Grazie a una strategia per certi versi sorprendente, ma a quanto pare preparata da diversi giorni, il Napoli ieri ha ufficializzato l’arrivo in panchina di Carlo Ancelotti, che sostituirà Maurizio Sarri. A campionato appena finito, il presidente Aurelio De Laurentiis aveva fatto capire che aria tirasse tra lui e Sarri parlando alla radio ufficiale del club del futuro del suo ormai ex allenatore: «Per me la data non c’è più, il tempo è scaduto, perché a un certo punto l’abbiamo affrontato questo problema, in tutti i modi, poi io mi devo prendere la responsabilità: dobbiamo andare avanti».
Sarri e il Napoli si separano quindi dopo tre anni intensi, tra i migliori della storia del club. Per due volte gli azzurri hanno ritoccato il loro record di punti in Serie A, fissato quest’anno a 91 punti, hanno migliorato il record di vittorie e di gol (27 e 94, rispettivamente) in un campionato e hanno portato Gonzalo Higuaín a battere, con i 36 gol della stagione 2015/16, il primato di reti segnate da un giocatore in un campionato, che resisteva da oltre sessant’anni. Non è arrivato però nessun trofeo, alimentando l’eterno dibattito su una dicotomia sotto molti aspetti falsa, tra bel gioco e vittorie.
https://twitter.com/ADeLaurentiis/status/999319823686492161
Anche il saluto di De Laurentiis a Sarri si sofferma sul gioco sviluppato dall’ex allenatore azzurro.
Ancelotti al Real Madrid: la calma è la virtù dei forti
Ancelotti torna in Italia dopo 9 anni passati su alcune tra le panchine più ricche e prestigiose al mondo: Chelsea, Paris Saint-Germain, Real Madrid e Bayern Monaco. Ha vinto con ogni club, ma l’esonero subito dal Bayern lo scorso settembre ha fatto sorgere il dubbio che il suo tocco non sia più magico come una volta, che il suo stile fondato sulle relazioni con i giocatori, sulle loro caratteristiche individuali più che su un gioco particolarmente strutturato, fatichi a stare al passo coi tempi.
Neppure le esperienze più recenti, al Real Madrid e al Bayern Monaco, hanno però scalfito l’aura di allenatore vincente e adattabile a ogni contesto. Ancelotti ha sostituito prima Mourinho e poi Guardiola, dando la miglior dimostrazione possibile della sua capacità di rinnovare con le sue idee squadre dallo stile opposto, ereditate dai due allenatori che con la loro rivalità hanno caratterizzato l’ultimo decennio. Seguendo ovviamente percorsi diversi.
Quando ha firmato con il Real Madrid nel 2013, Ancelotti ha ereditato una squadra dalla forte anima verticale, che nei suoi momenti migliori giocava a un’intensità folle e che era esausta dalle tensioni create nello spogliatoio da Mourinho. Il tecnico portoghese aveva dato l’addio criticando anche Cristiano Ronaldo: «Lui pensa di sapere tutto e che un allenatore non possa farlo crescere. Ho avuto un problema molto semplice con lui: l'ho criticato dal punto di vista tattico e non l'ha presa bene».
Ancelotti ha cercato innanzitutto di instaurare buone relazioni con i suoi giocatori: ha coccolato Cristiano Ronaldo e gli ha costruito la squadra attorno. Non è stato un processo immediato: Ancelotti è andato per tentativi, avendo sullo sfondo l’obiettivo di garantirsi maggiore controllo attraverso un possesso più paziente rispetto al Madrid di Mourinho. Inizialmente ha dato spazio a Isco, appena acquistato dal Málaga, schierandolo esterno sinistro, mezzala e trequartista. Lo spagnolo assicurava il dominio del possesso aumentando la quantità e la qualità delle connessioni con i compagni, ma rendeva ancora più fragili le transizioni a palla persa, che dovevano già sopportare le scarse attitudini difensive di Benzema e Cristiano Ronaldo.
L’assenza per infortunio di Xabi Alonso ha reso comunque indispensabile la presenza di Isco per creare con Modric e Cristiano Ronaldo una rete dove far circolare la palla con brillantezza. Quando è rientrato Xabi, è stato invece Khedira a subire un grave infortunio al ginocchio: Ancelotti, che si era mosso prevalentemente tra il 4-4-2 e il 4-2-3-1, ha deciso di invertire stabilmente il triangolo di centrocampo, schierando Xabi da regista e avendo l’intuizione di spostare Di María a mezzala insieme a Modric.
Il nuovo ruolo di Di María è stato il tassello che ha completato il mosaico. In questo modo Ancelotti non ha solo stabilizzato le transizioni a palla persa, ma si è assicurato maggiore copertura quando gli avversari consolidavano il possesso, facendo scivolare Di María a esterno sinistro e abbassando Bale sulla fascia opposta, ed è riuscito a conciliare le esigenze di controllo della palla con una spettacolare capacità di arrivare al tiro in pochi passaggi, sublimata nel doppio confronto con il Bayern Monaco di Guardiola nelle semifinali di Champions League. Il Madrid ha lasciato la palla ai bavaresi, ma ha vinto con un risultato complessivo di 5-0 (1-0 all’andata e 4-0 al ritorno), punendo sistematicamente le fragili transizioni difensive della squadra di Guardiola. Il primo anno a Madrid si è chiuso quindi con la vittoria della Coppa del Re e della Champions, la “Décima” che i “Merengues” inseguivano da dodici anni.
Il cammino fino alla finale del 2014.
Nella stagione successiva sono stati ceduti Xabi Alonso, pedina fondamentale sia in impostazione che in fase difensiva, e Di María, l’equilibratore che non aveva solo aggiunto le sue grandi qualità palla al piede, ma aveva creato le condizioni per far esprimere al meglio Bale, Benzema e Cristiano Ronaldo. Per sostituire due dei giocatori più importanti della squadra erano stati acquistati Kroos e James Rodríguez, innesti di alto livello che però non sono riusciti a equilibrare il sistema come i loro predecessori. Kroos non era a suo agio nel ruolo di vertice basso bloccato davanti alla difesa e James non ha avuto l’influenza che esercitava Di María, specie nelle transizioni da una fase all’altra. Ancelotti ha faticato così a ricreare l’alchimia sulla quale aveva fondato i successi del primo anno: in campionato si è dovuto arrendere al nuovo tridente del Barcellona, formato da Messi, Neymar e Suárez, e in Champions è stato eliminato in semifinale dalla Juventus. È riuscito comunque a vincere le competizioni in cui era largamente favorito, la Supercoppa europea contro il Siviglia e il Mondiale per club.
Ancelotti al Bayern: la strategia reazionaria
Chiusa l’esperienza col Madrid dopo due stagioni, Ancelotti si è preso un anno sabbatico e si è rimesso in gioco nell’estate del 2016, prendendo il posto di Guardiola al Bayern Monaco. Stavolta si è ritrovato tra le mani una squadra il cui stile era già fondato sul dominio del possesso e sull’aggressività a palla persa, che nel triennio precedente era stata il laboratorio delle sperimentazioni di Guardiola. Con Ancelotti, il Bayern ha abbandonato le soluzioni d’avanguardia per giocare un calcio più conservativo in ogni fase. Lahm e Alaba si muovevano da terzini senza accentrarsi, gli interni di centrocampo si abbassavano per facilitare la costruzione della manovra, senza alzarsi tra le linee, gli esterni d’attacco non calpestavano la linea laterale, ma erano liberi di accentrarsi.
Anche nella scelta dei giocatori Ancelotti si è rivelato piuttosto conservativo: Coman e Renato Sanches, acquistato con grandi aspettative dopo essere stato protagonista in Champions col Benfica e agli Europei vinti col Portogallo, hanno trovato poco spazio; Kimmich è tornato a centrocampo, ha iniziato la stagione alla grande segnando con continuità, ma è presto scalato nelle gerarchie diventando una riserva, soprattutto nella fase a eliminazione diretta in Champions; Douglas Costa, uno dei giocatori più importanti per gli sviluppi offensivi del Bayern con Guardiola, si è accomodato spesso in panchina per far posto agli eterni Robben e Ribéry.
Anche al Bayern la progressione verso il sistema ideale è andata per tentativi e l’intuizione decisiva è stata lo spostamento a trequartista di Thiago Alcántara, capace da solo di ordinare il contesto, meno codificato rispetto agli anni con Guardiola, garantendo sia il controllo della palla che le accelerazioni necessarie sulla trequarti per rifinire la manovra.
Un esempio dalla sfida di ritorno col Real Madrid ai quarti della scorsa Champions. Thiago è letteralmente al centro del gioco del Bayern e assicura connessioni praticamente con tutti i compagni.
Nonostante il grande stato di forma nel momento cruciale della stagione, Ancelotti non è riuscito a portare a compimento la missione di cui era stato investito anche Guardiola, venendo eliminato in maniera controversa ai quarti di Champions dal Real Madrid. È riuscito però a vincere la Bundesliga, aggiungendosi alla cerchia ristretta di allenatori, che comprende anche Trapattoni e Mourinho, capaci di conquistare il campionato in 4 paesi diversi.
La seconda stagione col Bayern è finita presto, dopo la sconfitta per 3-0 contro il Paris Saint-Germain nella seconda giornata della fase a gironi di Champions. In maniera insolita, visto che la sua carriera è stata sempre contraddistinta dalle ottime relazioni stabilite con i suoi giocatori, Ancelotti ha finito per pagare i cattivi rapporti con una parte dello spogliatoio. Dopo l’esonero, Robben e Boateng hanno criticato in maniera molto dura il loro ex allenatore, prendendo di mira soprattutto la sua metodologia di allenamento, a loro modo di vedere troppo leggera.
Cosa possiamo aspettarci
Così come al Bayern, anche a Napoli Ancelotti troverà una squadra con un gioco molto strutturato, costruito attorno al possesso della palla e alla volontà di recuperarla nel minor tempo possibile. Ogni discorso sull’evoluzione tattica del Napoli è comunque prematuro: è molto probabile che la squadra verrà rinnovata, perdendo alcuni giocatori chiave, come ad esempio Hamsik, che ha dichiarato di voler provare una nuova esperienza, oppure Jorginho, Callejón, Mertens o Koulibaly, tutti al centro di insistenti voci riguardanti una possibile cessione.
La firma di Ancelotti rappresenta però l’inizio di un nuovo ciclo che potrebbe facilitare l’arrivo a Napoli di giocatori di prima fascia: le notizie di mercato si sono già adeguate in questo senso, accostando agli azzurri campioni affermati come Vidal e Benzema. Anche se la capacità di attrazione di Ancelotti non si rivelerà così forte, è comunque il segnale di quanto sia importante su diversi piani, per una società come il Napoli, aver messo sotto contratto uno degli allenatori più stimati e riconosciuti d’Europa.
Le esperienze passate suggeriscono che Ancelotti procederà per tentativi, inseguendo il principio del controllo paziente del pallone cercando il miglior incastro possibile tra le caratteristiche dei giocatori, e avendo magari un’intuizione che mette al posto giusto tutti i tasselli del sistema come quelle avute in passato con Pirlo, Di María e Thiago. È probabile che il Napoli abbandonerà il suo palleggio armonico in favore di un possesso più conservativo, e che anche il pressing non sarà più sistematico e portato già nei pressi dell’area avversaria come con Sarri.
Il salto di qualità più atteso riguarda comunque la gestione della rosa, l’aspetto su cui si sono concentrate le critiche a Sarri, anche da parte del suo presidente, in questi anni. Ancelotti è un gestore meno intransigente, abituato a dirigere rose ampie e ricche di talento: in questo senso rappresenta una garanzia, nonostante l’esperienza negativa al Bayern.
Bisognerà comunque valutare la sua capacità di adattarsi a un contesto molto diverso rispetto alle abitudini. Ancelotti ha allenato grandi club con campioni affermati, a Napoli trova giocatori meno forti individualmente, il cui valore è stato moltiplicato dal sistema costruito da Sarri. Non è scontato che il passaggio a un gioco meno strutturato, in cui ci sono maggiori margini per l’iniziativa individuale, continui ad alzare l’asticella del rendimento come negli anni con Sarri. Scegliendo il Napoli, Ancelotti si è rimesso in discussione accettando innanzitutto una sfida con sé stesso, per dimostrare che, nonostante la sua carriera in panchina sia iniziata più di venti anni fa, non ha ancora perso il tocco che lo ha portato a diventare uno degli allenatori più vincenti del panorama europeo.