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Che centrocampisti produce la Serie A
06 set 2024
06 set 2024
Una riflessione a partire dalle ultime convocazioni di Spalletti.
(copertina)
IMAGO / Marco Canoniero
(copertina) IMAGO / Marco Canoniero
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Alla lettura dei convocati di Spalletti ha fatto discutere, ancora una volta, l’assenza di Manuel Locatelli. Se la sua esclusione da Euro 2024 poteva risultare comprensibile alla luce di una stagione difficile con la Juventus, diventa più complicato giustificare la mancata convocazione di questi giorni. La Juventus è stata una delle squadre più brillanti di questo inizio di campionato, Thiago Motta sta costruendo un nuovo corso e Locatelli è apparso da subito a suo agio.

Riguardo gli esclusi, Spalletti ha detto di voler sperimentare nuove soluzioni perché sa cosa può aspettarsi dai giocatori più esperti. Locatelli, però, in Nazionale non gioca da marzo, e poiché dovrebbe essere uno dei nomi da cui ripartire per qualificarsi ai Mondiali del 2026, è strano non vederlo a Coverciano. Che ci sia altro allora? Che le parole di Spalletti sui compiti dei centrocampisti odierni, e quindi sull’interpretazione di Locatelli, avessero carattere definitivo nei confronti dello juventino?

Era la vigilia di Euro 2024, e per giustificare la sua esclusione a fronte della presenza di altri giocatori che non avevano avuto una stagione migliore della sua, Spalletti aveva offerto il suo punto di vista su cosa debba offrire un centrocampista oggi – e per converso, su ciò che secondo lui Locatelli non è in grado di fare: «Locatelli ha qualità difensive eccezionali, buon piede nel fare determinate cose, ma in questo momento volevo un po’ più d’estro e forse è un po’ troppo conservativo per dove sta andando il ruolo». Alla fine del discorso, con aria penitente, Spalletti gli aveva chiesto addirittura scusa per averlo lasciato a casa.

Viene da chiedersi allora: ma dove sta andando il ruolo? Cos’è successo ai centrocampisti in Italia? Qual è stata questa evoluzione che ha fatto sì che, nonostante non ci sia poi tutta questa abbondanza, un titolare della Juventus non riesca a essere convocato in Nazionale? Davvero la tipologia di centrocampista rappresentata da Locatelli è fuori dal tempo?

Spalletti è da sempre un allenatore all’avanguardia nel contesto italiano, con idee forti ma sempre pronto ad accogliere le novità e a “rubare”, con accezione del tutto positiva, dai colleghi. Le sue parole, allora, possono essere uno spunto di riflessione per analizzare quale profilo si stia imponendo nel ruolo in Italia. A ben vedere, infatti, si può notare come in Serie A stia avendo successo un tipo di centrocampista che rappresenta la corrente del calcio fluido che sempre più squadre, nel nostro Paese, provano ad abbracciare.

Si potrebbe partire, nel ragionamento, dai principali filoni tattici della Serie A, in particolare dalla figura più influente per il nostro calcio degli ultimi anni: Gian Piero Gasperini. Gasperini è stato uno dei primi a intuire come, praticando un certo tipo di calcio, si potesse rinunciare a determinate caratteristiche a centrocampo in favore di altre. Se è vero che la tecnica è il pane dei ricchi, Gasperini si è fatto un nome nel calcio italiano prima col Crotone e poi col Genoa, non proprio due squadre al vertice della piramide del calcio. Gasperini ha sempre voluto dominare le partite, ma doveva scendere a compromessi col livello dei giocatori a disposizione: come diventare padroni del campo senza avere qualcuno che facesse girare il gioco? Semplice, costruendo trame facili da eseguire e che permettessero di rinunciare a giocatori di tocco in mezzo al campo. «Il play non è indispensabile. Non c’è bisogno di avere un illuminato che gioca tutti i palloni. Se devo passare la palla a cinque metri, posso darla anche io», dichiarava in un’intervista di dieci anni fa.

È quello che succede nel momento in cui l’Atalanta costruisce addensando uomini sulle catene laterali e poi riempiendo l’area con tanti giocatori: le tipologie di passaggio da eseguire diventano più semplici, l’importante è sapersi muovere in armonia coi compagni e, alla fine, arrivare in massa negli ultimi sedici metri.

Gasperini è stato in grado di plasmare buona parte del calcio italiano secondo le sue idee. I suoi centrocampisti non si muoveranno con la fluidità di quelli dell’Inter di Inzaghi o del Bologna di Thiago Motta lo scorso anno, ma in un certo senso ne sono stati precursori. I mediani dell’Atalanta degli ultimi otto anni, nessuno escluso, si abbassavano accanto al centrale, scambiando la posizione coi braccetti. Poi salivano per partecipare alle catene laterali (Freuler addirittura si alzava tra le linee per giocare di spalle e consentire al Papu Gomez di agire frontalmente) e infine andavano a occupare l’area. Koopmeiners è colui che più di tutti, forse, ha incarnato questo spirito. Un tuttofare che poteva dare l’avvio all’azione e arrivare a concludere con un sinistro chirurgico sul limite dell’area.

Non era di certo lui, però, né Ederson, né de Roon, né Freuler negli scorsi anni, a dettare i tempi di gioco. L’Atalanta ha avuto un solo regista nella sua epoca d’oro ed è stato il Papu Gómez, non proprio un centrocampista. Per il resto, i centrocampisti potevano e possono determinare lo sviluppo del gioco conquistando il pallone in alto o compensando con i movimenti le scelte dei compagni più talentuosi. Non imponendo la propria volontà con la palla.

Dettare i tempi attraverso i passaggi non è previsto, perché ciò implicherebbe il fatto di dover mantenere alcune posizioni in mediana per controllare il gioco: il che renderebbe più prevedibili gli attacchi dell’Atalanta, che sfrutta molto il fattore sorpresa con giocatori che arrivano da dietro.

Chi è stato allievo di Gasperini e ne ha mutuato alcuni principi, pur praticando un tipo di calcio più accorto e magari anche più elaborato col pallone, è Thiago Motta. A Bologna, del suo vecchio allenatore l’italo-brasiliano aveva proposto le marcature a uomo e l’idea di rinunciare a un regista vero – non a caso da vertice basso agiva uno storico luogotenente di Gasperini come Freuler, che era abituato a muoversi senza bisogno di un regista ordinasse la squadra.

Il modo in cui il Bologna usava i tre in mezzo al campo era totalmente fluido. I rossoblù si ricavavano gli spazi in cui infilarsi attraendo gli avversari con la costruzione da dietro. I centrocampisti dovevano interpretare quegli spazi e occuparli in movimento, come tutti gli altri giocatori e in qualsiasi fase del gioco, prima costruzione, sviluppo o rifinitura. Il regista era il primo a doverlo fare, come se non fosse un metodista ma una mezzala, né più né meno.

Ancora più di Gasperini e Thiago Motta, colui che ha portato alle sue estreme conseguenze l’idea di rendere fluido il centrocampo, e pertanto ha sfumato fino a rendere quasi nulle le differenze nelle mansioni da assegnare ai singoli, è Simone Inzaghi con la sua Inter. Lui che alla Lazio demandava buona parte della solidità difensiva a un mediano puro come Lucas Leiva, all’Inter ha sciolto qualsiasi rigidezza posizionale con l’arretramento di Çalhanoglu. Il turco ormai è al suo terzo anno da vertice basso di un centrocampo a tre, ma si può davvero definire regista? Sicuramente è il più dotato, dell’Inter, in termini di passaggi, ma anche lui è coinvolto negli scambi di posizione tanto quanto le mezzali: mentre per Barella e Mkhitaryan – straordinari per l’abbinamento di dinamismo e tecnica – è naturale muoversi lungo tutto il campo e infilarsi in ogni spazio che si libera, non dovrebbe esserlo altrettanto per un regista basso. Çalhanoglu, lo sappiamo, ha una storia particolare, visto che nasce come trequartista. Osservare il modo in cui si è adattato al nuovo ruolo ci permette di capire come si stia sviluppando la figura del centrocampista, ora che il discorso sulla fluidità sta diventando egemonico.

Già Brozović era un regista piuttosto mobile, ma rimaneva più tradizionale rispetto al turco. Forse, a livello individuale, non sarà allo stesso livello del croato, ma da quando Calhanoglu si è piazzato regista l’Inter è diventata una squadra inarrestabile nel creare occasioni. Che ripercussioni ha avuto questa mossa?

Il fatto è che contro blocchi difensivi sempre più organizzati, a qualsiasi altezza del campo, bisogna sempre sforzarsi di trovare qualcosa di nuovo per sorprendere gli avversari. Va da sé che i mediani – così come i difensori centrali ormai – non possono permettersi di rimanere ancorati alla propria posizione, perché l’effetto sorpresa deve arrivare anche da loro.

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In alcune delle migliori squadre della Serie A, per i mediani, così come per le mezzali, sembra valere lo stesso lo stesso principio: leggere gli spazi che si liberano in avanti e occuparli.

In questa prospettiva, è normale che i centrocampisti di tocco passino in secondo piano. Non c’è più bisogno di qualcuno che diriga il gioco, si tratti di un regista o di una mezzala di possesso, perché i tempi vengono dettati dagli spazi che si liberano a seconda dei movimenti degli avversari: possono essere buchi che si aprono quando gli avversari escono in pressione, oppure quelli che compaiono quando in fase di attacco posizionale i propri compagni cercano di portare fuori zona centrocampisti o difensori. Va da sé che i centrocampisti, più che i padroni della manovra, ne diventino degli esecutori: Koopmeiners, Freuler, Lewis Ferguson, Aebischer, Çalhanoglu, con caratteristiche e posizioni diverse seguono tutti lo stesso principio e se ne fanno alfieri.

Visto che la digressione è partita dalle parole di Spalletti sulla direzione del ruolo, può essere utile dare un’occhiata alle ultime convocazioni per inquadrare la questione. In particolare, credo sia significativo osservare lo sviluppo di due giocatori come Fagioli e Ricci.

All’inizio della loro carriera, se ci avessero chiesto di indicare i loro ruoli, avremmo definito Fagioli come mezzala e Ricci come regista basso. Oggi, però, la loro posizione in campo si è quasi invertita: Fagioli per Spalletti è un regista basso – così lo ha usato contro la Svizzera agli Europei – mentre Ricci è una mezzala o tutt’al più un mediano da doble pivote. Come si spiega questo cambio di ruoli? Facile, con le qualità atletiche e con la quantità di campo che i due riescono a coprire.

Da fine centrocampista di tocco, Ricci è diventato un centrocampista di gamba, dotato di buona tecnica ma soprattutto di intensità, corsa e lettura degli spazi. Di lui Spalletti non ha sottolineato la precisione nei passaggi, ma che «va sull'avversario e ha voglia di cercare il contatto fisico, la spallata per contendersi la gestione del pallone».

Di Fagioli, invece, ha detto che «è più classico anche se sa fare tutto». Ma cosa intende per “classico”? Il modo in cui Spalletti ha usato Fagioli riflette la concezione che molti allenatori italiani hanno dei centrocampisti tecnici. Il centrocampista di tocco, per la maggior parte dei nostri allenatori, dev’essere per forza convertito in un regista basso, nel metodista di un centrocampo a tre. Questo proprio perché in Italia, in mezzo al campo, il dinamismo ha un valore fondamentale, solo il vertice basso può permettersi di giocare in maniera più compassata e posizionale, le mezzali assolutamente no.

La figura della mezzala di possesso, o di quello che detta il gioco nella coppia di mediani, è poco contemplata nel calcio italiano. Fagioli è chiaramente una mezzala di possesso, anche perché non ha le letture difensive per giocare vertice basso: eppure contro la Svizzera, agli ottavi di finale di un Europeo, è stato schierato lì. Anche con Locatelli valeva lo stesso equivoco. L’ex Sassuolo aveva dato il meglio con De Zerbi in una coppia di mediani, dove partiva più avanzato rispetto all’altro mediano Obiang e chiudeva le azioni sul limite dell’area. In Nazionale Mancini lo aveva considerato indiscutibilmente una mezzala. Arrivato alla Juve, però, non è stato ritenuto atletico a sufficienza per rivestire il ruolo di interno di centrocampo ed è stato arretrato a play basso. Anche Spalletti lo ha usato così.

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Ciò di cui era capace Locatelli nel miglior anno della sua carriera: esattamente ciò che Spalletti vorrebbe dai suoi centrocampisti.

In altri campionati, invece, non si sarebbero fatti problemi a considerare giocatori come Locatelli e Fagioli delle mezzali. Per tante grandi squadre europee il metodista è prima di tutto il giocatore a cui demandare l’equilibrio; di dare qualità al possesso possono occuparsene tranquillamente gli interni di centrocampo. È il paradigma seguito da due squadre agli antipodi come City e Real Madrid, ma che in Italia non ha riscontro. È una questione di cultura calcistica e ogni movimento porta avanti la sua, non è una questione di cosa sia meglio o cosa sia peggio.

Perché per quanto, spesso in maniera eccessiva, si accusi la Serie A di essere arretrata, quasi nessuno usa i centrocampisti con la fluidità con cui lo fanno eccellenze del nostro calcio come Inter, Atalanta, il Bologna lo scorso anno e, auspicabilmente, la nuova Juventus. Spalletti, dal canto suo, vuole riflettere le tendenze più innovative del campionato, perciò è normale che voglia costruire un centrocampo polivalente e fluido. Un’idea del genere, però, doveva già essere la stella polare del nostro Europeo, e abbiamo visto quanto in realtà l’Italia fosse una barca di cartapesta. Riuscirà Spalletti, con più tempo e puntando su qualche giocatore diverso (Tonali e Ricci dovrebbero essere delle garanzie in questo senso) a impostare una squadra del genere?

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