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Caprari è diventato un attaccante completo
01 feb 2022
A gennaio è stato premiato come calciatore del mese AIC dai suoi colleghi.
(articolo)
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Il 25 agosto 2011 la Roma, alla sua seconda partita con Luis Enrique in panchina, veniva eliminata dallo Slovan Bratislava agli spareggi preliminari all’Europa League, pareggiando 1-1 all’Olimpico dopo aver perso 1-0 in Slovacchia una settimana prima. Lo sfogo di un tifoso registrato all’uscita dello stadio diventerà virale: «Ma te rendi conto è entrato Verre? Ventisei euro per vede’ Verre. Chi cazzo è Verre oh?». Un ritornello che più di dieci anni dopo è ancora ricordato da molti (e viene ancora memificato) mentre quasi tutti hanno dimenticato che, poco più avanti in quello stesso sbrocco, si parla anche di un altro giocatore. «Caprari? Chi cazzo è Caprari? Io pago per vede’ Caprari... me dovrebbe da’ i sordi lui a me per venillo a vede’».

Gianluca Caprari aveva compiuto da poco diciotto anni e qualche mese dopo quella partita, nonostante Luis Enrique gli chiedesse di aspettare, si sarebbe trasferito a Pescara. Per rendersi conto di quanto tempo fa fosse basta ricordare che c’era Zeman in panchina, con Immobile, Insigne e Verratti in campo. Caprari ci avrebbe passato sei anni, con due promozioni (quella immediata del 2012 e quella del 2016, con Verre che nel frattempo era venuto a fargli compagnia sul litorale Adriatico) prima di fare ingresso con stabilità in Serie A. Dopo tre stagioni, e dopo un’infortunio al perone nel gennaio 2019 che ha troncato a metà quella in cui si stava esprimendo meglio, la Sampdoria ha perso fiducia in lui, preferendo darlo in prestito. Solo quest’anno con la maglia dell’Hellas Verona Gianluca Caprari sta mostrando il suo vero potenziale.

Nessuno, oggi, si permetterebbe di dire «chi cazzo è Caprari» e gol come quello segnato di tacco al Bologna valgono molto più dei ventisei euro che quel tifoso si lamentava di aver speso dieci anni fa. A fine gennaio 2022 Caprari ha già segnato 8 gol e realizzato 5 assist (ha fatto meglio solo nella stagione 2015-16 con il Pescara: 13 gol e 12 assist) e può dire di aver compiuto la missione impossibile di sostituire Zaccagni, finito alla Lazio di Sarri dopo una stagione ad altissimo livello. Caprari ha speso parole al miele per la società scaligera, che potrà riscattarlo per poco più di quattro milioni quest’estate, e per Igor Tudor che lo allena: «Magari prima mi accontentavo», ha detto in un’intervista alla Gazzetta dello Sport, «Adesso Tudor mi ha aiutato a capire che devo essere sempre concentrato».

A ventotto anni, come dire, era ora.

Quest’anno Gianluca Carprari ha fatto cambiare idea a molte persone che pensavano di aver già inquadrato il suo talento entro limiti ben precisi. Ma non si tratta di un errore di valutazione individuale, quanto piuttosto di una dimenticanza collettiva. Troppo spesso, cioè, non si tiene conto che i calciatori migliorano.

Almeno quei calciatori che adattano e modellano le proprie capacità giorno dopo giorno, con l’esperienza e la conoscenza di se stessi, degli avversari, del gioco. Quelli che, appunto, non si accontentano - il che significa che una parte di Caprari non si è mai accontentata, altrimenti non sarebbe sopravvissuto così a lungo a questi livelli: in un contesto spietatamente selettivo, in cui ci si aspetta che i giovani siano dei giocatori completi a ventidue, ventitré anni, è già qualcosa arrivarci all’età in cui si matura veramente. In questo senso sì, avevamo un po’ sottovalutato Caprari.

Ma l’incomprensione è dovuta anche al fatto che si tratta di un tipo di calciatore che agli italiani non piace, che tollerano con diffidenza. Questo vale anche per Valerio Verre (anche lui capace di costruirsi una carriera in Serie A, dopotutto): giocatori piccoli, tecnici ma non abbastanza da colmare i limiti fisici, con un’idea di calcio che per qualche ragione consideriamo poco “italiana”. Giocatori che, intervistati in coppia come un paio di amici che hanno vinto un concorso a premi che li ha portati in Serie A (su Sportweek, nel 2016) dicono che il loro campionato estero preferito è la Liga, e quando gli chiedono qual è il gesto tecnico che preferiscono rispondono «dribbling» (Caprari) e «veronica» (Verre). Normale che ci sia stato conflitto con una cultura calcistica in cui l’atletismo e l’applicazione viene prima di tutto - altrettanto normale che uno dei primi allenatori a credere in loro fosse spagnolo.

Eppure che Caprari fosse capace di cose eccezionali è stato chiaro più o meno dall’inizio. Nella partita che nel 2012 ha dato al Pescara di Zeman la matematica certezza della promozione in A, a Genova contro la Sampdoria (vinta 3-1), Caprari ha segnato una doppietta. Nel secondo gol salta prima un difensore con un tunnel in area, di esterno, poi protegge palla e sterza verso l’interno, prima di concludere di piatto sul palo più lontano. Una qualità del genere in spazi stretti, un simile controllo di palla, non sono davvero da tutti.

Pochi mesi fa, dopo che Tudor era riuscito a raddrizzare l’inizio di campionato (con Di Francesco esonerato dopo appena tre partite), Caprari rifletteva: «Di me dicevano: bravo, bello da vedere, ma... Ed è proprio il dubbio che voglio togliere. Voglio diventare un attaccante senza i “ma”». In questa prima metà di stagione Caprari sembra essere diventato uno dei migliori trequartisti esterni del campionato, al punto che è sembrato strano quando Roberto Mancini non l’ha convocato per lo stage con la Nazionale di fine mese (in passato ha ricevuto una convocazione ma non è mai sceso in campo con la maglia azzurra). A gennaio 2022 Caprari ha segnato 4 gol nelle tre vittorie del Verona in campionato (con in mezzo il passaggio a vuoto difficile da spiegare in casa con la Salernitana) e ha convinto così i suoi colleghi a votarlo come miglior giocatore del mese AIC, superando altri giocatori molto in forma come Rafael Leao, Ivan Provedel e Gleison Bremer. Una piccola consolazione dopo la mancata convocazione.

Il gol di tacco al Bologna, in torsione, al volo, con un angolo stretto sul primo palo - una conclusione più sorprendente perché difficile tecnicamente che imparabile - ruba l'occhio, ma è da altri dettagli che si vede la crescita di Caprari. Poche settimane fa ha deciso la partita con lo Spezia - in teoria uno scontro diretto per la salvezza anche se, nella pratica, il Verona è più vicino a un piazzamento UEFA e anche lo Spezia sta facendo una grande stagione - con due gol di sinistro. Anche nel 4-2 con il Sassuolo ha segnato con un diagonale preciso di sinistro, che nell’intervista citata a Sportweek indicava come proprio punto debole.

Nell’azione del primo gol allo Spezia, oltretutto, Caprari recupera palla due volte nella propria metà campo, la seconda lanciando la transizione di Lasagna che lui stesso accompagna e finalizza nell’area di rigore avversaria, mostrando una durezza anche atletica, che fino a poco tempo fa non avremmo mai e poi mai nominato tra le sue qualità. Caprari è cambiato sotto ogni aspetto e anche se i limiti fisici sono sempre quelli (un metro e settanta non troppo esplosivo sulle gambe) è diventato abile nel nasconderli.

Se da giovane puntava tutto sulla sua tecnica provando ad essere un giocatore rapido ed elusivo, oggi utilizza il proprio corpo per proteggere palla e, soprattutto, tiene conto del corpo dei suoi avversari e accetta la lotta quando serve. Anche se non ha grande forza sulle gambe sa come mettersi tra la palla e l’avversario, girarsi dalla parte giusta e, appena ha spazio, usare la tecnica per portare palla, nascondendola agli avversari. I suoi rallentamenti, le sue pause, servono ad aspettare un movimento, a permettere a un compagno di creare un’opportunità attaccando uno spazio o occupando l’area di rigore. Poi, se può giocare rapidamente, anche scaricandola vicino, lo fa senza mai tenere palla più del dovuto.

Caprari è il piccolo 10 in maglia verde che prima resiste a una spallata di Reca poi prova il tunnel su Strelec e, dato che non gli riesce, resta in pressione fino a riprendersi la palla e cominciare l’azione di attacco. Azioni così non le avrebbe fatte un tempo.

Caprari è diventato un giocatore ostinato, quantitativo, che prova cose difficili e se non gli riescono - perché spesso non gli riescono - ci riprova poco dopo. Il gioco dell’Hellas lo aiuta proprio in questo, nel garantire un ritmo alto, assicurandogli compagni vicini e molti movimenti senza palla. Incontro, in profondità, tanto che Caprari se rallenta è perché decide di farlo ma ogni volta che vuole può giocare sullo slancio, in rapidità, e questo è il calcio che più gli si addice. Lui stesso si muove molto, isolandosi sull’esterno sinistro e venendo nel mezzo spazio, sia per ricevere palla dalla difesa o dal centrocampo e far salire l’azione, sia per ricevere lo scarico all’indietro del terzino che si è sovrapposto o dell’attaccante che si è allargato.

Basterebbe un dato a rendere Caprari interessante: gli 11 tunnel fatti in questa Serie A, più di ogni altro giocatore del campionato. Il tunnel come mossa utile e furba, l’ultimo spazio disponibile dove far passare il pallone. Come detto, quello che rende davvero solido il gioco di Caprari è il volume di azioni con cui partecipa alla fase offensiva dell’Hellas: anche se non è tra i giocatori con una percentuale migliore di riuscita nel dribbling (anzi, è piuttosto bassa: 57.8%) è il quarto giocatore del campionato ad aver dribblato più avversari (39, viene dopo Leao, Kyine e Felipe Anderson; i dati sono Statsbomb via Fbref) e il quarto ad aver portato più palle in area di rigore in conduzione (29, sempre dopo Leao, poi ci sono Deulofeu, Politano; e a parimerito con Caprari c’è il suo compagno di squadra Lazovic). È anche il quinto ad aver creato più azioni che hanno portato ad un tiro, il terzo per passaggi filtranti effettuati, il quarto per passaggi in area di rigore.

La sua qualità dipende anche dalla capacità di smarcarsi e muoversi negli spazi vuoti, altra capacità acquisita per sopravvivere ad alto livello con il suo fisico. In questo modo è diventato un punto di riferimento per far salire il campo all’Hellas. È il settimo giocatore del campionato ad aver ricevuto più passaggi verticali, una classifica dominata da grandi attaccanti (Vlahovic è primo, poi ci sono Immobile, Pinamonti, Zapata) con due eccezioni: Giacomo Raspadori e, appunto, Gianluca Caprari.

Se 5 assist sono leggermente di più della prestazione prevista (4.3 xA) e quindi merito dell’efficacia dei suoi attaccanti (Simeone soprattutto) Caprari è nei primi dieci ad aver generato più Expected Assist in assoluto e la facilità con cui ha messo in porta i compagni in alcune partite, con un filtrante di pura visione e tecnica (Lasagna contro la Fiorentina, due volte Simeone con la Lazio), racconta di un giocatore a cui non serve pescare conigli dal cilindro per avere un grande impatto nella partita.

Lo scorso settembre (c’era ancora Di Francesco sulla panchina dell’Hellas) il principale quotidiano veronese, L’Arena, gli ha chiesto perché fin lì avesse reso «la metà» di quello che ci si sarebbe aspettati. Caprari ha risposto: «Penso sia un fatto di testa». La mia impressione, però, è che abbia seguito uno sviluppo tutto sommato normale. Che non sia “esploso”, come ormai ci si aspetta faccia qualsiasi giocatore giovane con un minimo di talento, ma che sia salito piano piano di livello, passando attraverso alcune stagioni difficili e deludenti ma anche alcune in cui aveva fatto abbastanza bene da meritare un po’ di pazienza e fiducia.

Il Caprari versione 2021-22 è un giocatore di alto livello, completo anche al di là di quello che si chiede a un attaccante esterno o a una seconda punta. Sicuramente è migliorato sotto il profilo mentale, più concentrato, più tenace (più tignoso come si dice a Don Bosco, quartiere di Roma in cui è cresciuto, con il soprannome ironico fino a un certo punto di Maradona di Don Bosco), ma ha anche più strumenti tecnici a disposizione e una migliore visione di gioco. È diventato un giocatore che gioca con la squadra e al tempo stesso che crea molto nell’ultimo terzo e finalizza, che usa il destro e il sinistro, che dribbla divertendosi ma pensando già a dove può portarlo, a cosa fare dopo aver saltato l’uomo. Non un fenomeno generazionale, d’accordo, ma tutto quello che quando aveva diciotto anni si pensava potesse diventare, lo è diventato. La sua promessa, l’ha mantenuta.

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