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David Neres può far tornare grande il Napoli?
23 ago 2024
L'ala brasiliana ha un talento più raffinato di quel che sembra.
(articolo)
9 min
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IMAGO / SOPA Images
(copertina) IMAGO / SOPA Images
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È la primavera del 2019 quando il pubblico internazionale si accorge per la prima volta di David Neres. L’Ajax ha perso la prima partita in casa con il Real Madrid, ottavi di finale di Champions League, e in pochi danno qualche chance alla squadra di Ten Hag. Ma è la grande serata di Dusan Tadic, che prima fa segnare a Ziyech il gol del momentaneo 0-1, e poi serve a Neres quella del 1-2 dopo aver saltato con una veronica zidanesca Casemiro a centrocampo.

Neres parte alle spalle di Modric (Carvajal è momentaneamente sull’altro lato del campo), corre dietro la difesa e taglia l’area, riceve sui piedi, controlla e scavalca Courtois con un tocco sotto glaciale. Poi Tadic segna con un tiro a giro dal limite dell’area, Asensio riaccende appena la brace della speranza madridista e Schone con una punizione angolatissima fissa il punteggio sul 1-4.

Neanche un mese dopo l’Ajax affronta la Juventus di Cristiano Ronaldo. E dopo venti minuti David Neres approfitta della distrazione di Cancelo, che controlla un pallone lungo sulla sua trequarti difensiva, sulla fascia destra, in modo approssimativo, e parte verso l’area di rigore. Cancelo non lo riprende più, Neres si accentra e con il destro - il suo piede debole - calcia con precisione a incrociare sul secondo palo.

In quel momento David Neres era uno dei giocatori più interessanti del calcio europeo, un’ala elettrica che sapeva anche muoversi da seconda punta, smarcandosi in profondità, accentrandosi e segnando. Aveva ventidue anni, da tre giocava nell’Ajax e viaggiava a un ritmo di 13 gol e 12 assist stagionali (in quella precedente aveva fatto ancora meglio: 14 e 13). Poi però a novembre del 2019 si rompe il ginocchio, subito dopo arriva il Covid, lui avrebbe dovuto partecipare ai Giochi Olimpici.

Sono passati più di cinque anni, in mezzo ai quali i desideri di Neres si sono scontrati ancora una volta con questioni più grandi di lui: arriva in Ucraina, allo Shakhtar di De Zerbi, a gennaio 2022, neanche un mese prima dell’invasione russa. Al Benfica ha attirato l’attenzione della Juventus, che però alla fine scelse di puntare sul talento eterno di Angel Di Maria. E così, dopo due stagioni in Portogallo, Neres arriva in Italia, qualche centinaio di chilometri più a sud, al Napoli di Antonio Conte.

Ci arriva dopo che il Napoli ha perso 3-0 a Verona il suo esordio stagionale, una partita che ha spinto Conte a scusarsi con il popolo napoletano. Una squadra in continuità nella propria crisi, che ha perso uno dei suoi trascinatori - Osimhen - e fatica a trovare un’identità diversa da quella che le aveva dato Luciano Spalletti. David Neres arriva a Napoli per risollevarlo, per riportarlo là dove si merita di stare. Certo non da solo - si parla sempre di Lukaku, pare sia in arrivo anche Gilmour, entrambi già allenati da Conte - ma forse dei nomi fatti finora è quello con maggiori potenzialità di influire sul gioco del Napoli.

Carlo Nicolini - oggi direttore sportivo dello Shaktar e ai tempi collaboratore di De Zerbi, che Neres lo ha conosciuto ma non allenato, sempre per via della guerra - lo ha descritto a Radio Kiss Kiss come «uno che salta l’uomo, forse segna meno di Kvaratskhelia, però è quella la zona di campo dove preferisce giocare». In effetti lo scorso anno, col ritorno di Di Maria al Benfica, ha giocato soprattutto a sinistra - così come nella stagione in cui l’Ajax è arrivato in semifinale di Champions, con Ziyech a destra - ma in carriera Neres ha giocato più spesso sul lato opposto, quello destro, dove prenderebbe il posto di Politano.

Come Kvara, però, è un giocatore che ama accentrarsi, che non gioca in isolamento, uno contro uno. Perfetto, quindi, per Conte, che finora ha rifiutato nettamente il ritorno al 4-3-3 e sembra intenzionato a continuare con il 3-4-2-1 visto in questi primi mesi. Neres non ha il controllo puro di un trequartista, ma se smarcato, con la possibilità di orientarsi col controllo in direzione dell’area, costringe i difensori a confrontarsi con una velocità palla al piede che hanno in pochi in Serie A. Se c’è il rischio che con Kvara si possano pestare i piedi, è più per la tendenza del georgiano a spostarsi per il campo seguendo il proprio istinto e cercando di farsi dare la palla sui piedi, ma Neres è un giocatore che guadagna dall’avere compagni vicini.

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Un esempio recente di come Neres sappia scambiare con giocatori al livello di Di Maria.

David Neres non è come sembra. Non bisogna farsi ingannare dalle apparenze. Da quegli occhi a mezz’asta, dall’aria rilassata, troppo rilassata, dalle risposte sagaci. Tipo: «Ten Hag una volta si è lamentato dei miei capelli, gli ho detto di preoccuparsi dei suoi, di capelli, che dei miei mi preoccupavo io. Le due partite dopo mi ha messo in panchina». È una battuta piuttosto famosa di cui sembra impossibile trovare la fonte originale: magari non è neanche vera, ma il fatto che passi così facilmente per vera dice comunque qualcosa su di lui, anche nel caso sia del tutto inventata.

In un’intervista al canale YouTube brasiliano Desimpedidos, conosciuto per interviste semi-comiche a calciatori, non si è vergognato di descrivere nei dettagli il nervosismo che prova prima delle partite. «È vero che fai la cacca prima di ogni partita?», gli chiede il presentatore con una maschera della lucha libre messicana sulla faccia. «Sì, è vero. Divento ansioso e capita anche che faccia due volte la cacca prima di una partita. A fine riscaldamento a volte sono disperato per quanto non riesco a trattenerla».

Ma non bisogna confondere la leggerezza con la mancanza di serietà. O con la mancanza di efficacia, di lucidità. Neres è sì un dribblomane - la scorsa stagione ne ha effettuati 5.3 in media ogni 90’, circa la metà riusciti, lo stesso l’anno prima: sono numeri alti, non al livello di Kvara (7.2 in totale) ma comunque molto superiori a quelli di Politano (lo scorso anno 3.1, di cui solo 1.2 riusciti) - ma non è uno di quei giocatori ostinati alla continua ricerca di soluzioni personali. Se non è lanciato nello spazio non è del tutto autosufficiente, ha bisogno di associarsi coi compagni. Non dribbla neanche per irridere gli avversari, per metterli sotto pressione psicologica (come ha detto di fare Lamine Yamal, ad esempio) o per sentirsi superiore. Quando gli hanno chiesto - sempre il tipo con la maschera di lucha libre - se dribblava così tanto perché i difensori olandesi erano di basso livello, lui ha risposto: «Un dribbling riuscito dice di più sulle qualità dell’attaccante che su quelle del difensore».

Per Neres dribblare è soprattutto un modo per trovare spazio, in questo si vede la sua formazione olandese: il suo è un calcio di spazi più che di giocate. Fisicamente non è fortissimo, soffre le marcature più aggressive - per questo, anche, si muove molto senza palla, alla ricerca di ricezioni libere - e molti suoi dribbling sono palloni spostati troppo velocemente per chi lo marca, finte di andare sull’interno seguite da frenate improvvise, piccoli trick da rubabandiera per ricavare quel mezzo metro, e quel mezzo secondo, per poter mettere la palla in area di rigore o appoggiarsi a un compagno.

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Questo è l’ultimo assist che ha fatto per un compagno al Benfica in una partita ufficiale: la semifinale di ritorno di coppa di Portogallo dello scorso aprile. Per chi farà questi cross al Napoli? Per Lukaku? Certo sarebbe stato bello vederlo con Osimhen…

Questa è la giocata tipica di Neres quando è isolato a destra. Un paio di finte per sbilanciare il marcatore (in questo caso Hujlmand), per sovraccaricare il suo sistema di input e prendere lo spazio spostandosi la palla a sinistra, per poi mettere una cross morbido sul secondo palo (dove arriva Otamendi). Ma può andare anche verso il fondo e crossare di destro, sempre con una buona qualità, i suoi sono cross morbidi e invitanti.

Non c’è molta differenza tra i suoi dribbling e le corse palla al piede rispetto al modo in cui usa i passaggi. Anche negli spazi più stretti cerca di giocare nel modo più rapido possibile e la sua visione di gioco gli permette - se ci sono - di premiare i movimenti senza palla dei compagni.

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Anche se il suo idolo era Robben, quando Neres viene dentro al campo non è per forza per calciare di sinistro: la ricerca dei compagni resta uno dei suoi capisaldi.

Ten Hag e Roger Schmidt lo hanno inserito in squadre offensive e con una mentalità verticale e la cosa peggiore per lui, forse, sarebbe giocare in un contesto statico.

Il Napoli di Conte è apparso rigido in queste prime uscite e probabilmente da Neres ci si aspetta anche che faccia da acceleratore della manovra del Napoli, sperando che i giocatori intorno a lui si adattino al suo livello di fluidità. Sarebbe più facile usare Neres in un calcio di transizioni, anche corte e disordinate ma forse così si rischia di mettergli troppo peso sulle spalle e al tempo stesso limitarlo in un aspetto solo del suo gioco. Il meglio Neres lo dà quando intorno a lui ci sono opzioni di passaggio e spazi in cui correre.

Il che non significa che nel proprio repertorio Neres non abbia quei numeri tipicamente brasiliani con cui è cresciuto negli anni del San Paolo.

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Finta secca di tornare indietro per guadagnarsi la linea di fondo, pausa, poi elastico per passare in mezzo a Danilo e Kostic. Più brasiliano di così....

Le due culture, quella brasiliana e quella olandese, influenzano in pari misura il suo gioco. Se David Neres oggi sa anche recuperare palla in pressione, e ai movimenti dell’ala pura ha aggiunto quei tagli in profondità da seconda punta, la qualità e la frequenza dei suoi tocchi di palla, la capacità di cambiare direzione e velocità, restano la base del suo talento. Per caratteristiche ricorda vagamente Hirving Lozano, che però non è mai riuscito a integrarsi davvero nel Napoli: Neres trova un giocatore come Kvara, che non solo parla la sua stessa lingua, con cui quindi può associarsi nella fascia centrale del campo, ma che può anche servirlo alle spalle della difesa o negli spazi tra centrale e terzino.

Poi c’è l’aspetto psicologico. Il fatto che David Neres abbia voluto il Napoli al punto da rompere con Schmidt, consapevole forse del ruolo importante che avrà. Nella sua prima e unica intervista per i media dello Shakhtar, gli chiedono: «Sei un calciatore famoso, ma potresti comunque descrivere ai tifosi ucraini i tuoi punti di forza?». «Non penso di essere così famoso», risponde lui con autoironia. «Punti di forza? Il mio piede sinistro, la capacità di tagliare dentro dall’esterno, sono molto forte in questo. E poi gli assist, i gol, ma la cosa più importante è la mia voglia di vincere».

Che tagli dall’esterno verso il centro, o che riceva direttamente all’interno del campo (come comunque faceva anche in sistemi in cui la posizione di partenza era esterna), sull’integrazione di Neres in un gioco che sia il più possibile corale, non automatizzato ma spontaneo, che segua il suo istinto e quello di Kvaratskhelia (preferibilmente con una punta forte che riceva i cross di entrambi in aerea) può nascere un nuovo Napoli, che torni ad essere davvero competitivo. A ventisette anni, David Neres ha fatto una scommessa che non può vincere da solo, ma che se tutti i pezzi del puzzle si incastrano a dovere, pagherà grossi dividendi.

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