Eppur si muove. Il calciomercato di gennaio mentre si avvia verso l’ultima settimana inizia a dare i primi segni di vita. Niente di che, più voci che affari, ma è già qualcosa, la speranza di avere un colpo di coda, qualche giovane talento o vecchia gloria che viene ad assaporare i campi della Serie A e non solo il contrario. Noi, però, siamo qui per parlare di affari già conclusi, o quasi, movimenti certi, ma soprattutto movimenti assurdi. Andando a scartabellare per i vari continenti qualcosa si trova anche questa settimana e, quindi, senza ulteriori indugi andiamo a incominciare.
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Jakub Kiwior all’Arsenal
Alcuni movimenti di mercato non sono tanto assurdi, quanto è difficile pensare che arriveremo a troverceli davanti. Di Jakub Kiwior come futuro acquisto di una grande squadra si parla già da un po’, ma vuoi il contesto in cui si trova - lo Spezia è una delle squadre di cui meno si parla, per tanti motivi - vuoi per il fatto che non è un centravanti goleador o un’ala dribblomane è difficile pensare potesse essere davvero comprato da una squadra come l’Arsenal. E invece è successo. L’Arsenal aveva dei soldi da spendere per Mudryk, ma saltato il suo acquisto li sta dirottando su più nomi. Prima è arrivato Trossard e ora Kiwior, per circa 23 milioni di euro. La scorsa stagione con Thiago Motta si era messo in luce come centrocampista difensivo, non un fenomeno col pallone tra i piedi, ma con numeri incredibilmente solidi per quanto riguardava le statistiche difensive. «Avevamo bisogno di un giocatore che desse equilibrio e l’abbiamo trovato con Jakub» ha detto il suo ex allenatore.
Gotti quest’anno lo ha riportato al centro della difesa, lo stesso ruolo che ha nella nazionale polacca, dove recentemente è entrato tra i titolari con l’idea di non uscirne più per molti anni. Dietro ha dimostrato grande tranquillità col pallone tra i piedi e un ottimo potenziale in tutto quello che deve saper fare un difensore. Probabilmente in questa mezza stagione con l’Arsenal non avrà molti minuti a disposizione, in una squadra che sta volando e che difficilmente toccherà l’undici titolare. Ma a 22 anni può mettersi in fila e imparare. La sua duttilità gli permette comunque di giocare in molti ruoli. Rimane comunque un giocatore dello Spezia che va all’Arsenal, uno dei club più glamour al mondo. Probabilmente un bel colpo, ma per noi frequentatori della Serie A rimane un colpo difficile da non considerare almeno un po’ strano.
Yaroslav Rakitskiy allo Shakhtar Donetsk
All’inizio l’abbiamo conosciuto in Champions League, con la maglia dello Shakhtar Donetsk, come uno dei più geniali passatori da dietro della sua generazione. Uno di quei difensori che un allenatore con uno spiccato gusto per la gestione del pallone avrebbe potuto portare in uno dei cinque principali campionati europei. Poi Yaroslav Rakitskiy ha deciso di rimanere allo Shakhtar ed è diventato una leggenda del club, e noi continuavamo a vederlo quasi ogni anno in Champions League, una specie di troll in campo che però trattava la palla come un artista. Anche allora si poteva immaginare che il suo finale di carriera sarebbe stato strano, ma non nel modo in cui è effettivamente è andata in questi ultimi anni. Rakitskiy è nato a Pershotravensk, nell’Ucraina orientale, quando ancora esisteva l’Unione Sovietica e la guerra in Donbass, esplosa nel 2014, sembra colpirlo in prima persona. Da quell’anno smette di cantare l’inno ucraino quando va in Nazionale, una scelta che fa sempre più rumore ad ogni anno che passa. Dall’ottobre del 2018 smette di essere convocato e qualche mese dopo lui ne parla su Instagram: «Il calcio si è politicizzato: è la paura e non il talento a guidare chi seleziona i giocatori per la Nazionale». Nel gennaio del 2019 passa allo Zenit di San Pietroburgo, la squadra simbolo del potere politico russo, sponsorizzata da Gazprom, che si dice sia tifata dallo stesso Putin. Nello stesso anno si ritira definitivamente dalla Nazionale, che comunque difficilmente l’avrebbe più richiamato.
Rakitskiy ha alcune buone stagioni in Russia, diventa anche un idolo dei tifosi, ma quando Mosca decide di invadere l’Ucraina la sua storia prende un’altra curva inaspettata. Su Instagram pubblica una foto di una bandiera ucraina, sotto la caption: “Sono ucraino! #PaceinUcraina #StopWar”. Il giorno stesso viene messo fuori squadra, poco dopo lo Zenit rescinde il suo contratto di comune accordo. Sembra la deriva poco gloriosa di un giocatore che ha cambiato idea troppe volte per il complesso scenario internazionale in cui si è ritrovato. La scorsa estate si trasferisce all’Adana Demirspor, in Turchia, la squadra allenata da Vincenzo Montella dove, tra gli altri, giocano anche Inler e Bjarnason. Era questa la stranezza che ci aspettavamo dalla fine della sua carriera, se non ci fosse stata la guerra in Ucraina. E invece sembra che la storia di Rakitskiy non possa fare altro che sorprendere. Il suo ritorno allo Shakhtar arriva in un momento drammatico della guerra, che infuria proprio nella parte orientale del Paese. Non so se si può definire un lieto fine, d’altra parte la storia di Rakitskiy sembra non ammettere svolte convenzionali.
Viktor Tsygankov al Girona
Il nome di Viktor Tsygankov gira in maniera quasi carbonara tra gli appassionati di calcio periferico da molti anni. Prodotto dell’iconico vivaio della Dinamo Kiev, ogni anno sembrava sul punto di partire per una buona destinazione europea. In patria ha numeri fenomenali: 77 gol in 156 partite di campionato, praticamente uno ogni due giocando come ala. Anche in Europa ha dimostrato di saperci stare: 13 gol tra Europa League e Champions League. Nel momento in cui lo Shakthar vende il suo pezzo pregiato Mudryk a 100 milioni (forse, coi bonus), è strano vedere Tsygankov protagonista di questo trasferimento minore, al Girona per 5 milioni di euro più il 50% sulla futura rivendita.
Il Girona al momento è 11esimo in Liga, ma solo 5 punti sopra una cortissima zona retrocessione. Qualche anno fa è stata acquistata dal City Football Group, lo stesso del Manchester City, dove però non hanno fatto gli stessi investimenti. Che per Tsygankov Girona possa essere la testa di ponte per il calcio che conta?
Mario Lemina al Wolverhampton
Mario Lemina fenomeno o bluff? La questione ha diviso i tifosi della Juventus per anni, tra un potenziale notevole e una presenza sempre un po’ sfuggente. Alla fine Lemina è rimasto in ombra nei suoi anni in bianconero, lasciato andare in Premier League (Southampton) per una cifra buona giusto a rientrare della spesa. In Inghilterra Lemina ci è rimasto due stagioni, senza fare male ma neanche facendo rimpiangere la sua cessione in casa Juventus. Due anni in Premier, forse, sono 14 anni altrove, tipo i cani e allora a Lemina non rimaneva che il cimitero del calcio europeo, ovvero la Turchia. Certo, il Galatasaray è un club storico, con blasone e una tifoseria tra le più calde al mondo, ma va da sè che il passaggio da quelle parti sembrava un addio. E invece, appena un anno in Turchia, e poi il ritorno in Premier, al Fulham, E poi, dopo un anno al Fulham il passaggio al Nizza, per 4 milioni e mezzo a 28 anni.
Lemina in slalom e maglia rosa, una Juve ancora non del tutto radicalizzata.
Al Nizza Lemina sembrava aver trovato finalmente il suo posto. Non una squadra fenomenale, certo, ma il suo modo di giocare si era sempre più affinato. A livello statistico i suoi numeri erano ottimi: tra i migliori in Ligue 1 per contrasti, salvataggi, dribbling contrastati, ma più che buoni anche per quanto riguarda il playmaking e i dribbling fatti, l’essenza di un centrocampista completo. Così completo, che la Premier ha bussato di nuovo, sotto forma di quell’enclave portoghese che è il Wolverhampton. In un mercato inglese assolutamente pazzo come si spiega l’acquisto di Lemina per 11 milioni? Una squadra che ha speso centinaia di milioni per acquisti che si sono rilevati spesso sbagliati (negli stessi giorni Guedes è stato dato in prestito al Benfica) ora cerca di salvarsi dalla retrocessione affidandosi a Mario Lemina, uno che ha cambiato cinque squadre negli ultimi sette anni. Questo ci dice qualcosa su Lemina, forse, su come l’abbiamo sottovalutato. Sicuramente, però, ci dice qualcosa sul Wolverhampton.
Cose rimaste intatte: la coolness.
Marius Hoibraten agli Urawa Reds
Haaland, Odegaard, Ostigard, Solbakken: i giocatori norvegesi sono l’asset che va più di moda nel calcio contemporaneo. Se è così è soprattutto merito di alcune squadre che stanno investendo molto nel proprio settore giovanile e nella propria rete di scouting (come il Molde, da cui è uscito Haaland per l’appunto) e in altre che invece hanno puntato su un’identità di gioco molto moderna, come il Bodo/Glimt, che negli ultimi anni abbiamo imparato ad apprezzare nelle coppe europee. Da quest’ultima stanno uscendo i giocatori più strani, che sono riusciti a mettersi in vetrina in un’architettura tattica che probabilmente nascondeva i loro limiti. Se Hauge al Milan e poi Solbakken alla Roma potevano però ancora avere un senso - sono tutto sommato giocatori molto estrosi che cercavano il grande salto nel calcio d’élite - gli ultimi trasferimenti in uscita del Bodo/Glimt invece si stanno avvitando sempre più nell’assurdo. C’è stato nell’inverno del 2021 il passaggio di Erik Botheim al Krasnodar, in Russia, che era già strano prima, ma che è diventato grottesco con lo scoppio della guerra in Ucraina, e che ha costretto l’attaccante norvegese a cercare rifugio alla Salernitana. Poi quello di Victor Boniface, enorme attaccante nigeriano, alla squadra di culto belga della Royale Union Saint Gilloise. Nulla però batte la cessione di Marius Hoibraten, colonna difensiva della squadra norvegese, agli Urawa Reds, squadra giapponese con sede a Saitama nata originariamente per i lavoratori delle industrie pesanti Mitsubishi. Hoibraten che non è mai uscito dalla Norvegia e a 27 anni prende una decisione alla Iniesta ma che è pur sempre Hoibraten. Cosa ne dobbiamo pensare?
Taison al PAOK Salonicco
Forse vi ricordate di Taison, uno dei funamboli dello Shakthar brasiliano. Taison era quello col taglio afro e le spalle strette, una tecnica eccezionale e un gusto molto carioca per il dribbling. Quando le squadre italiane lo trovavano sulla sua strada sembrava sempre un fenomeno, uno che se fosse andato in una squadra top avrebbe fatto sfacelli. Taison però è rimasto sempre allo Shakthar, di cui è diventato capitano e simbolo: nove stagioni, 299 partite, 55 gol e quasi 80 assist.
Gli account dell’Europa League continuano a riproporre questo gol, di quando però era ancora un giocatore del Metalist.
Nel gennaio del 2021 Taison era tornato il Brasile all’Internacional, il club in cui è cresciuto. Un percorso naturale, quasi lineare a 33 anni. In patria, però, forse Taison non si stava divertendo, forse il suo gioco è stato davvero troppo europeizzato da oltre 10 anni in Ucraina e non si trovava bene in Brasile. Fatto sta che pochi giorni fa, a due anni di distanza, Taison ha fatto il viaggio inverso firmando un contratto con il Paok Salonicco, squadra greca di piccolo culto con un gusto molto raffinato per i giocatori al tramonto (alcuni nomi: El Kaddouri, Zivkovic, Kurtic). Taison è arrivato in Grecia, ha sistemato le sue cose in albergo, è entrato a 22 minuti dalla fine nella partita contro il Panathinaikos e quattro minuti dopo aprendo il piatto destro ha segnato il gol del 2-0. Insomma, ben tornato Taison.