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Chi dribbla meglio in Serie A
02 mag 2019
I giocatori che spiccano in un fondamentale spesso sottovalutato.
(articolo)
18 min
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Il dribbling è uno degli aspetti meno replicabili del talento calcistico. Tutto nel calcio può essere migliorabile, almeno in parte: la condizione fisica, la forza, la precisione nei passaggi. Il dribbling invece resta una qualità innata, o sia ha o non si ha. Qui non stiamo parlando del dribbling in velocità, basato sull’atletismo da esprimere in spazi ampi, ma del dribbling nello stretto, quando si è circondati da avversari e si può far affidamento solo sulla tecnica.

Eppure in Serie A il dribbling rimane un aspetto sottovalutato, considerato un semplice vezzo, un’imperdonabile debolezza individuale in un gioco di squadra. Come se il dribbling fosse davvero un fondamentale inutile, inefficace. In realtà, anche nell’opinione più mainstream, ci si sta accorgendo che avere in squadra giocatori che dribblano è diventato sempre più importante: per creare spazi, guadagnare superiorità numerica e disordinare le linee difensive.

Per dire che la Serie A ha un problema con i dribbling basterebbe affidarsi ai semplici dati numerici: facendo una media dei dribbling a partita delle squadre dei cinque principali campionati, la Serie A sarebbe l'unica, seppur di poco, a non raggiungere un minimo di otto (7,9 dribbling a partita). Penultima la Premier (8,25), in testa la Liga (9,4).

Nella graduatoria delle singole squadre, la prima italiana per dribbling a partita è l'Atalanta, appena ventesima con 9,9 dribbling per match. Nelle ultime cinque posizioni ci sono ben tre italiane: Frosinone, Chievo e Cagliari, mestamente ultimo (4,7). Considerando solo i giocatori con un minimo di quindici presenze, quelli con almeno 1,5 dribbling per 90' sono 64 in Liga, 57 in Ligue 1, 54 in Premier e appena 43 in Serie A. Peggio di noi solo la Bundesliga con 36 giocatori.

Nonostante questi dati, anche in Serie A esistono grandi dribblatori, ognuno con il proprio stile, che si sposa in modo diverso con le caratteristiche della squadra in cui giocano. Abbiamo raccolto i migliori seguendo la classifica di chi dribbla di più secondo le statistiche, ma ci abbiamo aggiunto del gusto personale per menzionare qualche nome che non è fra le prime posizioni.

Il dribbling in transizione: Gervinho

La poca dimestichezza di alcuni difensori lontano dall'area è il motivo per cui, se si apre il campo, i contropiedisti sono così decisivi in Serie A. Ce lo testimonia l'impatto devastante di ali come Gervinho e Krasic, che nei loro primi mesi in Italia sembravano davvero appartenere a un altro sport.

Quest'anno Gervinho si è ripresentato in Serie A e, proprio come sei anni fa, nei primi mesi ha fatto terra bruciata intorno a sé. Il Parma è la squadra più reattiva del campionato, passa il 34% delle azioni nel proprio terzo di campo. Nonostante ciò ha tenuto lontana la zona retrocessione e ha avuto, prima dell'ultimo periodo poco produttivo, anche una certa credibilità offensiva: il merito è delle spizzate di Inglese e delle corse pazze di Gervinho. Senza imbastire combinazioni tecniche nelle transizioni, il Parma preferisce affidare appena può il pallone all'ivoriano per farglielo condurre fino all'area avversaria. Nel migliore dei casi Gervinho ci regala cavalcate esaltanti come quella contro il Cagliari. Altre volte le imperfezioni tecniche finiscono per lenire gli effetti della sua velocità.

Gervinho prova 5.1 dribbling per 90’, completandone poco più della metà. Rappresenta l’archetipo del giocatore che dribbla soprattutto attraverso l’atletismo, e che diventa molto efficace con i suoi strappi in un campionato tattico come la Serie A. Finché le squadre non gli prendono le misure evidenziandone i limiti.


Dribbling in eccesso: Federico Chiesa

Un problema che, pur in maniera diversa, affligge Federico Chiesa. Un esempio interessante perché estremizza pregi e difetti che tendiamo ad associare alle ali esplosive ma poco razionali. Chiesa è sesto per dribbling ogni 90' tra i giocatori con più di 1000 minuti presenze ma, al contempo, è primo per dribbling falliti (3.1) con rassicurante distacco sugli inseguitori.

Come Gervinho, i migliori momenti della squadra coincidono con quelli in cui Chiesa si esalta. Decisiva in questo senso la tensione verticale della Fiorentina di Pioli, esasperata nella sua frenesia dall'acquisto di Muriel. Se le squadre si allungano Federico Chiesa diventa il giocatore più determinante. L'ala viola crea mismatch in velocità e, quando può, prova a raggiungere la porta senza dialogare coi compagni.

Chiesa è un giocatore totalmente istintivo, in grado di improvvisare il dribbling dal nulla, e questo è il suo fascino principale. L'effetto sorpresa colpisce non solo i difensori, ma anche il pubblico italiano. Daniele Manusia lo aveva definito “uno straniero” in un calcio che va persino fiero della propria noia. Chiesa in effetti sembra l'unico giocatore italiano in grado di cambiare improvvisamente passo e di saltare l'uomo. L'assenza di giocatori in nazionale abili nel dribbling incarna perfettamente la povertà tecnica degli ultimi anni. Per questo, per constrasto, l'intraprendenza di Chiesa brilla ancora di più con la maglia azzurra, in mezzo a compagni che quasi mai riescono a creare vantaggi col dribbling. Lo si era notato già nell'ultimo Europeo Under 21, quando nell'infausta partita contro la Repubblica Ceca il suo ingresso aveva sparigliato le carte in tavola.

Il talento di Chiesa nel dribbling però è più figlio del suo atletismo e della sua determinazione che della tecnica pura. Così si spiegano i troppi dribbling falliti. Per lui vale una regola particolare: quanto più le sue scelte sono istintive tanto più sono efficaci. L'estemporaneità delle volte permette a Chiesa di ricorrere a soluzioni efficaci, come il controllo al volo con cui ha lasciato di sasso Castagne contro l'Atalanta, che non sembrano neanche appartenere al suo bagaglio calcistico. Il problema di Chiesa nasce invece quando non può improvvisare e deve pensare alla soluzione, per questo molte volte, dopo aver saltato il primo uomo, prova un secondo dribbling ma perde palla. Il suo decision making è ancora acerbo e, anche quando sarebbe meglio scaricare per creare situazioni di pericolo, si intestardisce nella conduzione e sbatte sui difensori.




Il dribbling elusivo: Josip Ilicic

Ci sono giocatori che grazie alla tecnica riescono ad affrancarsi da questa esigenza di spazio. Il loro dribbling è efficace anche nello stretto e genera vantaggi in zone dense di avversari, in particolare nella trequarti offensiva.

Il dribbling non è mai un fondamentale fine a sé stesso; i vantaggi che crea aiutano lo sviluppo della manovra, specie per squadre costrette a giocare contro difese chiuse. Un assunto valido soprattutto per l'Atalanta: in un sistema in cui si preferisce attaccare in prossimità della linea laterale, e perciò per l'avversario è più facile chiudere le linee di passaggio, un giocatore in grado di dare continuità alla manovra con il dribbling come Ilicic è indispensabile. Lo sloveno con i suoi dribbling ciondolanti attrae gli avversari sulla fascia, li supera conducendo verso l'interno e si apre il campo per il cambio gioco sul lato debole o per il passaggio sulla sovrapposizione di Hateboer. A quel punto l'Atalanta si alza in blocco e può portare molti uomini negli ultimi venti metri, la zona dove l'ex Palermo può usare il dribbling per rifinire o per crearsi lo spazio per il tiro.

Nelle zone centrali, se si ritrova a ricevere spalle alla porta, non cerca il contatto per fare perno sull'avversario, ma si allontana e inizia a toccare il pallone e a basculare, invitando l’avversario ad attaccarlo su un lato per poi girarsi improvvisamente verso l'altro. Quando l'avversario si accorge del raggiro è troppo tardi e, se cerca di cambiare direzione per seguirlo, spesso è già fuori equilibrio e finisce col sedere a terra.

Quando Ilicic riesce invece a ricevere già col corpo verso la porta, sia sulla fascia sia nel mezzo spazio di destra, stupisce la costanza con cui riesce a superare l'uomo. Il dribbling di Ilicic è solo tecnica e intelligenza: nessuna esplosività sul corto, zero forza fisica, solo una gran postura e sensibilità nei tocchi, abbinata a una capacità di rallentare che lascia sempre il difensore coi piedi piantati per terra. La continuità di movimento con cui tocca il pallone e cambia direzione per saltare l'uomo è davvero armoniosa, senza spezzature e cambi di ritmo troppo evidenti, come se stesse pattinando sul ghiaccio, dove servono equilibrio e leggerezza per non cadere goffamente.

Nell'uno contro uno frontale varia continuamente la direzione dei suoi tocchi per confondere gli avversari che, impauriti dal suo talento, arretrano e cambiano postura per rispondere alle sue scelte. Facendoli muovere in continuazione, Ilicic cerca di creare quel corridoio in cui superare l'uomo, anche con sterzate improvvise che non sembrano poter appartenere a un giocatore così alto e magro. La possibilità di individuare sempre lo spazio lasciato libero da chi difende è il motivo per cui effettua così tanti tunnel. Basta osservare il campo libero, indifferente che sia sul lato dell'avversario o tra le sue gambe.




Il dribbling nello stretto: Paulo Dybala

Insieme a Ilicic, il giocatore migliore in Serie A per percentuale di tecnica pura nel dribbling è Paulo Dybala, quest'anno limitato nell'ultimo terzo di campo dalla complementarità, sulla lavagnetta di Allegri, di Cristiano e Mandzukic. Il tecnico livornese perciò ha preferito sfruttare il talento di Dybala per dare fluidità alla manovra nel resto del campo. Mansione che, in linea di massima, può svolgere ma che lo penalizza nella sua specialità, la finalizzazione.

Alla sensibilità tecnica straordinaria, Dybala aggiunge una mobilità laterale davvero di alto livello. Grazie al baricentro basso sposta velocemente il peso sul lato in cui vuole saltare gli avversari che, sul corto, non hanno la sua reattività. Se Ilicic pattina sul ghiaccio, il modo in cui Dybala piega il bacino per cambiare direzione in maniera esplosiva somiglia alle frustate improvvise con cui Marc Marquez piega la sua HRC in ingresso di curva. È una peculiarità del suo calcio che si esprime al meglio vicino al vertice destro dell'area dove, grazie a un’eccellente copertura del pallone, riesce a sgusciare persino in mezzo ai raddoppi.

Se Allegri ha preferito dirottarlo in altre zone del campo, è perché l'argentino è migliorato sensibilmente nel gioco spalle alla porta, fondamentale in cui forse è il giocatore più bravo della Juve. Dybala fa leva sulle gambe e assorbe le spallate degli avversari grazie alla postura quasi mai piatta. Sa usare bene le braccia, con le quali si aiuta per tenere lontano dal pallone l’avversario. Anche qui l'agilità dal bacino in giù gli torna utile, perché gli permette di girare attorno alla palla al piede l'uomo dietro.


Tecnica e velocità: Douglas Costa

Altro giocatore con minutaggio ridotto nella Juventus di quest'anno è Douglas Costa, forse il dribblatore migliore del campionato per il modo in cui riesce a combinare tecnica e velocità e per il modo in cui riesce a variare zone di ricezione. Il brasiliano non si limita a ricevere largo ma è utilissimo anche nei corridoi centrali spalle alla porta. I controlli orientati fulminei gli permettono di lasciare sul posto l'uomo dietro e quindi di girarsi subito verso la porta.

A ridosso dell'area poi può far valere la sua eccellente tecnica nello stretto e aprirsi varchi per triangolare coi compagni, cercare la rifinitura o, più raramente, calciare in porta. Se grazie alla tecnica eccelle anche al centro, Douglas Costa sulla fascia, sia destra che sinistra, diventa un giocatore unico. Più che gli allunghi, anche quelli impressionanti, fanno paura le accelerazioni palla al piede che riesce a sprigionare anche da fermo.

Costa quest'anno non ha potuto esprimere il suo talento. Ha giocato appena 620' e uno spettatore poco attento potrebbe giudicare i suoi dati falsati dallo scarso impiego. Lo scorso campionato però, in cui con 1793' totali ha accumulato 5,3 dribbling ogni 90', un dato addirittura superiore a quello di quest'anno (4,4), ci insegna come per Douglas Costa sia normale effettuare così tanti dribbling. Con i suoi spunti individuali l'ex Shakhtar ha deciso la lotta scudetto col Napoli di Sarri, azzannando partite - come quelle contro Samp e Bologna - in cui la Juve, fino al suo ingresso, non aveva idea di come attaccare.

Verosimilmente Allegri, appena potrà, tornerà ad affidarsi stabilmente al suo talento. Negli ultimi anni non esiste una competizione che più della Champions esalti i giocatori in grado di dare uno strappo alla partita e nella Juve palla al piede non c'è un gamechanger come il brasiliano. Quei pochi minuti giocati contro l’Ajax, conditi da un paio di giocate pazzesche, lo hanno confermato.


Il ritmo e la frequenza: Boga

Se, al netto delle poche presenze, per Douglas Costa parla il suo passato, un giocatore su cui forse sarà bene aspettare qualche partita in più per considerarlo stabilmente un dribblatore d'élite è Boga. L'ivoriano al momento è in testa alla graduatoria dei dribbling ogni 90' (5,2), anche se con un minutaggio inferiore agli altri (poco più di mille minuti). L'ex Chelsea però lascia intravedere un talento brillante nell'uno contro uno, esploso nella partita di San Siro col Milan in cui ha completato la bellezza di sette dribbling. Boga preferisce partire largo a sinistra, dove può ricevere col corpo già rivolto verso il terzino da puntare. Proprio per questo il Sassuolo cerca di servirlo sul cambio gioco, cogliendo scoperto il lato debole avversario e creando le condizioni più congeniali per i suoi dribbling: costruire con triangolazioni e rotazioni sul lato di Berardi per rifinire in maniera più diretta su quello di Boga; un modo peraltro per nascondere il lato associativo ancora poco sviluppato del numero venti.

Una volta ricevuta palla Boga cerca subito l'uno contro uno. Il tratto distintivo del suo dribbling è il ritmo continuo dei passi e del tocco: Boga conduce freneticamente il pallone, spezza il ritmo, frena e accelera in continuazione. I suoi piedi non sembrano neanche alzarsi da terra per la frequenza con cui calpesta il prato e mantiene il contatto col pallone, pronto a cambiare all'improvviso lato della conduzione. L'elettricità con cui sposta la sfera gli permette di convergere al centro anche quando lo raddoppiano. Se non c'è modo di muoversi verso l'interno allora può contare sulla velocità e sulla forza fisica per puntare il fondo e resistere ai contrasti. Grazie alla corsa Boga non è solo utile in spazi stretti ma anche in transizione: probabilmente uno dei motivi per cui De Zerbi ha deciso di schierarlo stabilmente da quando, a gennaio, il Sassuolo ha abbassato il suo baricentro in fase di non possesso.


Dribblare per associarsi: Joaquin Correa

Alle spalle di Boga e Costa c'è Joaquin Correa, con 3,2 dribbling ogni 90' ma con molti più minuti rispetto ai giocatori citati finora. L'argentino era arrivato in estate dopo due anni interlocutori a Siviglia, in cui non aveva compiuto il salto che ci si aspettava. Aveva trovato continuità soprattutto con Montella, che lo faceva partire largo a sinistra nel 4-2-3-1.

Era tornato in Italia alla Lazio come sostituto di Felipe Anderson, per ricoprire il ruolo di supersub o comunque di alternativa tattica. Dopo l'inizio di stagione poco brillante di alcuni interpreti, però, Inzaghi ha utilizzato proprio il talento dell'argentino per dare vitalità alla proposta offensiva della squadra.

Le esigenze di allenatore e giocatore si sono incontrate: a Inzaghi serviva più brio offensivo, mentre Correa aveva bisogno di trovare la zona in cui partecipare più attivamente al palleggio, senza restare confinato in fascia per i dribbling. L'ex Samp ha regalato una varietà offensiva davvero notevole alla Lazio: ricezioni larghe, nei mezzi spazi, alle spalle della punta, in appoggio al mediano per favorire le rotazioni con Milinkovic e Luis Alberto. Correa nello stretto esegue dei primi controlli setati, con cui spesso riesce a saltare l'uomo. Quanto poi punta frontalmente l'avversario può spostare il pallone su entrambi i lati. Anche nella zona centrale, densa di uomini, il possesso non sfugge mai al suo controllo e, dopo aver mandato la palla oltre il primo uomo, riesce a riprenderla prima che possa arrivare l'intercetto.

Se i dribbling di Luis Alberto danno ordine alla verticalità della Lazio, quelli di Correa aggiungono la velocità nelle combinazioni che rende ancora meno marcabili gli scambi con lo spagnolo e Milinkovic. La manovra della Lazio a inizio anno sembrava un po' stantia, ma il Tucu l'ha rivoltata come un calzino: dopo la ricezione salta il primo uomo per avvicinarsi ai compagni più talentuosi, scarica il pallone e si muove in avanti per chiedere la chiusura del triangolo, nello spazio liberato dall'avversario attratto in precedenza. Nella sua frenesia e nella sua verticalità Correa è un giocatore molto associativo, che con i dribbling crea lo spazio per le interazioni veloci coi compagni. Negli anni più scintillanti del Wengerball, siamo sicuri che il tecnico alsaziano avrebbe apprezzato Correa.

A volte il gusto per i triangoli lo spinge a cercare la parete anche quando lo spazio non c'è. È un rischio da accettare: è a partire dai dribbling e dai controlli orientati che nasce la sua continua creazione e occupazione degli spazi tra le linee rende la Lazio molto più pericolosa in fase di attacco posizionale, punto debole della squadra di Inzaghi. Se poi si aprono gli spazi per le combinazioni in velocità, Correa riesce a ricamare associazioni ad altissimo coefficiente di difficoltà anche in transizione, la comfort zone della Lazio. Insieme a Ilicic, probabilmente in Serie A Correa è il giocatore che con i suoi dribbling incide di più nell'economia del collettivo.


La forza e l'uso del corpo: Nicolò Zaniolo

Fra i migliori 50 rispetto ai mediani e agli interni difensivi sono di meno le mezzali e i metodisti di tocco, in grado di collegare il possesso basso e la rifinitura non solo con i passaggi ma anche con i dribbling nello stretto. La maggior parte delle squadre di Serie A infatti preferisce schierare centrocampisti propensi a correre in verticale verso l'area, a loro agio più negli inserimenti che col pallone tra i piedi.

Esistono però delle eccezioni e Nicolò Zaniolo, che pure ha giocato spesso in posizione esterna, è uno di questi. Il pubblico italiano sta scoprendo Nicolò Zaniolo giornata dopo giornata. In ogni partita regala dettagli che lasciano intravedere un'orizzonte di talento davvero variegato. Finora ha giocato soprattutto da ala o da esterno di un centrocampo a quattro, ma la corsa, l'atletismo e il modo in cui salta l'uomo fanno ipotizzare un futuro da mezzala, ruolo in cui peraltro tutti i suoi allenatori dicono di vederlo.

Zaniolo sfoggia delle progressioni palla al piede notevoli, in cui non solo è più veloce di chi lo insegue, ma resiste senza battere ciglio ai contrasti. Più volte abbiamo visto avversari provare ad andare spalla a spalla e poi cadere a terra, letteralmente rimbalzati durante la corsa. Se però si è preso il tredicesimo posto nella graduatoria dei dribbling ogni 90' (2,3) è anche per il controllo che riesce a mantenere durante le situazioni statiche. L'aspetto forse più evidente del talento di Zaniolo è la protezione del pallone.

Sia sulla fascia, sia nei movimenti verso l'half-space, gli capita di ritrovarsi col terzino incollato al momento dello stop. Lui si orienta di profilo, controlla col sinistro e con la gamba destra e l'addome tiene lontano l'avversario. È una qualità, la protezione palla nel mezzo spazio, tipica delle mezzali più tecniche. Quando riceve con l'uomo addosso Zaniolo non si limita a fare perno per girarsi, come ha imparato Telles durante gli ottavi di Champions, ma sa anche attrarre il raddoppio per spostarsi il pallone di suola o d'interno verso la sua sinistra ed evitare due uomini con un solo movimento. È un tipo di qualità che potrebbe brillare anche una decina di metri più indietro, dove i corridoi non sono congestionati come sulla trequarti e dove può ricorrere a soluzioni controintuitive con cui eludere il pressing.




L'inganno: Fabian Ruiz

Se quella di Zaniolo palla al piede a volte sembra quasi una forza primordiale, un'esuberanza che si associa ai giocatori agli esordi, Ruiz ha la consapevolezza e la comprensione della partita tipica dei migliori centrocampisti al mondo. Non completa molti dribbling (1,6), ma ogni suo uno contro uno è calcolato al millimetro, sia nell'intenzione sia nell'esecuzione. Lo spagnolo dopo aver agito da falso esterno nel 4-4-2 si è trasferito stabilmente in mezzo al campo. In entrambe le posizioni, il modo di saltare l'uomo resta identico.

Fabian è un interprete eccellente di un tipo di dribbling in cui è maestro Toni Kroos. Con la postura lascia scoperto il pallone per invitare l'avversario al pressing; attende la sua corsa, legge in che direzione sta pressando e, un millesimo di secondo prima del suo arrivo, sposta il pallone d'interno verso il lato lasciato scoperto dall'aggressione. Ruiz è un giocatore reattivo, abile a impostare il dribbling da fermo: in situazione statica è più semplice analizzare i movimenti del difendente, calcolare in che momento spostare la sfera. Probabilmente già ora non c'è in Italia un giocatore più forte di Fabian a leggere le intenzioni dell'avversario. Una capacità d'analisi e di controllo del corpo e del pallone valida sia in mezzo al campo, sia più vicino alla fascia, da dove in Champions tagliava palla al piede per dare fluidità al Napoli e favorire il passaggio dal 4-4-2 al 3-5-2/3-4-3 con Mario Rui che si alzava nello spazio appena liberato.

Pur aspettando le mosse del difensore, Fabian riesce a ingannarlo perché è sempre in controllo con la palla tra i piedi. Sono stati frequenti quest'anno le serpentine in cui ha fintato il tiro in corsa e, una volta costretti gli avversari a girarsi di spalle, li ha potuti saltare con facilità: come quei centri NBA veloci coi piedi che fanno saltare a vuoto il difensore e poi appoggiano facile sul tabellone. È un vecchio trucco che anche i giocatori meno esperti dovrebbero conoscere, ma lo sappiamo che se a farli sono giocatori molto tecnici diventano comunque difficili da difendere.




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