dei Minnesota Timberwolves la celebre intervista nella quale stroncava senza pietà la franchigia e i suoi giovani compagni, sostanzialmente facendo terra bruciata attorno a sé. Un mese dopo sarebbe stato scambiato con i Philadelphia 76ers, arrivando a qualche rimbalzo del pallone dalle prima Finali di Conference della sua carriera.
Il suo percorso però lo avrebbe portato presto ancora più a sud, verso l’unica franchigia NBA in grado di rivaleggiare con il suo livello mentale e competitivo al limite del patologico, ovvero i Miami Heat. La cultura agonistica della franchigia della Florida fondata da Pat Riley e rubata ai body builders che soggiornano a South Beach è la perfetta consonanza della filosofia di vita di Butler, il quale dopo tanto girare ha finalmente potuto sentire a pieno volume quella sinfonia che da anni gli ronzava nell’orecchio.
Il matrimonio tra Butler e Miami è sempre stato da fare, ma ci sono voluti molti passaggi e tappe intermedie affinché si coronasse. Quando Butler era ancora a Chicago - nell’ultimo anno nella franchigia che lo ha cresciuto - i Bulls orfani di Derrick Rose e Tom Thibodeau provarono a ricostruire attorno a lui affiancandogli due “alfa” come Rajon Rondo e Dwyane Wade. Un esperimento che fallì in breve tempo e che spinse Jimmy a ricongiungersi con Thibodeau a Minnesota pur di ritrovare quell’idea militaresca di spogliatoio con la quale approccia la pallacanestro. Ma in quella singola stagione passata a contatto con Wade, Butler imparò a conoscere la celebre Heat Culture: il nativo di Chicago, deluso dalla scarsa professionalità che vigeva nella franchigia della propria città, infatti, si lanciò in sperticate recensioni verso la sua precedente squadra proprio nei confronti del suo vicino di spogliatoio.
Tutte quelle stellette lasciate da Wade su Tripadvisor incuriosirono Butler, alla costante ricerca di un’organizzazione che parlasse la sua stessa lingua. Aveva già potuto constatare con i propri occhi durante le sfide di playoff negli anni precedenti la qualità del lavoro di Miami e non a caso, dopo la fine tumultuosa della propria esperienza con i Timberwolves, aveva inserito proprio gli Heat nella rosa di squadre a lui gradite in caso di cessione.
Invece i primi di dicembre 2018 viene scambiato con i Philadelphia 76ers, un’altra squadra con due giovani superstar in rampa di lancio alle quali Butler deve fare da mentore. Le cose sembrano funzionare meglio rispetto alla convivenza a Minnesota e i Sixers sono una reale contender con un quintetto di assoluto livello che Butler può orchestrare a piacimento nelle fasi più calde della partita.
Ma dopo aver visto il tiro di Kawhi Leonard rimbalzare dalla parte giusta del ferro, i tentennamenti della dirigenza sul rinnovo contrattuale e lo scarso feeling con il coaching staff dei Sixers - in particolare con il capo-allenatore Brett Brown - portano rapidamente Jimmy Butler a considerare la Florida come futura residenza per le sue stagioni della piena maturità in NBA. Pat Riley, da sempre grande estimatore del prodotto di Marquette, non ci pensa due volte prima di architettare una complessa sign & trade in grado di concedere a Butler il massimo contrattuale e ai Sixers una pedina come Josh Richardson, ennesimo diamante trovato nella ghiaia dagli Heat.
Per Riley Butler rappresentava l’ultimo tassello della difficile ricostruzione degli Heat, che dopo i fasti dei Big Three si erano impelagati in contratti tossici nella famosa free-agency del 2016, finendo ai margini della Eastern Conference che conta. Uno smacco inaccettabile per una franchigia che ha sempre fatto della serietà nella programmazione, della valorizzazione di ogni elemento e dell’abnegazione nel lavoro le proprie virtù cardinali. E infatti una volta tramontata l’era di Hassan Whiteside e Dion Waiters, Miami ha rapidamente trovato la propria stella polare, interpretata dalla personalità intensa e apologetica di Jimmy Butler.
Così quando Rachel Nichols gli chiede cosa si aspetta da questi playoff sottovuoto, Butler senza la minima esitazione le risponde che pensa di poter vincere il titolo, perché è quello che ci si aspetta da Miami. Siamo ancora prima dell’inizio della serie contro gli Indiana Pacers e gli Heat sono considerati da tutti una possibile sorpresa al primo turno ma già condannati se dovessero incrociare il proprio cammino con quello dei Milwaukee Bucks. Invece, dopo un secco quattro a zero contro i Pacers, Butler e i Miami Heat compiono la prima grande sorpresa di Orlando, cancellando in cinque partite senza storia la migliore squadra di questa stagione regolare e dell’MVP in carica Giannis Antetokounmpo.
Butler aveva anche detto che non avrebbe portato la sua famiglia nella bolla perché sarebbe stato un viaggio di lavoro.
Il vero Jimmy Butler
E infatti Butler, nella prima gara della serie contro Milwaukee, sale subito in cattedra per spiegare ai Bucks che la loro stagione regolare da record non contava più nulla ad Orlando, segnando 40 punti e dimostrando di essere - come lo ha definito una volta Brett Brown a Philadelphia - l’adulto nella stanza. Forse per la prima volta, nella serie contro i Bucks, abbiamo visto la versione completa di Jimmy Butler: non più il complemento di giovani star in rampa di lancio o la star frustrata in squadre di bassa classifica ma finalmente un giocatore totale, flessibile, capace di elevare il sistema attorno a lui fino a portarlo a contendere con i migliori della classe.
Contro Milwaukee Butler ha giocato una delle migliori serie della sua carriera, se non proprio la migliore in assoluto prima di queste Finals. Ha chiuso con 23.4 punti, 5.8 rimbalzi, 4.4 assists e 1.8 palle rubate con una percentuale reale del 68.2% e andando in lunetta a piacimento (quasi un libero per ogni tiro tentato), guidando il perfetto piano tattico disegnato sulla lavagnetta da Erik Spoestra per imbrigliare i Bucks. Ma era solo l’inizio: nella finale di conference contro i Boston Celtics ha lasciato spesso e volentieri i favori del proscenio a Bam Adebayo, ma ha saputo piazzare sempre la zampata decisiva quando bisognava inclinare i tiratissimi finali di partita in favore di Miami.
Le due giocate determinanti che hanno vinto gara -1 e indirizzato la serie. Durante questi playoff il net rating di Butler nel crunch time è +38.9.
E nelle Finals, contro il miglior giocatore di questo millennio, sta definitivamente confermando tutto il suo valore, spesso negato o sottovalutato a causa del suo carattere e del suo talento sfuggente, ma ormai innegabile anche dai più coriacei haters. D’altronde non è mai stato facile capire che giocatore fosse davvero Jimmy Butler, un’ala piccola nel corpo di una guardia ma con troppi istinti di playmaking per essere semplicemente un realizzatore al ferro. Un atleta nella media NBA per quanto riguarda misure ed esplosività, non un tiratore formidabile o un funambolo con il pallone, al primo sguardo Butler sembra un giocatore normale. Certo è un’eccellente agonista e un leader naturale, un difensore arcigno dotato di un'intelligenza cestistica non banale, ma niente di tutto ciò potrebbe definirlo una star assoluta in una lega piena zeppa di prodigi della muscolatura anatomica e prototipi dell’umanità che verrà.
In questo Butler è una stella in completa controtendenza con le presunte tendenze della NBA contemporanea, tanto che durante le telecronache americane viene spesso definito un giocatore che va contro le statistiche avanzate, in quella battaglia di retroguardia per separare l’efficacia dall’efficienza. Un caso che è tornato d’attualità dopo gara-3 delle Finali NBA nelle quali ha segnato 40 punti senza tentare neanche un tiro da tre punti, i quali rappresentano le statistiche avanzate secondo chi non capisce le statistiche avanzate. E che invece dimostrano quanto sia unico il talento di Butler e di come sia stato complicato arrivare a massimizzarlo nel modo in cui stanno riuscendo Spoelstra e i Miami Heat.
Il suo arrivo ha fatto sbocciare le qualità nascoste di alcuni elementi del roster e ha contribuito alla rapida crescita dei più giovani innesti, alzando immediatamente il livello competitivo del gruppo. Adebayo aveva bisogno di un partner consistente per i giochi a due, Robinson e Herro un metronomo in grado di innescare i loro movimenti senza palla, Dragic qualcuno che lo aiutasse a portare su il pallone e gli concedesse il lusso di attaccare a difesa già mossa. Butler ha responsabilizzato e supportato i suoi giovani compagni consentendo loro di sbagliare anche sul palcoscenico più importante della loro ancora verde carriera. Ma soprattutto gli Heat avevano bisogno di qualcuno che si prendesse le responsabilità quando c’era bisogno di prenderle e i tiri quando c’era bisogno di metterli.
L’ultimo capolavoro di Jimmy Buckets
Così quando i Lakers, dopo aver inseguito per tutta la partita, a una manciata di minuti dalla sirena hanno messo la testa avanti guidati da un LeBron semplicemente trascendentale e le speranze di allungare la serie per gli Heat sembravano scivolare via dalle dita, Butler ha deciso che la sua caffetteria sarebbe rimasta aperta un altro fine settimana. Ha segnato o assistito 11 degli ultimi 15 punti degli Heat negli ultimi 5 minuti di gioco, aggiungendo una stoppata, un recupero e un rimbalzo, mentre i Lakers ne mettevano a tabellone solo 9 di squadra.
Per liberarlo dalla marcatura dei Lakers, stanotte Spoelstra l'ha utilizzato anche da rollante dove può sfruttare la sua abilità e forza fisica per finire al ferro anche attraverso il contatto.
Un parziale che descrive bene tutte le caratteristiche del gioco di Butler, dai canestri chiave alle microesecuzioni, dalle astuzie difensive alle sofisticate letture con il pallone. Prima la stoppata su James e successivamente la rubata brutale su Caruso, per poi costringere la difesa gialloviola a spendere il fallo in transizione, andando molto vicino ad un gioco da tre punti. Poi, sullo stesso possesso, l’assistenza per la tripla del sorpasso di Duncan Robinson, caldissimo con 26 punti e 7/13 da tre. Un minuto dopo il jumper dal midrange in faccia a Davis per il +2, e dopo che LeBron riporta sopra di uno i Lakers, eccolo attaccare nuovamente Markieff Morris per un fadeaway in giravolta. James risponde portandolo al ferro spalle a canestro, ma Butler entra per l’ennesima volta nel pitturato causando il contatto che lo porterà a cercare riposo sui cartelloni e i conseguenti tiri liberi.
Anche tirando solo 2 su 6 nell'ultimo quarto di gioco, Butler è stato fondamentale andando spesso in lunetta, l'aspetto del gioco lo rende estremamente efficiente in attacco (stanotte il 72.1% di TS). Nella serie Butler è 46 su 50 ai liberi.
Jimmy Butler ha sfidato uno contro uno LeBron James e in qualche modo ne è uscito vincitore - certo con l’aiuto di Danny Green e Markieff Morris - in quella che ha già sostituito gara-3 nella cornice della sua career game. Subito dopo la fine della gara ha ammesso di aver dato tutto quello che aveva in corpo e forse anche qualcosa in più per portare a casa la partita e ha lasciato il podio delle interviste claudicante con le gambe svuotate. La domanda ora è se riuscirà ad avere l’energia per scendere in campo domenica sera, in una serie nella quale sta giocando oltre i 42 minuti a partita - primo atleta non chiamato James a farlo da Kobe Bryant nelle Finals del 2009.
L’intensità è stata finora la chiave vincente di Miami in questi playoff, dove la loro preparazione fisica meticolosa gli ha concesso un vantaggio sugli avversari nei quarti finali e nelle serie tirate. E Butler in questa cultura del sacrificio si è trovato immediatamente a casa, violentando il proprio corpo come un martire paleocristiano nel tentativo di vincere quell’agognato titolo. Ora è a sole due vittorie da arrivarci sul serio, un traguardo che solamente 365 giorni fa sembrava impensabile (come molte altre cose, del resto).
Jimmy Butler, alla quarta squadra in altrettanti anni, ha finalmente trovato il contesto tecnico necessario per sottolineare tutte le piccole cose che rendono gigantesco il suo gioco, e ha rivelato gli aspetti più controversi della sua personalità aprendosi finalmente al pubblico (seppur virtuale). Anche se non vincerà l’anello e dovrà accontentarsi della piazza d’onore, nessun giocatore ha cambiato quanto lui il proprio valore e la propria percezione a Orlando, facendosi davvero conoscere per quello che è.
In questi playoff è definitivamente passato da ottimo giocatore a possibile MVP delle Finals e l’ha fatto a suo modo, non scendendo mai a compromessi e non accettando le sconfitte. È arrivato ai piani più alti della lega dopo più di un decennio di nottate passate sui divani degli amici, le levatacce per andare in palestra ore prima di tutti gli altri, i Greatest Hits di country music sparati a palla negli spogliatoi a costo di farsi odiare dai compagni e gli zaini di Hannah Montana.
Jimmy Butler ha preso la strada più tortuosa, quella che più si adattava agli spigoli della sua personalità, ma anche quella che alla fine - indipendentemente da come finisca questa serie - si è rivelata vincente.