Siamo entrati nel pieno del calciomercato, quelle settimane in cui il calcio diventa un rumore di fondo sovrastato dalle tabelle di chi acquista chi, chi cede chi. Le voci e le trattative prendono un’importanza capitale, infuocano i nostri telefoni, regolano i nostri umori. A farla da padrone sono sempre i grandi colpi, quelli che spostano milioni e milioni di euro, che cambiano la geografia del dominio, che ridefiniscono la stagione che verrà. Ma oltre i vari Haaland, Koulibaly, Lukaku, Mané, de Ligt, Cristiano Ronaldo, Neymar esiste un mercato più nascosto, ma anche più vero, fatto di scambi più o meno rilevanti, che si riveleranno più o meno giusti. Dietro a questi esiste ancora un’altra categoria di scambi, che noi abbiamo definito “assurdi”, ma che forse è più giusto definire “inspiegabili”, nel senso che se ci mettessimo a ragionare sono proprio strani, difficili da capire nella dinamica, nel come sono accaduti. Per ogni settimana sceglieremo un po’ di quelli che ci sono sembrati più tali e proveremo, se non a spiegarli, a indagarne le ragioni per cui ci sembrano tali.
Cesc Fabregas al Como
Come un fulmine a ciel sereno, i tweet degli esperti di mercato hanno iniziato a spuntare verso le 23: Cesc Fabregas sta firmando con il Como. È sembrata una di quelle notizie a metà tra il fake e il primo aprile, così assurde da non poter essere vere. Tutti siamo andati a controllare se chi scriveva aveva la spunta, se erano davvero loro a dare in pasto a noi questo strano matrimonio. Fabregas, uno dei giocatori più cool di questo millennio, uno che fino a qualche giorno fa stava in vacanza con Messi, che in carriera ha vinto tantissimo tra club e nazionale, e il Como, una squadra che - se non ce lo dicevano ieri - avremmo fatto fatica a ricordare fosse in Serie B e non più giù.
Subito abbiamo dovuto trovare una spiegazione: la più logica è che Fabregas sia stato attirato dalle ville sul Lago di Como, questo asset reso magico da George Clooney che sembra uno dei segreti della felicità (secondo qualcuno lo spagnolo avrebbe già una villa lì); la più assurda - da meme di internet - è un gioco di parole tra Como città e como ovvero come in spagnolo. La realtà è che Fabregas è un calciatore di 35 anni che negli ultimi due anni ha giocato appena 6 partite, che nell'esperienza al Monaco è sembrato una versione particolarmente slavata di se stesso, un calciatore che a 17 anni è diventato titolare dell'Arsenal (e che, anche per questo, ha alle spalle 17 stagioni in cui ha giocato quasi sempre tra le 40 e le 50 partite l'anno). L'ultimo Fabregas ha gli occhi gonfi e la faccia stanca; la barba ispida da padre e un fisico bolso. La scelta di andare a Como, quindi, pur rimanendo strana (perché Como, perché non in Spagna? Sarà proprio per la bellezza di quei posti? Possibile) entra nella storia di un calciatore che sembra amare davvero questo sport, che non vuole ancora dirgli addio, anzi vuole giocare davvero non fare la chioccia ai giovani dalla panchina, ma che è consapevole di non poter più stare a certi livelli. La nostra Serie B ringrazia e ci vediamo tra un mese: in campo o sul lago non fa poi tutta questa differenza.
David Ospina al'Al Nassr
Le vie del mercato sono infinite e così può anche succedere che uno dei migliori portieri dell’ultima stagione della Serie A si trasferisca in Arabia Saudita. David Ospina sembrava aver finalmente tagliato il nodo gordiano dei problemi in porta per il Napoli, garantendogli la seconda miglior prestazione del campionato per quanto riguarda la differenza tra post-shot Expected Goals e gol subiti (solo Maignan è riuscito a fare di meglio in questa particolare metrica, che adatta gli Expected Goals alla difficoltà degli interventi di un portiere), eppure per qualche ragione non è bastato. È stata l’ipocondria di cui veniva accusato, che anche in questa stagione gli ha fatto saltare almeno quattro partite per motivi che è difficile ricostruire (su Transfermarkt leggo anche “infezione influenzale”, che sinceramente non so cosa significa)? Oppure c'è un qualche problema oscuro con Aurelio de Laurentiis di cui non conosceremo mai i dettagli? Il DS del Napoli Cristiano Giuntoli poco sorprendentemente ha detto di aver fatto di tutto per trattenerlo: una «corte spietata» di fronte alla quale, però, lui ha «scelto una strada meno tecnica ma forse più economica».
Rimane il fatto che adesso Ospina veste la maglia gialla dell’Al-Nassr e si dice «felice di vivere questa nuova esperienza della mia vita e della mia carriera professionale». E mentre il portiere colombiano si gode l’ultimo grosso contratto della sua carriera, il Napoli si ritrova con il vaso di Pandora della sua porta di nuovo aperto. Con la fiducia nei confronti di Meret ai minimi storici, difficile capire quale sarà la strategia adesso. Magari alla fine arriverà davvero Keylor Navas come qualcuno suggerisce, per adesso rimane solo il vuoto di parate come questa contro il Milan, che pochi altri portieri in Serie A hanno nelle mani.
Sérgio Oliveira al Galatasaray
Ci sono carriere che sembrano poter durare in eterno, declinare in maniera impercettibile per anni, e carriere che invece hanno tonfi improvvisi, crollando nei momenti più inaspettati. Quella di Sergio Oliveira è stata entrambe le cose. Dopo una vita al Porto, inframmezzata da prestiti improbabili che lo hanno portato alla maturità molto tardi, sembrava poter far avanti e indietro con il Portogallo per sempre. Prima al PAOK, dove vincerà campionato e coppa nazionale, e poi alla Roma, con la vittoria della Conference League. In mezzo, le due migliori stagioni della sua carriera, culminate dal gol decisivo alla Juventus che qualificherà il Porto ai quarti di finale. La Roma su di lui aveva un diritto di riscatto improbabile da 13 milioni di euro, che dopo le sue primissime partite in giallorosso per un attimo è sembrato legittimo. Sergio Oliveira ha esordito con due gol e un assist contro Cagliari ed Empoli. Poi però poco altro, soprattutto il gol al Vitesse all’andata degli ottavi di Conference League. Forse era sulla base di questi ricordi che si diceva che avrebbe potuto rinnovare il prestito per un altro anno, che uno come lui poteva sempre tornare utile. E alla luce dei suoi prestiti passati non si sarebbe nemmeno potuto escludere una seconda fioritura al Porto: sarebbe stato così assurdo?
https://twitter.com/GalatasaraySK/status/1545815189039243270
E invece la carriera nel calcio che conta di Sergio Oliveira è finita così. Con un doppio messaggio d’addio, al Porto e alla Roma, e un bonifico del Galatasaray da appena tre milioni di euro. Siamo lontani dai tredici milioni di cui si parlava solo poche settimane fa, ma che importa? Le cifre sono solo cifre. A Istanbul Sergio Oliveira trova una grande città, una tifoseria folle, una squadra che dopo il deludente 13esimo posto della scorsa stagione sogna il rilancio. Anche se dovesse essere il definitivo tramonto, sarà uno di quelli che non rendono in foto, che ti fanno venire la malinconia senza nemmeno essere brillo.
Vlad Chiriches alla Cremonese
A 33 anni il declino per molti difensori non è nemmeno cominciato, mentre Vlad Chiriches ha già attraversato cicli di morte e reincarnazione diverse volte. Dieci anni fa giocava la sua prima e ultima stagione alla Dinamo Bucarest: troppo forte per il campionato rumeno si trasferiva al Tottenham con un’eleganza aristocratica. Chiriches era un difensore fenomenale nel gioco con i piedi prima ancora che i difensori bravi con i piedi andassero davvero di moda. O che almeno, che la loro utilità diventasse davvero sistemica. Forse per questo la sua carriera ha preso una parabola progressivamente discendente, ma non per questo non interessante, soprattutto nelle stagioni al Sassuolo in cui ha giocato con Roberto De Zerbi, un tecnico che ne ha esasperato pregi e difetti: un difensore fenomenale con la palla tra i piedi, uno dei più raffinati per letture e sensibilità tecnica, ma in difficoltà quando deve difendere, soprattutto in campo aperto e nell’uno contro uno. Il soprannome “Il Conte Vlad” riflette questa natura aristocratica e un po’ demodé, di un difensore che non ama sporcarsi i pantaloncini.
È singolare quindi che sia finito in una squadra neopromossa come la Cremonese, che difficilmente con Alvini giocherà a calcio sempre con la palla tra i piedi. Sembra un lusso innecessario, tipo mangiare ostriche quando non si mangia da una settimana. Chiriches è l’ultimo difensore che ti verrebbe in mente di prendere se vuoi mettere un po’ di solidità nella tua difesa per salvarti. Eppure la maglia grigiorossa della Cremonese ha una sua singolare eleganza, che dovrebbe sposarsi bene con quella di Chiriches, la cui aria attempata e retrò sembra proprio quella della Cremonese.
Diego Valencia alla Salernitana
Diego Valencia è un attaccante semplice: lo metti sulla fascia del suo piede forte, il destro, e lui va lungolinea; lo metti a piede invertito, a sinistra, e lui rientra per tirare o crossare. Diego Valencia è un ragazzo cileno di ventidue anni e mezzo con dei denti bianchi giganti che ha segnato 14 gol in 31 partite nella stagione 2021 cilena. Forse è stato questo exploit (non ripetuto in questa stagione, interrotta dal passaggio alla Salernitana, in cui però aveva segnato appena 2 gol in 13 partite) a valergli il biglietto per la Serie A, o magari il fatto che così giovane ha già esordito con la maglia del Cile (7 presenze e nessun gol). La Salernitana dovrebbe averlo acquistato per due milioni e mezzo dall’Universidad Catolica ed è descritto sui siti di settore come un “colpo prospettico”, definizione che incidentalmente sembra anche riferirsi a qualcosa di simile a un “abbaglio”, un “errore” prospettico, ma che insomma si capisce bene cosa voglia dire in realtà, e cioè che potenzialmente Diego Valencia è proprio un bel colpo.
Difficile dire qualcosa di più su questo ragazzo che a occhio e croce è sottovalutato dal punto di vista dell’altezza (su Wikipedia e altrove dicono sia un metro e ottantuno, ma nei video sembra più alto) e che sicuramente ha una bella falcata quando parte in velocità. Difficile anche sapere, oggi, cosa vuole farci esattamente la Salernitana, se sarà l’attaccante titolare o se lo hanno preso, appunto, “in prospettiva”. Però possiamo dire questo: è un acquisto che ci saremmo aspettati da uno come Walter Sabatini, che però da qualche settimana non è più il DS della Salernitana, e ricorda vagamente l’acquisto dell’uruguaiano Nico Lopez quando era DS della Roma. Quello era soprannominato “El Conejo”, proprio per i dentoni, Diego Valencia invece è chiamato “El Pollo”. Sempre di animali da cortile si parla ma speriamo per lui, e per la Salernitana, che possa durare più di Lopez in Europa.
Federico Macheda all’Ankaragucu
Sembra ieri che il telecronista di Manchester United - Aston Villa impazziva per la rete del 3-2 di questo giovane italiano di 17 anni, con i capelli pieni di gel e lo sguardo furbo di chi farà strada. Macheda aveva ricevuto spalle alla porta da Giggs, con il tacco si era liberato del marcatore e con un destro di piatto a giro aveva fatto la storia, mandando in visibilio Ferguson, Cristiano Ronaldo, Scholes e tutto lo United.
Non era il primo italiano emigrato in Inghilterra a cercar gloria, ma era quello che sembrava più vicino al successo. Il suo nome era rimasto un po’ effimero nell’aria - aveva comunque 17 anni - prima di scontrarsi con la realtà. Due anni con spiccioli di presenze allo United, un prestito catastrofico alla Sampdoria e poi il declino, che lo ha portato a girare diverse squadre di Championship, prima di tornare in Italia, in B, con il Novara. Nel 2018, per motivi difficili da ricostruire, finisce in una delle squadre più blasonate di Grecia, il Panathinaikos. Per la prima volta qui riesce a rimanere nella stessa squadra più di due stagioni: il risultato è un bottino di 116 partite, 40 gol; niente di eccezionale, ma neanche così male. “Grazie per i bei ricordi”, lo hanno salutato dai canali ufficiali del Panathinaikos, che lascia con una Coppa di Grecia vinta. Ora lo aspetta l’Ankaragücü, squadra della capitale appena promossa nella massima serie turca. Da qualche anno la Turchia sta diventando un approdo per molti italiani sul viale del tramonto o in cerca di riscatto e Macheda risponde pienamente a questo gruppo. Eppure nel suo trasferimento c’è qualcosa di più malinconico e strano, in una squadra di cui ignoravamo l’esistenza fino a qualche giorno fa.
https://twitter.com/Ankaragucu/status/1546889621568688131
Anche solo il video di presentazione è difficile da comprendere: si svolge nel laboratorio di un fabbro, qualcuno sta lavorando del metallo per creare degli scarpini, un lavoro certosino come se stesse disinnescando una bomba. Poi la telecamera si allarga e vediamo il naso importante di Macheda, il suo volto sudato. «Mi chiamo Federico. Federico Macheda» dice cercando di non guardare la telecamera, la voce poco convinta. Non sembra un buon inizio, ma chissà: magari a Ankara Macheda troverà quello che cerca da quasi 15 anni.
Joao Pedro al Fenerbahce
Se il passaggio di Macheda in Turchia sa appunto di ricerca interiore di qualcosa, quello di Joao Pedro al Fenerbahce, che si sta concretizzando in queste ore, ha il sapore triste delle cose belle che finiscono. Con il Cagliari Joao Pedro era passato dall’essere un bidone all’essere un fenomeno, dal giocare un po’ nel ruolo che capitava all’essere leader e trascinatore della squadra. Negli ultimi tre anni ha segnato tantissimo, fino a meritarsi la Nazionale - e se è andata male non è stata certo colpa sua. Della retrocessione dei sardi è stato la faccia di chi non molla, di chi le prova tutte, con il suo gioco generoso e i gol spesso bellissimi. Se era lecito pensare che la B gli stesse stretta, che non poteva impiegare così gli ultimi anni buoni della sua carriera, potevamo sperare di vederlo ancora in Serie A: possibile che nessuna squadra abbia bisogno del suo talento da noi?
Il Fenerbahce ha puntato forte su Joao Pedro al contrario delle squadre italiane: 6,5 milioni di euro al Cagliari, un contratto triennale per lui e la possibilità di lottare per il campionato e di giocare in Europa. Come dire di no? L’ultimo atto della sua lunga esperienza al Cagliari rimarrà una quadripletta in un'amichevole estiva contro un’anonima rappresentativa locale, in una partita finita 10 a 2. Non la fine che desiderava, certo, ma la conferma che Joao Pedro non molla mai, anche con la valigia pronta, un clima tremendo e un futuro incerto davanti.