Nel commentare il debole impatto televisivo degli scacchi, lo scrittore Julian Barnes ironizzava: “Un po' di riflessione. Ancora riflessione. Pubblicità. Riflessione. Riflessione di nuovo. Seconda pausa pubblicitaria. Riflessione. Infine, dopo aver impiegato quarantacinque minuti di diretta televisiva, un arrocco. E noi che ci lamentiamo di tennis e golf”. Quella di Barnes è un'impressione piuttosto diffusa, e secondo alcuni sarebbe un'esperienza emozionante come "osservare la vernice che si asciuga”.
Eppure qualche giorno fa il Daily Mirror, nel presentare la sfida londinese per il titolo del mondo tra Magnus Carlsen e Fabiano Caruana, li ha definiti addirittura sexy. Effettivamente Carlsen e Caruana non corrispondono a nessuno degli stereotipi più in voga sul giocatore di scacchi: non assomigliano né al vecchio professore impomatato né al savant intrattabile e controverso, come fu per certi versi Bobby Fischer.
La rivalità tra Carlsen e Caruana
Magnus Carlsen, norvegese, ha ventisette anni, un ghigno da attore hollywoodiano e la faccia tosta di chi, senza falsa modestia, sa di essere il migliore al mondo e si comporta come tale. Ha raggiunto il punteggio Elo (cioè il metodo utilizzato dalla Federazione Internazionale degli Scacchi per calcolare la forza relativa di un giocatore) più alto di sempre (2882 nel maggio del 2014; al momento è a 2835) ed è campione in carica dal 2013. In molti lo considerano il giocatore più forte di ogni epoca e non è un caso che sia uno dei pochi giocatori di scacchi a potersi permettere di posare per servizi fotografici, essere testimonial per case automobilistiche e marche di moda, e sfoggiare sui suoi seguitissimi profili social (il suo account Twitter ha quasi 210mila follower, quello Instagram più di 162mila) i propri allenamenti quotidiani, tra calcio, basket e palestra.
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Strong start to the tournament
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Fabiano Caruana, americano di origini italiane, non è da meno. Con 26 anni e appena tre punti in meno nel punteggio Elo, lo segue a ruota. Mai due giocatori con un rating così alto, e così vicino, si sono affrontati per il titolo mondiale: anche questo fattore ha contribuito a caricare le aspettative per il confronto, forse il più atteso di sempre dopo Spassky-Fischer del 1972 (che però dalla sua aveva anche una carica metaforica dello scontro tra USA e Unione Sovietica durante la Guerra Fredda).
Anche Caruana ha il fisico asciutto e curato di chi si allena ogni giorno. «Non ci si rende conto di quante energie si consumino durante una partita», dice, «sia mentali che in termini di calorie. Quindi è necessario avere un'ottima resistenza fisica». Si presenta alla scacchiera con jeans, camicia bianca e giacca sportiva: con gli occhiali squadrati e il viso pulito, certamente Caruana porta alla mente l'idea del nerd, ma nella sua interpretazione hipster, senza alcuna idiosincrasia. È sicuro di sé, ironico, aperto col pubblico e coi giornalisti, degno contraltare all'aura un po' supponente di Carlsen. Non a caso, quando il discorso vira sul musicale e si accenna al nomignolo “Mozart degli scacchi” che segue il norvegese da almeno un decennio, Caruana afferma la sua preferenza per rock e hip-hop: si citano Led Zeppelin, Kendrick Lamar e Killah Priest.
Nessuno dei due, insomma, apparentemente sembra vivere gli scacchi come un'ossessione. Più che altro, sembrano professionisti che vivono di rendita dopo gli anni da enfant prodige: entrambi hanno ottenuto il titolo di Grande maestro giovanissimi, e Caruana fu spinto dai genitori a intraprendere un tour di dieci anni in Europa, Italia inclusa, per imparare dai migliori insegnanti. Oggi, in fase di allenamento, giocano un paio d'ore al giorno e poi si dedicano ad altre attività; anche se, come dice Carlsen: «La scacchiera è sempre con me, nella mia testa».
Foto di Nicky J Sims / Stringer
Ad aggiungere qualche granello di pepe alla rivalità, un fatto raro nel cortese mondo degli scacchi, una dinamica tra favorito e underdog che si è costruita in almeno quattro anni e che finalmente ha trovato l'occasione di dirimersi con la finale che si è svolta in questi giorni a Londra. Per Carlsen vincere significa davvero imporsi come il migliore di sempre; per Caruana, completare un inseguimento che parte da molto lontano e riportare il titolo in America, dove manca dai tempi di Bobby Fischer.
I due si rispettano, ma competono in un modo fiero che per certi versi ricorda il dualismo tra Federer e Nadal. Carlsen in effetti è stato spesso paragonato al tennista svizzero. Un po' perché tennis e scacchi hanno più elementi in comune di quanto appaia a prima vista (le lunghe pause, il gioco mentale con l'avversario e il semplice fatto di sferrarsi attacchi brutali senza mai toccarsi), un po' perché Carlsen sembra dominare la concorrenza con la stessa naturalezza di Federer, con lo stesso portamento austero. Certe volte anche lui va sopra le righe, però: come quando, lo scorso agosto durante la Sinquefield Cup, si prese una pausa per zittire i tifosi dell'americano, col dito davanti alle labbra in favore di telecamere – e poi finire con la cresta abbassata, perché Caruana strappò una patta sul filo di lana.
Com'è andata la finale
Dal punto di vista dell'equilibrio tra le forze in campo, l'attesa è stata ripagata. Tutti e dodici gli incontri previsti dal calendario tra il 9 e il 26 novembre, in cui i giocatori si alternavano coi pezzi bianchi e neri, sono finiti in patta: un record assoluto, almeno da quando la finale dei Mondiali si gioca al meglio delle 12 partite (nel 1984 Karpov e Kasparov arrivarono a 17 patte, in una sfida che durò ben 48 partite). Per decidere il vincitore si è dovuto quindi ricorrere allo spareggio che consisteva in una prima fase con una serie di partite di gioco rapido (in cui, cioè, ai giocatori è lasciato un tempo iniziale massimo di 25 minuti per fare le proprie mosse) alla meglio di quattro, un'eventuale seconda fase, in caso di ulteriore parità, con partite lampo o blitz (in cui i giocatori hanno inizialmente un massimo di 10 minuti) e infine il cosiddetto Armageddon, una tipologia di partita che non può finire patta (perché, di solito, per i neri il pareggio equivale a vittoria, ma in cambio i bianchi hanno un minuto più di tempo per fare le proprie mosse).
Come è facile capire, si tratta di partite che concedono tempi di riflessione estremamente ridotti rispetto al consueto tempo lungo, e di cui Carlsen è specialista. Il norvegese, infatti, non ha mai perso uno spareggio, e non lo ha perso nemmeno questa volta. Anche in questo caso, infatti, non c'è stato bisogno di passare alla seconda fase, perché Carlsen ha rispettato il pronostico e ha chiuso i conti con un 3-0 inappellabile nelle partite di gioco rapido.
Nella prima partita il norvegese ha guadagnato subito il vantaggio col bianco, non senza qualche difficoltà. Il confronto è stato infatti lungo e teso, aperto dall'amata apertura inglese con fianchetto d'alfiere. Caruana, poi, ha compiuto il primo grave errore alla mossa 20, mettendo in pericolo il proprio cavallo. Carlsen ha tentennato, e inizialmente non ne ha approfittato, dilapidando il vantaggio per la troppa fretta nello scambiare i pezzi, e si è giunto a un finale con torri e pedoni. Con il tempo agli sgoccioli per entrambi i giocatori, la qualità ne ha risentito (lo scacchista russo Alexander Grischuk, uno che non le manda a dire, in diretta ha definito certi scambi “imbarazzanti”), ma alla fine è stato Caruana a sciogliersi sotto la pressione.
La seconda partita è stata invece un piccolo capolavoro del norvegese, che ha vinto con il nero azzeccando una catena di mosse ad altissimo coefficiente di difficoltà. Il terreno scelto da Carlsen è quello conosciuto e già visto nelle partite regolari, difesa siciliana variante Sveshnikov, ma stavolta Carlsen è stato geniale nel contenere il piglio aggressivo di Caruana, che ha spinto al centro della scacchiera coi pedoni, imbastendo un contrattacco letale. Prima ha lavorato ai fianchi con gli alfieri, poi ha puntellato la difesa con una struttura di pedoni, lanciando infine la regina in incursione. Messo alle strette per la seconda volta, Caruana ha sbagliato ancora e ha consegnato il cavallo nelle mani del nemico. Per recuperare ha provato a tendere una trappola sacrificando addirittura la regina, ma Carlsen non ha abboccato ed è arrivato addirittura a minacciare lo scacco matto in poche mosse.
La terza partita ha visto un Caruana all'arrembaggio con i pezzi neri, mosso dalla disperazione perché a Carlsen bastava una patta per chiudere la serie e vincere il titolo. C'è giusto il tempo per assistere a qualche linea originale, ma il norvegese in poco tempo ha amministrato la situazione e si è quindi laureato campione del mondo per la quarta volta consecutiva.
Foto di Tolga Akmen / Getty Images
A questo punto viene da chiedersi quali ulteriori motivazioni potrà trovare Carlsen in futuro, quali stimoli per migliorarsi, dato che siede al piano più alto dell'Olimpo dal 2012 e nessuno riesce a metterne in discussione il posto nella storia degli scacchi. Dal suo camp suggerivano addirittura che, in caso di sconfitta, avrebbe annunciato il ritiro, e d'altra parte anche lui stesso è sembrato disseminare indizi sulla possibilità di abbandonare la scena prima dei quarant'anni, per rendere davvero immortale la propria eredità. Carlsen racconta, con la solita dose di megalomania, di essersi dimenticato come si perde, dopo tanti anni di vittorie.
Dall'angolo di Caruana, invece, si parla di orgoglio e ci si proietta già verso una rivincita. «Fabiano ha galvanizzato l'interesse dell'America per gli scacchi», dice la sua manager Mehreen Malik. «Lottando alla pari col campione del mondo, ha attraversato il Rubicone verso il mainstream. Tornerà su questo palcoscenico».
Foto di Nicky J Sims / Stringer
Dal punto di vista tattico, nel complesso delle partite il copione è stato rispettato. Si è vista molta difesa siciliana (una tipologia particolare di apertura), variante Rossolimo e la combattiva variante Sveshnikov – quest'ultima molto comune ad alti livelli: in gara 1 proprio la difesa siciliana ha sorpreso l'americano, che si aspettava strategie diverse da parte del norvegese e nel camp pre-gara aveva preparato tutt'altri scenari. Caruana ha avuto comunque la possibilità di disputare una partita col suo cavallo di battaglia, la difesa Petroff, mentre Carlsen ha proposto un gambetto di donna rifiutato e due partite inglesi, per condurre il confronto sul terreno familiare del gioco chiuso.
In serie del genere spesso la prima partita è la più delicata, dove è più alto cioè il rischio di commettere errori, e infatti si è rivelata quella più caotica (complice l'attore Woody Harrelson che, chiamato a muovere la prima mossa da cerimoniale, ha combinato un disastro rovesciando il re) dove i due contendenti sono stati costretti a scoprire le carte. Carlsen ha giocato con il nero, quindi teoricamente in posizione di svantaggio, ma è andato vicinissimo a beffare subito un boccheggiante Caruana, che è rimasto subito con poco tempo a disposizione, sfondando la prima linea avversaria con torre e regina alla mossa 33. Carlsen però è stato troppo impaziente nello scambiare pedoni alla mossa 40, e ha lasciato una finestra aperta a Caruana, che dal canto suo si è difeso egregiamente. Carlsen ha sentito l'odore del sangue e ha trascinato la partita per 115 mosse (il massimo a cui arriveranno in seguito sarà 80, ma in media si chiude intorno alle 50), ma alla fine si è accontentato della patta. Da lì in poi, con un paio di picchi di tensione per parte, i due giocatori si sono equivalsi senza correre pericoli.
Gli scacchi sono veramente diventati più cool?
Come abbiamo detto, uno score di 12 patte su 12 non era mai avvenuto in una finale e se analizziamo l'intero percorso che ha portato a questo incredibile risultato ci accorgiamo che sotto la scorza estetica dei due interpreti, gli scacchi in realtà non si sono innovati nello stile di gioco in una direzione ugualmente cool. Tutt'altro.
Carlsen contro Caruana è stata una sfida snervante, segnata da tattiche attendiste da entrambi i lati e portata avanti con prudenza, calcoli raffinati e una conoscenza enciclopedica della storia del gioco. Gli scacchi sono “arte, sport e scienza”, diceva Anatoly Karpov. Se il trend modaiolo dei campioni odierni rimanda all'arte e i loro metodi di preparazione strizzano l'occhio allo sport, una volta seduti alla scacchiera si parla strettamente di scienza – e difficilmente le cose potrebbero essere diverse, quando la routine d'allenamento prevede il confrontarsi con computer su cui girano motori scacchistici da oltre 3000 di rating Elo.
Prendiamo Magnus Carlsen. Da un nome come “Mozart degli scacchi” un profano potrebbe aspettarsi genio e sregolatezza, e invece il norvegese è lo scacchista più pragmatico in circolazione. La sua forza, concordano gli analisti, consiste nel non avere punti deboli. Tramite la padronanza di ogni aspetto di gioco, Carlsen è libero di adattarsi tatticamente alle caratteristiche di ogni avversario, e le sue straordinarie doti d'intuizione funzionano perché poggiano su basi granitiche. Nell'ambiente è noto per le sue aperture, che qualcuno definisce banali, ma in realtà sono semplicemente poco ambiziose: dal suo punto di vista è meglio puntare l'attenzione qualche mossa più avanti, piuttosto che cercare l'apertura a effetto. Appena ne ha la possibilità, il norvegese sposta la partita fuori dai binari degli incontri già giocati, e verosimilmente ben memorizzati nella mente degli agonisti di alto livello, perché su terreni inesplorati la sua versatilità può portargli ottimi frutti, indebolendo al tempo stesso la preparazione pre-partita dell'avversario.
Quando gli capita l'occasione propizia Carlsen è certamente in grado di sferrare attacchi decisi e chiudere i conti rapidamente, ma se gli lasciano l'iniziativa preferisce tessere trame elaborate per poi passare al contrattacco capitalizzando le indecisioni dell'avversario. Carlsen è convinto che il modo di muovere i pezzi sulla scacchiera rappresenti anche l'animo e le inclinazioni di chi gioca: se nello stile di Kasparov intravedeva un uomo bellicoso, alla ricerca di battaglie sanguinose, lui incarna invece un'idea militare attendista che non ci stupiremmo di trovare ne L'Arte della guerra di Sun Tzu. Carlsen vuole vincere col minimo sforzo e senza spargere sangue, meglio ancora se l'avversario si arrende sotto le proprie mura. Che in termini scacchistici questo significa che se qualcosa va storto, Carlsen è anche impareggiabile nel difendere il Re e rifugiarsi in una patta.
Foto di Tom Mihalek / Stringer
Certo, Caruana l'ha messo in seria difficoltà, specialmente in gara 2 e 8, ma, pur non giocando in maniera brillante, Carlsen ha eretto con pazienza le sue barricate, per poi recuperare terreno alla prima incertezza dell'avversario. Così è accaduto in gara 8, forse il momento chiave dell'intera sfida, quando Caruana ha gettato al vento il vantaggio costruito con un fantastico mediogioco muovendo un mal consigliato pedone in h3 alla mossa 24: una soluzione eccessivamente lenta in un frangente in cui bisognava osare, mettendo pressione a Carlsen che aveva già suonato la ritirata.
D'altra parte, Carlsen non è l'unico a interpretare questo stile, misurato e posizionale. Il norvegese, però, è sicuramente il migliore, in primo luogo perché è il più resistente. Carlsen allunga il tempo delle partite fino allo stremo (gara 1 si è allungata oltre le sette ore) senza mollare la presa, e porta avanti la sfida anche quando la patta sembra inevitabile grazie al raro talento di trovare la vittoria in situazioni apparentemente bloccate. Come ha detto lo scacchista Vikas Rajasekaran: «Spremerebbe sangue da una pietra».
Semplicemente, come si è percepito chiaramente negli spareggi, Carlsen compie meno errori degli altri: può sorvolare sulla soluzione più efficace o interrompere il ritmo dell'offensiva, ma difficilmente incappa in un blunder disastroso (cioè una mossa palesemente sbagliata). Per essere uno che reputa i computer scacchistici “noiosi”, Carlsen gioca in maniera terribilmente simile a una macchina.
Fabiano Caruana è un degno emulo, a sua volta apologeta del gioco posizionale. È un calcolatore precisissimo, si dice che vanti le migliori capacità di memoria e concentrazione del circuito – grazie, chissà, anche alla meditazione che pratica regolarmente. Anche lui non prende rischi con il mero scopo di rendere l'azione più dinamica. Preferisce giocare d'attesa e muovere i pezzi come un esercito coeso, che si stringe in una morsa; poi, nel finale, mira a semplificare il campo di battaglia scambiando pezzi.
Negli scontri precedenti Carlsen vantava un record positivo (10 vittorie, 5 sconfitte, 30 patte) ma Caruana ha inanellato una striscia di risultati vincenti che la dice lunga su come abbia colmato il gap. I due in effetti sembravano giocare allo specchio, con uguale abilità. Anzi, a detta di molti addetti ai lavori (tra cui il GM Hikaru Nakamura, secondo alfiere degli scacchi americani dietro Caruana) è stato proprio lo sfidante a mostrare una preparazione migliore, che si è esplicitata in una corretta gestione del tempo e in scelte più fluide in tutte le fasi della partita: apertura, mediogioco e finale. Con uno scenario così speculare, il braccio di ferro era inevitabile e sarebbe servito un miraggio per rompere lo stallo. Basti pensare che in gara 6, in una situazione apparentemente bloccata, il supercomputer Sesse decretava una possibilità di scacco matto per Caruana, ma in addirittura trenta mosse.
Alla luce di questo si comprende anche come mai Magnus Carlsen, nella dodicesima e decisiva partita, abbia sorpreso tutti offrendo una patta a Caruana appena alla trentesima mossa, quando per giunta si trovava in una situazione di leggero vantaggio: non voleva sprecare energie in vista dello spareggio, perché intuiva che coi tempi lunghi nessuno dei due avrebbe prevalso.
Il futuro nelle mani delle macchine
Le dodici patte tra Carlsen e Caruana possono rappresentare un caso singolare oppure una tendenza preoccupante, da confrontare con quanto accade nei campionati riservati ai motori scacchistici, cioè ai computer, che hanno superato il limite umano già da tempo, ed è quindi più giusto, o forse solo più interessante, che sistemi come Stockfish, Komodo e Houdini competano fra loro. Tra le macchine la patta è un risultato ancora più comune rispetto agli umani, e servono decine di partite per decretare un vincitore. L'impressione è che più il gioco si raffina verso l'alto, più si smarrisca quella dimensione agonistica che prevede un vincitore e un vinto, un'offensiva e una difesa.
Nemmeno Caruana è un fan dei computer, ma come tutti i colleghi li utilizza per l'allenamento. Cerca di farlo in maniera coscienziosa però, perché ne intravede i possibili rischi. «Focalizzandosi soltanto sulle soluzioni proposte dal motore» dice, «si perde profondità. Non ci accorgeremmo magari di intuizioni importanti, e perderemmo la capacità di valutare la posizione».
È innegabile che le linee di gioco suggerite dai computer stiano influenzando gli scacchi ad alto livello, con sempre più giocatori che mutano il loro stile dinamico (lo stesso Caruana, in gioventù, giocava in maniera aggressiva) in favore di un approccio posato. Il già citato Nakamura è uno dei pochi a distinguersi, mentre in casi come quello di Topalov si finisce per affidarsi completamente alle aperture proposte dal computer, ripetendone a memoria le linee. Qualcuno, come il campione spagnolo Miguel Illescas, propone un ritocco alle regole per tornare a degli scacchi più “umani”, come quando, non più tardi del 2000, il duello fra Garry Kasparov e Vladimir Kramnik durò 15 partite, quattro delle quali lunghe meno di venticinque mosse.
Quindi quanto si può dire davvero che gli scacchi siano diventati più cool? «Per me sono la cosa più cool del mondo da quando avevo otto anni», dice Carlsen. Anche allontanandosi dal suo peculiare punto di vista, però, ci si accorge di quanto sia cambiato il gioco dal 1972, quando Bobby Fischer portava il titolo in America battendo Boris Spassky a Reykjavik nel match del secolo. Ma anche andando a tempi più recenti guardiamo con un pizzico di nostalgia agli eccessi del britannico Nigel Short che nel 1993, con chitarra a tracolla e giacchetto in pelle, dava a Garry Kasparov della “scimmia” prima di rassegnarsi alla sconfitta.
Nel 2018 gli scacchi continuano ad affascinare in maniera naturale, grazie a una nuova ondata di giovani personaggi brillanti, oltre che ottimi giocatori: citiamo anche Ding Liren, Anish Giri, Wesley So, Maxime Vachier-Lagrave, Sergej Karjakin. Il mondiale appena concluso ha richiamato grande attenzione anche tra il pubblico non specializzato, ma è stato un biglietto da visita con luci e ombre.
Caruana intravede un grande potenziale di popolarità per gli scacchi; dipendesse da lui, che ha familiarità col mondo del poker, insisterebbe sul marketing e studierebbe strategie per rendere il prodotto sempre più adatto alla trasmissione live, magari tramite piattaforme streaming e puntando sull'interattività. La stessa Norvegia di Carlsen, in effetti, offre un esempio virtuoso. Sulla scia dei successi del suo campione l'intera nazione è caduta in un profondo amore per lo sport: si aprono pub a tema, con una scacchiera per ogni tavolo, si organizzano eventi dal vivo, si tengono corsi nelle scuole. Il primo esperimento, un autentico azzardo, fu la trasmissione in diretta tv di tutte le partite dei mondiali 2013, tra Carlsen e Anand. Il dubbio era legittimo: va bene tifare il campione di casa, ma si tratta pur sempre di guardare “la vernice che si asciuga”. Invece la televisione di stato NRK confezionò un prodotto di successo, che riempiva le pause nel gioco con le opinioni di esperti e celebrità locali. Tre anni dopo, per i mondiali 2016, è riuscito a totalizzare il 56% di share. Oggi si conta che in Norvegia, su cinque milioni di persone, cinquecentomila giochino a scacchi: le app per smartphone, comode per cimentarsi mentre si viaggia sui mezzi pubblici, hanno accelerato ulteriormente il processo.
Le intelligenze artificiali sorvegliano la scena come un poco rassicurante fantasma, ma si apre una prospettiva nuova. AlphaZero è l'ultima versione dell'algoritmo sviluppato da DeepMind e Google per superare l'uomo nell'estremo baluardo dei giochi strategici: la scacchiera orientale del go. Dopo il successo si è dedicato a scienze più nobili, come la chimica, ma recentemente si è impratichito negli scacchi, stracciando su cento partite una versione di Stockfish.
La peculiarità dell'algoritmo è che si basa su tecniche di machine learning, vale a dire che impara il gioco in totale autonomia disputando milioni di partite contro se stesso. È privo quindi dei preconcetti scacchistici importati dagli umani sui motori più comuni. Stockfish muove un pezzo eseguendo un check su migliaia di possibili alternative selezionate dal database: AlphaZero, invece, è “semplicemente” un giocatore di scacchi con una memoria perfetta, composta da quarantaquattro milioni di partite e nessun segno di stanchezza o malattia.
AlphaZero, sorprendentemente, sta mostrando i prodromi di un gioco libero, spregiudicato. Alcuni ci leggono un richiamo al gioco “romantico” che andava di moda nell'Ottocento e che oggi appare, sebbene alieno per capacità di lettura, più umano e meno materialista di quello messo sulla scacchiera da Carlsen e Caruana.