
Deve esserci stato un momento in cui il corso delle cose, di molte, troppe cose, ha iniziato a prendere una piega surreale, perennemente protesa verso quello che oggi definiamo "lol". Lo abbiamo evidentemente visto passare senza accorgercene e oggi ci ritroviamo davanti a situazioni che sembrano create con il solo scopo di aumentare l’engagement degli amici della Ragione di Stato.
Come si spiegherebbe altrimenti la decisione dell’Ascoli, tecnicamente del tutto legittima dopo un inizio di stagione complesso, di portare sulla propria panchina Domenico Di Carlo proprio alla vigilia dello scontro ad alta tensione con il Pescara di Silvio Baldini? Domenica, dunque, andrà in scena lo scontro tra due allenatori protagonisti di uno degli episodi più incredibili della storia recente del nostro calcio. Il Parma-Catania del calcio in culo.
Le premesse
Mimmo Di Carlo, nell’estate del 2007, è un allenatore in rampa di lancio. Ha 43 anni, un passato da onestissimo mestierante, il nome legato in maniera indelebile al Vicenza di Francesco Guidolin, quello della vittoria della Coppa Italia e della semifinale di Coppa delle Coppe. Arrivato nel 1990, aveva attraversato tutte le fasi dell’ascesa del club, vivendo nove anni di rara intensità. E da Vicenza era partita anche la sua carriera da allenatore, guidando la Primavera prima del biennio magico vissuto al Mantova: una doppia promozione dalla C2 alla Serie B, andando a un passo dal triplo salto. La Serie A mancata nella finale con il primo Torino di Urbano Cairo lo proietta comunque all’attenzione nazionale.
È il Mantova di Cioffi e Notari, Tarana e Caridi, Noselli, Gabriele Graziani (il figlio di Ciccio) e Paolino Poggi. Dopo un altro anno in B, chiuso all’ottavo posto nella stagione delle tre grandi che si ritrovano in cadetteria (Juventus, Napoli e Genoa), Di Carlo spicca finalmente il volo accettando la chiamata di Tommaso Ghirardi, il nuovo proprietario del Parma. I ducali sono rimasti in Serie A con un miracolo griffato da Claudio Ranieri (strano, eh?) e Giuseppe Rossi, un girone di ritorno di fuoco per cancellare le fatiche della prima metà di stagione. Nel momento della presentazione, Ghirardi dice di voler riportare a Parma proprio "Pepito", ma non ci riuscirà. «Dessena e Cigarini sono due giovani molto interessanti, sarà mio compito aiutarli a crescere ulteriormente. Per vincere e salvarsi servono grinta e determinazione. Vorrei che il mio Parma fosse una squadra organizzata e concreta», dice invece Di Carlo, la cui unica certezza, in quel momento, è che si ripartirà dalla difesa a quattro.
Silvio Baldini, invece, ha già attraversato la fase della meraviglia e si sta accartocciando su di sé da un po’. Non ha un passato rilevante da calciatore, allena da quando ha 26 anni ed è prossimo ai 50. Si è fatto un nome nelle minors toscane, poi passo dopo passo (Bagnone, Forte dei Marmi, Viareggio, Massese, Siena, Carrarese) ha raccolto l’eredità di Alberto Malesani al Chievo. Quindi Brescia ed Empoli. Il ritorno in Toscana coincide con il boom baldiniano. Un calcio offensivo, frizzante, tre trequartisti a ridosso di una sola punta. Sfiora la promozione nel 2001, la centra nel 2002. Manda quattro uomini in doppia cifra: Totò Di Natale, Tommaso Rocchi, Mark Bresciano, Massimo Maccarone. Conserva la categoria insistendo sul 4-2-3-1, sbanca San Siro con un gol di Di Natale (0-1 al Milan), mette in mostra trovate di rara brillantezza, come quando alza Grella nel ruolo di trequartista al solo scopo di soffocare Pirlo nella partita di andata contro i rossoneri (1-1, Rocchi-Shevchenko).
Poi, però, accetta Palermo: Zamparini lo caccia a fine gennaio, con la squadra terza in Serie B e dunque pienamente in corsa per la promozione. È il momento in cui tutto cambia. Va a Parma, dura fino a dicembre. A Lecce arriva dopo una partenza shock di Gregucci e resiste da settembre a gennaio. Catania, teorica isola felice, è il luogo nel quale ritrovarsi: Pasquale Marino ha fatto benissimo nella prima stagione del club dopo il ritorno in A e Baldini sembra l’uomo giusto per proseguire quel tipo di discorso. «Questo suo atteggiamento tattico ci piace e piace anche alla gente», dice il patron Pulvirenti. «Sono onorato di aver accettato la chiamata del Catania, che lo scorso anno, salvandosi in quel modo, ha vinto il suo scudetto».
La partita
Parma e Catania sono infarcite di nomi che hanno attraversato e attraverseranno ere geologiche di calcio italiano quando si presentano in campo per la prima di campionato. Il Parma ha l’eterno Bucci in porta, Falcone in difesa, Damiano Zenoni e Castellini sulle fasce. Dessena è squalificato, Gasbarroni pure. Il tridente vede Pisanu e Reginaldo ai fianchi di Igor Budan: Di Carlo ha scelto il 4-3-3 tenendo in panchina Morfeo. Baldini risponde col suo marchio di fabbrica, 4-2-3-1. A sinistra c’è Juan Manuel Vargas, sinistro al tritolo e attitudine difensiva tutta da valutare; la coppia Baiocco-Tedesco (Giacomo) ha il compito di tenere in mano il centrocampo, poi Baldini piazza l’oggetto misterioso Takayuki Morimoto alle spalle di Spinesi, con Izco ala di fatica e Mascara con compiti di creazione.
Nel suo primo anno italiano, Morimoto si è visto pochissimo, la miseria di cinque presenze. Sugli spalti del Tardini c’è Claudio Ranieri, che grazie all’exploit di Parma si è guadagnato la chiamata della Juventus e viene applaudito dai tifosi. È fine agosto, fa caldo, Baldini ha la fronte sudata e la camicia chiazzata ancora prima di sedersi in panchina, presagio di sventura. Ma la semplicità con cui il Catania trova il gol del vantaggio lo rasserena: discesa di Mascara sulla destra, pallone dirottato dalle parti di Morimoto, stop e tiro a giro all’incrocio dei pali, con Spinesi che alza le braccia per esultare con mezz’ora di anticipo.
Il Parma inizia a prendere a pallonate la porta di Bizzarri, un passato nel Real Madrid, un futuro da arci-italiano pur essendo nato dalle parti di Cordoba. La goal-line technology in quel momento è soltanto un sogno che alberga nella testa di Aldo Biscardi ma non serve per decretare che il destro di Pisanu, dopo aver compiuto il tragitto traversa-terra-traversa, ha superato la linea. Il pareggio spaventa il Catania che a fine primo tempo si ritrova addirittura sotto per un bel gol di Marco Rossi: non quello che oggi allena l’Ungheria, nemmeno la bandiera del Genoa, bensì il difensore classe 1987 che a un certo punto della sua carriera finirà coinvolto nello scandalo scommesse (un anno e otto mesi di stop patteggiati) e poco più avanti andrà addirittura a giocare in Nuova Zelanda. Meno di un mese fa ha firmato per il Modica, in Eccellenza.
Mentre Baldini sta già pensando a cosa dire ai suoi ragazzi negli spogliatoi, Morimoto confeziona anche il 2-2, stavolta con uno scarico illuminato per Baiocco, che da due passi non sbaglia: è il suo terzo gol in carriera in Serie A, nonché il penultimo. Ha già vissuto almeno tre vite calcistiche, conoscendo il fango dei campi dei dilettanti e le fatiche della C2, quindi l’exploit con il Perugia insieme all’amico Liverani e il giro di giostra alla Juventus, per poi tornare sul pianeta salvezza. Dall’estate 2007 è anche capitano del Catania ed esulta con la fascia al braccio sotto il settore ospiti. Nel secondo tempo il caldo annebbia evidentemente gambe e mente di tutti. Ma proprio tutti.
Il fattaccio
Nella ripresa il Parma convince più del Catania, ma senza ritrovare la brillantezza e la pericolosità di metà primo tempo. Poi Baldini inizia a discutere con l’arbitro Stefanini, lo manda a quel paese, viene espulso. Tutto normale. Sembra abbastanza normale anche la mossa di Baldini che perde tempo dando indicazioni ai suoi prima di imboccare il tunnel. Solo che Di Carlo non gradisce, vuole vincere al suo debutto in Serie A e chiede al collega di non perdere tempo. Dopo un mezzo schiaffetto in aria, nato più per un equivoco che per convinzione reale, Di Carlo torna verso la sua panchina e offre, inconsapevole, le terga al fattaccio. Baldini parte con una pedata diretta che va a segno.
Di Carlo si gira con la faccia di chi non crede a quello che è appena successo. I giocatori sono i primi a intervenire per dividere una rissa che in realtà non è nemmeno definibile come tale, sembra uno scherzo, un diverbio tra ragazzini di quarta elementare. È soltanto, banalmente, un calcio nel culo. Baldini prosegue verso gli spogliatoi, consapevole che sta per iniziare il putiferio.
«Non ci sono gli estremi per mandare via Baldini, è stato provocato», dice Pulvirenti nel caos del Tardini, rispondendo all’insinuazione di Ghirardi: «Fosse il mio allenatore, lo caccerei: c’è da vergognarsi a fare quello che ha fatto», dice infatti il patron del Parma. Baldini non parla a caldo, chi invece va davanti ai microfoni dopo il 2-2 è Di Carlo: «Chiedo scusa ai tifosi di tutta Italia, noi siamo i primi a dover dare un’immagine diversa. Ho invitato Baldini a non perdere tempo e mi ha dato della testa di cazzo, mandandomi a cagare. La mia risposta è stata: “Vacci tu”. Quindi mi ha dato il calcio».
Baldini preferisce ragionarci sopra, ma nemmeno troppo, perché quando parla non va giù leggero nei confronti di Di Carlo: «Ho sbagliato e chiedo scusa a tutti, ma non a lui: è stato scorretto. Non è stata una bella cosa, è un gesto che non si deve fare. Chiedo scusa al presidente, ai giocatori, alla città e ai tifosi del Parma. A Di Carlo no, non le merita. Il mio non è stato un gesto violento, è nato da una provocazione. Se chiedesse scusa lui per quanto ha detto al presidente del Catania, sarei pronto ad accettare un chiarimento». Poi scatta il momento perché nessuno pensa ai bambini: «Voglio chiedere scusa a tutte quelle persone a cui questo gesto ha fatto veramente male, ovvero alle persone impegnate nel sociale, nelle carceri, ai professori e alle maestre».
Il più accanito nei confronti di Baldini è Pippo Baudo. Ebbene sì. «Per il bene della nostra città, si tolga dai piedi. Dopo quello che è successo lo scorso anno a Catania, ora il tecnico fa un gesto mai visto sui campi da calcio»: il riferimento è alla morte del poliziotto Filippo Raciti.
È uno di quei momenti in cui in Italia parlano tutti. Gasparri chiede l’esonero, La Russa è più morbido: «Si dà la condizionale ai rapitori, perché non darla a un allenatore per un calcio?». Il presidente federale Abete rincara: «Non ci sono giustificazioni. Baldini deve chiedere scusa, accettare le sanzioni e proporsi in maniera diversa per il futuro». La società fa quadrato attorno all’allenatore per bocca di Pietro Lo Monaco: «Ma cosa c’entra quello che è successo domenica con la morte di Raciti? Con tutto il rispetto, dico a Baudo di pensare al suo lavoro che al calcio pensiamo noi. Quanto ai vari Gasparri di turno, dovrebbero guardare a come fanno i politici invece di fare i soloni su tutto». L’esondazione di Baudo è quella più preoccupante per Baldini: dal 2005 ha ripreso il timone di Domenica In, da febbraio ha anche rimesso le mani sul Festival di Sanremo. «Sono cresciuto con i suoi programmi e quelli della Carrà, quindi gli risponderò con una lettera. Si è detto preoccupato per l’educazione dei miei figli ma forse farebbe bene a guardare in casa propria», ribatte ancora Baldini.
Il giudice sportivo lo ferma per un mese, fino al 30 settembre: stop in cinque partite di campionato e una di Coppa Italia «per la particolare gravità del gesto, la sua diseducativa platealità e l’intento spregiativo». «Sono pronto a stringergli la mano quando ci vedremo, il discorso per me è chiuso», dice Di Carlo. Ma nella vicenda piomba persino la Corte di Cassazione, che con una sentenza relativa a una rissa nelle serie minori afferma la possibilità di emettere un Daspo anche nei confronti dei tesserati. Il primo a commentare, ovviamente, è La Russa: «C’è già la giustizia sportiva, non si può equiparare un tesserato a uno spettatore. I provvedimenti restrittivi possono essere presi solo dopo una condanna penale». Mazzone è scettico: «Io darei agli addetti ai lavori una prova d’appello. Così non si ferma l’impulso di chi come me o Baldini va fuori di testa». Zamparini concorda: «Così si rischia di proibire l’ingresso allo stadio anche per delle stupidaggini». La chiosa è di Pasquale Bruno: «Io avrei preso di sicuro il Daspo».
Baldini e Di Carlo chiuderanno la stagione entrambi esonerati. Nel 2014, ripensandoci, Baldini ha indicato in quell’episodio il vero punto di svolta in negativo della sua carriera: «Quando arrivi in alto, devi arrivare a saper gestire quello che possiedi. Da momento successivo a quel gesto, non sono più riuscito a trasmettere alle mie squadre quello che volevo. Forse a Di Carlo il calcio dovevo darlo in testa e non sul sedere, vista la persona che è».
Buon Ascoli-Pescara a tutti.