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Che capitano è stato Icardi?
19 feb 2019
Il centravanti argentino ha sempre dimostrato di tenerci molto alla fascia da capitano dell'Inter.
(articolo)
9 min
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«Ho trovato sempre un ottimo capitano anche Icardi. Ha giocato con entusiasmo, con serietà, con professionalità», ha risposto Massimo Moratti, quando gli è stato domandato se rimpiangesse i suoi capitani, Bergomi, Zanetti. Oltre che un grande spot per l’anti-nostalgia, le parole di Moratti hanno rappresentato una voce autorevole a sostegno della leadership del centravanti argentino, definitivamente delegittimata dal gelido tweet con cui l’Inter ha nominato Samir Handanovic nuovo capitano della squadra.

La figura di Icardi capitano dell’Inter non ha mai convinto particolarmente l’opinione pubblica italiana. Icardi è oggi il giocatore più forte dell’Inter, il più famoso, il più pagato, il più degno di stare sulle copertine dei videogiochi, e per questo è sembrato a un certo punto naturale che ne diventasse anche il capitano. L’idea viene attribuita dalle cronache dell’epoca a Roberto Mancini, all’alba della stagione 2015/'16, quella dei molti 1-0 e del quarto posto finale. Wanda Nara era diventata il suo agente solo qualche mese prima.

Icardi aveva 22 anni, aveva appena vinto il primo titolo di capocannoniere, ottenuto un rinnovo quadriennale, e ancora gli chiedevano di Maxi López e di leggi dello spogliatoio da rispettare: «Poi, questi codici di cui si parla, non sono scritti in nessun libro», rispondeva. «Le mie priorità nella vita sono diverse dai commenti degli ignoranti, ciò di cui sono sicuro è che i miei codici iniziano in casa, rispettando la mia famiglia». Un tema ricorrente, nella sua carriera.

Erano tempi più sereni. La fascia fu strappata al braccio di Andrea Ranocchia, che si dimostrò assolutamente comprensivo. Anzi, Ranocchia è sembrato quasi sollevato di quella scelta, al punto che un paio di anni fa ha dichiarato che la fascia da capitano è «solo un pezzo di stoffa», assicurando di stare sicuramente «meglio di prima». «Arrivavo da un'annata non positiva in cui ero stato attaccato su tutti i fronti ma sono ancora vivo».

Certo, quanto sarebbe stato tutto più semplice se, dopo tutto quello che è successo, Icardi avesse reagito così, se avesse risposto «La fascia è solo un pezzo di stoffa», o «Si è capitani dimostrandolo ogni giorno», citando Ranocchia in quell’intervista, anziché ricorrere a una citazione erroneamente attribuita a Mark Twain. Invece Icardi ha sentito di avere dei conti da regolare, delle bocche da cucire, e del resto era così che si era guadagnato per la prima volta i gradi di capitano: andando a urlare, a intimare il silenzio, sotto la curva dei tifosi accorsi in trasferta a Reggio Emilia per fischiare e rispedire in campo le maglie (strappandole alle mani dei bambini, secondo il racconto di Icardi).

Allo stesso tempo, non sappiamo quanti avrebbero reagito come Ranocchia. Perdere la fascia da capitano a stagione iniziata non è un evento comune nel calcio: negli ultimi anni è successo a De Rossi dopo un’espulsione (ma solo per tre partite, punizione accordata da Spalletti), a Pasqual a Firenze su decisione di Sousa, a Montolivo dopo l’acquisto di Bonucci, a Storari a Cagliari dopo una contestazione dei tifosi (vecchi rancori, storie di ultras, anche lui stava giocando poco), e in misura minore, di recente, anche a Pogba dopo una sconfitta in coppa contro il Derby County (abbandonò lo stadio prima del termine della partita, Mourinho lo dichiarò indegno dei gradi di capitano anche se era solo il vice).

Icardi però ci teneva molto. C’entra di sicuro il temperamento fumantino, che alimenta il senso di ingiustizia di fronte a un comportamento scorretto, a un privilegio espropriato, ma allo stesso tempo c’entra anche una certa forma di affetto superiore verso l’oggetto e il suo significato, per cui oggi «è come se gli avessero tolto una gamba», per usare le parole di Wanda. Icardi si è visto spogliare della fascia e contemporaneamente in qualche modo macchiare l'integrità della sua icona. In un certo senso ha visto la sua società dare ragione a quella parte di opinione pubblica che non lo ha mai considerato adeguato a quel ruolo.

Bisogna dunque trovare nelle ultime tre stagioni e mezzo le ragioni che sorreggono il grosso equivoco alla base di questa vicenda, l’incomprensione di fondo, il motivo per cui tanto l’opinione pubblica, quanto lo spogliatoio dell’Inter, quanto una fetta consistente della tifoseria, non riconoscessero in Icardi un capitano credibile per l’Inter (un Bergomi, un Zanetti), mentre Icardi al suo ruolo e alla fascia era tanto legato da starci male. Non lo fosse stato, tutto sommato, avremmo archiviato il caso senza clamori, come è già successo in passato.

Praticamente il solo Massimo Moratti è intervenuto in soccorso dell'autorità da capitano del centravanti argentino, evidenziando quell’entusiasmo, quella serietà, quella professionalità, che anche i detrattori più ostinati facevano ormai fatica a non riconoscergli. Quello era il modo in cui Icardi esercitava la sua leadership. Ambiva a essere un esempio, in campo con l’atteggiamento e la correttezza, e fuori dal campo con la professionalità e il senso di responsabilità. Come ha detto Wanda: «Ha sempre fatto di tutto per onorare la fascia, e non era facile dopo Zanetti», che in questo era sicuramente il suo esempio.

Certo, c'è da dire che tutti i tentativi di Icardi di fare team building sono risultati abbastanza grotteschi. Come quella volta in cui regalò sorridente un Rolex a ciascun compagno di squadra. Sembra passata una vita ma era novembre 2018, appena tre mesi fa (gli eventi nell’Inter precipitano al ritmo di una telenovela messicana). «Senza di voi non sarebbe stato possibile», scriveva riferendosi al titolo di capocannoniere che aveva vinto nella stagione precedente, ma che l’Associazione Calciatori gli aveva fisicamente consegnato soltanto in quei giorni.

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Io sicuramente non lo dimenticherò mai ‘Capocannoniere 2017/2018’ ⚽️ Ma non volevo ricordarlo da solo, perché senza di voi non sarebbe stato possibile ⚫️🔵⌚️ #MI9 #rolex #capocannoniere 💥

A post shared by Mauro Icardi - MI9 (@mauroicardi) on Nov 27, 2018 at 2:11pm PST

Wanda su Twitter ironizzava «a me neanche un braccialetto». Che tempi.

Riletta oggi, la cronaca di quei giorni assume una ulteriore sfumatura ironica. Secondo Il Giornale, ad esempio, Icardi compie un "gesto da vero capitano", e nello stesso articolo lo definisce «un punto di riferimento sempre più importante per l'Inter dentro al campo per i suoi gol, e per mantenere saldi gli equilibri dello spogliatoio».

Anche in campo, i gesti da capitano veri e propri hanno espresso un rapporto con il calcio prima di tutto individuale. Per Icardi prima di tutto c'è l'Io - nel rapporto con la porta, la palla e la vittoria - ed è forse per questo che è così difficile pensarlo come un capitano di una squadra. Prendete ad esempio questo pallone strappato dal terreno e portato al centro del campo mentre il resto della squadra è composto in un’esultanza di gruppo.

Per questo, ogni estate, Icardi è chiamato a dimostrare di aver mosso «piccoli passi verso la leadership», di aver completato l’evoluzione da figurina a icona. Proprio quest’estate si era impegnato più che mai, arrivando a contattare telefonicamente tutti i nuovi acquisti nel giorno della loro presentazione, «un modo per far capire loro la famiglia interista che siamo», fino a premurarsi di prelevare personalmente Lautaro da Malpensa al suo atterraggio.

Forse però c'entra la telenovela con Maxi Lopez, che ne ha in qualche modo screditato l'autorità morale; oppure c'entra il modo in cui percepiamo Wanda Nara come figura manipolatoria e senza scrupoli, di cui Icardi pare una semplice pedina; forse, più in generale, c'entra il fatto che Icardi non si è mai voluto mostrare come un Uomo Forte, in un immaginario in cui un capitano deve essere soprattutto il Maschio Alpha che sbatte le porte e prende per il collo i compagni svogliati.

Alla fine, però, Icardi è riuscito a esprimere la sua posizione di guida solo attraverso l’attaccamento alla maglia, e l’attaccamento alla maglia specialmente attraverso le sofferenze: memorabile l’espressione affranta al momento della sostituzione durante l’ultimo Inter-Juventus, e le lacrime struggenti a fine partita, dopo aver assistito impotente alla rimonta dei rivali.

Può darsi che in fondo, questa riabilitazione al ginocchio di cui tanto si sta parlando in questi giorni, è quello di cui Icardi e l’Inter hanno bisogno adesso senza saperlo. Forse quegli incomprensibili errori sotto porta contro Sassuolo, Bologna e Parma dipendevano davvero dalle precarie condizioni di salute. E magari il ritrovato rapporto con il gol sarà sufficiente a colmare l’insoddisfazione che lo tormenta adesso. Alla fine, nella passata stagione, uno dei rari infortuni era coinciso anche con uno dei momenti più teneri del suo mandato da capitano, un saluto all’ingresso del tunnel per ciascuno dei compagni pronti a scendere in campo, in una partita poi decisa da Karamoh.

«È chiaro che uno dei ruoli del capitano è quello di essere riconosciuto come leader: la fascia non è semplicemente simbolica, ha tanto di sostanza», ha detto Marotta dopo il recente intervento a Tiki-Taka, e questo è un dato di fatto con cui tutti gli attori della vicenda sono dovuti scendere a patti. Da questo punto di vista, la destituzione di Icardi non è altro che la conseguenza inevitabile di un rapporto ormai lacerato tra l’attaccante argentino e il resto dello spogliatoio («negli ultimi giorni il giocatore mangiava ad Appiano praticamente da solo, di fatto isolato dal resto della squadra», ha scritto La Gazzetta dello Sport).

E in questi giorni in cui si discute tanto di strategie operative e buone pratiche aziendali, è lecito chiedersi se piuttosto che intervenire d’urgenza non ci fossero i segnali d’allarme per prevenire, o almeno effettuare una buona manutenzione. Di sicuro c’è che l’Inter ha preso, forse un po’ troppo tardi, forse un po’ troppo in fretta, l’unica decisione possibile, e che Icardi l’ha presa parecchio male, anche se a distanza di tre anni e mezzo in pochi si erano abituati all’idea di vederlo capitano.

Le Regole del gioco, redatte dall’IFAB, e adottate dalla FIFA, alla figura del capitano dedicano solo un paio di righe al paragrafo dieci della terza sezione, in cui si prendono la briga di specificare che «il capitano della squadra non vanta uno status speciale né privilegi, ma è ritenuto responsabile per il comportamento della squadra». È il “Regolamento del giuoco del calcio”, curato da AIA e FIGC, a spingersi fino ad aggiungere che «il solo Capitano, che è responsabile della condotta dei calciatori della propria squadra, ha diritto di rivolgersi all’arbitro, a gioco fermo o a fine gara, per esprimere, in forma corretta ed in modo non ostruzionistico, riserve o per avere chiarimenti».

Se i criteri sulla cui base giudicare un buon capitano fossero solo questi (già di per sé un poco equivoci, scivolando nelle pieghe dei vari regolamenti nazionali), allora Icardi sarebbe stato abbastanza responsabile e abbastanza corretto da potersi dire un buon capitano.

Il problema è che, come sembra riconoscere lo stesso Icardi, ci sono dei codici non scritti, “che non ci sono sui libri”, come tenere i problemi dello spogliatoio dentro lo spogliatoio, che al centravanti argentino hanno sempre dato l’allergia, e che oggi gli sono valsi la fascia.

Se dovessimo giudicarlo solo sulla base di questi codici, potremmo dire che Icardi è stato un capitano mediocre e un centravanti eccellente, un grande professionista e un cattivo compagno di squadra, nonché uno dei giocatori più importanti del nostro campionato. All’Inter adesso non rimane che dimostrarsi superiore al polverone che la circonda, e recuperare la fiducia di un giocatore che, più di ogni altra cosa, ha bisogno di sentirsi coinvolto.

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