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Le peggiori squadre del 2021
28 dic 2021
Tra club e Nazionali europee.
(articolo)
19 min
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Ogni anno su l’Ultimo Uomo raccontiamo e celebriamo le migliori squadre dell’anno: quelle che hanno vinto di più, con il progetto più solido e il gioco più spettacolare. Raccontiamo un mondo illusorio in cui le cose vanno solo e soltanto bene; un mondo in cui le risorse di benessere delle squadre sono virtualmente infinite. Ma come nel capitalismo la ricchezza individuale corrisponde all’impoverimento di qualcun altro, così nel calcio a una vittoria corrisponde una sconfitta, il successo di qualcuno è il fallimento di qualcun altro. Quest’anno abbiamo deciso di celebrare le peggiori squadre dell’anno, quelle col progetto più sgangherato, le ambizioni più velleitarie, i fallimenti più fragorosi, il gioco più osceno. Quelle che ci hanno mostrato i momenti peggiori, quelli più difficili da guardare, quelle che ci hanno lasciato addosso un imbarazzo.

Le abbiamo raccolte in una lista che le comprende per motivi molto diversi fra loro: perché non sono state all’altezza delle aspettative, perché hanno perso posizioni delle gerarchie nazionali ed europee, perché hanno fatto tante scelte sbagliate o, più semplicemente, perché hanno perso molte partite. È un piccolo viaggio nel fallimento e nella catastrofe del calcio europeo del 2021, fra i cinque maggiori campionati, sperando che questo articolo rappresenti di per sé un augurio di rinascita.

Greuther Furth

Inserire una piccola squadra neopromossa in Bundesliga senza particolare blasone mi fa sentire sporco e lontano dallo spirito del Natale. Nell'articolo ci saranno soprattutto squadre con un rapporto sbilanciato tra aspettative e risultati, ma ho dovuto inserire anche formazioni che sono state le peggiori dell’anno nel modo più rispettoso possibile della definizione, e cioè squadre che hanno perso davvero tante partite.

Il Greuther Furth nel 2021 ha ottenuto la seconda promozione in Bundesliga della propria storia, ma poi ha iniziato a non avere più un rapporto normale con la natura competitiva dello sport, e cioè col fatto che si può perdere e si può vincere: il Greuther Furth perde soltanto. In 17 partite di Bundesliga ha totalizzato 5 punti. Ha segnato appena 13 gol. Vuol dire che ogni tre partite o poco più ce n’è una in cui non segna. In compenso i gol subiti sono 49, che sommati vuol dire una media di quasi 3 gol a partita, un gol ogni 28 minuti di gioco.

Matchday 1, esordio in campionato, pronti via: 5 gol presi dallo Stoccarda. Sono gol che fanno male a riguardarli. Una di quelle partite in cui gli avversari non fanno altro che ridere mentre tu cammini per il campo con le mani sui fianchi. È la più larga vittoria della storia dello Stoccarda in una partita d’esordio.

Il Greuther Furth può vantare una tradizione di anti-eccellenza. Nella prima stagione passata in Bundesliga, la 2012/13, ha mantenuto lo score perfetto di zero vittorie in casa: com'è stato, per un tifoso del Greuther Furth, non vedere mai la propria squadra vincere nel proprio stadio? Il 21 agosto il Greuther Furth ha fatto il primo punto dell’anno, contro l’Arminia Bielefeld, poi le ci sono voluti alcuni mesi per fare il secondo. Il 2021 è stato chiuso in bellezza, uno zero a zero contro l’Amburgo il 12 dicembre, e sei giorni dopo una vittoria pazzesca per 1-0 contro l’Union Berlin. Risultati che gettano una luce di speranza sul 2022.

Robert Lewandowski vs Greuther Furth: speravamo de morì prima.

Come spiegato da Alec Cordolcini, la forza del Greuther Furth è di non soccombere al caos pure in un contesto di pessimi risultati. Nessun esonero, nessun calciomercato da panico, solo calma, sconfitte e consapevolezza dei propri limiti. La migliore tra le peggiori squadre.




Juventus

Nel 2021 la Juventus non ha vinto lo scudetto per la prima volta dal 2011, quando era appena cominciata la restaurazione austera di Mario Monti al governo e i Coldplay erano ancora un gruppo ok (no, non è vero, non lo erano già più). Antonio Conte doveva ancora diventare un grande allenatore, non sapevamo chi fosse Estigarribia.

Questo basterebbe di per sé a inserire la Juventus in questa triste lista, oltre al fatto che se “vincere è l’unica cosa che conta” qualsiasi risultato diverso dalla vittoria equivale al fallimento. Ma c’è di più: c’è più insuccesso, più desolazione in questa annata della Juventus. È stato l’anno in cui la dirigenza ha preso coscienza dei propri errori nelle ultime due stagioni, quelle in cui - in sintesi - la Juve aveva provato a cambiare pelle. Non più solo una squadra ossessionata dalla vittoria, una per cui conta solo il fine e mai il mezzo, ma una che accetta l’idea che la programmazione, una certa struttura di gioco, alcuni princìpi contemporanei siano utili per essere competitivi. Un’idea abbracciata prima assumendo Sarri - che è stato un po’ come portare l’anti-papa in Vaticano - e poi con Pirlo, che rappresentava l’utopia di un tecnico dalle idee contemporanee ma dallo stile juventino, qualsiasi cosa voglia dire.

È stato un fallimento raccontato con tempi quasi comici dalla serie All or nothing: Juventus - che forse da sola sarebbe bastata a farci inserire la Juventus fra le peggiori squadre dell’anno. Nella serie il conflitto tra la retorica della vittoria e un anno fallimentare esplode creando un’atmosfera cringe, a volte davvero difficile da sostenere senza avvertire un senso di profondo disagio.

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L’inversione a U della Juventus è stata così totale che in panchina è tornato Massimiliano Allegri, andato via come un relitto di un passato ormai inaccettabile, e tornato invece con un contratto ricco e solido, pieni poteri e un immutato spirito da guru del corto muso. La Juventus non solo ha rinnegato gli ideali progettuali degli ultimi anni, ma alla fine dell’estate ha ceduto anche Cristiano Ronaldo, sconfessando anche la più grande operazione finanziaria e di marketing del club. Andando via ci ha ricordato che no: il suo arrivo non ha portato in dote nessuna Champions League.

Nel 2021 la Juventus è tornata indietro attraverso la strada più reazionaria possibile. Non è stato un anno senza conseguenze, visto che la catena d’errori ha lasciato un contesto inaridito di possibilità. Una stagione negativa non arriva mai da sola: se ne porta dietro un’altra. Se l’annata di Pirlo si portava dietro probabilmente alcuni problemi di quella di Sarri, questa di Allegri se li porta entrambi. Abbiamo iniziato il 2021 dando quasi per scontato che la Juventus si qualificasse in Champions League nel campionato italiano, chiudiamo il 2021 senza più quella certezza. Il mondo è davvero cambiato, «prima poco a poco, poi all’improvviso».




Tottenham

Nel 2020 Josè Mourinho si è seduto sulla panchina del Tottenham, l’obiettivo? Far diventare una squadra bella una squadra vincente, farle fare l’ultimo passo che separava i piazzamenti gloriosi e i trofei. Portare in superficie il misterioso concetto di vittoria. Se nel 2020 il processo era sembrato più lungo e tortuoso di quanto sperato, ma comunque con una direzione, il 2021 ne ha certificato il fallimento. Come capita sempre quando c’è Mourinho: il fallimento è stato denso e spettacolare. Un’involuzione mostruosa del gioco, con la squadra alle prese con una coperta sempre corta: o efficace in attacco e fragilissima in difesa, o solida in difesa ma inoffensiva in attacco. Il 5-4 contro l’Everton in FA Cup, e poi strisce di due o tre partite senza segnare nemmeno un gol. E poi, naturalmente, i litigi nello spogliatoio, feroci, shakesperiani. Dier sull'orlo della follia, che prima quasi rompe le gambe a Son in allenamento e poi litiga con un tifoso sugli spalti.

La ricostruzione su The Athletic ha un titolo che toglie il respiro dall’ansia: «Ha succhiato via la cultura dal nostro club». Mourinho se ne è andato col Tottenham al settimo posto e senza nessun nuovo trofeo in bacheca per la prima volta in carriera, e nel frattempo la squadra ha smesso anche di essere simpatica, divertente, originale, appassionante come lo era sotto la gestione di Pochettino.

Il Tottenham aveva assorbito la cupa ossessione del suo allenatore di non subire gol, o meglio: di limitare una partita di calcio a un esercizio puramente distruttivo. A tratti l’ideale di Mourinho sembrava quello di non far succedere niente. Non c’era solo il tradizionale pensiero difensivista di Mourinho, ma una specie di desiderio di cancellare persino lo spirito competitivo della squadra. Si racconta di un intervallo tra Manchester City e Tottenham in cui gli Spurs stavano perdendo fortunatamente solo 1-0, dopo una montagna di tiri in porta avversari. Mourinho è entrato nello spogliatoio tutto rilassato, la calma inquietante del cattivo, dicendo che andava bene così. Come può non finire nella lista delle peggiori squadre di calcio, una squadra che ha provato a uccidere il calcio?

Dopo l’esonero di Mourinho il Tottenham è andato in tilt. Ancora di più? Sì. Quest’estate è arrivato Fabio Paratici come direttore sportivo, ma Jorge Mendes ha iniziato a ronzare intorno alla squadra. A un certo punto Gennaro Gattuso sembrava essere il nuovo allenatore, ma poi qualcosa è andato storto. Sono uscite fuori alcune sue frasi vecchie di dieci anni, in cui diceva di non vedere le donne nel calcio, che Boateng non aveva subito razzismo, che il matrimonio dovrebbe essere tra un uomo e una donna. Ai tifosi sono bastate per mettere su una campagna mediatica che ha reso impossibile l’ingaggio del tecnico: davvero una vicenda triste. Dopodiché il Tottenham sembrava vicino a Paulo Fonseca, ma a quanto pare Paratici voleva un allenatore più attento alla fase difensiva (una dinamica raccontata da Fonseca in una recente intervista) e così è arrivato Nuno Espirito Santo, un allenatore di certo non famoso per il suo gioco accattivante. Il Tottenham s’è messo col suo 3-5-2 e in sostanza ha fatto schifo, finché non hanno cacciato anche Nuno. L’arrivo di Conte ha di nuovo l’aria di quello del generale che deve rimettere in riga un esercito depresso, denutrito e malarmato. In poche partite Conte è riuscito a restituire un senso a tutto, ha vinto 5 partite e non ne ha persa nessuna, confermando un’abilità rianimatoria vicina alla necromanzia.

La strada per la qualificazione in Champions League comunque appare ancora lunga, per una squadra che fino a un paio d’anni fa poteva darla per scontata. Il Tottenham è la dimostrazione che bastano un paio d’anni sbagliati, a questi livelli, per perdere il vantaggio competitivo accumulato con un decennio fatto per bene.




Parma

Alla fine del 2020 il Parma era in grande difficoltà. Il 7 gennaio Fabio Liverani è stato esonerato dopo appena 2 vittorie in 17 partite di campionato e si è tornati con la coda tra le gambe da Roberto D’Aversa, l’uomo che a forza di 4-4-2, baricentro basso e transizioni lunghe aveva trasformato il Parma in una macchina da salvezza degli ultimi anni. Una che si porta sempre avanti col lavoro, che fa 30 punti nel girone d’andata e poi campa di rendita al ritorno. Non si pensava allora che le cose potessero precipitare. L’arrivo di una società ambiziosa aveva portato un calciomercato di ampio respiro. A gennaio sono arrivati giovani attaccanti di talento, Dennis Man e Joshua Zirkzee, due difensori rodati nella categoria, Mattia Bani e Andrea Conti, e un vecchio lupo degli stop di petto e il gioco di sponda come Graziano Pellè. Veramente un bel calciomercato, cosa ne è stato?

Nel 2021, in Serie A, il Parma ha vinto una sola partita (2-0 alla Roma), ne ha pareggiate 6 e ne ha perse 19. Ha chiuso il campionato in bellezza, con una notevole striscia di 9 sconfitte consecutive.

C’erano delle attenuanti però: il cambio di proprietà ha rinnovato le ambizioni ma portato in dote della confusione. Diamogli il tempo di prendere le misure. Il Parma si presenta in Serie B con una rosa totalmente fuori scala per la categoria, qualitativamente superiore ad almeno due o tre squadre di Serie A. Per la panchina il presidente Kruse ha fatto una scelta coraggiosa, assumendo Enzo Maresca, tecnico dal curriculum ultracool. Aveva appena vinto la Premier League 2 sulla panchina del Manchester City U-23. È uno di quegli allenatori di cui si dice che è il nuovo Guardiola, e non si capisce se è per qualche idea tattica radicale o per la testa calva e la barbetta. Maresca è in effetti l’allenatore che forse somiglia di più a Guardiola, fisicamente.

Il passaggio dalla Premier League 2 alla Serie B italiana non è stato semplice per Maresca: il suo Parma è stato senz’altro una delle squadre che ha giocato peggio nel girone d’andata del campionato, e a fine novembre, con la squadra quattordicesima, è stato esonerato. A dare la misura di quanto le cose andassero male c'è il nome del suo sostituto: Giuseppe Iachini, il Mr Wolf delle salvezze. Appena arrivato ha chiesto un bagno di realismo: «Nessuna bacchetta magica ma solo duro lavoro», e pareggi a quanto pare. Dal suo arrivo il Parma le ha pareggiate tutte, tranne l’ultima contro l’Alessandria, vinta per 2-0. Il Parma oggi è tredicesimo in Serie B, nel 2021 ha vinto appena 6 partite, in due categorie diverse. Durante le vacanze di Natale i giocatori hanno rinunciato alle ferie.




Schalke 04

Sono passati solo 3 anni e mezzo dal 2018, quando cioè lo Schalke 04 chiuse la Bundesliga al secondo posto, consacrandosi come la migliore squadra di Germania fra le squadre normali. Arrivare secondi lì è come vincere il campionato. Tutto normale: lo Schalke 04 è una squadra di grande tradizione, con 7 campionati vinti, la seconda più grande base di tifosi e una storia europea di tutto rispetto: una Coppa UEFA, una semifinale di Champions League nel 2011.

Nel 2021 la squadra è arrivata in fondo alla classifica, con praticamente la metà dei punti della penultima (!). Lo Schalke ha chiuso il campionato con 3 vittorie, 7 pareggi e 24 sconfitte. 25 gol segnati e 86 subiti. Sono riusciti a eguagliare la striscia di 33 partite senza vittorie stabilita dal Tasmania Berlin nel 1966. Per farvi capire quanto fosse andato male il Tasmania Berlin, guardate questa schermata di Wikipedia che racchiude i loro grotteschi record.

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«Unica squadra della Bundesliga a non aver mai vinto in trasferta», era impossibile non citarli in un pezzo che racconta le peggiori squadre. Nello store del Tasmania vengono vendute maglie celebrative con su scritto “Rekordmeister” e l’elenco di questi risultati.

Va detto che la retrocessione è stata soprattutto il frutto dell’anno precedente, il 2020: un capolavoro spettacolare di prestazioni negative. Un’annata quasi perfetta al contrario. Nel 2021 si è raccolto quanto seminato. Ad aprile, quando la squadra è retrocessa con ancora quattro partite da giocare, i tifosi rivali del Borussia Dortmund hanno illuminato il cielo industriale di Gelserkirchen con i fuochi d’artificio. E che anno di merda è, quello in cui i tuoi rivali storici possono sparare i fuochi d’artificio per la tua retrocessione?

Bisogna tornare ancora indietro, perché secondo molti le cose hanno cominciato a precipitare nel 2019, quando lo storico presidente Clemens Bonnies ha rassegnato le proprie dimissioni. In una conferenza vicino Paderborn stava parlando della costruzione di centrali elettriche in Africa, e gli era scappata questa frase: «Così smetteranno di fare figli ogni volta che si fa buio». Dopo le richieste dei tifosi, Tonnies si è fatto da parte e le cose hanno cominciato ad andare in pezzi. Tonnies era un tiranno illuminato allo Schalke, da quando si era insediato, nel 2001, il club era cresciuto fino a tornare a essere una presenza quasi fissa nell’élite europea - circondandosi di importanti sponsorizzazioni, Gazprom soprattutto.

Non era però stato capace di creare un sistema e un organigramma abbastanza solido: una volta fattosi da parte lui, è iniziato il caos. Negli ultimi anni lo Schalke ha adottato una strana politica di non rinnovare i contratti ai propri migliori giocatori, accompagnandoli fino a scadenza: Joel Matip, Max Meyer, Sead Kolasinac, Alfred Nubel e Leon Goretzka. Ci si interrogava se non fosse forse una strategia vincente, un modo per tirarsi fuori dalla catena alimentare del calciomercato contemporaneo. Ma in che modo non guadagnare un euro dai propri migliori giocatori può essere una strategia vincente? Come direttore sportivo è subentrato Christian Heidel dal Mainz: era considerato un guru per aver messo in panchina Jurgen Klopp e Thomas Tuchel, ma allo Schalke in breve tempo ha bruciato una montagna di soldi (si parla di 150 milioni di euro in due anni).

E così nel 2021 lo Schalke si è ritrovato in seconda divisione con un debito di più di duecento milioni di euro, una struttura societaria allo sbando e una squadra interessante ma troppo inesperta per raggiungere con certezza la promozione diretta. Oggi è quarto in campionato, a 6 punti dal Saint Pauli primo. La promozione pare fattibile. La storia del club sembra quella di George Bailey ne La vita è meravigliosa: un memento di quanto in basso si possa finire in pochissimo tempo nella cultura iper-competitiva contemporanea. Quanto sforzo ci vuole, quotidiano, anche per restare a galla nel calcio di alto livello, anche quando si hanno le risorse dei migliori club al mondo.




Digione

In termini di risultati negativi, il Digione ha davvero pochi rivali nel 2021. Durante l’anno solare ha messo insieme 33 punti, 10 in Ligue 1 e 23 in Ligue 2, dove è retrocesso matematicamente il 25 aprile dopo un avvilente 5-1 subito dal Rennes in cui Clement Grenier ha ficcato l’ultimo chiodo sulla bara al minuto 92.

Grazie a un paio di vittorie miracolose ottenute in primavera, il club è almeno riuscito a scampare il record di minor numero di punti nella storia della Ligue 1: 17, record che in campionati a venti squadre è detenuto dal Lens nella stagione 1988/89.

Mentre retrocedevano, in uno di quei momenti di grande tatto dei giornalisti, è stato chiesto a David Linares, tecnico della squadra, cosa provasse. Lui ha risposto con grande tristezza nella voce: «Vergogna, molto semplicemente». «Il nostro obiettivo è di ricostruire e risalire il prima possibile» ha aggiunto in un altro momento. Il 23 agosto, dopo 4 sconfitte nelle prime 5 partite, il povero David Linares è stato rimpiazzato da Patrice Garande. Oggi il Digione è nella parte destra della classifica in Ligue 2 e questa risalita promette di essere tutt’altro che rapida.




Francia

Che brutta squadra, la Francia. Brutta come le cose così sfarzose che non hanno senso, la cui esistenza ha perso qualsiasi funzionalità col reale, il cui lusso esiste in sé stesso. Il sushi con le foglie d’oro, un sacchetto per il tè tempestata di diamanti. Undici persone che sono la crema evoluzionistica dell’essere umano in rapporto a un pallone da calcio, ma inutili, così inutili. I calciatori più tecnici, quelli più veloci, quelli più forti. Campioni coi conti in banca e le bacheche piene. Ma mentre la Francia aveva bisogno di pane, aveva solo briosche. La Francia capace di momenti di calcio lussureggiante, ma priva di struttura e razionalità, o di quella sostanza che rende undici esseri umani una squadra di calcio mossa da un’intelligenza comune. La Francia capace di produrre l’onnipotenza divina di Paul Pogba, abbattutosi sui prati dell’Europeo come il Dio che danza; o la classe intangibile di Karim Benzema, che nasce da territori così profondi e oscuri del talento calcistico da produrre questo controllo in area di rigore. Un gesto tecnico in cui l’inspiegabilità del pensiero che lo produce supera la complessità dell’esecuzione tecnica. Una delle più alte espressioni di un essere umano che coordina il proprio corpo nello spazio e nel tempo.

La Francia però piegata da Seferovic, centravanti della squadra che nel 2021 ha elevato il giant killing ad arte, ovvero la Svizzera. Piegata da Gavranovic, che ha la faccia da operaio e lo stile di gioco pure. Piegata da una grande partita di Granit Xhaka: l’unica grande partita di Granit Xhaka in anni. La Francia esce piazzando in copertina Kylian Mbappé, simbolo del proprio talento oltraggioso e della mancanza di modestia, che sbaglia un rigore di fronte al portiere-cuoco Yann Sommer.

La vittoria della Nations League senza quasi sforzo, è un manifesto della pigra grandezza calcistica della Francia. Un esempio di quanto in una squadra così ricca di doti il confine tra la catastrofe e la gloria sia sottile. Fra gli eterni schemi simbolici che muovono la nostra comprensione del calcio, quella della hybris resiste a qualsiasi mutamento: dagli antichi greci pensiamo che nel momento in cui gli esseri umani peccano di superbia, gli dei li aspettano al varco per punirli.




Barcellona

Il 2021 è l’anno in cui il Barcellona ha smesso di essere uno dei migliori club al mondo. Cosa significa? Che quando inizia la Champions League pensiamo non abbia nessuna possibilità di vincerla. Oggi persino vincere la Liga pare sinceramente proibitivo. Il 2021 è stato l’anno in cui dieci anni di gestione terribile sono venuti a galla. In campo la decadenza è passata sottotraccia, quasi invisibile. In certi momenti ci chiedevamo cosa ci facesse Brathwaite con la gloriosa del Barcellona, quale segreto custodisse Luuk De Jong per essere finito a giocare là, chi avesse ricattato. La squadra ha chiuso un’annata mediocre, ma c’era pur sempre Messi.

Sull’altare di Messi, negli ultimi anni in cui gli errori sono diventati la normalità, è stato sacrificato tutto: soldi, programmazione, idee, equilibri di spogliatoio. Messi era l’origine dei problemi, e la loro soluzione, e al corpo tossico del Barcellona in fondo stava bene così. Quale club sano di mente può decidersi di privarsi di uno dei migliori calciatori della storia?

Finché i problemi del Barcellona sono diventati così infestanti da essere scesi dai rami dell’albero fino alla radice, ovvero fino a Messi stesso. La conferenza di addio è stato uno dei momenti più tristi e strazianti del 2021. Messi con quell’eleganza sempre un po’ raffazzonata, in lacrime al primo scroscio d’applausi, la voce crepata, il fazzoletto per asciugarsi gli occhi come i nonni ai funerali. Guardando quella conferenza colpisce come un pugno tra i denti la solitudine di Messi, arrivato e andato via senza nessuno accanto, nessun contraltare, nessuna spalla su cui piangere. Messi che deve spiegare, piangere e consolarsi da solo. «Volevo restare» dice apertamente. Qualunque squadra che permette un momento simile è la peggiore squadra dell’anno.

Dentro una fitta rete di congetture e speculazioni, è stato chiaro, infine, che Messi avrebbe voluto davvero restare, ma i problemi del Barcellona erano talmente grandi che non avrebbero potuto permetterselo nemmeno facendolo giocare gratis (cosa, poi, tecnicamente illegale: lo dico per la frangia populista della discussione). La squadra ha un debito enorme e mentre scrivo l'acquisto di Ferran Torres per più di 50 milioni di euro è avvolto nel più grande mistero.

Il giorno dopo l’addio di Messi il suo migliore amico, Sergio Aguero, si è presentato all’allenamento. Un’altra grande solitudine. Era arrivato per giocare insieme a Messi, e non era un buon segno: il Barcellona ridotto a strumento dei desideri di due amici. La sola cosa peggiore è diventare il posto in cui si infrange quel sogno. «L’addio di Messi è uno schock per me» ha dichiarato Aguero, che pochi mesi dopo abbiamo ritrovato in una nuova conferenza lacrimosa, di una tristezza persino più abissale di quella di Messi. Stavolta il Barcellona non c’entra, se non nell’essere diventato un posto che attira sfortune e drammi, visto che Aguero è stato costretto a ritirarsi per un’aritmia cardiaca. Come è arrivata a essere una valle di lacrime, questa squadra che dieci anni fa produceva talento calcistico su scala industriale?

L'esonero di Koeman e l'arrivo di Xavi potrebbe rappresentare un turning point incredibilmente positivo, o incredibilmente negativo, senza mezze misure. Xavi ha l'aria dell'ultimissima scialuppa di salvataggio, e a lui toccherà l'impresa di valorizzare un gruppo di giovane dall'aria comunque molto talentuosa. La sensazione è che, rispetto ad altre squadre di questa lista, il nadir del Barcellona non sembra ancora essere arrivato.




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