Quello che è successo a seguito dell’esonero di Brendan Rodgers dopo il pareggio del Liverpool nel derby con l’Everton è solo l’ultimo esempio di quel pubblico ludibrio così tipico della nostra epoca. I tifosi si sono sbizzarriti sui social network, già pieno di finti account satirici, supportati da tabloid e giocatori, che hanno finito di distruggere l’immagine pubblica dell’allenatore nordirlandese. Mamadou Sakho ha dichiarato a L’Equipe che Rodgers lo faceva sentire come un «leone in gabbia», mentre Pepe Reina, allontanato da Liverpool proprio dall’ex allenatore dei Reds, ha scritto sul proprio account Twitter di voler rivedere da tifoso il “vecchio Liverpool”. Il Mirror ha addirittura dato spazio a un tifoso del Reading per raccontare tutti i suoi errori durante quell’esperienza fallimentare.
Il tweet di un omonimo ha immediatamente scatenato l’ilarità collettiva.
Stampa e tifosi hanno quindi dato vita a una riscrittura totale della sua storia sportiva, spogliandola di tutti i meriti, spartiti a turno tra i vari giocatori e club allenati. E così la Premier League sfiorata nel 2014 fu solo merito di Suárez, mentre la promozione dello Swansea fu possibile unicamente grazie all’intelligente crescita studiata dalla società gallese, che ancora oggi continua a essere una delle realtà più felici della Premier League. L’irrazionalità di questa interpretazione è tale che il punto di vista si ribalta totalmente una volta che si passa ai fallimenti (come gli ultimi due anni di Liverpool) e la responsabilità passa del tutto in capo all’allenatore.
È una reazione non solo irrazionale, ma soprattutto paradossale perché in fin dei conti non permette di valutare i reali demeriti di Rodgers e di soppesarne quindi la reale competenza, che così tanto è stata messa in discussione questi giorni. L’elencazione di ciò che non è andato nell’esperienza ad Anfield di Rodgers che trovate di seguito è quindi un modo per risolvere il paradosso con un altro paradosso, e cioè quello di sottolineare i suoi errori per rivalutarne i meriti.
Il mercato
La colpa principale che si imputa a Rodgers è quella di aver speso malamente le decine di milioni arrivati con le cessioni di Suárez e Sterling (precisamente 143,5 milioni di euro). Con quei soldi sono stati acquistati giocatori che ancora non hanno inciso come ci si sarebbe aspettato (come Lovren, Moreno e Lallana), alcuni dei quali sono stati già mandati in prestito o venduti (come Balotelli, Markovic e Manquillo).
È una critica che in realtà lambisce solo di striscio le reali responsabilità del Rodgers manager nell’era post-scivolone di Gerrard. In primo luogo perché dimentica l’impatto dello stesso allenatore nordirlandese sullo sviluppo del valore tecnico ed economico dei giocatori. Molti di quelli che oggi vengono considerati come i top player responsabili delle vittorie di Rodgers, come Suárez, Sterling, Sturridge e Coutinho, non arrivarono certo a Liverpool come star. Anche oggi il nordirlandese si lascia alle spalle una scia di giovani promettenti, come Jordan Henderson, Emre Can, Jordon Ibe e Joe Gomez, il cui valore sembra destinato a gonfiarsi esponenzialmente. In secondo luogo perché scarica totalmente sull’allenatore la responsabilità della scelta dei giocatori in un ambito che si estende in quella zona grigia che ha come estremi anche i vertici dirigenziali e i talent scout.
Nonostante ciò, è innegabile che un cortocircuito legato al mercato ci sia stato. Questo è riconducibile non tanto al valore assoluto dei nuovi giocatori acquistati quanto alla sostituzione tecnico-tattica di quelli venduti.
Dopo l’incredibile stagione 2013/2014, terminata con il più alto numero di gol mai realizzato dal Liverpool in Premier League (ben 101), Rodgers ha gradualmente perso il suo attacco delle meraviglie, con Suárez e Sterling venduti e Sturridge martoriato dagli infortuni. L’allenatore nordirlandese ha comunque deciso di mantenere lo stesso sistema di gioco sostituendoli con giocatori dalle caratteristiche totalmente diverse. Balotelli e Benteke sono due giocatori statici, forti fisicamente e che giocano soprattutto con la palla tra i piedi: praticamente l’opposto di Luis Suárez. Un problema di cui si rese conto lo stesso Rodgers l’anno scorso, quando finì per relegare Balotelli ai margini della squadra, sperimentando prima Sterling e poi Borini nel ruolo di punta centrale. Allo stesso modo, Firmino, pur avendo ottime qualità nell’uno contro uno, manca dell’esplosività nell’accelerazione di Sterling.
Inoltre, rimane poco comprensibile la scelta di puntare sistematicamente su giocatori forti nel gioco aereo (oltre a Benteke e Balotelli vanno aggiunti anche Rickie Lambert e Danny Ings) per una squadra che con Rodgers ha sempre fatto poco affidamento sulle palle alte. Nella famosa annata 2013/2014, il Liverpool si classificò ultimo in Premier League per cross tentati. Nella stagione successiva la statistica non è migliorata sostanzialmente e il Liverpool è arrivato penultimo in questa classifica.
È chiaro che è impossibile trovare i sostituti perfetti di chi viene venduto, soprattutto se chi viene venduto si chiama Sterling o Suárez. Spendere milioni e milioni di euro aiuta, ma non basta a sostituire tecnicamente giocatori di questo rango, come sta sperimentando la Juventus sulla propria pelle in Italia. Gli interpreti, non solo la tattica, fanno il gioco che una squadra esprime sul campo. Purtroppo Rodgers non ha avuto la prontezza per capirlo in tempo.
Il pressing
Una delle poche situazioni che sembra essere stata lasciata al caso da Rodgers, di solito descritto come un tattico cervellotico e maniacale, è il sistema di pressing sul possesso avversario.
Soprattutto in questa nuova stagione, infatti, il Liverpool non ha mai adottato una strategia di squadra in questo ambito e si è appiattito su un pressing intenso, ma quasi esclusivamente individuale e diretto al portatore di palla. Un pressing sul pallone, quindi, più che sugli uomini o le linee di passaggio.
Esempio 1. Nella partita contro il Manchester United, tre giocatori (Milner, Firmino e Can) vanno in pressione su Schweinsteiger, che sta per entrare in possesso della sfera. Il pressing, però, non produce effetti tangibili, perché quasi tutte le linee di passaggio del tedesco rimangono libere. La palla, infatti, filtrerà per Herrera.
Una scelta controproducente per tanti motivi. Innanzitutto perché il Liverpool ha finito per spendere grosse quantità di energia senza avere risultati concreti. Mi sembra indicativo, in questo senso, che al momento i Reds siano contemporaneamente una delle squadre che tenta più contrasti (ben 32,4 a partita, meno solo di Sunderland e Leicester) e una di quelle che realizza meno intercetti (solo 13,6 a partita, 14.esimo in Premier League per quanto riguarda questa statistica).
Contemporaneamente, un pressing di questo tipo ha finito per attirare molti giocatori fuori dalla loro posizione, attratti magneticamente nella zona del pallone, aprendo grossi spazi per le squadre avversarie. Non è un caso, quindi, che il Liverpool abbia sofferto soprattutto le squadre con un sistema di possesso estremamente organizzato, come il Manchester United.
Esempio 2, ancora più estremo. In questo caso (partita pareggiata 1-1 in Europa League contro gli svizzeri del Sion), sono addirittura quattro i giocatori ad andare a pressare il portatore (più Rossiter che segue l’azione a breve distanza). Anche in questo caso il pressing non porta benefici e il portatore sarà libero di lanciare per l’ala di riferimento.
L’ampiezza
Tatticamente, uno dei rompicapi che Rodgers non è riuscito a risolvere è stato quello di come dare ampiezza alla squadra per allargare le difese avversarie senza perdere in equilibrio. Il tecnico nordirlandese, infatti, al netto del modulo utilizzato (che sia 4-3-3, 4-2-3-1 o 3-5-2), ha sempre fatto giocare i propri esterni di centrocampo molto dentro al campo, vicino alla prima punta, sostanzialmente da trequartisti. In questo modo, il Liverpool aveva dei punti di riferimento tra le linee della squadra avversaria che avevano la possibilità di dialogare nello stretto con la prima punta e buttarsi negli spazi. Rodgers ha sempre preferito sfruttare gli esterni con l’avanzata dei terzini o gli inserimenti delle mezzali.
Una scelta che ha pagato quando la prima punta si chiamava Luis Suárez, che attraverso il suo movimento perpetuo senza palla creava spazi continui per gli inserimenti di trequartisti e mezzali, ma che ha iniziato a rivelare tutti i suoi limiti con la staticità di Balotelli e Benteke.
Benteke, Firmino e Coutinho stanno tutti aspettando la palla sui piedi a pochi metri uno dall’altro e l’azione ristagna nella trequarti del West Ham. Gli unici a poter dare profondità sono Clyne da una parte e Milner dall’altra (quest’ultimo lontanissimo da Leiva).
Con la presenza di attaccanti e punte che aspettavano l’arrivo del pallone sui piedi, l’azione ha iniziato a stagnare al centro permettendo alla difesa avversaria di difendere senza troppe difficoltà. Questo ha portato i terzini e le mezzali a inserirsi forzatamente con sempre più frequenza scoprendo i fianchi al regista (di solito Lucas Leiva) e ai due centrali una volta perso il pallone. Un problema strutturale che il Liverpool ereditava dall’anno scorso, quando i Reds hanno preso un gran numero di gol a causa degli inserimenti delle ali avversarie nello spazio tra il centrale e il terzino.
Rodgers ha risolto solo parzialmente il problema passando alla difesa a tre (sia l’anno scorso che quest’anno), in modo da coprire meglio l’ampiezza del campo con i centrali di difesa senza caricare di eccessive responsabilità difensive i terzini. Una scelta che strutturalmente ha coperto meglio la squadra, ma che contemporaneamente ha rivelato l’inadeguatezza tecnica del pacchetto difensivo del Liverpool.
Il gol preso contro il Sion è una specie di summa di tutti i difetti difensivi del Liverpool. I due mediani, Rossiter e Allen, vanno contemporaneamente in pressione sul portatore di palla lasciando la punta centrale avversaria libera di ricevere tra le linee. In questo modo, il centrale di sinistra, Gomez, è costretto a uscire dalla propria posizione per prenderlo in consegna, liberando lo spazio alle proprie spalle, che viene immediatamente attaccato dall’ala avversaria. Touré non copre la profondità alle spalle del proprio compagno, mentre Ibe è in ritardo: Assifuah è quindi libero di andare in porta e segnare.
Gli errori difensivi
Se c’è una statistica impressionante riguardo alla gestione Rodgers è quella legata agli errori difensivi. Nei tre anni abbondanti di gestione dell’allenatore nordirlandese nessuna squadra in Premier League ha commesso tanti errori difensivi come il Liverpool. I Reds ne hanno commessi addirittura 116, di cui 36 decisivi, ovvero causanti direttamente gol. Quest’anno la tendenza non è stata invertita e come al solito il Liverpool guida questa speciale classifica (8 errori difensivi, di cui 3 decisivi). Si può dire addirittura che l’errore difensivo è il vero e proprio simbolo della gestione Rodgers. Ridotto a fredda statistica, lo stesso scivolone di Gerrard non è altro che un errore difensivo decisivo.
Com’è facile immaginare, è un fattore che ha minato alla base la solidità difensiva della squadra di Rodgers, che persino nella dorata annata 2013/2014 riuscì a subire ben 50 gol (quell’anno fu l’ottava difesa dell’intera Premier League). Quest’anno il Liverpool ha già subito 10 gol nella sola Premier League, tutti dentro l’area di rigore. In tutta la gestione Rodgers, i Reds hanno subito 198 gol in 166 partite giocate, una media di 1,2 gol a partita.
Sicuramente la qualità tecnica del pacchetto difensivo ha influito, ma non spiega del tutto la tendenza. L’anno prima di sbarcare al Liverpool, Dejan Lovren, arrivato dal Southamtpon per invertire la rotta, aveva commesso un solo errore difensivo in 31 partite giocate. Al primo anno in rosso, invece, il calciatore croato è risultato il giocatore di movimento ad aver commesso più errori difensivi di tutta la Premier League (6, di cui 2 decisivi, in 26 partite giocate).
Un piccolo indizio che ci dimostra quanto le capacità degli interpreti possano aver influito solo parzialmente. In realtà, grosso peso ha avuto anche l’importanza che Rodgers pone sull’impostazione dal basso da parte dei propri difensori. Importanza che aumenta esponenzialmente la possibilità d’errore nella zona più sensibile del campo, soprattutto se il resto della squadra non offre semplici linee di passaggio.
Un altro fattore che ha influito sostanzialmente è la sperimentazione ossessiva dell’allenatore nordirlandese. La stagione scorsa Rodgers ha adattato Emre Can, sulla carta una mezzala, a difensore centrale per mantenere quella qualità nell’impostazione che Touré non poteva garantirgli. Quest’anno è stato invece il turno di Joe Gomez, teoricamente un terzino, a essere stato adattato centrale. Questa sperimentazione, che rende Rodgers unico nel processo di crescita tecnica ed economica dei giocatori, genera però inevitabili errori nel processo di apprendimento del nuovo ruolo.
Nelle incertezze del pacchetto difensivo vanno incluse anche quelle del portiere, Simon Mignolet. Aver deciso di scartare Reina, beniamino della Kop, per puntare sul giovane portiere belga è una delle scelte che i tifosi del Liverpool non hanno mai perdonato a Brendan Rodgers.
Mignolet è stato additato praticamente ininterrottamente per la fragilità difensiva del Liverpool, nonostante il portiere belga alternasse piccole sbavature a prestazioni di grosso spessore.
È un fattore che ha finito per minare la sicurezza dell’intero reparto e, alla fine, anche quella di Brendan Rodgers, che nella stagione passata ha tentato di placare le polemiche facendo giocare in alcune occasioni il suo vice, lo sconosciuto Brad Jones (oggi al Bradford City, in Serie C inglese).
Le palle inattive
A rendere ancora più fragile la tenuta difensiva del Liverpool c’è un difetto endemico nella difesa delle palle inattive. Purtroppo in questo caso non ci sono statistiche precise a riguardo. Nella famosa annata 2013/2014 i Reds subirono ben 11 gol su palla inattiva, mentre a metà dell’anno scorso i gol concessi su calcio da fermo erano già 8.
È difficile dire con precisione quanto in questo ambito pesi la preparazione dell’allenatore. Sicuramente il Liverpool ha anche un problema di fisicità. Se si guarda alla classifica del maggiore numero di duelli aerei vinti, il primo difensore del Liverpool a comparire è Skrtel, al 25.esimo posto.
Il futuro
Adesso che le strade di Rodgers e del Liverpool si sono divise, ci si chiede che cosa riserverà il futuro ad allenatore e squadra.
Sulla panchina del Liverpool ci si è seduto Klopp, che avrà immediatamente l’impatto di spazzare via le polemiche e rivitalizzare emotivamente l’ambiente. Da Rodgers al tedesco, il salto di carisma non è di poco conto.
Più difficile, invece, valutare l’impatto sui risultati. Il tedesco potrà aggiustare alcuni difetti strutturali, come le inefficienze del pressing (qualcuno ha detto gegenpressing?) e l’incapacità della squadra di dare ampiezza al proprio gioco. Nonostante ciò, Klopp, proprio come Rodgers, è un rivoluzionario che ama sperimentare buttando nella mischia giovani inesperti (l’abbassamento dell’età media della squadra è uno dei suoi marchi di fabbrica, dati i ritmi infernali che impone al proprio gioco). Non è affatto detto, quindi, che il lavoro dell’allenatore di Stoccarda possa intervenire su gioco e risultati come un incantesimo magico. Anzi, sia il Mainz che il Borussia Dortmund hanno dovuto aspettare due stagioni prima di vedere risultati concreti. Ma quanta pazienza è rimasta ad Anfield?
Rodgers, invece, si ritrova di fronte all’ennesimo e ciclico fallimento della propria carriera. È una condizione che, per sua stessa ammissione, è stata necessaria per arrivare ai suoi successi. E i suoi successi non sono di poco conto: è riuscito a portare in Premier League una squadra che non c’era mai stata prima e ha sfiorato il titolo con una squadra che non lo vinceva da 24 anni, sempre con un gioco offensivo e spettacolare. Chi volesse provare a fare la storia, e lo volesse fare con stile, sa dove chiamare.