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La strana storia di Cannavaro allenatore
25 apr 2024
Dalla Cina a Udine, passando per l'Arabia Saudita e Benevento.
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13 min
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IMAGO / sportphoto24
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Dei 23 calciatori campioni del mondo nel 2006, la maggior parte sono, sono stati o vorrebbero essere allenatori. È diventata una curiosità statistica, quasi un meme. Tra tutti loro Fabio Cannavaro è stato uno dei primi a imboccare la strada verso la panchina, eppure il suo percorso è stato il più tortuoso di tutti. Oggi alle 18 allenerà per la prima volta in Serie A e lo farà per appena 18 minuti, quelli rimasti da recuperare in Udinese-Roma. Un’altra stranezza di una carriera fin qui difficile da collocare.

La rotta verso est

Fabio Cannavaro si ritira dal calcio il 9 luglio 2011. Le ultime due stagioni sono state in chiaroscuro: un ritorno poco fortunato alla Juventus e una stagione all’Al Ahli, a Dubai. È un addio in sordina, sebbene solo cinque anni prima aveva alzato la Coppa sotto il cielo di Berlino e vinto il Pallone d’Oro. Lascia per un problema al ginocchio e l’Al Ahli, pur di non perderlo, gli ritaglia un ruolo da “ambasciatore”. Sembra una di quelle mansioni così, più simboliche che reali.

Passa un anno e, nell’ottobre del 2012, Cannavaro si iscrive al corso di Coverciano. Tra i suoi compagni c’è Oddo, altro campione del mondo. Ottiene prima la licenza da direttore sportivo e poi quella da allenatore. Ricordando quel periodo Cannavaro dirà che: «Tutto nella mia vita mi sarei immaginato tranne di fare l’allenatore [...] ho frequentato il corso da allenatore a Coverciano e anche quello da direttore sportivo, perché in realtà volevo diventare un dirigente. Sono andato infatti a Dubai per fare da sport advisor dell’Al-Ahli».

Cosa era successo poi? Cannavaro era tornato a Dubai come dirigente, ma vedendo i successi a raffica dell’Al Ahli con l’allenatore rumeno Cosmin Olăroiu si era risvegliata in lui «una fiamma». «Parlai con Oli e, a differenza di tanti altri che l’avrebbero potuta prendere diversamente, accettò senza troppi problemi». Cannavaro inizia così nell’estate del 2013 la sua seconda carriera sul campo, da Dubai. È un inizio di carriera particolare, nel posto dove - di solito - calciatori e allenatori vanno “a svernare” più che a cominciare. Assomiglia più a una scelta di vita: non è impossibile credere che in Italia avrebbe trovato ruoli più ambiziosi da cui partire.

In ogni caso dura poco. L’Al Ahli vince il campionato e Cannavaro si dimette. Non è una notizia scioccante, almeno alle nostre latitudini e nessuno gliene chiede conto. In un’intervista al Mattino dice che è stata un «esperienza straordinaria, quella vissuta a Dubai, ma era arrivato il momento di chiuderla». Nella stessa intervista si dice che è in attesa di una panchina, con proposte - definite “poco convincenti” - dall’Italia e altre più interessanti arrivate da club americani, spagnoli e inglesi. «Intanto, viaggio e mi aggiorno. Tra pochi giorni vado in Inghilterra per seguire gli allenamenti di City e Arsenal».

È il 2014, il calcio è in pieno fermento tattico, l’Europa è ovviamente il suo centro. Cannavaro viene però attratto in Cina dalla chiamata del suo padre spirituale, Marcello Lippi. È infatti il CT dei campioni del mondo a metterlo sulla panchina del Guangzhou, lasciato dopo tre anni e tre campionati vinti (più una AFC Champions League) per fare il direttore tecnico. In Cina Cannavaro trova un calcio che sta provando a lanciarsi con i soldi dei ricchi imprenditori e un club plasmato da Lippi all’italiana, con metodi di lavoro italiani, collaboratori italiani e con Gilardino e Diamanti a giocarsi le ultime cartucce da calciatori. È però, inevitabilmente, una scelta esotica. Davanti alle diverse perplessità Cannavaro risponde che «Chi pensa che il calcio qui sia un ripiego è fuori strada». Del suo nuovo ruolo da capo allenatore dice: «non vedo l’ora di misurare sul campo da responsabile tecnico i tanti insegnamenti e l'esperienza accumulata a livello internazionale e segnata nei quaderni che ho sempre compilato per prendere il meglio da ogni tecnico».

Cannavaro perde la finale di Supercoppa, ma dopo qualche incertezza ingrana. Il suo, dice, è un calcio che cerca di dominare. Racconta che deve lavorare tanto sui particolari, insegnare la posizione del corpo ai suoi giocatori, come devono muoversi. Il modulo è il 4-3-3. A giugno, mentre è primo in classifica e ai quarti di Champions, viene esonerato per far posto a Scolari. Si racconta di calciatori in lacrime saputa la notizia, di stupore generale nello staff dell’allenatore. Il motivo, sembra, sia politico e legato piuttosto alla scelta di Lippi di lasciare il club, considerata uno sgarbo dalla dirigenza. Cannavaro la prende con filosofia: «Ho imparato una cosa nuova nel calcio. Che ti possono cacciare anche se stai facendo bene il tuo lavoro».

Passano pochi mesi e Cannavaro ha di nuovo una panchina. Questa volta in Arabia Saudita, all’Al-Nassr, dove rimpiazza René Higuita, allenatore dei portieri messo a interim in panchina. Il club - che oggi è quello di Cristiano Ronaldo e dei soldi infiniti - è reduce da due campionati vinti in fila, ma la stagione è abbastanza un disastro. Cannavaro rimane fino a febbraio, poi c’è una risoluzione consensuale del contratto. Si scopre che i giocatori non vengono pagati da più di un anno e che la situazione economica del club dell’Al-Nassr è inguaiata. Cannavaro ammette che se n'è andato perché non lo pagavano.

Per due volte su due Cannavaro lascia in anticipo una panchina in malo modo. Le ragioni però sono solo tangenzialmente sportive, eppure il messaggio che passa è che non sia abbastanza capace neanche per allenare in Cina e Arabia Saudita. Poche settimane dopo rinuncia a un altro incarico in Cina, lasciando intendere che ora è tempo di mettersi alla prova in Europa. Se ne parla per la panchina del Leeds, addirittura rientra tra i nomi per il dopo-Conte per il ruolo di CT dell’Italia. Quando poi viene scelto Ventura, il suo nome spunta come possibile vice. Lui lascia intendere che, in caso, ci sarebbe, «Ma non voglio propormi o tirare qualcuno per la giacca». Poi però a giugno, dall’oggi al domani, quando le panchine iniziano a liberarsi, diventa l'allenatore del Tianjin, serie B cinese.

Cannavaro sembra un esule mazziniano, parla dell’Italia con l’amore dei patrioti ma anche col risentimento dei traditi. Gli chiedono perché è andato di nuovo in Cina quando aveva proposte anche in Europa. Lui risponde: «Tecnicamente non mi convincevano certe situazioni». Quando gli fanno notare che sta andando ad allenare un club della Serie B cinese, parla di «progetto», aggiunge che la Cina è davvero vicina: «Ora che i cinesi stanno arrivando in Italia (Suning ha appena comprato l’Inter, nda) si sta capendo l’importanza di questa realtà. Quando lo dicevo un paio di anni fa, da Guangzhou, mi prendevano in giro». Ma perché proprio Tianjin? «perché c'è il mare...». Più di cento anni prima Tianjin era stata una concessione italiana in Cina, forse è stato questo ad attirarlo.

A Tianjin Cannavaro ha finalmente successo. Prende la squadra all’ottavo posto e la trascina fino al primo, che vale la promozione. L’anno dopo gli fanno un mercato effettivamente faraonico: arrivano Witsel e Pato. Il belga, che a 26 anni è nel picco della carriera, firma un contratto da 18 milioni a stagione, preferendo il Tianjin alla Juventus, che stava cercando in tutti i modi di portarlo a Torino. Cannavaro racconta che nel club si occupa di tutto, dallo staff al mercato. È lui che ha voluto Witsel e Pato, nonostante la fama di calciatori non proprio integri (soprattutto il brasiliano) e che prova in tutti modi a portare in Cina anche Kalinic, considerato da Cannavaro il perfetto terminale del suo 4-3-3, grazie alle sue qualità nell’associarsi coi compagni (anni dopo racconterà di aver provato anche a prendere il "Papu" Gomez dall’Atalanta).

Anche se Kalinic non arriva, la stagione che ne esce fuori è esaltante. Il Tianjin arriva terzo da neopromosso con la miglior difesa, e conquista un posto nella AFC Champions League. La squadra si schiera con un 4-3-3, che Cannavaro rivendica come il suo modulo preferito. Ovviamente non ci sono molte informazioni sullo stile di gioco del Tianjin. Pato però ricorda Cannavaro come un allenatore molto carismatico: «Ricordo che ha incontrato tutta la squadra e ha chiesto ai giocatori: "Quali sono i tuoi obiettivi? Dove pensi che questa squadra possa arrivare?"». I tifosi lo adorano, in questo probabilmente c'entra anche il suo essere un’icona del calcio italiano, ma anche i suoi giocatori sembrano apprezzarlo molto. Dopo l’ultima giornata lo portano in trionfo.

Poi però, colpo di scena, Cannavaro lascia il Tianjin per tornare sulla panchina del Guangzhou, dove sostituisce proprio Scolari, che aveva sostituito lui due anni prima. Firma un contratto di cinque anni da più di 12 milioni di euro l’anno, grazie al quale diventa uno dei cinque allenatori più pagati al mondo. Alla prima stagione vince la Supercoppa, arriva secondo in campionato e in Champions viene eliminato dalla sua ex squadra, allenata da Paulo Sousa. La stagione successiva viene affiancato dal fratello Paolo. Mentre è primo in classifica, a tre giornate dalla fine del campionato, dopo un pari contro l'Henan Jianye, Cannavaro viene sospeso dal club per partecipare a un “corso di cultura aziendale”. Sulla Gazzetta scrivono che “non è un esonero, ma difficile definirlo in altro modo”. L’allenatore non commenta, una settimana dopo torna in panchina e vince il titolo.

Per capire un po’ lo stile di gioco di Cannavaro al Guangzhou.

Nello stesso periodo, per due mesi, è il CT ad interim della Nazionale cinese al posto di Lippi, che è passato al ruolo di Direttore tecnico. Allena due partite, due sconfitte, poi rinuncia: «il doppio incarico mi porterebbe via troppo tempo dalla mia famiglia». Il resto della sua esperienza in Cina è scombussolato dal Covid, che colpisce molto duramente il paese, anche a livello economico. Gli investimenti nel calcio cessano e Cannavaro si fa da parte, dopo un altro secondo posto, con la finale del campionato persa contro il Jiangsu Suning. Fa in tempo però a venire sequestrato in albergo per 12 giorni con il suo staff mentre è in Qatar.

Poco dopo aver lasciato la panchina del Guangzhou riafferma la sua volontà di allenare in Europa. Inizia a rilasciare interviste in cui spiega la sua visione del calcio. Al Corriere dello Sport dice di essere «molto attratto dalla cultura calcistica tedesca perché ha un concetto molto simile al nostro. Alta intensità e qualità del lavoro sono importanti per loro come lo sono per noi». Racconta anche di aver dovuto rinunciare a una proposta della Fiorentina, perché «i dirigenti dell’Evergrande non mi hanno lasciato partire».

A Fanpage dice di essere «un allenatore normale». Il suo modulo è il 4-3-3, anzi «per la precisione 1-4-3-3, altrimenti a Coverciano ci richiamano». La sua idea è un calcio che cerca di occupare tutti gli spazi, lavorando sulla catena di destra o di sinistra. «I punti di riferimento sono sempre due: il giocatore davanti alla difesa e il centravanti. Credo molto nel possesso palla». I suoi maestri sono Capello, Lippi e Malesani. Proprio da lui, che lo ha allenato a Parma, ha mutuato la sua difesa a tre, usata nella seconda parte della sua esperienza in Cina: «durante una partita, contro un avversario che si schierava con l'1-5-3-2, ho retrocesso il centrale di centrocampo, avanzato i terzini e portato le ali dentro».

A gennaio rinuncia alla chiamata improvvisa della Polonia, che deve sostituire in fretta e furia il fuggitivo Paulo Sousa, un rifiuto che poi considererà il suo grande errore. Poi, finalmente, arriva la chiamata giusta: a settembre 2022 viene scelto dal Benevento per rimpiazzare Fabio Caserta, esonerato dopo sei giornate. Il suo ritorno in Italia è una suggestione, è pur sempre Cannavaro, ma il suo curriculum esotico non è ben visto da tutti. Lui davanti a chi nicchia dice di «essere maturato all’estero». Viene presentato alla città dal sindaco Mastella come un eroe; il presidente Vigorito sottolinea come «aveva offerte prestigiose, invece ha scelto il Benevento». Le sue prime parole: «Il mio è un calcio propositivo, chiederò ai miei giocatori di avere sempre coraggio».

La sua prima partita da allenatore sul suolo italiano è un pareggio con l’Ascoli. «Volevo iniziare meglio» è il suo commento, «ma se non puoi vincere, non devi perdere» aggiunge con un realismo anche troppo razionale. Sulla Gazzetta si racconta questo esordio: “Fischia Fabio Cannavaro. Due dita per mano in bocca, per il richiamo continuo ai suoi” è l’incipit. Cannavaro tiene lo stesso modulo di Caserta, il 3-4-2-1, cercando però di costruire una squadra più ambiziosa. Le cose però non vanno benissimo: pareggia con il Sudtirol, poi perde 3 a 2 con la Ternana in casa dopo essere andato in vantaggio per 2 a 0. «Mi è caduto il mondo addosso» è la sua reazione.

La squadra è stata costruita con l’intenzione di raggiungere i playoff, ma languisce in zona retrocessione. Cannavaro non è neanche fortunato: gli infortuni si susseguono uno dopo l’altro, la condizione della squadra è deficitaria. «Quando si cambia allenatore ci può essere qualche problema, ma i problemi a livello muscolare c’erano già da prima» è la sua giustificazione. Contro il Como va sotto 2 a 1 e passa al 4-3-3, ma non riesce a pareggiare. Dopo la partita va ai microfoni e dà le dimissioni, che però vengono respinte.

Pareggia con Pisa e Bari, poi arriva la prima vittoria, la prima in territorio italiano. La vittima è la SPAL allenata, non troppo curiosamente, da un altro campione del mondo: Daniele De Rossi (più curioso, forse, che sarà anche il primo allenatore che incontrerà con l’Udinese). Per qualche settimana l’inerzia cambia, il suo Benevento ottiene buoni risultati, anche due vittorie di seguito, ma poi cade in una spirale di brutti risultati. Cannavaro prova a cambiare modulo e uomini ma il Benevento non si rialza. Perde partite con scarti minimi: col Genoa subisce il 2 a 1 al 94’, col Frosinone perde 1 a 0, gol su rigore. Fatale è la sconfitta col Venezia, una partita che aveva definito «una finale». Il giorno stesso arriva l’esonero: è il 4 febbraio 2023.

Il bilancio è di sole 3 vittorie in 17 partite, 16 punti totali per una media di 0.94 e il secondo peggior attacco della B. La squadra, comunque, non sarà in grado di salvarsi e finirà in C con la stessa media punti, evidenziando problemi più profondi di quelli di una guida tecnica sbagliata. Nei mesi successivi Cannavaro avrà tante spiegazioni a questo fallimento. Dirà che, se a gennaio gli avessero preso un attaccante, si sarebbe salvato, poi che «i giocatori avevano quasi timore a guardarmi».

Nei mesi successivi il suo nome spunterà qui e lì: se ne parlerà come presente nella lunga lista di De Laurentiis per il dopo-Spalletti, come possibile nuovo tecnico dell’Adana Demirspor, per il Bari disastrato di quest’anno. È indicativo che quando era a un passo dalla panchina del Bari, è stato respinto da una sollevazione popolare dei tifosi, uno scetticismo dovuto proprio all’infelice esperienza col Benevento ma anche alla sua “napoletanità” che lo affianca al presidente De Laurentiis, non troppo amato a Bari.

L’arrivo al suo posto di Iachini è in parte indicativo di una certa idea, presente anche tra i tifosi, di cosa serve per allenare in Italia. Cannavaro è un allenatore che, per carriera e idee, è di rottura rispetto alla scuola italiana, pur essendone uno dei figli prediletti. È cresciuto in contesti internazionali, con squadre ricche e ambiziose, i suoi principi - almeno a parole - sono molto moderni. Anche per questo, a Benevento, nonostante le buone intenzioni si sono visti più gli errori, individuali e collettivi. «È incapace di correggere gli errori» lo avevano accusato ai tempi del Guangzhou, prima di mandarlo a rieducare. Cannavaro a Benevento è sembrato non digerire il passaggio da allenare squadre di alto livello con un alto livello di gestione, seppure in campionati periferici, a una invischiata nella lotta per non retrocedere, piena di problemi.

A Udine, però, gli si chiederà proprio quello. Sei partite sono veramente poche per un allenatore per incidere e Cannavaro sembra trovarsi nell’ennesima situazione in cui ha più da perdere che da guadagnare, a partire dai 18 minuti contro la Roma. Se l’Udinese dovesse finire in B sarebbe l’ennesima macchia sul curriculum, dovesse salvarsi invece, quanti meriti può davvero prendersi? La scelta della dirigenza è ricaduta su di lui, probabilmente, per una questione di carisma, la speranza che avere un Campione del Mondo in panchina risvegli i giocatori. È però l'ennesima indicazione che - forse - fin qui Cannavaro non è riuscito davvero a essere un allenatore ai nostri occhi, ma è rimasto ancora, e forse per sempre, quello che ha alzato la coppa sotto il cielo di Berlino.

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