In questi giorni, una volta di più, il calcio è stato eletto a teatro simbolico e fisico dei conflitti socio-politici. È una cosa “troppo grande” per chiedere che venga risparmiata, ma anche troppo fragile per dare scontato che resista nonostante tutto. Ieri sera è circolata la notizia che all’interno di un’ambulanza fuori dallo stadio di Hannover dove si doveva giocare l'amichevole tra Germania e Olanda fosse stato ritrovato del materiale esplosivo: la partita è stata annullata e lo stadio evacuato, il presidente della polizia di Hannover ha dichiarato che l’intenzione originaria era di innescarlo all’interno dell’edificio.
Solo dopo alcune ore è stato accertato che non era presente alcun materiale esplosivo. Una dinamica che sembrava simile a quella di venerdì sera, quando tra le 21 e 15 e le 22 tre attentatori si sono fatti esplodere all’esterno dello Stade de France, provocando la morte di 3 persone. Anche in quel caso pare che il piano originario prevedesse un’esplosione all’interno dell’edificio, ma l’attentatore non è riuscito a sfuggire ai primi controlli.
Dentro lo stadio si sentono due denotazioni che hanno un suono diverso da quello dei petardi o delle bombe carta che associamo facilmente a un campo da calcio. L’espressione di Evra dopo la seconda esplosione rivela la sensazione che stesse succedendo qualcosa di eccezionale, un'espressione che sembra mettere in discussione il suo ruolo e la sua stessa identità: "Che succede? Sicuri che dobbiamo continuare a giocare a pallone? Sono ancora un calciatore?".
Gli unici in campo ad essere al corrente della situazione erano i due commissari tecnici, che però hanno deciso di non dare notizie ai propri giocatori. La partita è quindi andata avanti, con dei giocatori costretti a offrire uno spettacolo inconsapevole di fronte a milioni di spettatori consapevoli. La decisione di non sospendere l’incontro è stata presa dallo stesso Hollande per ragioni di sicurezza; e anche tra il pubblico, la notizia degli attentati è iniziata a circolare solo verso la fine dei novanta minuti.
È strano guardare adesso gli highlights della partita. Prima della partita, il pallone è stato consegnato all’arbitro da una Volkswagen telecomandata; giocatori e pubblico esultano dopo i gol: tutto sembra ballare su un equilibrio sottile tra il rispetto della grammatica dell’evento calcistico e la sua violazione, che poi arriva definitiva dopo il fischio di gara, quando il pubblico occupa il prato di gioco. Non sono invasori, non stanno festeggiando, non esultano: sono ancora il pubblico di una partita di calcio?
Secondo il Guardian i giocatori di entrambe le squadre hanno passato la notte negli spogliatoi, dormendo su dei materassini; e i giocatori francesi avrebbero chiesto di non lasciare lo stadio prima dei loro colleghi tedeschi. Tra i giocatori della Francia due di loro sono stati più direttamente coinvolti negli attacchi. La sorella di Antoine Griezmann era al Bataclan per il concerto degli Eagles of Death Metal e il giocatore ha twittato prima un messaggio che sembrava senza speranza. Qualche ora dopo ha però ha scoperto che la sorella è uscita viva dalla sala:
Lassana Diarra, invece, ha perso la cugina durante una delle sparatorie. Il messaggio del centrocampista dell’OM è stato uno dei più profondi ed emozionanti di questi giorni:
Il punto di vista dei calciatori all'interno della nostra società in questi casi è contrastante, per come la “normalità” della tragedia colpisca persone che solitamente non ci appaiono affatto “normali”. Perché le parole di Diarra ci commuovono, perché ritwittiamo anche i gesti più semplici di solidarietà?
Al di là delle singole storie c’è la funzione dello sport che fa da cassa di risonanza emotiva e ideologica, il calcio che viene usato da tutti, anche da chi vuole esprimere dissenso per primo, distinguendosi dal clima di generale cordoglio, come è successo a Istanbul durante l'amichevole tra Turchia e Grecia:
Ma anche all’interno dello stadio irlandese, durante lo spareggio Irlanda – Bosnia, qualcuno pare aver gridato: «Palestina, Palestina!». Anche se si è poi scoperto che si trattava di un unico tifoso bosniaco ubriaco:
Secondo alcuni il pubblico turco cantava “Allah è grande”; altri dicono invece che i fischi erano rivolti verso i terroristi e che quello di fischiare è un modo tradizionale di svolgere questo tipo di commemorazioni in Turchia. Fatih Terim, allenatore della Turchia, ha dichiarato: «Non possiamo dipingere noi stessi in questo modo. Quando il pubblico si comporta così diventa difficile spiegare cosa sta succedendo al resto del mondo». Il capitano Arda Turan ha twittato una foto con i due primi ministri di Turchia e Grecia, richiamando alla funzione “unificatrice” del calcio:
Il calcio vive in un paradosso. Se da una parte rappresenta uno specchio in grado di offrire uno spazio di riflessione simbolica grande, dall’altra l’immagine che riesce a riflettere sembra sempre troppo piccola e inadeguata. Difficilmente i calciatori riescono a esprimere delle posizioni che siano all’altezza della situazione, e nonostante in molti si siano espressi riguardo i fatti di Parigi, in pochi hanno rilasciato un messaggio che si distinguesse per autorevolezza. Ci ha provato Omar El Kaddouri, che partendo da intenzioni lodevoli ha sentito la necessità di distinguere tra gli attentatori e la comunità islamica, riflettendo senza volerlo un'ulteriore contraddizione della nostra società:
Una foto pubblicata da Omar El Kaddouri (@oekaddouri) in data: 14 Nov 2015 alle ore 05:09 PST
Ci ha provato un altro giocatore del Napoli, Faouzi Ghoulam, che ha parlato di “vigliaccheria”, anche se i tweet di risposta dei suoi fan non erano tutti d’accordo col giocatore algerino.
Juan Mata, invece, ha preferito dedicare qualche riga di cordoglio in un post del suo blog, intitolato però “Un altro buon test di preparazione”: il messaggio è stato incastrato nel paragrafo centrale di un pezzo in cui si parla soprattutto di calcio. David Beckham ha rilasciato delle dichiarazioni abbastanza istituzionali all’interno di una sede istituzionale, Anche se si è preso qualche secondo per parlare di sé stesso:
Mehdi Benatia ha prima rilasciato un messaggio su Instagram nel quale ci tiene a sottolineare quanto la religione non c’entri con il terrorismo.
Una foto pubblicata da Medhi Benatia (@m.benatia5) in data: 14 Nov 2015 alle ore 07:37 PST
Poi ha ritwittato lo sdegno di Ricardo Faty (anche lui ex-Roma) nei confronti della prima pagina di Libero.
Persino la NBA, che non si è fermata in quelle ore, ha reagito emotivamente, cominciando da LeBron James che ha twittato sconvolto poco prima di scendere in campo:
Marco Belinelli usa le scarpe per salutare la scomparsa di Valeria Solesin, la ragazza italiana che ha perso la vita al Bataclan.
Something more important than a basketball game ...ciao Valeria #prayforparis
Una foto pubblicata da Marco Belinelli (@mbeli3) in data: 15 Nov 2015 alle ore 21:07 PST
Addirittura, durante la partita tra New York Knicks e New Orleans Pelicans è stata suonata "La Marsigliese".
Tra i Knicks c’era Kevin Séraphin, un cestista francese che ha detto di essersi commosso durante l’inno ma che non poteva piangere davanti alle telecamere. Per esprimere vicinanza ha disegnato nei suoi capelli.
Mentre Lou Amundson, sempre dei Knicks, si è fatto una treccia alla francese: «La mia ragazza è parigina, è solo un piccolo gesto per esprimere solidarietà».
Anche in Serie B, con una eco decisamente minore, ma non per questo di minor valore, si è sentito il bisogno di esprimere solidarietà suonando l'inno francese oltre al minuto di silenzio. Leonardo Morosini, giocatore del Brescia, ha addirittura chiesto a un suo compagno di tenere la bandiera francese in caso avesse segnato, ed è corso a baciarla dopo una splendida azione solitaria: «Non sarei riuscito a esultare come per gli altri gol» (Morosini racconta anche che i tifosi sono restati in silenzio per i primi dieci minuti).
Il fatto, però, che gli attacchi siano coincisi con la settimana delle partite delle Nazionali ha inevitabilmente reso il calcio il luogo deputato a messaggi istituzionali. L'Inghilterra aveva già osservato un minuto di silenzio durante una sessione di allenamenti:
E ieri sera, a Wembley, ha ceduto il proprio inno nazionale alla Francia. Thierry Henry ha ricordato che 5 ore dopo l’attacco alle torri gemelle è dovuto scendere in campo con l’Arsenal in una partita contro il Maiorca: «Quando le Torri Gemelle sono state attaccate l'11/9, tutti si sentivano americani. Quando Londra è stata devastata dagli attacchi alla metropolitana nel 2005, siamo diventati tutti britannici. Questa sera a Wembley, il mondo intero sarà il francese». Il giorno della partita il Daily Mirror ha dedicato la prima pagina alla "Marsigliese".
Lo stadio era colorato di bianco, rosso e blu. All’ingresso sono comparse le scritte “Liberté, Égalité, Fraternité”.
Durante l’inno lo schermo ha proiettato il testo e lo stadio ha cantato all’unisono (anche se l'orchestra copriva l'effetto delle voci del pubblico ed è difficile rendersi conto dell'effettiva partecipazione).
Sulle parole “aux armes citoyens” Lassana Diarra resta in silenzio.
E nello sguardo a terra di Diarra, cresciuto a Belleville, vittima della tragedia di venerdì, nella sua impossibilità di cantare, si riflettono forse tutte le contraddizioni e le paure della Francia e dell'Europa moderna. In questo senso, forse, il calcio non è né troppo grande, né troppo piccolo, ma solo un parte della società e del tempo in cui viviamo.
Update: nelle ultime ore è stata fatta chiarezza su cosa si cantava nello stadio di Istanbul: "şehitler ölmez vatan bölünmez", ovvero: "I martiri muoiono per una patria indivisibile", in riferimento probabilmente ai due soldati morti, proprio ieri, nell'est del Paese.