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Il calcio è entrato nell'iperreale
14 gen 2021
Tra VAR, televisioni e stadi chiusi è sempre più difficile distinguere tra una partita e la sua trasmissione.
(articolo)
17 min
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4 ottobre 2020, ore 20:45. All’Allianz Stadium di Torino va in scena uno spettacolo surreale. I giocatori della Juventus attendono il Napoli, ma il Napoli non c’è. Il giorno prima ha cancellato il volo per Torino in seguito alle indicazioni dell’ASL locale. Nella squadra si erano infatti verificati alcuni casi di positività al coronavirus – Zielinski ed Elmas - e le restrizioni erano state imposte per evitare contagi. L’Allianz Stadium è vuoto, in virtù delle regole che impediscono fenomeni di aggregazione. La partita non può svolgersi. Eppure la diretta televisiva va in onda regolarmente, mostrando un campo vuoto, e spalti vuoti.

Juventus-Napoli è la partita simbolo del nuovo calcio in tempi di pandemia. Tempi in cui il calcio, e quasi tutto lo sport, ha cambiato le proprie condizioni di esistenza. Per citare il filosofo Jean Baudrillard, è tutto il calcio a essere ormai da tempo nell’ordine dell’iperreale: una continua generazione di modelli e simulazioni senza referenti, rappresentazioni di un reale che non ha origine. La mediatizzazione dell’evento sportivo, la sua diretta televisiva, sono ormai da tempo l’unica cosa che conta, per citare, almeno in parte, lo slogan che accompagna la Juventus. Eppure il problema non consiste, pedantemente, nell’evocare il ritorno a un calcio originale e immacolato dagli interessi mediatici. Il problema è che lo sport iperreale ha ormai cambiato le condizioni stesse per poter pensare, parlare, e giocare al gioco.

Facciamo un passo indietro di 30 anni. Tra il gennaio e il marzo del 1991 il filosofo Jean Baudrillard pubblica sul quotidiano francese Liberation tre articoli dal titolo: ‘La Guerra del Golfo non avrà luogo’; ‘La Guerra del Golfo non sta avendo luogo’; ‘La Guerra del Golfo non ha avuto luogo’. Negli stessi giorni le truppe della coalizione guidata dagli Stati Uniti conducono l’operazione Desert Storm contro l’Iraq di Saddam Hussein, colpevole di avere invaso il Kuwait. Il conflitto si risolve in pochi giorni e pone termine alla Guerra del Golfo. Gli interventi di Baudrillard sembrano negare l’evidenza. La Guerra del Golfo è stata pianificata, portata avanti e conclusa, lasciando tracce indelebili nel territorio e nello scacchiere geopolitico globale negli anni a venire. Ma l’intento di Baudrillard non è di certo quello di negare i bombardamenti, la distruzione e la morte causate dal conflitto armato. Il suo obiettivo è mettere in dubbio la condizione di esistenza di questo evento.

La sua tesi principale è che la Guerra del Golfo trasmessa sui mezzi di comunicazione di massa ha sostituito, per ordine di importanza, l’evento reale. Il mondo occidentale non ha tanto seguito una guerra, quanto la sua messa in onda sugli schermi televisivi. E i tempi, i ritmi, e i linguaggi della guerra televisiva hanno ormai il sopravvento, al punto di influenzare le tempistiche dello scontro armato fino a renderlo del tutto irrilevante e superfluo. Lo stesso potrebbe dirsi della guerra in Vietnam: gli Stati Uniti potrebbero pure avere perso la guerra reale, ma hanno vinto nei film che si sono ispirati al conflitto, e che influenzano l’immaginario occidentale fino a sovrapporsi e a sostituire la nostra conoscenza collettiva dell’evento.

La Guerra del Golfo è il primo grande evento bellico a essere raccontato in televisione in quasi totale presa diretta. La CNN elabora un gigantesco show giornalistico, e imposta in quelle settimane l’estetica del giornalismo di guerra nell’era televisiva. Le truppe della coalizione hanno al seguito un numero significativo di giornalisti, di telecamere e fotografi. Il risultato del conflitto è scontato. La disparità di forze e di mezzi tra Saddam Hussein e la coalizione internazionale vede la seconda in netto vantaggio. La vera Guerra del Golfo, dunque, è quella che abbiamo visto sui mezzi di comunicazione di massa, tradotta in una dimensione iperreale: più reale del reale. La vera narrativa della guerra era un canovaccio dei registi della CNN.

Quasi trent’anni dopo, l’intera industria dello spettacolo sportivo si è progressivamente spostata nella iperrealtà. Abbiamo assistito alla spettacolarizzazione del transfer market nell’era del Milan di Berlusconi, all’arrivo delle televisioni di Murdoch, alla progressiva importanza acquisita dai fondi ricavati dai diritti televisivi e di sponsorizzazione. Il calcio si gioca sugli schermi tramite le pay tv, e tramite le console con videogiochi come FIFA e Pro Evolution Soccer. Il calcio giocato è sempre più quantificato, ai fini delle scommesse sportive e di match analytics. Tutte queste forme di mediatizzazione creano simulacri del terzo ordine, per dirla con Baudrillard: segni e immagini che suggeriscono la rappresentazione di qualcosa di reale, laddove il reale diventa sempre meno tangibile ed ermeneuticamente inaccessibile – come il calcio negli stadi in epoca di pandemia.

La crisi causata dal COVID-19 ha accelerato lo spostamento del calcio in una dimensione iperreale. La stagione calcistica 2019/20 si è conclusa con la vittoria della Juventus: un risultato prevedibile, e previsto, almeno quanto la vittoria degli Stati Uniti su Saddam Hussein nel 1991. Ma al tempo stesso, nella sua banalità, la stagione ha dimostrato che si può fare a meno dell’esperienza diretta dell’evento calcistico. Anzi, che già ne facevamo a meno senza rendercene conto. Gli stadi vuoti non cambiano, di fatto, il regolare svolgimento della competizione e non impediscono di parlarne. La stagione 2019/20 non è semplicemente un evento celato al pubblico dal vivo. Ha svelato l’ormai totale assimilazione del calcio nella dimensione dell’iperrealtà. La transizione cambia il gioco stesso, i suoi significati, la sua economia, i suoi tempi. Il calcio iperreale costruisce nuovi stadi, elabora nuovi schemi di gioco, porta nuovi sponsor.

La VAR precede la realtà

Il passaggio al calcio iperreale ha subito un’improvvisa accelerazione con l’introduzione della VAR nel giugno del 2017. L’"assistente video" dell’arbitro di gara ha cambiato il modo in cui le partite vengono capite, giocate e dirette, diventando in breve tempo imprescindibile nelle aspettative di giocatori ed emittenti televisivi. La VAR ha introdotto un nuovo ordine di realtà nell’interpretazione dell’evento sportivo: quello visto dalle telecamere ma non dall’occhio umano. Ed è questo successivo ordine di realtà a essersi rapidamente sovrapposto al precedente, fino ad obliterarlo.

Alcuni dei casi più eclatanti sono accaduti in Premier League. Nella stagione 2019/20 sono ben 109 i casi di decisioni arbitrali cambiate alla VAR, tra cui 34 reti annullate per fuorigioco, e 22 rigori. Alcuni casi sono eclatanti, perché arrivano nei minuti finali e dilatano la fine della partite. Manchester United-Brigthon del 26 settembre termina oltre il 100.esimo minuto per un rigore assegnato dopo il ricorso al VAR. Tottenham-Newcastle del giorno dopo viene pareggiata al 97’ dal Newcastle in simili circostanze. Il 17 ottobre succede l’incredibile. Un gol decisivo del Liverpool nel derby contro l’Everton viene annullato per un fuorigioco millimetrico. La VAR può cogliere un numero limitato di frame per secondo, e si stima che il suo margine di approssimazione sia di qualche centimetro. Ma nel calcio attuale le riprese della VAR precedono qualunque considerazione contingente. Il gol viene annullato, e l’impressione è che a deciderlo non sia di fatto nessuno dei partecipanti sul campo, nessuno spettatore umano. È l’immagine della VAR a decidere, seppure sulla base di costrizioni tecniche non dissimili da quelle dell’occhio umano.

La VAR permette di vedere falli prima invisibili, di fatto creandoli. Questo genera situazioni a volte paradossali, ma che fanno in un certo senso ancora parte del gioco. Eppure, il 18 giugno succede qualcosa di estremamente controverso. Lo Sheffield United va in vantaggio contro l’Aston Villa. La palla supera nettamente la linea. Ma la Hawk-Eye technology non segnala la rete. Il sistema Hawk-Eye, di proprietà di Sony, si basa su telecamere disposte nel campo che tracciano il pallone e segnalano all’arbitro quando la sfera ha completamente superato la linea di porta. Il modello riprodotto dalle telecamera è fedele fino a 3.6 mm rispetto all’evento reale. In quel caso, la visuale delle telecamere era occlusa, e l’assegnazione automatica non è arrivata all’arbitro.

Sorprende, rivedendo la scena, le proteste moderate dei giocatori dello Sheffield. Il portiere dell’Aston Villa, Örjan Nyland, trascina la palla nettamente dentro la porta, eppure la segnalazione dell’Hawk-Eye precede la fiducia in quello che si è visto con i propri occhi. Sui giornali del giorno dopo la stampa nota come per gli arbitri di gara la fiducia nel sistema Hawk-Eye sia totale, al punto da non venire contestato neppure dagli arbitri assegnati alla VAR. La Hawk-Eye rilascerà delle scuse ufficiali il giorno dopo allo Sheffield United. Ma non si riesce a immaginare un’alternativa. Il modello della partita generato dalla Hawk-Eye ha sostituito la percezione stessa della partita, nonostante i suoi margini di errore. È dunque possibile immaginare che simili occlusioni, come quelle messe in atto involontariamente dai giocatori dell’Aston Villa, possano diventare parte della strategia di gioco in un immediato futuro. Se quello che vedono le telecamere precede gerarchicamente la visione umana, è il gioco stesso ad adattarsi alla presenza della sua riproduzione digitale.

Possiamo segnalare casi meno hi-tech, come quello di Hakan Arslan, capitano del Sivasspor, che il 28 dicembre 2020 si è fatto espellere da una partita contro il Besiktas nella lega turca per avere mostrato all’arbitro un video sul cellulare che mostrava un suo errore. Arslan si è fatto prima ammonire per l’insolito gesto, e ha poi preso il secondo cartellino per la violenta reazione quando l’arbitro non ha accettato la prova video. A ben vedere, la sua rabbia è motivata, perché segue un nuovo ordine di realtà e razionalità rispetto a quello, arcaico, dell’arbitro. La rappresentazione mediatica dell’evento, per Arslan, precede gerarchicamente il ricordo dell’esperienza dal vivo.

Chiudiamo col portiere del Botafogo, Gatito Fernandez, che al termine di una partita contro l’Internacional, il 29 agosto, persa per 0-2 e con due gol del Botafogo annullati dal VAR, prende a calci le telecamere del video-assistente. The revolution will not be televised.

Tifoso da tastiera

Il lockdown ha complicato il ruolo dello spettatore dell’evento calcistico. Mentre un tempo la distinzione tra spettatore dal vivo e quello televisivo o radiofonico era netta, adesso la partecipazione all’evento live ha cambiato di significato. Gli stadi vuoti si riempiono di cartonati dei tifosi per farli sembrare meno desolati. I danesi dell’AGF allestiscono delle dirette Zoom per i propri tifosi e installano i monitor al posto dei sedili degli spalti, in modo da fare apparire i volti dei sostenitori allo stadio. La Yamaha produce Remote Cheerer, una app che permette ai tifosi di tifare a distanza. La app registra le urla e i cori del tifoso che segue, presumibilmente, la partita da casa. Il tifo viene proiettato dagli altoparlanti installati allo stadio. Il 13 maggio la Yamaha conduce un esperimento allo Shizuoka Stadium ECOPA in Giappone. Ma lo stadio è, per l’appunto, vuoto, e come il proverbiale albero che cade nel deserto l’esperimento non ha testimoni, e non lascia alcuna prova della sua riuscita o del suo impatto sui giocatori, o dell’effetto ottenuto sugli spalti.

Mentre gli stadi si svuotano aumentano esponenzialmente gli eventi ufficiali di eSports, ovvero le competizioni di videogiochi. Dal 15 al 19 aprile 2020, FIFA ed Electronic Arts collaborano alla realizzazione di EA Sports FIFA 20 Stay and Play Cup, una serie di tornei del videogioco FIFA 20 con calciatori reali. Gli eventi sono trasmessi da Twitch, la piattaforma di proprietà di Amazon dedicata allo streaming di videogiochi ed eSports. Tra le italiane era presente la AS Roma, guidata da Justin Kluivert, che gioca dal salotto di casa sua. A inizio aprile una simile iniziativa aveva coinvolto il mondo del football americano con la competizione EA Sports Madden NFL 20. Per tutto il lockdown la EA ha continuato a organizzare eventi simili che uniscono calciatori reali e professionisti di eSports.

I tifosi di calcio si trovano dunque a seguire i calciatori reali giocare partite virtuali, mentre le partite reali sono prive di tifosi reali. Gli stadi si riempiono di fantocci di cartone, stampe e altoparlanti che proiettano cori di tifosi pre-registrati, o dal vivo (la differenza è impercettebile, e dunque indecidibile). Il calcio è seguito unicamente via streaming. Che l’originale sia in uno stadio o in una console di videogiochi è poco importante. Se il mezzo è il messaggio, come diceva il massmediologo canadese Marshall McLuhan, possiamo concludere che da quando tutto il calcio diventa digitale ed elettronico la distinzione tra evento reale e simulato cessa di avere alcuna importanza. Ogni forma di calcio è assimilata sul piano della mera trasmissione di dati. Il referente reale a cui questi dati fanno riferimento e che dovrebbero rappresentare è imperscrutabile, e tutto sommato irrilevante per il nuovo tifoso da pandemia.

Emergono intanto nuove strutture, economie parallele e soluzioni tecnologiche per assecondare il nuovo calcio simulacrale. Electronic Arts, la stessa organizzatrice del trofeo da pandemia in collaborazione con FIFA, inizia a collaborare con La Liga spagnola per ammodernare gli stadi. L’accordo prevede che fino al 2030 venga offerta una consulenza su come adattare la diretta delle partite e ovviare all’ingombrante assenza dei tifosi. Sugli spalti è prevista pubblicità virtuale, che potrebbe anche essere personalizzata in base alle abitudini di consumo dello spettatore da casa, e la proiezione di tweet dei tifosi. Gli effetti sonori e le inquadrature sono adattate al nuovo scenario, ormai privo di spettatori ma non di attori. La ripresa televisiva della partita di calcio deve diventare sempre più simile a quella di un videogioco, che a sua volta si ispirava alla prima.

La svolta dettata dalla pandemia accelera quella che Andy Miah, docente presso l’università di Salford, definisce una transmedia architecture degli stadi di nuova generazione. I nuovi stadi vengono progettati ormai da diversi anni pensando non solo all’evento sportivo tradizionale, ma anche a eventi di intrattenimento di vario genere. Gli eventi di eSports, da giocare con pubblico dal vivo, iniziano a dettare la struttura degli stadi di nuova generazione. La sfida è preparare le strutture non solo per eventi che devono essere ripresi dalle telecamere, ma che avvengono già, in un certo senso, all’interno di uno schermo. I nuovi stadi transmediali non devono essere dunque solo flessibili a ospitare numerosi sport, concerti e cerimonie, ma anche molteplici ordini di realtà. Il pubblico dal vivo di fatto segue sui maxischermi non una rappresentazione dell’evento sportivo, ma l’evento stesso, lo stesso file eseguito sui monitor dei giocatori di eSports. I nuovi stadi devono anche adattarsi a immagini in Augmented Reality, visibili solo con le telecamere degli smartphone, che possono essere usati per trasmettere informazioni e statistiche sull’evento sportivo, o per arricchire l’esperienza sugli spalti.

Ad esempio, nel 2017 la finale del videogioco competitivo League of Legends si disputa allo stadio di Pechino, e la sua cerimonia di apertura include un drago volante tra il pubblico, visibile solo dalla telecamera degli smartphone. La finale europea di Pro Evolution Soccer si sarebbe dovuta giocare a Londra allo stadio di Wembley, che a sua volta ha fatto il tutto esaurito nel 2017 per la fase finale della eSports Championship Series. Queste iniziative, unite alle soluzioni tecnologiche e architettoniche che spesso le accompagnano, suggeriscono la sempre maggiore assimilazione dell’evento sportivo con la sua mediatizzazione digitale.

Gli eSports non esistono solo parallelamente allo sport convenzionale, ma per certi versi ne rappresentano una versione più adatta alle condizioni di consumo dello sport ai giorni nostri. Gli eSports non hanno bisogno di telecamere o di essere digitalizzati, perché esistono in primo luogo sui computer e sulle console su cui vengono guardati. Notano ad esempio Stephanie Boluk e Patrick Lemieux, nel libro Metagaming, che piattaforme online come Steam non fanno differenza tra il tempo di gioco e il tempo di streaming. Guardare e giocare agli eSports è fondamentalmente equivalente in termini tecnici, e non sembra essere percepito diversamente dai giocatori/spettatori. In entrambi i casi, giocare e guardare comporta uno streaming di dati. L'esplosione di Twitch è una logica conseguenza, una piattaforma dal valore ancora tutto da esplorare non solo per gli eSports, ma anche per lo sport in generale.

Pertanto, e proprio in virtù della loro natura digitale, gli eSports sono anche utilizzabili per le scommesse. Il mercato del betting sugli eSports è letteralmente esploso negli ultimi anni, e sembra quasi destinato a superare quello dello sport ‘normale’ in tempi di pandemia. I fattori su cui scommettere non devono essere quantificati da agenzie di betting, ma sono già calcolati dagli stessi supporti tecnologici che rendono possibile l’esperienza di gioco. Negli ultimi anni le scommesse sugli eSports hanno alimentato un mercato nero, talvolta basato sulle valute virtuali usate all’interno dei videgiochi stessi: i giocatori scommettono sui videogiochi usando i soldi guadagnati giocando, di solito usati per comprare upgrade o nuovi personaggi. Un fenomeno che ha portato grandi piattaforme per il gaming come Steam e Twitch ad agire contro questo mercato parallelo. Non tanto per motivi etici, ma per capitalizzare questo flusso economico all’interno delle piattaforme stesse.

Il tifo ai tempi della pandemia vive dunque in un condizione in cui sono ormai annullate le differenze tecniche e ontologiche tra evento dal vivo e evento mediatizzato.

Gioco sterile

Due immagini si proiettano sul futuro dello sport, entrambe datate maggio 2020.

La prima, il crash delle macchine virtuali del videogioco iRacing, guidate dai piloti reali della serie Indycar. Fermati dalla pandemia, gli organizzatori del torneo Indycar decidono di spostare le ultime corse della stagione nel videogioco, una perfetta simulazione della corsa reale. iRacing è talmente realistico da essere considerato dai piloti stessi come una fedele riproduzione dell’esperienza su pista. Nell’ultimo, decisivo circuito di First Responders 175, il pilota Simon Pagenaud decide di inchiodare e scatenare un incidente a catena. Eliminate le conseguenze fisiche di un incidente del genere, una mossa altamente scorretta nella realtà diventa improvvisamente strategica nella simulazione.

La seconda immagine sono le bambole gonfiabili posizionate sugli spalti dal Seoul FC nello stadio svuotato dai tifosi reali.

Lo sport iperreale è un gioco sterile come una bambola gonfiabile, e sterilizzato dalla presenza dei corpi degli atleti e degli spettatori. Gli stessi corpi che scompaiono e rendono innocui gli incidenti della serie Indycar. Corpi che scompaiono progressivamente anche dall’atto stesso di giocare. La mossa di Pagenaud potrebbe, a questo punto, essere eseguita da intelligenze artificiali piuttosto che da un pilota reale che manovra un controller di un videogioco. A tutti gli effetti, la strategia con cui si è conclusa la serie Indicar non è quella di un pilota umano, ma di un giocatore che agisce come una intelligenza artificiale. Ovvero, un giocatore che cerca la strategia più rapida possibile per raggiungere il traguardo, senza preoccuparsi se queste strategie, una volta rappresentate su schermo, producano effetti stranianti o surreali. Pagenaud ha giocato come giocherebbe una AI che ignora o non si preoccupa di quale sia il referente a cui la simulazione fa riferimento. È la mossa di un atleta dell’iperreale, non ancora sostituito da un’intelligenza artificiale ma che agisce come se fosse un’intelligenza artificiale.

Macchine e atleti digitali che competono in sport digitali, quantificati, su cui scommettere con software automatici, e i cui risultati esistono solo in quanto notifiche sui cellulari. Lo sport intero si avvia a diventare una fluttuazione, uno scambio incessante slegato da un referente materiale e tangibile, come gli scambi sulle reti blockchain. Lo sport post-pandemia non avrà bisogno né di giocatori né di spettatori umani. Si fornirà della ragione stessa della sua esistenza. Si consumerà per interpassività. Gli spettatori sono in fuga, data la pandemia, stanno disertando gli spettacoli sportivi e il calcio registra crolli di ascolto senza precendenti. I calciatori restano lontani dai campi al primo tampone positivo. Eppure il business non si ferma, eppure gli occhi non-umani della VAR e dell’Hawk-Eye aumentano. Che ci siano effettivamente dei calciatori in campo e degli spettatori dietro lo schermo diventa sempre meno rilevante, come ha ormai dimostrato Juventus-Napoli del 4 ottobre.

Baudrillard ci aveva avvertito che la simulazione porta alla fine della realtà e della rappresentazione stessa della realtà. Benvenuti nel deserto del calcio iperreale. La stagione 2019/20 non ha avuto luogo. La stagione 2020/21 non sta avendo luogo. La stagione 2021/22 non avrà luogo. Gli eventi sono in sciopero. E anche il calcio.

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