Nell'autunno 2011, José Maria Callejón Bueno assiste dalla panchina alla vittoria del Real Madrid in casa del Valencia. Il mattino seguente, all'alba, è in una scuola di Motril, in Andalusia: chiamato a fare il vicepresidente di seggio elettorale, deve assicurarsi che il titolare dell'incarico sia presente oppure sostituirlo. Il presidente c'è, Callejón va all'aeroporto. All'arrivo a Madrid, i compagni lo prenderanno in giro per i sessanta euro che ha guadagnato con il dovere civico.
Da ragazzino giocava da punta centrale. Mauricio Pochettino all'Espanyol lo ha dirottato sull'esterno. A Napoli, poi, Callejón ha temperato la propulsione offensiva adeguandosi a funzioni di contenimento. Più ancora che farlo ha saputo disporsi ad arretrare il raggio d'azione, finendo per diventare più prolifico negli assist che nei gol.
Duttile, intelligente, titolare con allenatori diversi (da Mourinho a Sarri, da Benítez ad Ancelotti) e altrettanto amato dai tifosi per la serietà e l'impegno. Uno che prepara ogni gara studiando i movimenti dei difensori avversari, per poterli sorprendere. Per trovare “quella fessura”, come la chiama, che è una breccia nella linea.
Anche il padre faceva il calciatore, è arrivato fino al terzo livello del calcio spagnolo. Ma fumava troppo e per questa trascuratezza dice lui stesso che non è andato lontano.
Nelle sette stagioni in Italia la presenza di Callejón è stata continua ma discreta. Un perno per i suoi tifosi, una spina per chi lo affrontava. Callejón c'è stato sempre (a un certo punto giocò 113 partite consecutive), la Serie A ha imparato a conoscerne tanto la generosità nei ripiegamenti quanto le diagonali da predatore paziente.
Oggi va incontro ai trentaquattro anni (11 febbraio 1987), il contratto col Napoli è scaduto, il futuro prossimo sarà altrove. Quel perno viene via e lascia un disorientamento.
In uno dei primi allenamenti con la maglia del Napoli a Dimaro nel 2013 (Daniele Montigiani - LaPresse).
Sulla costa andalusa, nell'abbraccio della Sierra Nevada, affacciata sul Marocco, Motril ha sessantamila abitanti e un figlio famoso che si chiama come il padre – José María Callejón. Il ragazzino che diventerà un esempio di applicazione al lavoro è indisciplinato, più che vivace. Ha imparato a giocare a pallone in piazza, usando due alberi come pali. E ha talento: a quindici anni lo vogliono sia il Barcellona che il Real Madrid. Sceglie la squadra che tifa da sempre.
Si trasferisce giovanissimo: a posteriori lo considererà una svolta per la sua maturazione. Con lui nella Fábrica entra anche Juan Miguel, “Juanmi”, il fratello gemello. Il più tecnico dei due, secondo Rafael Salguero, coordinatore della squadra dove hanno iniziato entrambi – il Costa Tropical di Motril. Si somigliano al punto che agli arbitri capiterà di ammonire il gemello che non ha commesso fallo.
È il 2002. Nei successivi sei anni, i genitori percorrono 400.000 chilometri per passare del tempo con loro a Madrid. In macchina da Motril, tutti i fine settimana – quando il banco di frutta e verdura è chiuso. Eppure col senno di poi dicono che non è bastato: si sono comunque persi l'adolescenza dei figli.
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Que recuerdos... Quien es quien? Jeje...
Un post condiviso da jcallejon21 (@jcallejon21) in data: 20 Ago 2012 alle ore 6:57 PDT
I gemelli al Costa Tropical di Motril. Per sponsor, una parafarmacia.
Quando si presenta a Napoli, viene trattato come un acquisto minore. Uno scarto o almeno un colpo che si perde tra altri più clamorosi, un vino da feria. L'estate 2013 invece ha una gradazione altissima, Napoli ribolle: è finita l'epoca Mazzarri, è arrivato un allenatore dal profilo internazionale come Rafael Benítez.
In molti non mettono a fuoco Callejón, accecati dalla cessione di Cavani o dall'acquisto contemporaneo di Gonzalo Higuaín (lui e Albiol completano il pacchetto). Il ragazzo coi capelli in ordine è passato al San Paolo già una volta, un'anemica amichevole estiva con l'Espanyol, senza farsi notare. Non ha mai giocato in nazionale, non è parte della grande Spagna che sta vincendo tutto quello che si può vincere. Per la sua prima stagione prende la maglia numero 7, quella che era di Cavani, e pare un gesto arrogante.
Segna all'esordio in serie A, il primo gol in assoluto del Napoli in stagione. E poi segna alla seconda giornata di campionato, e alla terza. Si inserisce a perfezione nei meccanismi, ha la totale fiducia del tecnico che l'ha voluto.
Sarà un acquisto-chiave del biennio Benítez, che a sua volta marca un passo avanti nelle ambizioni del club. Discusso, sovraccarico di aspettative, magari deludente ma capace di un rinnovamento utile – un lavoro che resterà negli anni a venire. Quella stagione il Napoli la chiude al terzo posto in classifica, ed esce dal girone di Champions League con il record amaro di dodici punti. Vince la Coppa Italia, il primo trofeo di Callejón da protagonista.
Lui nel primo anno italiano raccoglie 20 gol complessivi (11 assist), dice che è merito dell'allenamento sulle finalizzazioni e di Benítez che lo invita a essere più egoista. Non segnerà più tanto, ma neanche gliene importerà: “Non vivo di gol. Vivo più del lavoro e dello sforzo”.
Foto di Alfredo Falcone - LaPresse.
Aveva già vinto, da comprimario. Una Liga e una Supercoppa con la società che l'aveva cresciuto.
Eppure aveva rischiato di essere uno dei tanti talenti sbocciati altrove, non fosse stato per Mourinho. Era stato il tecnico ad avvicinarsi, dopo una partita tra Real ed Espanyol – a chiedergli se non avesse voluto tornare. All'Espanyol aveva fatto tre stagioni in crescendo, l'arrivo di Pochettino in panchina l'aveva aiutato, stava per chiudere l'ultima Liga con 10 assist. Callejón scoppiò a ridere, pensò a uno scherzo.
Pochi mesi dopo, il Real riacquistava il suo cartellino (al quadruplo di quanto l'aveva venduto) e lui indossava la maglia della prima squadra. Il padre definirà quel ritorno “la mia più grande speranza”. Come prima cosa, il figlio (insieme al fratello, che quell'estate andò all'Hércules, nella B spagnola) mise i genitori in condizione di poter chiudere la frutería dopo trent'anni di lavoro.
Al Real, Callejón è “molto importante”, come ha ricordato di recente Mourinho, pur senza essere un titolare. Schierato per spezzoni di gara, sempre pronto, sempre concentrato, mai un muso. Dopo due stagioni, il punto è che Callejón a Madrid sta pure bene ma vorrebbe giocare di più. La chiamata di Benítez è un'occasione. L'addio al Real stavolta è definitivo, e a lui lascerà un rammarico.
Foto di Jasper Juinen / Getty Images.
Le giovanili erano state binari rassicuranti, anni dritti verso la destinazione. Nella Fábrica i gemelli Callejón colpivano l'attenzione ma avevano doti che andavano oltre. José spiccava. Imparava in fretta a disciplinarsi, smettere di essere un jugador de la calle, come era considerato dall'allenatore Juan Carlos Mandiá. Nel 2007/08 esordì in Under-21 e realizzò 21 reti in 36 gare con il Castilla (in squadra c'erano anche Dani Parejo, Ádám Szalai, Javi García). Secondo Mandiá, aveva “i movimenti dei migliori nove del mondo”, ricordava David Villa.
L'ultimo atto del percorso era stata la separazione dei fratelli: lui all'Espanyol e Juanmi al Mallorca. Uno dei momenti più difficili della vita, dirà José. Che per il gemello userà parole fortissime. “È il mio altro io. Lo adoro. Non capirei la vita senza di lui”.
Succede che mentre José si afferma, il gemello arranca in giro per squadre sempre più piccole e meno ambiziose. E quando l'uno lascia la Spagna, l'altro lascia l'Europa.
È in Bolivia che nel 2013 Juan Miguel trova una società, il Bolívar, e contestualmente la sua dimensione. Vince diversi campionati, si laurea anche capocannoniere. Un'altra esperienza avventurosa, in Arabia Saudita, non va altrettanto bene: dopo un anno sceglie di nuovo La Paz, che è già un posto dove tornare. Solo lo scorso gennaio Juanmi ha lasciato la Bolivia per giocare a Marbella, nella terza serie spagnola.
A novembre 2016, Juanmi chiudeva la prima esperienza al Bolívar e si avviava a cominciare quella all'Al-Ettifaq. José invece entrava sul campo del “Nuevo Los Cármenes” di Granada. La sua terza presenza con la nazionale maggiore, impegnata nelle qualificazioni ai Mondiali di Russia. In tribuna c'erano i genitori e gli amici più cari. La Roja era una conquista arrivata quando sembrava tardi, a ventisette anni, tra nomi più risonanti del suo. Ora che stava per compierne trenta, poteva godersi la gratificazione dal pubblico andaluso che si alzava in piedi per salutarlo. Era a casa – Motril distante solo sessanta chilometri.
Foto di Sergio Camacho / Getty Images.
Si piange tra le mani, mentre i compagni festeggiano la vittoria. Piegato sulle ginocchia sembra emergere dall'erba come una statua. Sono trascorsi sei anni dalla Coppa Italia che incorniciò la sua prima stagione italiana. Ora ne ha vinta un'altra. In mezzo c'è stato l'innamoramento reciproco con una città, l'assalto fallito allo Scudetto, l'approdo alla nazionale maggiore, il matrimonio, la nascita di due figlie. È il 17 giugno 2020, l'Olimpico di Roma svuotato dal Covid. Callejón piange di fronte al lieto fine: un trofeo vinto ai rigori contro la Juventus – la grande rivale di questi anni.
In queste stagioni, Callejón e il Napoli si sono sovrapposti. Nelle ultime due ha portato diverse volte la fascia da capitano. La società ha comprato giocatori che lo facessero rifiatare, e invece ha continuato a giocare sempre lui (un minimo di quarantacinque presenze e tremila minuti a stagione). Nella primavera 2019, a Frosinone, alcuni tifosi avevano rifiutato la maglia della sua trecentesima gara in azzurro, che era andato a portare sotto gli spalti. Protesta contro il Napoli calcio, protesta contro Callejón. Sovrapposizione.