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Non è rimasto più niente da dibattere o da analizzare: il caso è chiuso, e si può leggere nella sua versione di realtà ufficiale. Accettando l’accordo proposto dalla WADA, Jannik Sinner ha riconosciuto la propria responsabilità oggettiva. Ha ammesso di essere stato negligente nella supervisione del proprio team, che lo scorso aprile ha contaminato il suo corpo con il clostebol, una sostanza proibita dai protocolli anti-doping, durante alcune sessioni di massaggi.
Questa negligenza non era stata ritenuta dalla ITIA abbastanza grave per squalificare il tennista, e per questo si è aperto uno spazio per la WADA per fare un ricorso che ha portato a questa squalifica. La richiesta iniziale era una squalifica di una o due anni, ma è stata la WADA a offrire a Sinner un accordo che riduce il tutto a tre mesi.
D’altra parte il comunicato mette per iscritto alcuni fatti giuridici che dovremmo accettare come altrettante verità. O almeno come verità giuridiche:
Sinner NON aveva intenzione di barare.
L’esposizione al Clostebol NON ha fornito a Sinner alcun vantaggio in termini di prestazioni.
Questa realtà, che sembra ormai piuttosto chiara a chi segue il caso dall’inizio, può essere illuminata da luci molto diverse. È una realtà che si può forzare, deformare, si può stirare, da un lato o dall’altro, fino a spezzarla, fino a farla diventare qualcosa di diverso - ormai non più una realtà.
Come sempre succede, il discorso attorno a Sinner si è polarizzato su due posizioni opposte e inconciliabili. I tifosi di Sinner, che lo considerano sostanzialmente un santo, e che non si danno pace per una squalifica che considerano assurda; dall’altra i detrattori di Sinner, che da mesi cercano di venderlo come il cocchetto delle istituzioni, il tennista dei poteri forti, e che lavorano incessantemente per creare una realtà diversa da quella riconosciuta ufficialmente.
Questa versione si poggia su due cardini: accettando l’accordo con la WADA Sinner ha riconosciuto la sua colpevolezza, e ha ammesso di essere dopato; proprio per questo, allora, è uno scandalo che sia stato condannato ad appena 3 mesi di squalifica, per di più in un periodo in cui non salterà alcuno Slam.
È una versione che tralascia volutamente i fatti citati sopra, che ne contengono altri che dobbiamo menzionare una volta di più. Che la quantità di sostanza proibita nel suo sangue era di 0.1 milionesimi di grammo per litro; che questa quantità non è stata ritenuta “dopante” da tutti i medici interpellati, e nemmeno dai giudici indipendenti della ITIA; che questi giudici sono stati chiamati a valutare il caso non erano a conoscenza dell’identità dell’imputato; che nessuno sano di mente oggi si doperebbe col Clostebol, una sostanza utilizzata in Unione Sovietica; che in ogni caso Sinner ha pagato per un errore non suo.
Per conoscere queste informazioni bisognava leggere articoli e informarsi, come quelli che Riccardo Bisti ha scritto su Tennis Italiano o anche quelli di Giorgio Di Maio qui su Ultimo Uomo.
Questa massa di fatti giuridici ci richiede uno sforzo di informazione e comprensione di avvenimenti complessi. Una verità che quindi può contenere anche delle piccole contraddizioni: Sinner è colpevole ma al contempo innocente. È colpevole per il criterio della responsabilità oggettiva, che esiste all’interno della giustizia sportiva; ma è innocente dal punto di vista morale: non ha barato, non ha tratto vantaggi. Può essere giudicato colpevole per le normative vigenti, che però sono così fragili e ingiuste da essere messe in discussione dalla stessa agenzia che ha fatto ricorso contro Sinner. A dicembre è venuta fuori la notizia che la WADA, a seguito dei casi di Swiatek e Sinner, alleggerirà le norme sulla contaminazione a partire dal 2027.
La parte di opinione pubblica che lavora da mesi contro Sinner ha contrastato questi fatti ignorandoli, o contrapponendoli a fatti più semplici, a riduzioni comode che richiedono un’adesione impulsiva ed emotiva. Così funziona la conversazione sulla rete. Perché se Sinner è innocente ha fallito due diversi test-antidoping? Perché se Sinner è innocente non ha accettato di andare a processo? Come facciamo a credere alla storia della contaminazione per un massaggio? Non vi sembra assurda tutta questa storia?!
Domande che suonano idiote e provocatorie se si conoscono i fatti, visto che c’è una risposta molto precisa e circostanziata a ciascuna di esse. Non in molti però hanno accettato di informarsi, persino tra i tennisti, che dovrebbero essere i più preoccupati da un protocollo che sembra poter colpire chiunque con una logica cieca. Visti i recenti casi di Sinner e Swiatek, l’ITIA (agenzia per l’integrità del tennis) ha organizzato due incontri informativi durante gli Australian Open. A questi due incontri un solo tennista si è presentato, Christopher Eubanks, che ha poi rilasciato un’intervista significativa: «Volevo solo assicurarmi di capire bene i fatti e di non permettere di dettare la mia percezione a ciò che leggevo sui social. È stato scoraggiante vedere cose dette pubblicamente che non erano basate sui fatti, ma falsità».
Allora non dovrebbero sorprendere più di tanto le recenti posizioni polemiche di Wawrinka o di Medvedev. Oppure la levata di scudi di agosto di Jarry, Shapovalov, Broady, Cazaux; o anche le parole ambigue di Medvedev, Alcaraz o Djokovic, che hanno tutti - con modi e toni diversi - detto una cosa come “Non sappiamo cosa sia successo veramente”, gettando ombre generiche su Sinner. Tutti loro, molto semplicemente, non erano abbastanza informati. Diciamo quasi tutti loro, mentre senz’altro qualcuno aveva interesse - o semplice desiderio - di mantenere Sinner in una posizione difficile e isolata, circondato da una tremenda pressione mediatica. Un atteggiamento piuttosto sorprendente, che rivela la superficialità di molti e la malizia di qualcuno, e in generale il cinismo spietato che regna nel circuito tennistico, in cui sembra molto difficile fare sistema.
Tanti tennisti hanno precisato di non voler criticare Sinner, e di essere certi che lui non abbia fatto nulla di intenzionale, eppure quasi tutti hanno suggerito che abbia ricevuto un trattamento di favore. L’ultimo è stato Tim Henman, scandalizzato dalla squalifica di tre mesi che ha trovato "un po’ troppo conveniente”: «Quando hai a che fare con le sostanze vietate nello sport è sempre tutto bianco o nero, o sei bannato o non sei bannato». Tutti riconoscono che i protocolli anti-doping attuali sono inadeguati e hanno finito per rovinare ingiustamente delle carriere. Invece di essere sollevati che Sinner sia riuscito a non avere conseguenze gravi per un caso su cui anche loro riconoscono la sua innocenza, sembrano essere dispiaciuti, seguendo una logica perversa: visto che il sistema è stato ingiusto in passato, è ingiusto che non sia stato ingiusto anche con Sinner.
Una posizione assunta anche da Djokovic, per scopi politici o per strategia: «Abbiamo visto molti giocatori in passato, e anche attualmente, che sono stati sospesi per non essersi nemmeno sottoposti ai controlli antidoping e per non aver comunicato la loro reperibilità. Alcuni giocatori di ranking inferiore che aspettano la risoluzione del loro caso da più di un anno. Queste cose non fanno bene al nostro sport, come ho già detto più volte in passato». Djokovic sa bene che dal punto di vista giuridico ogni caso è diverso, ma anche lui ha usato la strategia retorica che tutti hanno maneggiato in questa vicenda: smussare gli angoli, strappare via gli sfumature, schiacciare tutto sul bianco e sul nero - come rivendicato esplicitamente da Henman.
Per sostenere questa logica si citano impropriamente altri casi che hanno poco o nulla in comune, come quello di Stefano Battaglino, squalificato per 4 anni, sempre Clostebol. Solo che Battaglino non ha saputo individuare subito l’origine della contaminazione. Nel suo ricorso ha poi sostenuto che questa fosse avvenuta durante un torneo in Marocco, tramite il massaggio di un fisioterapista esterno, che però la difesa non è riuscita a rintracciare. Per questo Battaglino non è riuscito a dimostrare che la contaminazione fosse accidentale. Un meccanismo di cui è rimasto vittima anche il Guardian, che si è chiesto retoricamente come deve averla presa Simona Halep (il cui intricatissimo caso è stato analizzato qui). Lo stesso giornale ammette che i casi sono “significativamente diversi”, salvo scrivere che "Sinner, come numero uno al mondo, un uomo ricco, ha avuto il lusso di essere in grado di chiamare un team di avvocati immediatamente" - come se Halep fosse povera. Questo aspetto, sottolineato anche da l’Equipe, può essere vero per la prontezza con cui Sinner ha fatto ricorso ad aprile ed evitato la sospensione preventiva, mettendo subito in piedi un team legale che non è nelle possibilità economiche di tutti. Nel merito, però, ha finito per essere penalizzato più di un tennista decisamente meno abbiente e celebre di lui, coinvolto in una situazione quasi identica.
Il caso di doping più simile a quello di Sinner è quello di Marco Bortolotti. Anche su di lui è stato trovato del Clostebol, anche lui per contaminazione, e anche lui è riuscito a ricostruire rapidamente l’origine della sostanza. Bortolotti non è stato preventivamente sospeso e l’ITIA ha risolto il caso con una piena assoluzione, stabilita un mese dopo i test falliti da Sinner, a maggio 2024. In quel caso la WADA decise di non fare ricorso, mentre sul caso Sinner sì. Un segno di due aspetti: che Sinner non ha ricevuto un trattamento speciale, come molti vogliono sostenere, ma anzi è stato punito più severamente rispetto al caso più simile al suo; e poi che c’era in ballo una posta in gioco politica attorno al processo - che ha poi partorito un esito strano come quello dell’accordo. (Un’altra obiezione che alcuni sollevano per adombrare il caso, e dire che Sinner è un privilegiato, è sostenere che sia stato un processo incoerente e pasticciato, come ha fatto l’associazione PTPA. Tutto vero, ma che colpa ha Sinner di questo?).
Una parte dell’opinione pubblica ha continuato incessantemente a lavorare per costruire una realtà alternativa, confezionandola come una verità che i media e le istituzioni non vogliono dirci, e cioè che Sinner è un dopato. Si continuano a ripetere quelle domande- Cosa ha da nascondere? Perché ha fallito dei test? Perché non è stato trattato come gli altri? - per uno scopo preciso: ridurre la complessità e schiacciare i fatti sulla loro superficie per confermare il pregiudizio di partenza: Sinner è un imbroglione. Un pregiudizio che ha ancora più presa di fronte all'immagine di Sinner, un tennista molto corretto in campo e che cerca di avere un buon rapporto con tutti, e che proprio per questo in molti cercano di portare allo stesso livello di tutti gli altri.
Questa parte dell’opinione pubblica, che inquina in modo malizioso il discorso, trova terreno fertile nella disinformazione, la alimenta e ne viene alimentata. Il suo massimo rappresentante è Pavvy G, un utente inglese di Twitter considerato uno dei tifosi più fanatici di Novak Djokovic. Un personaggio estremo e per certi versi comico, capace di pubblicare centinaia di tweet poche ore dopo l'esito sul caso Sinner, con un ritmo di uno ogni due minuti per alcune ore. Pavvy G cerca di cementare una verità parziale attraverso la sua ripetizione. È uno dei trucchi più vecchi della propaganda (evitiamo di riportare qui l’arcinota citazione di Joseph Goebbels). Pavvy G nel tempo ha guadagnato un suo peso comunicativo. È stato invitato da Djokovic nella propria tribuna durante l’ultimo Wimbledon, e Nole lo ha ringraziato per il costante supporto in una conferenza. Non parla a suo nome, ma certamente a nome di quella setta che sui social ha il coccodrillo nel proprio nome utente, oppure la bandiera serba. Una schiera di cui fa parte naturalmente anche Nick Kyrgios, con punti di contatto con la comunicazione tagliente e oscura e piena d’odio di Musk e Trump, con cui condividono uno stile basato sul regime della post-verità.
Il concetto di post-verità oggi è passato di moda ma era molto dibattuto qualche anno fa. Era stata la parola del 2016 secondo l’Oxford Dictionary. Un termine che serve a inquadrare alcune pratiche discorsive tipiche della contemporaneità: "l’aggettivo che descrive una situazione in cui i fatti obiettivi sono meno influenti sull'opinione pubblica rispetto agli appelli emotivi e alle convinzioni personali". Nel regime di post-verità non esiste la complessità: è tutto vero o è tutto falso. Siccome però spesso la realtà non è così, chi discute nel regime di post-verità ricorre a quelle che Umberto Eco definiva “costruzioni ideologiche”. Una costruzione ideologica ritaglia una versione dei fatti, ne esalta alcuni tratti e ne neutralizza altri, assolutizzando però la propria validità. Una costruzione di questo tipo è ideologica non perché parziale ma perché nasconde programmaticamente delle informazioni per presentarsi come assoluta.
L’insieme di fatti giuridici citata in questo articolo è stata appunto volutamente ignorata da chi voleva propagandare una realtà diversa nelle rispettive echo chamber. Come scritto da Anna Maria Lorusso nel suo libro Post-verità, l’atteggiamento nelle echo chamber è sempre la vittimizzazione e la persecuzione: da una parte si attuano dinamiche di screditamento dell’altro, e d’altra parte si fa gruppo e barriera difendendosi dal dissenso, da realtà alternative che possono minacciare la nostra. Cosa è, se non persecuzione, Nick Kyrgios che da bullo redarguisce il giovane australiano Cruz Hewitt sui social per essersi scattato una foto insieme a Sinner? Kyrgios che dà apertamente a Sinner del dopato e che però riceve il supporto di Djokovic: «Nick si è espresso bene sul caso Sinner».
Pur mascherandosi spesso dentro discorsi all’apparenza argomentati e rigorosi, questi gruppi d’opinione richiedono adesione, un atto fideistico, e sono - come sapete - spesso basati sul tifo. I fan di Djokovic contro quelli di Sinner, quelli di Nadal contro quelli di Djokovic, quelli di Federer sostanzialmente contro tutti. Come scrive acutamente Lorusso, si discute "senza più considerare tutte le forme indecise, tentative, parziali, progressive di affermazione, correzione e auto-correzione, falsificazione, revisione. Oggi tutto o è vero o è falso e così, siccome ciascuno pretende di dire il vero, si arriva al paradosso di mille verità diverse che sembrano equiparabili e che, anche quando non sono o non sembrano equiparabili, sembrano comunque adottabili. Le verità sono tante quante i soggetti che vogliono enunciarle". Potremmo parafrasare dicendo che ci sono tante verità quante sono i giocatori da tifare.
Il caso ha mostrato l’inadeguatezza dei protocolli anti-doping, ma anche la tossicità di certi meccanismi del discorso nella nostra cultura. Meccanismi che, è il caso di dirlo, riguardano anche la parte opposta a quella di cui abbiamo finora parlato. I fan più estremi di Sinner spesso assumono un atteggiamento settario e altrettanto aggressivo verso chi si permette di muovere una critica al loro idolo. Anche su questo caso, in molti hanno promosso un innocentismo che può essere legittimo sul piano morale ma meno su quello giuridico - dove una squalifica per Sinner era nell’ordine delle possibilità, date le attuali regole sulla responsabilità oggettiva.
Ne avevamo scritto anche qui, della nevrosi che circonda Sinner. Pur essendo stato - e tuttora lo è - spesso vittima di attacchi ingiusti, è fisiologico discutere della rinuncia di Sinner ai Giochi Olimpici, o che qualcuno gli muova delle critiche per aver rifiutato l’invito del Presidente della Repubblica (!). Tra molti fan di Sinner, però, non si accetta critica o dissenso. È un altro meccanismo classico delle echo chamber, che non tollerano nessun punto di vista anche solo in leggera contraddizione con il proprio. Una perversione del confirmation bias: uno strumento che usiamo per maneggiare meglio una realtà sfuggente e complessa, riportando fatti nuovi al già noto, ma che spesso stimoliamo solo per confermare delle narrazioni ideologiche e chiuderci al dialogo, a ciò che può contestare anche solo in minima parte la nostra visione del mondo.
Questo meccanismo è anche alimentato da alcuni media, che scrivono o commissionano di proposito articoli critici su Sinner, a volte in modo violento o pretestuoso, proprio per generare lo scandalo dei suoi fan - che porta pur sempre interazioni. È questo il sistema alla base delle telefonate a Pietrangeli, o degli editoriali livorosissimi di Giancarlo Dotto. Sulla vicenda doping non abbiamo letto editoriali controversi sui giornali italiani forse perché non c’era bisogno di alimentare il lato critico: arrivava già dall’esterno del Paese.
Sottrarsi da questa conflittualità tossica significa accettare la complessità, non cercare di ridurla per confermare il nostro punto di vista in modo disonesto. Ascoltare il punto di vista altrui, praticare la gentilezza. Non mostrare dei fatti solo la faccia che ci interessa.
La squalifica di Sinner è appena iniziata. In questi mesi si continuerà a lavorare per fare di questa squalifica la macchia eterna sulla sua carriera, la lettera scarlatta. Nonostante quello che sappiamo, si cercherà di far passare Sinner per un dopato, si commenteranno i suoi post con le punture, si metterà in discussione la pulizia delle sue vittorie, si proverà a inserire un asterisco su tutto ciò che di bello lo riguarderà. Col beneficio del tempo si cercherà di far passare una realtà distorta raccontandola come quella autentica. Chissà se qualche collega, oltre a Casper Ruud, andrà in suo soccorso per provare a riabilitare la narrazione su un piano più aderente al vero. In questo momento gli altri tennisti sembrano intenzionati a isolarlo, scocciati forse dal fatto che Sinner non si sia sacrificato come Cristo sulla croce della battaglia anti-doping. Si pretendeva forse l'ingiustizia: una qualifica lunga uno o due anni, che avrebbe seriamente danneggiato la carriera del miglior tennista al mondo, per una colpa così lieve da suonare quasi assurda.
Sinner è primo e probabilmente lo resterà anche al termine della squalifica, ma non è mai parso così solo. È strano a pensarci, a quante conseguenze può portare una ferita non cicatrizzata sul dito di un massaggiatore.