«È difficile da quantificare a parole. È capace di segnarne 40, caricarsi l’attacco e allo stesso tempo essere il miglior difensore in campo. È un giocatore speciale, il miglior giocatore considerando le due metà campo. Siamo una squadra diversa con lui».
Ok, per un allenatore è normale sperticarsi in elogi della propria stella, soprattutto quando gioca al livello attuale di Paul George, che è il terzo miglior realizzatore della NBA e sta tenendo medie da 28 punti, 8 rimbalzi, 4 assist e sarebbe un serio candidato MVP, se solo non esistesse Steph Curry. Ma le parole di Frank Vogel non credo possano trovare una persona che la pensi in modo diverso. Avere Paul George in campo significa poter contare contemporaneamente su uno dei migliori attaccanti e uno dei migliori difensori dell’intera NBA. Un’universalità rarissima in questo periodo storico e ancor di più ora che il giusto accento sull’efficienza sta facendo crescere una generazione di giocatori specializzati sul perimetro come i 3 & D. Gli esterni in grado di rivaleggiare sui due campi con PG si contano sulle dita di una mano: sicuramente Kawhi Leonard degli Spurs e Jimmy Butler dei Bulls, in futuro magari Andrew Wiggins, e ovviamente i mammasantissima LeBron James e Kevin Durant.
Non deve essere piacevole per niente trovarsi a dover marcare un giocatore di 2.08 che può, con la stessa facilità, tirare dai nove metri e, con tre falcate, andare a schiacciare al ferro. Un giocatore che è oltretutto un passatore sottovalutato nel traffico e un abile rimbalzista. Come detto anche da Vogel, l’aspetto fondamentale del gioco di PG13 è che nella metà campo difensiva non si risparmia mai. A 25 anni si sta avvicinando all’apice della propria carriera come uno dei migliori giocatori della lega, sicuramente tra i tre più forti a Est, oltretutto guidando una delle più intriganti squadre della conference, che per assecondarne lo sviluppo ha cambiato pelle in estate e che ha risposto ai dubbi con un record ampiamente vincente. E dire che la stagione era iniziata con più di un dubbio.
I dubbi di inizio anno
«Non so se sono tagliato per giocare da quattro». Con questa semplice frase dopo la prima sconfitta all’esordio in preseason contro i New Orleans Pelicans, Paul George ha creato un dibattito che ha portato all’attenzione della NBA su quanto stava succedendo in una delle squadre meno mediatiche della lega. I Pacers, una volta chiusa per sempre l’esperienza con West e Hibbert, stavano cercando un nuovo sistema di gioco e, volendo ricalcare gli ottimi risultati delle squadre con quintetti piccoli, la dirigenza—con il benestare di coach Vogel—ha pensato di provare da subito ad alternare quintetti canonici con quintetti più sperimentali all’interno della stessa partita: «Paul giocherà molte posizioni diverse quest’anno per noi. Io sono quello che pensa che lui possa giocare da 4. Penso che i mismatch offensivi sono maggiori rispetto alle debolezze difensive che qualche volta avrà contro la forza fisica altrui. Penso che possa farcela». Parola a inizio estate del presidente Larry Bird.
Il terribile infortunio patito l’estate prima non viene nominato nell’analisi di Bird perché—per quanto tremendo a vedersi e di lunga gestazione—la frattura di tibia e perone non comporta considerevoli perdite di atletismo, come invece spesso accade con l’ormai celebre legamento crociato anteriore (Derrick Rose ne sa qualcosa). Secondo Bird, quindi, l’adattare George a un nuovo ruolo non è una risposta a una nuova versione fisica della propria stella, ma una scelta dettata dalla corrente che scorre più forte all’interno della lega: quella legata al pace and space.
Ampliando il proprio discorso, Bird aveva fatto capire che l’idea di modificare il sistema non era priva di input da parte dello stesso George: «Paul è molto versatile. Farà tutto quello che gli chiediamo di fare per provare a vincere. E lui vuole giocare a un ritmo più sostenuto. Gli piace palleggiare e passarla, spingere dopo il rimbalzo e correre un po’». A sentire Bird, quindi, la stella voleva correre di più e bisognava abbandonare completamente l’idea di replicare ancora la formula che solo due anni fa aveva portato la squadra in finale di conference, dopo una stagione da 56 vittorie, ottenute soprattutto grazie a una difesa di altissimo livello.
Il primo impatto con la nuova versione in campo però non ha convinto affatto PG, come dimostrano le dichiarazioni di cui sopra. L’inconsueta attenzione mediatica sui Pacers ha portato a un numero enorme di articoli sul tema “Paul George da 4”, con opinioni divergenti che andavano da chi sposava appieno l’idea (visto il personale a disposizione) e chi invece riteneva uno spreco l’utilizzo di George in quel ruolo, sacrificandolo per il sistema. La sensazione era che i Pacers si fossero infilati in una storia più grande di loro: Paul George, stella indiscussa della squadra, non poteva andare in campo con il dubbio che l’allenatore non lo stesse sfruttando appieno per le proprie caratteristiche—o, peggio ancora, che la sua salute venisse messa in pericolo dopo un infortunio come quello dell’estate 2014.
Quando interpellato sulla questione, coach Vogel ha mostrato un grande talento nella gestione della situazione, dando rassicurazioni alla propria stella davanti ai microfoni: «Dal primo giorno la cosa riguardava il suo livello di comfort. Lui è il nostro giocatore franchigia. Tutta la squadra è costruita attorno a lui. Lo abbiamo messo in una certa posizione e se non gli è confortevole la modificheremo per essere sicuri che poi lo sia. Questo è il miglior approccio per ogni squadra».
Parole nette e inequivocabili, anche se dietro le quinte Vogel ha continuato a lavorare alla nuova versione della sua squadra, consapevole che ormai il dado era tratto e che provare a tornare indietro sarebbe stato sbagliato. Soprattutto perché pensare di tornare indietro senza poter avere la sicurezza in attacco di West e in difesa di Hibbert e al contempo volendo giocare una pallacanestro più veloce, non sarebbe stato solamente difficile, ma del tutto impossibile. I Pacers hanno deciso di provare ad allargare il campo e da lì nasce l’idea dello spostamento di George al ruolo di 4: era il modo più rapido per eseguire la transizione a un gioco pace and space—ma non l’unico, come dimostrato dalla piega che ha preso la squadra dopo le dichiarazioni della stella.
Il sistema ibrido di Vogel
Vogel ha tolto la facciata nominale dello spot di 4 a George facendo partire in quintetto un lungo fatto e finito come Lavoy Allen e alternandolo a C.J. Miles (vero x-factor della squadra in questo inizio di stagione) nella marcatura dei 4 avversari in fase difensiva. PG così può prendere in consegna l’esterno più forte avversario e giocare nel rassicurante spot di 3 in difesa, ma le spaziature in campo vengono mantenute dalla presenza di almeno due giocatori fuori la linea da tre punti, quando George va per bloccare in un pick and roll. Il risultato è una sistema strano, totalmente basato sui punti di forza della propria stella e che al contempo corre (ottavi per numero di possessi, con 100.08), è efficace (noni per Offensive Rating, con 103.4 punti su 100 possessi) e mette in campo una difesa inferiore a quella di due anni fa, ma comunque tra le migliori (noni per Defensive Rating, con 99.4 punti concessi su 100 possessi).
I Pacers di questo inizio di stagione sono quindi nella top 10 per ritmo di gioco, attacco e difesa e con un risultato visivo particolare, che dipende dalla quantità enorme di tentativi dalla media distanza (sono terzi per long 2s) e allo stesso tempo da tre punti (solo i Warriors provano più triple), del tutto speculare alla shooting chart della loro superstar. Eravamo abituati a vedere i Pacers tentare dai sei metri, ma non eravamo pronti per vedere i Pacers prendere fuoco così facilmente da tre punti, con ben 4 dei giocatori in rotazione sopra il 40% da tre. E a guidare la classifica ovviamente c’è Paul George, con il suo esagerato quasi 45% ad accompagnare un tiro dal rilascio poetico.
Triple totali in stagione. Fate conto che quello più a sinistra non esista, almeno per un attimo.
George oggi è circondato da compagni in grado di assecondarne il gioco, aiutandolo a sviluppare ulteriormente le doti già spiccate di accentratore di pallone: al momento è lui il focus di quasi ogni gioco impostato dall’attacco di Vogel, tanto che un quarto delle sue azioni sono come portatore di palla nel pick and roll, con conseguente calo delle azioni come tiratore piazzato o in uscita dai blocchi. E George, con molti più palloni da gestire, ha aumentato la percentuale di assist per i compagni dal 18% nella stagione da 56 vittorie al 22.3% attuale.
PG13 si è quindi trasformato in un giocatore che può sia portare il blocco che avere la palla in mano per sfruttare quello di un compagno, minacciando le difese avversarie in ogni momento grazie alle assurde percentuali che sta tenendo al tiro. Se continua a tirare così, Paul George semplicemente non è arginabile come portatore di palla: l’unica soluzione per limitare i danni è concedergli i primi due palleggi e provare a farlo tirare dalla media distanza, conoscendo la sua tendenza ad accontentarsi del tiro in quella zona di campo che non premia l’efficienza. George ha talento in abbondanza per segnare anche quel genere di tiri (un assurdo 42% finora tra i 5 e i 7,25 metri), ma questo non deve far pensare che sia un abile lettore delle situazioni: è l’enorme arsenale a disposizione a permettergli di trovare soluzioni a ogni problema. In fondo rimane ancora un giocatore istintivo.
Quando gli si è fatta presente la facilità con cui si accontenta del tiro dalla media come prima soluzione dopo la finta ha risposto: «Non sono un fan delle analisi statistiche. Il più grande giocatore ad aver mai giocato questo gioco è stato Michael Jordan, uno che tirava soprattutto dalla media. A quel tempo nessuno aveva niente da ridire. Conta cos’è meglio per un giocatore e quale sono le sue caratteristiche. Abbiamo un sacco di ragazzi che sono più che capaci di tirare dalla media. Quindi non so cosa dire riguardo le analisi statistiche. Funziona per il sistema. Ma non sono uno che crede nelle analisi statistiche».
Paul George ha tentato quasi lo stesso numero di tiri da tre punti (152) come tiri da appena dentro l’arco (141). Solo che quelli da appena dentro l’arco di punti ne valgono uno di meno e sono mediamente più contestabili. Allo stesso modo, l’idea che bisogna prendersi “quello che la difesa concede” è errata: per questi giocatori quello che la difesa concede è proprio quello che la difesa vuole che tu ti prenda, ovvero come vuole subire il punto, secondo l’idea che è meglio far entrare George dentro l’arco e contestargli il tiro dalla media piuttosto che lasciarlo tirare da tre. Un giocatore meno istintivo l’avrebbe capito, ma George non ne sembra ancora in grado.
In suo soccorso deve quindi arrivare Vogel, che più volte a partita chiede a George di lasciar portare palla a un compagno per muoversi lui a portare il blocco per poi allargarsi fuori dalla linea. Il trade-off di questa situazione è quello di rendere George utile solo come tiratore e non come distributore, ma lo “forza” a tirare da dietro l’arco, rendendo favorevole al sistema.
Un mostro in difesa
L’istinto che deve essere domato in fase offensiva rende invece George il difensore estremamente versatile e temibile. È attratto dal pallone in maniera magnetica, fiondandosi sulle linee di passaggio e provando ad anticipare i movimenti di tiro degli avversari. Rispetto a un normale esterno però ha un’esplosività tale da fargli raggiungere la zona di campo desiderata e spesso arrivare nello spazio prima del pallone stesso.
Risulta veramente difficile quantificare statisticamente le abilità difensive di un esterno: purtroppo la percentuale avversaria non aiuta più di tanto, avendo a che fare anche con altri fattori spesso indipendenti dal marcatore e le rubate o le stoppate sono numeri troppo semplici per spiegare lo stile di gioco di un difensore. Nel caso di George, l’eye test è rivelatore di un giocatore in grado di tenere tutti i blocchi e di poter comunque cambiare su almeno 4 posizioni se necessario (a lui però ditegli 3 posizioni, così evitiamo i fraintendimenti di inizio anno). Certo, l’istinto può portarlo anche fuori strada, ma non ha problemi a cambiare direzione in corsa e a utilizzare le braccia infinite per bloccare le linee di passaggio o di tiro avversario. Può seguire un uomo passando sul blocco e poi piombargli addosso come se niente fosse, così come decidere di staccarsi dall’esterno isolato a poca distanza e poi fare un passo improvviso prima di iniziare la marcatura stretta.
La consapevolezza di avere la propria stella tanto impegnata nelle due fasi è uno dei punti di forza della nuova versione dei Pacers, che ha trovato in Ian Mahinmi un decente rimpiazzo sotto canestro come protettore del ferro, ma che si concentra ora molto di più sulla difesa perimetrale, con l’idea di concedere pochi tiri facili da tre punti. Un modo ben diverso di affrontare gli avversari rispetto al passato, ancora una volta dettato dalle caratteristiche “aggressive” in marcatura della stella della squadra.
In quanti possono permettersi di trattare così Sua Santità Steph?
Migliorare, ancora
L’inizio di stagione assurdo di Paul George sembra essere guidato da percentuali difficilmente replicabili nell’arco di 82 partite, come dimostrato per certi versi dalla sconfitta contro Portland con lo 0/7 di George da tre. Ma il modo con cui i Pacers hanno deciso di affrontare la nuova stagione e il rapporto con la propria stella fa pensare che Vogel abbia le capacità di sviluppare ancora il talento di George e di smussarne quindi le tendenze sbagliate. Questo potrebbe portare il giocatore a essere più efficace ed efficiente, facendogli raggiungere i 28 punti a partita che oggi porta in dote in maniera più semplice e meno dispendiosa, cercando ancora di più di quanto non faccia ora il ferro (solo il 16% dei suoi tiri sono nell’ultimo metro di campo, peggior dato della carriera), per mantenere intatti i 20 tiri a partita di media attuali.
Vista la capacità di procurarsi falli e di tenere i contatti, gli avversari si troveranno davanti alla scelta tra lasciar tirare un giocatore col 45% da tre o di vederlo caricare il ferro, con la possibilità di subire il fallo a referto oltre che il canestro e il libero segnato. Quando Paul George riuscirà a raggiungere anche quel livello di gioco, non solo sarà difficile contare i giocatori abili come lui nelle due fasi, ma proprio i giocatori della sua grandezza overall.