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Gli 11 calciatori più odiati del decennio
02 gen 2020
Calciatori che hanno attirato la nostra antipatia.
(articolo)
11 min
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La parola “odio” si presta a molte interpretazioni profonde. Qui lo intendiamo quasi come un sinonimo di “forte antipatia sportiva”. Diciamo anzi che in questo pezzo per odio intendiamo “una forte antipatia sportiva che si fa personale e rende impossibile non commentare negativamente un post sui social che lo riguarda”. Esempio: l’Ultimo Uomo posta una foto di Neymar che ha fatto 4mila 800 43 dribbling in una sola partita e l’utente alpha Filippo Bonora scrive: “Quando lo fate un post con i dribbling di Tania Cagnotto?”.

Mauro Icardi

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Icardi ha prima litigato con la curva dell’Inter poi ci ha fatto poi ha ri-litigato più o meno con tutti gli interisti. L’ultimo litigio in realtà comprende l’agente che è anche la moglie di Icardi e l’unica cosa che può essere rinfacciata a Mauro Icardi è quella di non aver preso le distanze dalle sue dichiarazioni pubbliche e di essersi impuntato quando la società lo ha punito togliendogli la fascia da capitano. La società ha usato la mano troppo pesante? Icardi doveva licenziare Wanda Nara? Divorziare? Poco importa, perché adesso Icardi è a Parigi, dove nessuno lo odia, e gli attaccanti dell’Inter sono Lukaku e Lautaro, che si amano alla follia. Come si dice: e vissero tutti felici e contenti.




Karim Benzema

Benzema è odiato da poche persone. Non da Valbuena, che gli stringerebbe la mano senza problemi (anche se Benzema ha di fatto aiutato un coatto suo amico a ricattarlo con il famoso filmino porno). Benzema, in realtà, è odiato soprattutto dalle istituzioni francesi, a cominciare dal presidente della Federazione che giusto giusto qualche settimana fa gli ha sbattuto la porta in faccia della Nazionale (anche se deve ancora essere processato per la storia del sextape di Valbuena).

Ovviamente anche gran parte dell’opinione pubblica francese lo odia, lui o quello che rappresenta (per dire: c’è un’altra storia che lo riguarda secondo cui avrebbe mandato, o forse no, un suo amico d’infanzia a recuperare con le brutte maniere 50k che aveva prestato a un altro tizio). I calciatori contemporanei sono chiamati a una condotta morale esemplare, da santi, figurarsi quindi se siamo disposti a perdonare un calciatore che non solo non si emancipa dal suo contesto di origine ma che sembra continuare a comportarsi come un coatto.


Neymar

Nessuno come Neymar riesce a concentrare tante caratteristiche di un calciatore odiato.

- La fama di simulatore.

- L’attaccamento ai soldi.

- Un sostanziale disinteresse verso la competizione.

- Uno stile di gioco malizioso e poco pratico.

- Una cura maniacale dell'acconciatura.

- Un atteggiamento indisponente verso tutti, compagni di squadra compresi.

Ma soprattutto Neymar, agli occhi del pubblico, si macchia della colpa di avere un talento divino smisurato, e al contempo di non avere grandi interesse a metterlo a frutto come vorremmo noi. A Neymar sembra non interessare più di tanto la competizione, le vittorie dei trofei e tutto ciò che noi consideriamo essenziale per definire il valore di uno sportivo. L’approccio leggero di Neymar al calcio - che è una leggerezza però sempre capricciosa e a suo modo divistica - per noi è inaccettabile.

E allora è naturale che il momento del decennio in cui il nostro odio è stato più tenue ha coinciso con la stagione migliore di Neymar in un club, quella in cui rimontò il PSG praticamente da solo in Champions League.

Ed è naturale che l’apice del nostro odio per Neymar sia stato raggiunto ai Mondiali del 2018, dove il suo calcio si è raggrinzito fino alla sua forma più involuta, ridotto a una sfida di nervi con difensori e arbitri. Era uno spettacolo unico vedere Neymar a quel Mondiale: ogni volta che toccava palla succedeva qualcosa di drammaticamente significativo. Un dribbling irriverente, una sceneggiata, un numero fine a sé stesso, un fallo duro di un marcatore esasperato. Era il lato oscuro di Neymar, ed è ciò che consideriamo intollerabile per il calcio.


Sergio Ramos

Il punto è che Sergio Ramos vuole essere odiato. Il giocatore che ha preso più cartellini gialli e rossi nella storia del Real Madrid e della Spagna, della Liga e della Champions League. Uno dei più forti difensori degli ultimi vent’anni: nei duelli individuali, nelle letture, con la palla al piede, di testa. Ma anche uno stronzo come pochi che ci tiene non solo a giocare bene ma a lasciare un segno sul corpo e nell’anima degli avversari. Come scriveva Dario Saltari in un pezzo interamente dedicato all’eccezionalità calcistica e umana di Sergio Ramos, il suo potere in campo sta «nella sua capacità di farsi odiare. Nell’andare al di là della semplice violenza, del fatto cioè di essere temuto dai giocatori, e nel diventare l’obiettivo stesso di tutte le attenzioni dei suoi avversari. Anche perché, per quanto è tecnico, Sergio Ramos potrebbe tranquillamente fare a meno del suo lato più violento».


Leonardo Bonucci

D’altra parte come si fa a non odiare uno che esulta dicendo al pubblico di sciacquarsi la bocca? A chi lo dice poi, al suo pubblico? Solo a quello avversario? Solo ai suoi detrattori? E come lo spieghiamo a chi guarda da casa e non aveva mai detto niente di male su Bonucci? Anzi, come si fa a non odiare uno che esulta dicendo al suo ex pubblico, quello con cui è stato sette anni, di sciacquarsi la bocca perché ormai è il capitano di uno loro storica rivale e non ci vede niente di male a segnargli contro e a dirgli di sciacquarsi la bocca? E che poi un anno dopo torna indietro, come se niente fosse? Ma su Bonucci c’è anche un altro tipo di odio: quello per i difensori tecnici. Che, si dice, hanno dimenticato come difendere. Che poi Bonucci sia effettivamente un difensore scarso poco importa (anche perché no, non lo è), il cocktail è fatto ed è gustosissimo così: un dito di sana antipatia, un pizzico di scelte sbagliate che fanno incazzare persino i tuoi propri tifosi, una spruzzatina di difetti tecnici e riempire fino al bordo con i complimenti di allenatori e addetti ai lavori. Puro odio.


Sergio Busquets

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L’odio di cui ha sofferto Sergio Busquets in questo decennio è il riflesso di due cose. Dell’odio di cui soffre il Barcellona da quando Pep Guardiola ha osato farne una delle squadre più forti del mondo, anzitutto. Lo stesso odio che qualcuno prova per il calcio spagnolo che tra il 2008 e il 2012 ha vinto praticamente tutto. Anche perché Busquets è, di quel Barcellona e di quella Spagna, forse il singolo meno trasportabile in un altro sistema di gioco. Ma Busquets soffre pure del riflesso di un singolo momento, cioè quello in cui ha fatto espellere Thiago Motta nella semifinale di ritorno della Champions League 2010, sineddoche di un’antisportività che sicuramente non gli fa onore. Sono passati 9 anni e in pochi mettono in dubbio lo stile e l’idea di calcio che esprime Sergio Busquets, eppure per quell’occhiata che rivolge da terra, mentre ha le mani in faccia dal finto dolore e le dita si allargano per vedere se l’arbitro sta effettivamente espellendo Motta, c’è tutto quello che secondo alcuni basta sapere su Busquets. Uno dei giocatori più complessi e difficili da spiegare senza tirare in ballo la tattica e la storia del calcio contemporaneo ridotto a una simulazione e a un gesto francamente stupido e infantile. Se non è odio questo.


Luis Suarez

Il decennio di Luis Suarez si è aperto con il fallo di mano, sulla riga di porta, che è di fatto costato la semifinale del Mondiale 2010 al Ghana. Un gesto cinico e che per quanto efficace e drammaturgicamente fantastico (Gyan ha sbagliato il rigore e Suarez ha esultato da bordocampo) non può certo rientrare tra i momenti da ricordare con simpatia. È proseguito poi con il litigo con Patrice Evra che lo ha accusato di razzismo, cosa che gli è costata anche una sospensione e una multa da 40k sterline (ragion per cui, forse, due anni dopo è stato Suarez a rifiutarsi di stringergli la mano), e con il fallo di mano con cui il Liverpool ha eliminato in FA Cup una squadra di un centinaio di categorie inferiori, il Mansfield Town. Poi ha ricominciato a mordere la gente. Nel 2010 lo aveva già fatto con la maglia dell’Ajax e nel 2013 se l’è presa con il terzino/centrale del Chelsea, Ivanovic, per cui il primo ministro inglese dell’epoca Cameron lo ha definito “il peggior esempio possibile”.

Poi ha scelto di mettersi in mostra ancora una volta in un Mondiale, quello brasiliano del 2014, stavolta lasciando il segno dei propri denti (da cui, se non lo sapete, si possono identificare l’identità dei corpi carbonizzati: esiste qualcosa di più personale?) sul petto di Giorgio Chiellini, per cui è stato squalificato per 9 partite, con un multa di 100k franchi svizzeri e una sospensione di 4 mesi da qualsiasi attività sportiva (per cui ha saltato la prima parte della sua prima stagione con il Barcellona). Luis Suarez è odiato come uno che è troppo pazzo per poter giocare con gli altri, per far parte della società civile forse. D’altra parte parliamo di uno che, leggenda vuole, a 15 anni ha dato una capocciata in faccia all’arbitro. A Suarez abbiamo dedicato uno dei nostri longform più sentiti, umanamente non condividiamo nessun tipo di giudizio lapidario (ma questo vale per tutti i giocatori presenti in questo pezzo) e calcisticamente non possiamo che ammirarne il potere, però ecco, insomma, anche a noi non sta proprio simpaticissimo.


Diego Costa

Diego Costa è un barbaro, nel senso di una persona che non rispetta le più basilari regole della società civile.

Questo è in sostanza ciò che lo rende unico e anche più forte di quanto i suoi valori tecnici (comunque sottovalutati) gli avrebbero permesso. Nessuno in questo decennio, ma forse neanche in tutti i precedenti, ha giocato come lui. Facendo del calcio una guerra fisica e nervosa di novanta minuti. E insomma se sei un difensore che deve marcare Diego Costa è difficile non odiarlo, anche perché è lui stesso che lo vuole, per nutrirsi del tuo odio come una creatura maligna. Ma se sei uno spettatore con un pizzico di attenzione in più all’estetica e meno alla morale non puoi non amare Diego Costa.


Pepe

Se vi sta antipatico Pepe provate a vedere il video, che poi è una pubblicità per la Umbro, in cui si commuove dopo che il padre racconta dei sacrifici fatti per comprargli il suo primo paio di scarpini. Ok, adesso provate a vedere uno qualsiasi dei video su YouTube dedicati ai suoi falli pazzi e altri gesti antisportivi, video con titoli come: “Pepe - pure evil”, “Pepe The Killer”, “The moment of Psycho”. Anche in questo caso parliamo di un giocatore capace di travalicare i limiti del gioco duro e cinico per sconfinare nel terreno delle azioni così disturbanti, e così frequenti, che meno male che Pepe è uno solo perché se il calcio fosse giocato solo da gente come lui forse ci sentiremmo in colpa a guardarlo.


Riccardo Montolivo

Riccardo Montolivo ha giocato sette anni nel Milan e sette nella Fiorentina. Di entrambe le squadre è stato capitano, uno dei giocatori più rappresentativi e, almeno in quel momento, uno dei più importanti dal punto di vista tecnico. Eppure in nessuna delle due squadre ha lasciato ricordi piacevoli.

I tifosi viola non gli perdonano la decisione di non rinnovare il contratto con la squadra nel 2011, aspettando la fine del contratto per poter andare in una squadra da lui ritenuta più importante e non permettendo al club di incassare soldi dalla sua cessione. I tifosi del Milan lo associano all’inizio dell’epoca buia, visto che Montolivo è arrivato esattamente l’anno dopo in cui i rossoneri hanno definitivamente smesso di vincere. Con la fascia al braccio Montolivo era il simbolo della loro decadenza, e in più prendeva un sacco di soldi!

Poi non gli perdonavano la lentezza, l’incostanza, la fragilità mentale, l’assenza di carisma. Tutte pecche probabilmente più immaginarie che reali visto che Montolivo - prima che si rompesse il ginocchio nel 2014 e in parte anche dopo - è stato tra i migliori centrocampisti italiani del decennio (ed è vero che non abbiamo avuto un decennio esaltante, ma insomma). Montolivo però fa parte di quella categoria di calciatori - a cui appartiene per esempio anche Ranocchia - verso cui i tifosi italiani hanno sviluppato un bias cognitivo. Da una parte perché umanamente troppo distanti dalla nostra immagine di “calciatore forte”; dall’altra forse perché finiti in contesti troppo grandi per loro, che li hanno degradati a capri espiatori.

All’inizio di questa stagione Montolivo ha annunciato il suo ritiro, ad appena 34 anni, e il suo epilogo contiene un’amarezza esagerata persino per una delle carriere più malinconiche del decennio. Parlando del suo ultimo periodo al Milan, in cui era stato messo fuori rosa, ha descritto una situazione che non dovrebbe appartenere a nessun lavoratore in qualsiasi contesto: «Ho vissuto un’esperienza surreale. Mi facevano allenare da solo, da solo o insieme a Halilovic. Giusto al torello partecipavo. Nelle partitelle tra la prima squadra e le riserve o la Primavera giocavo sempre con le seconde e venivo impiegato in tutti i ruoli tranne nel mio. Mi hanno condannato a smettere. E non ho avuto neppure la possibilità di salutare i tifosi dopo sette anni». La cosa più triste è che forse nessun tifoso voleva salutarlo, Riccardo Montolivo.


Alessio Cerci

Tutti odiano Cerci, scrivevamo tempo fa. Per varie e differenti ragioni, ma nessuna tifoseria tra quelle che ci hanno avuto a che fare ne hanno un buon ricordo, su di lui girano voci assurde tipo quella del gatto al guinzaglio e difficilmente uno spettatore neutro italiano può provare pietà per uno che cambiando squadra e campionato viene rappresentato pubblicamente dal post della fidanzata che dice: “Ce ne andiamo nel calcio che conta”. Per poi letteralmente buttare la propria carriera. O da un giornalista che paragona a lui Robben facendolo diventare un meme. Ad agosto ha firmato con la Salernitana e dopo 4 partite e un nuovo infortunio sembra già vicino all’addio. A 32 anni difficilmente Cerci può dare un nuovo senso alla sua carriera e per alcuni la sua faccia continuerà per sempre ad essere fonte di fastidio.


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