Il 7 maggio, un giorno piovoso di primavera, mentre a Roma si svolgeva il primo turno del tabellone femminile degli Internazionali di tennis, Camila Giorgi si ritirava. Lo avremmo scoperto collettivamente solo il giorno dopo. Nessun annuncio, nemmeno una storia effimera su Instagram. Semplicemente il suo nome è apparso nella “Retired Players List” dell’ITIA (International Tennis Integrity Agency), l’agenzia che si occupa dei controlli antidoping nel tennis. Questione chiusa.
La fuga improvvisa dal mondo dello sport giocato ha fatto sorgere delle domande sul possibile motivo. Per una strana coincidenza, riporta il Corriere della Sera, proprio in questo periodo è stato disposto il rinvio a giudizio per la vicenda sulle false certificazioni di vaccinazione contro il Covid. Una dottoressa vicentina, indagata per aver prodotto i documenti falsi, avrebbe fatto dei nomi, tra cui spuntava anche quello della neo-ritirata Giorgi. La trentaduenne all’epoca si era difesa dicendo di essersi «vaccinata in diversi posti».
La stranezza aumenta, anche dal momento che il tennis è uno sport individuale e individualista, ci ha abituato a addii lunghi e annunciati con mesi di anticipo. In questo momento stiamo vivendo il lento saluto di Rafael Nadal che fa il suo ultimo giro di terra rossa prima di andare in pensione. Senza scomodare i semidei, il minimo sindacale è concedersi un’ultima sconfitta nel torneo di casa, o in quello preferito. Lacrime, autografi, arrivederci. Se il corpo non lo permette, è sufficiente un post sui social: una foto con un trofeo, o ancora meglio del tennista da bambino che impugna una racchetta che sembra enorme. E poi una lunga descrizione sui capitoli che si chiudono, le porte che si aprono, il tennis è la mia vita, mi mancherà ma è ora di guardare al futuro. Camila Giorgi però non ha mai condiviso molto della sua vita sportiva sui suoi profili social e il suo ritiro non ha fatto eccezione.
Non ci ha concesso nulla e la sensazione per qualche ora è stata molto simile a quando il ragazzo ti ghosta e così capisci che vi siete lasciati. Perché Camila? Ti sei fatta male? Ti sei stancata? Magari finalmente vuoi iniziare la tua carriera full time in tutti i lavori che sembra ti piacerebbero più del tennis, tipo la stilista o la scrittrice di libri per bambini. Manca una risoluzione certa e ci fai sentire un po’ sbagliati, un po’ brutti, poco interessanti.
Del resto, è normale aspettarsi un addio almeno in qualche misura cerimonioso da quella che è stata la tennista italiana più forte, nonché la sola, per un po’. Il periodo del dominio di Camila Giorgi è arrivato in un periodo transitorio, subito successivo alla generazione eccezionale di Schiavone, Pennetta, Errani e Vinci. L’attenzione si era accesa davvero per la prima volta nel 2012: a vent’anni, l’allora 145 del ranking Giorgi aveva raggiunto gli ottavi di finale a Wimbledon. A fermare la sua corsa trovò la numero 3 del mondo Agnieszka Radwańska.
La polacca, che era soprannominata la maga, era famosa per le sue soluzioni varie, di tocco e sensibilità, la capacità di anticipo e l’intelligenza tattica. Giorgi invece sapeva tirare forte. Nonostante la giovane età e l’inesperienza dell’italiana, la partita è subito diventata un manifesto dell’universo giorgiano: doppi falli su palle break, nastri colpiti senza scusarsi, schiaffi al volo senza guardare da che parte fosse andata la polacca. Ma soprattutto tantissimi vincenti, da entrambi i lati del campo, lungolinea, incrociati, tutti piatti e fulminanti. Guardando gli highlights e coprendo con un dito il punteggio non si potrebbe dire con certezza chi abbia vinto la partita. Giorgi conduce ogni scambio, cercando le soluzioni più complicate e definitive possibili. Tante volte sembra giocare da sola contro una macchina spara-palline, o comunque un’entità che lei non considera senziente: dove vada o come pensi di opporsi al colpo di Giorgi non sembra importare. Se si solleva il dito dalla grafica con il punteggio per sbirciare, l'orrore. Era davvero necessario quell’angolo assurdo per difendere palla break, Camila? Forse l’unico modo per godersi l’esperienza giorgiana era con il dito ben fermo sopra i numeri. Come sembrava fare lei, dopotutto.
Questa incuranza verso tutto - dove tirare la pallina, quanto stiamo, cosa sto facendo - è stata la sua cifra. Non una vera e propria ribellione, ma una postura diversa da chiunque altra. Una forma di nichilismo o di auto-protezione? Leggendaria la sua intervista a Wimbledon in cui aveva ammesso di non seguire il tennis femminile, e dopo si è corretta, precisando di non seguire proprio il tennis in generale.
La tennista, nata nel 1991 a Macerata, è stata a lungo considerata un talento sprecato. Fin dal suo esordio, tutte le partite di Camila Giorgi sono commentate allo stesso modo: un eterno ciclo di dannazione e ammirazione, entrambe dovute all’apparente incapacità della tennista di adattare il suo gioco al momento della partita. O forse lei preferirebbe dire che si rifiutava di lasciarsi condizionare da qualche agente atmosferico ininfluente, come l’avversaria di turno. Probabilmente non sapremo mai come si vede: è una di poche parole, ancor più se l’argomento è il tennis. Quando nel 2021 ha vinto il torneo più importante della sua carriera, il WTA 1000 di Montreal, il suo discorso in francese è durato in tutto 33 secondi. Per dare un contesto, Karolína Plíšková, l’avversaria battuta da Giorgi in finale, ha parlato il triplo del tempo. Non che non le importasse: quando ha vinto, la tennista italiana ha pianto, in uno dei rarissimi momenti in cui ha lasciato trasparire emozioni in campo. È solo che non c’era davvero molto da dire: «Buonasera a tutti, voglio ringraziarvi per questa settimana incredibile. È stata una finale splendida con Karolína, quindi ecco sono molto contenta di essere qui. È il mio primo titolo qui. Ringrazio tutti e soprattutto mio padre che mi supporta in tutto, e anche mia madre». Fin. Nessuno sponsor, organizzatore, a malapena il pubblico. Per il team, è bastato ringraziare i genitori.
La famiglia Giorgi è un ecosistema autarchico. Hanno vissuto in Italia, poi Francia, Stati Uniti. Per un periodo avevano pensato anche di spostarsi in Israele e cambiare passaporto sportivo di Camila. La madre, Claudia Fullone, ha lasciato il suo impiego all’Università di Macerata per creare Giomila, un marchio di abiti sportivi che prende il nome da sua figlia. Non hanno bisogno della FIT – la Federazione Italiana Tennis – che nel 2016 il patriarca Sergio Giorgi definì «un clan, sembrano un palazzo della vecchia Unione Sovietica». L’unica concessione che fanno al mondo esterno sono gli sponsor che compaiono sui vestitini di fiori e di pizzo firmati Giomila che hanno contraddistinto la tennista per tutta la sua carriera.
Non hanno bisogno di nessuno, nemmeno di un coach. Per quello è sufficiente Sergio, il padre, un italo-argentino veterano della guerra nelle Falkland. Non ha giocato a tennis neanche un giorno della sua vita: la sua carriera sportiva prima di diventare il coach di sua figlia si era limitata a qualche squadra minore di calcio in Argentina. In una lunghissima tradizione di padri-padroni nel mondo del tennis, Sergio Giorgi non ha fatto eccezione. Anzi, sembra nato per il ruolo: è un individuo dall’aspetto assurdo, un po’ scienziato pazzo un po’ reduce senza sussidio, è l’antitesi dell’apparenza patinata che il tennis cerca di mantenere. Sergio urla, svapa di nascosto, si agita, se la prende con l’arbitro, litiga con chiunque e sempre. È come se fosse una sorta di vampiro emotivo per sua figlia, risucchia tutte le emozioni e le esternalizza per entrambi. Uno degli esercizi preferiti di chi parla di Camila Giorgi è quello di immaginare che carriera avrebbe avuto se avessero assunto un “allenatore vero”.
Sotto la guida di Sergio, Camila ha sviluppato un tennis di pura aggressione e istinto, senza tante cerimonie o schemi. Un gioco che non sembrerebbe nemmeno particolarmente adatto alla sua costituzione. Per esempio Aryna Sabalenka, una delle atlete più potenti del circuito WTA, è alta 182 centimetri, come Petra Kvitová, un’altra che ha costruito la sua carriera sulla potenza di servizio e dritto. Jeļena Ostapenko, che forse è la più simile alla tennista italiana, è alta un metro e settantasette. Camila Giorgi, invece, non si avvicina ai 170 centimetri. Forse quello che ha espresso in carriera non sarebbe il tennis che si addice di più alle sue caratteristiche - nonostante l’indiscutibile brillantezza raggiunta in certi momenti. Magari avrebbe vinto di più se avesse sfruttato altre armi, o se avesse lavorato su una maggiore continuità nei colpi. Leggendo il curriculum del patriarca Sergio – dove figurano più proiettili che palline – è facile immaginare che non abbia dato molto apporto al tennis di Camila se non quello di farla colpire sempre più forte, che alla fine un punto ne esce sempre, per l’una o per l’altra.
C’è una frase, che forse ha detto Albert Einstein, forse Benjamin Franklin, o magari nessuno dei due, che fa: «La definizione della follia è fare la stessa cosa ancora e ancora e aspettarsi risultati diversi». Non so se si applica meglio a Camila Giorgi e suo padre o a chi la guardava giocare. Eppure, nell’evidente follia che permeava l’ecosistema giorgiano, un risultato diverso è arrivato. Nel 2021 la tennista marchigiana è riuscita nell’impresa straordinaria di vincere sette partite di fila per portarsi a casa un WTA 1000. Seconda italiana a riuscire nell’impresa nella storia, dopo Flavia Pennetta e prima di Jasmine Paolini. Giorgi lo ha fatto senza scendere a compromessi, giocando il suo tennis, che forse non sarà stato il più adatto a lei, o il più concreto, ma l’ha resa una delle migliori attrici non protagoniste del circuito. Quando Giorgi era in giornata le avversarie erano ridotte, appunto, a un agente atmosferico.
L’ultima partita della folle carriera di Camila Giorgi risale al 23 marzo: una sconfitta per doppio 6-1 dalla numero uno del ranking Iga Swiatek. Chissà se lei già sapeva dentro di sé che non ci sarebbero stati altri match, o se ne aveva programmato ancora qualcuno. Giorgi appare meno brillante di altre volte, ma è sempre la stessa, con i suoi vincenti rischiosi e i doppi falli sulle palle break. E se si copre il punteggio con un dito si può ancora provare a godere di qualche bel punto, con un risultato meno severo.
Entrando nella fase dell’accettazione del ritiro di Camila Giorgi, dovremmo esserle grati per averci donato – oltre alle strette di mano più disagianti del circuito – una carriera imprevedibile, in egual misura frustrante e divertente. Carriera che non abbiamo saputo apprezzare collettivamente finché c’era, né siamo stati in grado di accettare per quello che era, seppellendola di “se” e di “ma”. Giorgi, in cambio, ha scelto di non invitare nessuno alla sua festa di pensionamento, regalandoci inconsapevolmente l’ultima svolta inaspettata.
E in fin dei conti non c’è niente di più adatto a spegnere il sole dell’universo giorgiano di ritirarsi nel silenzio più assoluto nella prima giornata del torneo più importante d’Italia.