C’è un multiverso nel quale l’ipercompetitività, la tattica e i fisici tecnologicamente modificati del calcio moderno sono calati nel contesto di un paradiso entusiasta di spiagge bianchissime, ritmi compassati e musica ad alto volume. Un multiverso in cui lo sport più popolare al mondo si chiama Beach Soccer.
Nell’immaginario collettivo il calcio da spiaggia è qualcosa di circense, o di goliardico, simile alle nostre partite vicino al bar dello stabilimento “da Nando” oppure lo scenario perfetto per uno spot pieno di calciatori con un look balneare. Al limite lo immaginiamo come il buen retiro di vecchie glorie troppo anziane per continuare a far bella figura su un campo vero ma allo stesso tempo ancora abbastanza giovani e talentuosi da non risultare ridicoli con una palla tra i piedi (qua, per spiegarmi meglio, due gol di Paolo Di Canio e Eric Cantona).
In parte è vero. In parte no.
Quanta parte del nostro immaginario è ormai un prodotto del capitalismo? Risponderemo magari in un altro pezzo. Qui si parla di beach soccer.
Calcio e beach soccer sono lontani tra loro quanto lo sono l’equitazione come disciplina olimpica e le cariche della fanteria montata, che pur condividendo la presenza di un cavallo non hanno niente in comune. Tanto per cominciare le gerarchie interne allo sport coincidono in alcuni casi: tipo il Brasile che ha vinto l’ultimo Mondiale; ma sono agli antipodi in molti altri: una delle Nazionali più forti, per dire, è quella di Tahiti (qua impegnata in una bella Haka), perché la tradizione, la cultura e le infrastrutture segnano sempre la differenza.
Ho selezionato 10 fondamentali e tricks del beach soccer da conoscere e interiorizzare in previsione delle partitelle allo stabilimento “Da Nando”, e per rendere il più attuale possibile questo pezzo li ho presi appunto dall’ultimo Mondiale di Beach Soccer, conclusosi domenica scorsa.
Se giochi in porta, non devi per forza rimanere in porta.
Se nel calcio moderno per un portiere saper o non saper giocare coi piedi è una discriminante fondamentale per l’affermazione, nel beach soccer è una condicio sine qua non per scendere in campo. Il portiere deve saper contribuire con tiri da lontano, se necessario, come spesso accade nel beach soccer, autoassistiti: che è poi esattamente quello che fa, qua contro il Messico, il portiere dell’Iran Hosseini con un pregevole assist-scavetto fai-da-te.
Questa duna / può essere ferro / o può essere piuma.
Le dune sono la variabile impazzita del beach soccer: possono essere amici fidati o haters con il dente avvelenato. Saperne mettere in conto la malvagità, e impegnarsi a sfruttarne le potenzialità, è il segreto che si insegna a ogni piccolo calciatore da spiaggia per trasformare la sabbia in un’arma letale.
Qua, per esempio, il senegalese calcia volutamente la palla verso terra per farle prendere velocità e quel giro impossibile da prevedere per il portiere avversario.
L’unica maniera giusta per viverla serenamente è farcisi una risata su, come il povero portiere delle Bahamas.
La Bastarda
Variante più smargiassa (e forse in mala fede) della manipolazione delle forze della natura: ricorda la polvere che butti negli occhi dell’avversario in una rissa, e proprio come quel gesto ho una bella manciata di riserve, in tasca, su quanto sia lecita (e soprattutto elegante).
Il portiere dell’Ecuador, in effetti, non la prende proprio benissimo: c’è un istante preciso, se riuscite a fermare il video al punto giusto, in cui si può intravedere il suo cuore frantumarsi, e gli occhi riempirsi di sabbia.
Giochi di mano, giochi da villano
Ok, siamo sicuri sicuri che valga una cosa del genere? Voglio dire: tirare la palla lontanissima con le mani, farla rimbalzare sulle dune e godersi l’umiliazione del portiere avversario quando gli passa sotto le gambe?
La “Torretta”
Nella tedesca, il gioco da strada, il particolare gol segnato dopo un tocco ciascuno da parte di tutti i partecipanti viene chiamato “Torretta”. Nel beach soccer, palleggiarsi il pallone senza fargli toccare terra non è un vezzo per mortificare gli avversari, ma una necessità, perché è più semplice controllare la palla per aria che sulle dune.
In questo gol di Tahiti c’è tutta la perfezione di un gol da beach soccer: coordinazione, passaggi precisi e volanti, zero spargimento di sabbia. Ancora più bello quello del Giappone scelto sopra. (Nella variante di tedesca che giocavo io quando ero ragazzino, in cui spalletta toglieva tutti i punti al portiere, avremmo passato ore a litigare su quanto questo gol di Gori fosse da considerarsi spalletta o semplice colpo di pettorale).
Look = Mood
Per giocare al beach soccer in maniera credibile bisogna sposare un po’ di cliché legati alla spiaggia, al sole, all’estate e a tutto quello che significa giocare a calcio in questo tipo di contesto. Il Giappone, per esempio, ha in squadra una summa di tutti i fenotipi da spiaggia. Ricordatevi perciò di arruolare sempre almeno un compagno ossigenato, uno coi capelli afro raccolti in una bella coda e un oriundo, meglio se abbronzato già.
Come si fa un passaggio sulla sabbia?
Giocare palla a terra, sulla sabbia, è una scelta azzardata, un po’ suicida, ma non impossibile: il Senegal, per esempio, ci è arrivato fino ai quarti di finale con un gioco fatto di azioni manovrate e laser pass, per quanto il laser possa rispondere sull’arena.
Con un bel set di abilità, sensibilità e delicatezza nel tocco di palla un assist può essere perfetto anche sulle rocce appuntite di una scogliera o sull’olio per motori, figuriamoci sulla sabbia.
Effettuare uno scatto
Per scattare e prendere un metro all’avversario nel beach soccer, coi campi dalle dimensioni ristrette e soprattutto fatti di sabbia, non ci vogliono solo una grande reattività e resistenza nelle caviglie: bisogna proprio averci i cingoli in qualche modo montati sotto i piedi, che è poi - a quanto pare - esattamente quello che ha Mauricinho. Qua, contro l’Italia, sembra una dune buggy di Mad Max, per dire.
La cosiddetta Tecnica Individuale
Anche se la superficie di gioco impervia ostacola la giocoleria, ciò non significa che nel beach soccer non serva avere una grande sensibilità sia in fase di tocco (specie aereo) che di tiro (caratteristiche nelle quali, in effetti, i calciatori da spiaggia eccellono). Dopotutto nella sua essenza più profonda il beach soccer è futebol bailado: improvvisazione, swing, sole, mare, ogni fattore chiama al dribbling e al palleggio quasi coatto. Quei tipi di gesto, insomma, che sanno slacciare i gancetti dei reggiseno delle ragazze in bikini.
Sua Maestà La Rovèga
Esiste, nel calcio, in ogni emanazione e trasmutazione del calcio, un gesto tecnico più sexy della sbiciclettata? Eppure, il beach soccer riesce a trasformare un’esperienza estetica sublime e appagante come La Rovesciata in una banalizzazione. In una partita di beach soccer si effettuano, in media, una settantina di tiri a partita: un buon 40% è in rovesciata. In Italia-Nigeria, ad esempio, finita 12 a 6, 5 gol sono stati segnati in rovesciata. Rovesciate inventate dal nulla, dopo un primo controllo impossibile, perfette nella tensione delle gambe: e sempre, davvero sempre, rovesciate molto coatte, che ti aspetti subito una dab-dance.
Nel beach soccer, la rovesciata è un gesto che viene spogliato di tutta la sua storica portata mitica, per un semplice fatto: perché alzarsi il pallone sulla testa, e capovolgersi per colpirla, è prima di tutto un gesto pragmatico.
Peccato solo che quando ti rialzi, tutto insabbiato, non c’è il mare a portata per tuffarsi, prima di un gelato al tramonto.