Anche se è in Italia da ormai quattro anni, Hakan Calhanoglu continua a non essere capito, a essere visto come il giocatore che non è, un trequartista dalla tecnica sopraffina e la visione illuminata, a cui basta dare la palla per far succedere qualcosa. In molti sono caduti di nuovo in questo equivoco dopo la firma di Calhanoglu con l’Inter, un colpo di scena arrivato dopo il mancato rinnovo del contratto in scadenza con il Milan.
L’Inter aveva bisogno di una mezzala creativa, vista l’incertezza sul futuro di Eriksen, e la presenza di Simone Inzaghi come nuovo allenatore al posto di Antonio Conte ha fatto passare un concetto logico solo in apparenza. Nel nuovo 3-5-2 dell’Inter, meno legato a combinazioni memorizzate e ripetute e più costruito attorno al talento degli interpreti, Calhanoglu va a occupare il posto che nella Lazio di Simone Inzaghi spettava a Luis Alberto, e cioè quello del trequartista che crea e dà ordine alla manovra partendo però dalla posizione di mezzala sinistra.
Anticipare la posizione e i compiti assegnati a Calhanoglu non è però così semplice. Ci sono innanzitutto le incognite che riguardano il mercato dell’Inter. A oggi semplicemente non possiamo sapere che squadra avrà a disposizione Inzaghi, quali saranno le cessioni e gli acquisti in una squadra che, a detta del presidente Steven Zhang, deve «ritrovare un equilibrio finanziario attraverso il ridimensionamento dei costi» (che è poi uno dei motivi che ha spinto la dirigenza nerazzurra a cogliere l’occasione con Calhanoglu, ormai libero da vincoli contrattuali). Ma anche immaginando che l’Inter continuerà a giocare con il 3-5-2, e che due posti a centrocampo saranno occupati ancora da Brozovic e Barella, non c’è quasi nessun punto di contatto tra Luis Alberto e Calhanoglu, se non la probabile posizione nel 3-5-2, quella appunto di mezzala sinistra.
Certo, sia Luis Alberto sia Calhanoglu sono due trequartisti, amano giocare sulla trequarti e sanno fare ciò che è richiesto a un giocatore che si muove in quelle zone: contribuire alla rifinitura, creare occasioni, segnare. Tutti e due sono più bravi a rifinire che a finalizzare, e da quando giocano in Italia sono andati in doppia cifra solo una volta (Luis Alberto ha segnato 12 gol nella stagione 2017/18, Calhanoglu ne ha realizzati 11 nell’annata 2019/20).
Il loro modo di contribuire al gioco, di costruire i loro numeri offensivi, è però completamente diverso. Dopo la firma con l’Inter, è circolato molto il dato sulle occasioni create da Calhanoglu nell’ultima stagione (98), il più alto nei cinque principali campionati europei.
Non è stato specificato però che oltre la metà di quelle occasioni (50) Calhanoglu le ha create da calcio piazzato. Da calci d’angolo o punizioni quindi, specialità in cui in effetti il turco è uno dei migliori in Europa. Da fermo Calhanoglu riesce a far emergere la sua dote migliore, la tecnica con cui calcia e dà alla palla traiettorie insidiose per chi difende, e che nell’ultimo campionato ha fruttato la maggior parte degli assist che ha servito: dei 9 totali, ben 6 sono arrivati infatti da calcio piazzato.
Se però si escludono le palle inattive, la creatività di Calhanoglu si normalizza. Il confronto con Luis Alberto, che come lui è uno specialista dei calci piazzati, è significativo. Da corner e punizioni, nell’ultimo campionato lo spagnolo ha ricavato in tutto 21 occasioni, circa un quarto del totale (80, secondo i dati di WhoScored). Luis Alberto ha creato di più nelle azioni manovrate, e ha creato occasioni di maggiore qualità (0,23 xA per 90 minuti, secondo il modello di Alfredo Giacobbe, mentre Calhanoglu si ferma a 0,14 xA).
Un’altra grande differenza è il loro contributo alla risalita del campo. In questo Luis Alberto è tra i migliori del campionato: per metri guadagnati con passaggi e conduzioni è stato il terzo nell’ultimo campionato (il dato è di Alfredo Giacobbe) dopo Danilo e Locatelli. Calhanoglu è distante, e già questo basta a entrare più nello specifico delle loro differenze.
Molto dipende dal contesto ovviamente. Calhanoglu era il trequartista di una squadra verticale come il Milan, che puntava molto sulle transizioni e voleva raggiungere presto gli ultimi metri, se necessario appoggiandosi direttamente al centravanti. In questo sistema, giocando sia al centro sia a sinistra, tra i trequartisti era Calhanoglu il più portato ad abbassarsi per aggiungersi a centrocampo, posizionandosi di fatto da mezzala, se l’azione faticava ad avanzare. Era però un movimento non sempre previsto, condizionato dal momento, dalla necessità di avere una linea di passaggio in più per uscire dalla metà campo, anche perché lo spazio davanti ai difensori era già occupato dai due mediani.
Palla a Donnarumma, che però non sa a chi passarla. Calhanoglu si abbassa alla sinistra di Bennacer, ma nemmeno lui fornisce una linea di passaggio pulita, e allora l’ormai ex portiere milanista apre a sinistra su Theo Hernández.
Nella divisione dei compiti, la costruzione spettava al quadrilatero formato dai difensori centrali e dai mediani, e Calhanoglu interveniva in un secondo momento, quando la palla era già nella metà campo avversaria. Calhanoglu non aveva cioè l’urgenza di abbassarsi per toccare la palla e dirigere la manovra, di prendersi il pallone e occuparsi di farlo avanzare come invece faceva Luis Alberto nella Lazio. Davanti alla difesa gli spazi erano già occupati e lui poteva incidere di più se riceveva più avanti, con spazio per muovere la palla in verticale, passandola o portandola lui stesso.
A questo punto va chiarito un altro equivoco. Calhanoglu può raggiungere ogni punto del campo, è capace di lanci e cambi di gioco spettacolari, di verticalizzare con precisione, ma non è un grande passatore, o almeno non ai livelli di Eriksen o Luis Alberto. Può affettare uno schieramento disordinato, ma non gli viene facile disordinarlo in prima persona, manipolare la pressione, attirarla per poi dare la palla al compagno che si libera alle spalle, fare passaggi interlocutori solo per muovere le linee avversarie e trovare lo spazio migliore in cui far avanzare la palla.
Questa era invece la specialità di Luis Alberto nella Lazio di Simone Inzaghi. Lo spagnolo andava di continuo a ricevere dai difensori abbassandosi sulla linea di Lucas Leiva, o anche più indietro, e poteva creare spazi, manipolare la pressione, anche senza toccare la palla. Qui sotto c’è un esempio dall’ultima partita contro il Milan. Luis Alberto si avvicina a Reina portandosi dietro Saelemaekers e alle spalle del belga si apre lo spazio per far salire Radu, che riceve il passaggio con le mani da Reina.
Calhanoglu non ha lo stesso magnetismo, questa capacità di attirare l’avversario e poi mettere il pallone alle sue spalle, e con l’uomo addosso è di certo un giocatore più limitato rispetto a Luis Alberto. Non è un grande dribblatore e in spazi stretti il suo controllo di palla cala in modo drastico. Anche per questo non è mai stato un trequartista accentratore, da cui passa ogni azione, ma piuttosto un giocatore che velocizza, che si esalta nel disordine e crea per accumulazione, prendendosi dei rischi. Più è inserito in sistemi che accettano le sue imprecisioni, che lasciano esprimere la sua verticalità attaccando in spazi lunghi e con molte transizioni, più funziona e fa la differenza. Il Milan di Pioli e il Bayer Leverkusen di Roger Schmidt hanno creato un contesto di quel tipo e hanno ricavato molto da Calhanoglu.
Conduzione da una trequarti all’altra e filtrante per Ibrahimovic al momento giusto: Calhanoglu al suo meglio.
Se può accelerare, ha riferimenti facili da trovare, spazi in cui muoversi e verticalizzare, Calhanoglu diventa un giocatore prezioso, raro, capace di mantenere il controllo e di rimanere preciso in condizioni che di solito non favoriscono il controllo e la precisione. Se invece i ritmi si abbassano, se riceve in spazi troppo stretti, sia abbassandosi per iniziare l’azione sia rimanendo tra le linee, il suo contributo si normalizza.
Secondo Stefano Pioli, uno degli allenatori che più lo ha amato, a 27 anni Calhanoglu non ha ancora mostrato la miglior versione di sé stesso: «Secondo me non ha ancora raggiunto il suo massimo potenziale perché ha quantità, qualità e generosità», aveva detto il tecnico rossonero a inizio maggio dopo una vittoria per 2-0 contro il Benevento. «Deve trovare un pelo di precisione in più negli assist ma sta trovando quella consapevolezza e fiducia che forse in passato non ha avuto per esprimersi al meglio. Secondo me può entrare in doppia cifra sia per quello che riguarda i gol che gli assist».
Un affetto ricambiato da Calhanoglu nella prima intervista da giocatore dell'Inter, in cui ha riconosciuto i meriti di Pioli per la crescita del proprio rendimento al Milan: «L’ultimo anno ho giocato molto bene con Pioli, perché ho giocato nel mio ruolo, che mi piace molto». Poco dopo ha invece rivelato di essere rimasto colpito dalle prime parole scambiate con Simone Inzaghi, a cui tocca ora inserirlo in un contesto che lo faccia brillare.
È vero che quattro anni fa Calhanoglu, quando giocava da mezzala sinistra nel 3-5-2 di Montella, aveva ammesso di essersi trovato male in quel sistema, ma è passato molto tempo e va detto che Simone Inzaghi è tra gli allenatori più abili del campionato a valorizzare il talento, a tirare fuori il meglio dal materiale a disposizione. Di certo non sarà il Luis Alberto dell’Inter, ma Calhanoglu può comunque avere un ruolo importante, se Simone Inzaghi saprà creare le giuste condizioni per farlo giocare nel modo che conosce meglio: veloce, in verticale, senza la responsabilità di gestire i ritmi dell’azione.