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Il caso Diarra rivoluzionerà il calciomercato?
10 ott 2024
10 ott 2024
Sulla vicenda si è espressa la Corte di Giustizia Europea con effetti ancora da decifrare.
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IMAGO / PA Images
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José Mourinho l'aveva detto in tempi non sospetti. Parte dei suoi capelli bianchi è dovuta a due persone: «Lassana Diarra e il suo agente». Oggi i capelli bianchi potrebbero venire anche a molte altre persone, visto l'impatto che potrebbe avere la sentenza C-650/22 della Corte di Giustizia dell'Unione Europea sul calcio mondiale e in particolare europeo che riguarda proprio il suo caso.

In un calcio che vive - o spesso sopravvive - di player trading, di plusvalenze e di cessioni a peso d'oro anche tra i club che fatturano di più, ogni piccolo glitch del sistema potrebbe nascondere una svolta epocale. Non è un caso se la caccia al nuovo caso Bosman è ormai paragonabile a quella del nuovo Messi. Sarà questo il caso? Difficile dirlo adesso, nel frattempo cerchiamo di capire meglio questa sentenza.

Le avventure in Russia di Lassana Diarra

La storia di questo caso comincia circa dieci anni fa, quando Lassana Diarra non è più né il giovane di belle speranze del Chelsea, né uno dei più improbabili diez del Real Madrid, in una squadra in cui il 7 era Raúl, l'8 era Kakà, il 9 era Ronaldo (Cristiano) e l'11 era Benzema. Lass (come da nome sulla maglia, per non confonderlo con Mahmadou Diarra) resta a Madrid fino all'estate del 2012, anno in cui cede alle sirene dell'Anži Machačkala, il club russo dell'oligarca Sulejman Kerimov che in quegli anni sembrava voler ripercorrere le orme dello Zenit San Pietroburgo e insinuarsi nell'élite europea. Missione ampiamente fallita, nonostante Guus Hiddink in panchina e gli arrivi di gente del calibro di Samuel Eto'o, Roberto Carlos, Willian, Zhirkov e Lacina Traore, oltre appunto a Diarra, già con le valigie in mano dopo nemmeno un anno in direzione Mosca, più precisamente al Lokomotiv.

Ancora ventottenne, dopo una sola stagione in maglia Lokomotiv con poche gioie, il centrocampista francese vuole cambiare aria. Il problema è che nell'agosto del 2013 aveva firmato un contratto quadriennale piuttosto pesante e svincolarsi non è facile. Ne viene fuori un contenzioso: la Lokomotiv vuol far valere il contratto, il giocatore vuole rompere l'accordo, ma il 22 agosto 2014 è la Lokomotiv a risolvere il contratto per motivi disciplinari, chiedendo successivamente alla Dispute Resolution Chamber della FIFA un indennizzo da parte dell'ormai suo ex tesserato pari a 20 milioni di euro, per la violazione del contratto "senza giusta causa". Dall'altro lato, è Diarra a chiedere un risarcimento per il mancato pagamento degli stipendi arretrati, trovandosi oltretutto bloccato sul mercato. Di fatto, è un giocatore libero. In realtà, il rischio di dover risarcire la Lokomotiv Mosca grava sulle trattative con altri club: chi è che si assumerebbe il rischio di ingaggiare un calciatore sapendo che da un momento all'altro un tribunale della FIFA potrà imporre un pagamento milionario per la violazione di un contratto precedente?

Ci prova lo Charleroi, in piena lotta per i play-off (che nella massima serie in Belgio portano alla vittoria del campionato o alla qualificazione in Europa). Nel febbraio 2015, la squadra belga presenta una proposta di ingaggio a Lassana Diarra, chiedendo però una dichiarazione scritta e incondizionata da parte del calciatore che sollevi il club da ogni responsabilità per ogni richiesta di risarcimento. La federazione belga (tecnicamente L'Union royale belge des sociétés de football association, URBSFA da qui in poi) fa sapere che, stando ai regolamenti FIFA, non sarebbe possibile registrarlo senza il rilascio di un certificato di trasferimento internazionale (da qui in poi ITC) da parte della Lokomotiv. Il 18 maggio 2015, intanto, la Dispute Resolution Chamber della FIFA accoglie parzialmente la richiesta della Lokomotiv Mosca e condanna Diarra ad un risarcimento pari a 10,5 milioni di euro. Un anno dopo anche il TAS di Losanna conferma questa decisione.

Nell'agosto 2015 Diarra passa all'Olympique Marsiglia e qualche mese dopo torna persino in Nazionale, a cinque anni dall'ultima presenza nel 2010, quando aveva partecipato a ben 10 partite di qualificazione per il disastroso Mondiale sudafricano. Se ne andrà via dopo una stagione e mezza, per giocare sei mesi all'Al-Jazira negli Emirati Arabi e poi chiudere la carriera nuovamente in patria, al Paris Saint-Germain.

Il verdetto della Corte di Giustizia dell'Unione Europea sul caso Diarra

La carriera di Lassana Diarra prosegue ai massimi livelli fino al 2018, ma nel frattempo, in Belgio, resta aperto il fascicolo riguardante il suo mancato trasferimento dalla Lokomotiv Mosca. Lo Charleroi si rivolge al tribunale commerciale dell'Hainaut per chiedere a sua volta un risarcimento da parte della FIFA e della federazione belga, ed è da qui che parte, il 9 dicembre 2015, la piccola palla di neve che quasi nove anni dopo si trasformerà in valanga. FIFA e URBSFA vengono condannate dal tribunale belga, la cui competenza sul caso in questione viene confermata dalla Corte d'appello di Mons.

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Il procedimento però viene sospeso per porre due questioni pregiudiziali alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea. In particolare le si chiede se le norme FIFA sullo status e il trasferimento dei calciatori non siano da considerare come un ostacolo alla libera circolazione dei lavoratori e alla concorrenza, sulla base degli articoli 45 e 101 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE). Nel caso in questione, la richiesta riguarda delle norme secondo cui il calciatore svincolatosi senza giusta causa e la società che intende tesserarlo sono responsabili in solido del pagamento dell'indennità dovuta al precedente club e quelle che prevedono la possibilità per la federazione calcistica nazionale dell'ex club del giocatore di non rilasciare la ITC necessaria per il reclutamento del giocatore da parte di un nuovo club, se c'è una controversia tra l'ex club e il giocatore.

La Corte ha quindi risposto con la sentenza arrivata pochi giorni fa, confermando che sì, questa parte delle norme FIFA sullo status e il trasferimento dei calciatori è da considerare un ostacolo alla libera circolazione dei lavoratori e presenta "un elevato grado di nocività rispetto alla concorrenza che le società di calcio professionistiche potrebbero esercitare assumendo unilateralmente giocatori già impiegati da una società o giocatori il cui contratto di lavoro sarebbe stato risolto senza giusta causa”. Secondo la Corte, quindi, i trattati che regolano il funzionamento dell'Unione Europea vanno interpretati in opposizione a queste norme, a meno che non venga dimostrato che la FIFA non le applichi per perseguire la regolarità delle competizioni calcistiche o a meno che non venga dimostrato che un club terzo abbia indotto il calciatore a risolvere il contratto.

Questo perché le norme FIFA prevedono un’indennità “fissata sulla base di criteri talvolta imprecisi o discrezionali, talvolta privi di qualsiasi legame oggettivo con il rapporto di lavoro in questione e talvolta sproporzionata" in caso di risoluzione del contratto senza giusta causa; ma anche una sanzione sportiva "consistente nel divieto di tesserare nuovi giocatori per un periodo determinato" per il club che ingaggia un calciatore durante un periodo protetto da un contratto di lavoro che è stato risolto e il mancato rilascio dell’ITC in caso di controversie contrattuali di fatto nega al giocatore di prendere parte ad una competizione calcistica col nuovo club.

Un ragionamento simile viene fatto per l’interpretazione della presunta violazione dell'articolo 101 del TFUE, salvo esenzioni previste qualora le norme in oggetto determinino incrementi di efficienza e non eliminino la concorrenza.

Detta con le parole della Corte, quindi, le norme sui trasferimenti internazionali dei calciatori, benché "volte a prevenire pratiche di sottrazione di giocatori a società dotate di maggiori risorse finanziarie", sono paragonabili "a un divieto generale, assoluto e permanente di ingaggio unilaterale di giocatori già ingaggiati, imposto per decisione di un'associazione di imprese a tutte le imprese che sono società di calcio professionistiche e che pesa su tutti i lavoratori che sono quei giocatori”. "In quanto tali”, dice ancora la Corte, “costituiscono una chiara restrizione della concorrenza che tali club potrebbero esercitare in loro assenza, con conseguente ripartizione del mercato a vantaggio di tutti i club”.

Cosa può cambiare nel calciomercato dopo la sentenza Diarra?

La FIFA si è detta "soddisfatta che la legalità dei principi chiave del sistema di trasferimento sia stata riconfermata dalla sentenza", che "mette in discussione solo due paragrafi di due articoli del Regolamento FIFA sullo status e il trasferimento dei giocatori, che il tribunale nazionale è ora invitato a considerare". Per FIFPro, il sindacato internazionale dei calciatori, la Corte di Giustizia dell'Unione Europea "ha stabilito inequivocabilmente che parti centrali del Regolamento FIFA sullo status e i trasferimenti dei giocatori sono incompatibili con il diritto dell'Unione Europea", motivo per cui "la FIFA sarà costretta a modificare questa pratica e deve essere chiaro che qualsiasi modifica del genere può essere effettuata solo tramite un accordo con le parti sociali". «La decisione non cambia affatto i principi fondamentali del sistema di trasferimento», ha dichiarato Emilio Garcia Silvero, Legal Director della FIFA.

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Come succede spesso in questi casi, insomma, tutti reclamano vittoria e per i reali effetti di questa sentenza bisognerà aspettare un lasso di tempo ancora indefinito. Intanto sarà di nuovo il Belgio e in particolare i suoi tribunali nazionali a dover dirimere la questione, dato che la Corte d'appello di Mons aveva sospeso il procedimento avviato dallo Charleroi proprio per porre le sue questioni pregiudiziali alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea.

Basteranno piccoli accorgimenti, come quelli sui criteri "talvolta imprecisi o discrezionali" relativi agli indennizzi per i calciatori che si svincolano unilateralmente e senza giusta causa, oppure si passerà all'estremo opposto, ovvero il cambio radicale del sistema dei trasferimenti senza più la compravendita di cartellini? Modificare i "due paragrafi" sarà sufficiente per far rientrare tutto e regolamentare queste situazioni? Oppure si correrà il rischio che i calciatori forzino la mano in situazioni limite per rompere i contratti in essere? Sono domande che tutti gli operatori nel sistema calcio si pongono in questi giorni, anche perché il player trading continua a rappresentare una fonte essenziale di ricavi per i club. Nel 2024, stando al report della FIFA che si occupa di studiare i trasferimenti nel calcio a livello globale (l‘International Transfer Snapshot), la spesa complessiva dei club professionistici maschili è stata pari a 7,91 miliardi di dollari, di cui 6,45 miliardi nella sessione estiva, la seconda cifra più alta di sempre. La prima? Nel 2023, con 7,43 miliardi di dollari investiti sul mercato solo in estate.

Non è solo una questione di potere di acquisto in entrata. Il Manchester City, il secondo club al mondo per fatturato operativo - dunque senza contare le operazioni di mercato - in estate ha ceduto Julian Alvarez all'Atletico Madrid per cifre che secondo i media spagnoli potrebbero raggiungere i 95 milioni di euro con i bonus. Il tutto nella sessione di mercato che ha visto andar via João Cancelo a 25 milioni di euro in direzione Arabia Saudita, ma anche due prodotti dell'Academy come Liam Delap (all'Ipswich Town per 15 milioni di sterline) e Taylor Harwood-Belis (al Southampton per 20 milioni di sterline). Cedono pure il Paris Saint-Germain (Ugarte per 50 milioni di euro al Manchester United, Ekitike all'Eintracht Francoforte per 16,5 milioni di euro) e il Bayern Monaco (de Ligt e Mazraoui al Manchester United per circa 60 milioni di euro, Tillman riscattato dal PSV per una decina di milioni), giusto per rimanere nell'élite economico-finanziaria del calcio globale. Anche società capaci di fatturare 600, 700 o 800 milioni di euro a stagione, insomma, si affidano al player trading, che rimane una fonte di introiti importante per tutti, e vitale per molti.

In uno scenario del genere, l'idea di stravolgere il sistema del calciomercato per portarlo ad un modello più simile a quello nordamericano, come quello dell'NBA, dove non esiste un prezzo per i cartellini dei giocatori, sembra lontana. A parte l'impossibilità di equiparare i due sistemi (volete leggere le 676 pagine del contratto collettivo tra l'NBA e i suoi cestisti per farvi un'idea?), come è possibile determinare il valore di uno scambio tra due cartellini di due calciatori appartenenti a due leghe diverse e con diversi sistemi di sostenibilità finanziaria? Nel basket americano, quando due squadre mettono in atto una trade, seguono una stella polare: il salary cap. Se lo scambio non fa sforare il cap a nessuno, allora si può fare, senza addentrarci nei meandri delle eccezioni previste dai regolamenti. Ma come si può applicare un sistema del genere tra club che hanno un sistema di limitazione salariale (i club della Liga spagnola, ad esempio) e altri che invece non ne hanno? Se il Real Madrid vuole prendere il nuovo Vinicius o il nuovo Endrick dal Brasile, cosa potrà mettere sul piatto per uno scambio con il Flamengo o il Palmeiras di turno?

Non sono questioni che al momento preoccupano la FIFA, apparentemente. Tra l'altro, non è certo la prima volta che il sistema dei trasferimenti nel mondo del calcio viene messo in discussione. Proprio l'articolo 17 del Regolamento FIFA sullo status e trasferimento dei calciatori, quello che ha dato il via a questo procedimento, nasce a causa di un primo scossone: nel 1998, la Commissione Europea aveva avviato un'indagine sulle norme FIFA relative ai trasferimenti internazionali e nel 2001, tramite uno scambio di lettere tra l'allora presidente Sepp Blatter e l'allora commissario Mario Monti (sì, Mario Monti, che abbiamo ritrovato anche nella vicenda sulle multiproprietà) è stato formalizzato un documento che ne stabilisce la modifica, raggiungendo inoltre un accordo con FIFPro. L’intesa porta all’introduzione di un meccanismo di solidarietà per i club che formano calciatori fino all’età di 23 anni, alla creazione della Dispute Resolution Chamber della FIFA e di un tribunale arbitrale per risolvere le controversie contrattuali tra club e calciatori, ma soprattutto stabilisce nuovi paletti temporali per i contratti.

La durata minima e massima degli accordi tra club e calciatori viene stabilita tra 1 e 5 anni, inoltre i contratti sono “protetti per un periodo di 3 anni fino ai 28 anni, 2 anni da lì in poi”. Cosa si intende per “protetti”? Che un calciatore non può svincolarsi - salvo accordi con la società - se il contratto non ha effetto da almeno tre anni (o due, se ha più di 28 anni di età).

Il primo ad usufruire di queste modifiche normative è Andy Webster, difensore scozzese degli Heart of Midlothian, che nel 2006 si trasferisce al Wigan, in Premier League. Alla firma del contratto col club di Edimburgo, il giocatore aveva meno di 28 anni, ma nel 2006 ha già trascorso i tre anni previsti dalla "protezione" del contratto e si ritiene così libero di andar via. Non è stata una strada semplice, né tantomeno veloce: il 30 gennaio 2008, il TAS di Losanna mette la parola fine indicando in 150 mila sterline (più interessi) l'importo che Webster deve riconoscere agli Heart of Midlothian per liberarsi dal contratto, in co-responsabilità col Wigan, cifra "accettata da tutte le parti come il valore residuo del contratto di lavoro del giocatore dopo la sua risoluzione". In Italia, intraprende la stessa strada Morgan De Sanctis, per trasferirsi nel 2007 dall'Udinese al Siviglia: nel 2011, il TAS indica in 2,25 milioni la somma da riconoscere ai friulani sulla base di criteri che potete trovare qui.

Anche in quel caso, si chiamò in causa la sentenza Bosman, facendo paragoni tra il provvedimento che liberalizzò i trasferimenti di calciatori all’interno dell’Unione Europea e la nuova norma FIFA. Lo spauracchio di vedere orde di 29enni pronti a liberarsi per poche centinaia di migliaia di euro o al massimo qualche milione, in realtà, non si è mai concretizzato. Da un lato, perché le controversie legali di chi ha deciso di intraprendere questa strada non si sono risolte in tempi brevi. Dall’altro lato, perché questo non ha portato ad una “svendita” dei cartellini, ma alla valutazione di un indennizzo sulla base delle spese sostenute dai club. Anche a cifre notevoli, come gli 11,8 milioni indicati dal TAS nel contenzioso tra il centrocampista Matuzalem e lo Shakhtar Donetsk. L’articolo 17 ha effettivamente fornito ai calciatori la possibilità di trovare una scappatoia, ma non ha rivoluzionato il calciomercato.

Matuzalem non è stato il nuovo Bosman, così come non lo è stato Webster e così come, almeno per ora, non lo è Diarra. Quando nel 1995 la Corte di Giustizia dell'Unione Europea aprì i confini del calciomercato a livello comunitario, l’effetto fu immediato e devastante, senza possibilità di appello: l’Ajax vincitore dell’Intercontinentale e finalista di Champions del 1996 si trovò svuotato ad un anno dalla sentenza e i suoi calciatori migliori si trasferirono a parametro zero in giro per l’Europa, così come fecero di lì a breve Gianluca Vialli (dalla Juventus al Chelsea) e Steve McManaman (dal Liverpool al Real Madrid). La vicenda di Diarra, invece, ha aperto al massimo un’altra finestra, quella che potrebbe portare i calciatori ad interrompere un contratto con un club prima della naturale scadenza. Ma quanto (e soprattutto quando) tutto ciò cambierà effettivamente il sistema non è ancora possibile saperlo, specialmente se il caso dovesse risolversi con l’apertura di contenziosi e col rischio di indennizzi milionari, come avvenuto con la nuova normativa dell’articolo 17.

Che Lassana Diarra possa diventare il Jean-Marc Bosman del 21° secolo o che possa accodarsi agli altri "nuovi Bosman" dell'ultimo ventennio è ancora tutto da vedere.

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