Paradossalmente, quando si ha davanti un talento cristallino, capace di fare cose mai viste con un pallone tra i piedi, non è semplice metterlo nelle condizione di esprimersi al meglio. Una teoria è quella secondo cui bisogna lasciare al talento la più ampia libertà possibile, con l’idea che potrà fare la differenza da solo, anche a discapito dell’apporto al gioco della squadra o ai dettami tattici dell’allenatore. Si assegna al talento il centro del palcoscenico senza dargli un copione, lasciandolo improvvisare come primo tra pari.
La teoria opposta dice che invece il talento ha bisogno di essere inserito in un contesto di squadra codificato, nel quale anche le libertà hanno modi e tempi per poter essere sviluppate. In una lotta costante contro il rischio d’entropia, si cerca di farlo diventare, sì, il fattore differenziale, ma solo aggiungendo estro a un organismo collettivo che altrimenti rimarrebbe prevedibile.
Il talento puro, quello più cristallino, del calcio spagnolo post generazione d’oro, è Francisco Román Alarcón Suárez, conosciuto più semplicemente come Isco. Per capire che tipo di giocatore è adesso, al suo terzo anno a Madrid, non bisogna dimenticare che è cresciuto con allenatori che avevano idee opposte riguardo l’utilizzo del suo talento: al Valencia, Unai Emery lo considerava un ingranaggio del sistema, al punto che i tentativi di adattamento hanno finito per bloccargli la strada e a farlo andare via; a Malaga, sulla Costa del Sol dov’è nato, Pellegrini lo ha inserito subito titolare creando un sistema che gli lasciasse tutte le libertà del mondo.
Isco si è fatto conoscere grazie a prestazioni epiche in Champions League e all’Europeo Under-21, ma calcisticamente non ha fatto significativi passi in avanti quando, nell'estate del 2013, il Real Madrid ha speso 30 milioni di euro per assicurarsi le sue prestazioni. Stretto tra l’ideologismo di Emery e la pigrizia di Pellegrini, nessuno dei due approcci estremi è riuscito a confrontarsi davvero con il talento di Isco: il rigore tattico lo ha fatto fuggire, mentre la libertà totale non ha aiutato il lavoro sui difetti, permettendogli di accendersi a intermittenza, senza la necessaria continuità. Così, il giocatore arrivato a Madrid non era molto diverso da quello uscito dalle giovanili del Valencia cinque anni prima: Isco giocava come quando da ragazzino scorrazzava palla al piede per le strade della sua cittadina.
Dalla libertà totale nasce comunque una stagione dai tanti highlights impressionanti.
«Todo empieza en la calle». Tutto inizia per strada. Esordisce così l’ultimo libro sul calcio scritto da Johan Cruijff, che continua: «Lì è dove si scopre il calcio e dove nasce la passione per questo gioco. Per strada si impara a dribblare, a dialogare con un compagno, a tirare e a ricevere il pallone calciando contro il muro. È così che si gettano le basi per il controllo del pallone. Ma non solo questo: si impara anche a migliorare il controllo del corpo, perché cadere per strada fa male».
Che Isco sia cresciuto giocando per strada si nota subito: ha nelle caratteristiche fondamentali il dribbling nello stretto, il controllo del pallone e la creatività. Gioca con il busto dritto di chi vuol mantenere sempre l’equilibrio, pensando alle tante cadute sull’asfalto, e si esalta quando ha un compagno vicino con cui poter giocare “una pared”, una triangolazione nello stretto.
È lui stesso ad ammettere di essere un giocatore cresciuto con lo street football: «Voglio avere il pallone. L’ho sempre chiesto. Da bambino, per la strada de las Flores, i vicini mi conoscevano perché andavo sempre in giro con la palla. Sono cresciuto lì, per strada; giocavo nella piazza con gli amici di mio fratello, tutti più grandi. Principalmente è stata questa la mia scuola».
All’interno del panorama calcistico dello spagnolo, costruito nelle tante accademie sui dettami del calcio di possesso, Isco rappresenta un talento unico: a metà tra un ritorno a quel passato che sembrava finito dopo l’uscita di scena di Raúl, ultimo fenomeno cresciuto per strada, e un giocatore vecchio stampo con le caratteristiche di un trequartista brasiliano.
Non a caso il giocatore a cui si è ispirato Isco, e a cui ha rubato alcune movenze, è stato Ronaldinho. Rispetto al brasiliano, però, Isco non ha la stessa accelerazione palla al piede in velocità, la capacità di finalizzare davanti alla porta o la visione di gioco a tutto campo. Compensa con la visione negli ultimi 30 metri e l’eleganza con cui muove il pallone. Come i migliori talenti brasiliani Isco vuole la palla per risolvere le partite con una giocata vincente, il dribbling giusto, il filtrante al bacio.
Rispetto ai compagni di Nazionale a cui viene paragonato, Iniesta e Silva, l’alfa e l’omega del gioco spagnolo, Isco è la creatività pura. Da lì nasce e muore il gioco del talento andaluso, comunque sufficiente a fare la differenza nel contesto del Málaga. Una volta arrivato a Madrid, però, le cose si sono complicate.
Questa giornalista dalla voce fastidiosa va alla ricerca delle origini di Isco in occasione del trasferimento a Madrid. L’ex maestro, dopo i vari complimenti di rito al ragazzo, ricorda di come fosse anche un po’ "pícaro", che da noi si potrebbe tradurre in "mascalzone".
Ai margini del sistema
A Madrid Isco ha avuto due allenatori: Ancelotti per due stagioni e, adesso, Benítez. L’arrivo nella capitale lo ha costretto a un “cambio de chip”, come dicono in Spagna, cioè un cambio di mentalità: Isco è passato da essere la stella della squadra a doversi giocare il posto da titolare ogni domenica. Quello che poteva offrire al Real era chiaro fin dall’inizio, e per l’allenatore italiano non era abbastanza a confronto di quello che potevano dare Di María, Cristiano Ronaldo, Benzema e Bale, che contendevano i diversi ruoli della trequarti offensiva madrilena.
Pur di far giocare tutti e quattro insieme senza far perdere equilibrio al sistema Ancelotti è arrivato a posizionare Di María mezzala di un 4-3-3, modulo che relegava Isco su una delle due fasce. Pur con tantissime libertà di svariare verso la trequarti, possiamo dire che nel Málaga la zona di competenza era quella della fascia sinistra, da dove poteva giocare le triangolazioni con il compagno e accentrarsi per tirare o fare l’ultimo passaggio.
Isco ha una capacità di giocare il pallone, toccato con ogni singola parte del piede destro, che rende impossibile prevedere se dalla fascia proverà un cross d’esterno o un tiro a giro sul secondo palo. Un tipo di imprevedibilità che ha davvero in comune con Ronaldinho. Tutto perfetto, se non fosse che la fascia sinistra è quella di partenza di Ronaldo, cosa che naturalmente porta Ancelotti a schierare Isco a destra, quando in campo non c’è il gallese Bale. Isco quindi è il giocatore che gioca quando uno dei quattro assi della squadra non è disponibile o fuori forma, posto che Xabi Alonso e Modric rimangono intoccabili a centrocampo.
Il 4-3-3 ibrido scelto da Ancelotti (che diventa 4-4-2 in alcuni frangenti della partita, con Di María e Bale esterni) costa a Isco tantissima fatica sia senza palla che in fase di possesso. Il gioco di possesso ragionato, infatti, in cui esiste un risicatissimo margine di errore per gli interpreti, si adatta poco al genio creativo dello spagnolo. Ancelotti da lui non vuole giocate risolutive: non gli chiede il filtrante e, soprattutto, non lo vuole sempre con la palla tra i piedi. Isco tiene troppo il pallone, non solo per i gusti del tecnico, ma anche per quelli dei centrocampisti che gli giocano accanto, Xabi Alonso e Modric, abituati a un possesso di palla fatto di passaggi corti e sincopati.
Isco gioca al suo ritmo, non a quello della squadra. Lo stesso Ancelotti dirà a febbraio: «Isco è in panchina per ragioni tattiche, perché ha problemi con il sistema. Ovviamente non è contento perché vuole giocare, ma è un problema temporaneo, dato che è un giocatore importante. È serio, un professionista, e non ci sono problemi con lui».
Le parole del tecnico non erano rivolte solo ai media, ma anche al giocatore: erano un invito a lavorare tanto sul proprio gioco senza il pallone dopo anni concentrato solo a fare quello che il talento gli rendeva naturale. La risposta del giocatore è stata da subito positiva dal punto di vista della mentalità in campo, ma i risultati sono arrivati solo la stagione successiva. La squadra ha vinto la Champions League con Isco ai margini del sistema.
La prima stagione a Madrid.
Nuovo ciclo
La stagione 2014-15 inizia nel peggiore dei modi: il Mondiale brasiliano lancia il colombiano James, che si guadagna un trasferimento a Madrid facendo partire addirittura Di María per fargli posto. Isco si ritrova in squadra un giocatore dal ruolo simile al suo, ma arrivato con un investimento quasi triplo, che spinge Ancelotti a trovargli subito posto nell’undici titolare. La seconda stagione, quindi, la comincia ancora da riserva.
A novembre, però, Modric si infortuna gravemente e Ancelotti decide di provare Isco al suo posto a centrocampo. Il successo è immediato: il giocatore, spinto dalla necessità di lavorare su nuovi aspetti del suo gioco per sopperire alla mancanza di Modric, si trasforma in un infaticabile lavoratore. Senza palla copre più chilometri di quanti sembrava potesse fare in due partite di seguito solo fino a pochi mesi prima; contende poi ogni pallone, entrando in contrasti anche con giocatori più fisici. In fase offensiva si scopre il compagno ideale di Cristiano Ronaldo: ne segue da lontano i movimenti, infilandosi nelle voragini che il portoghese lascia dietro di sé, imparando a sfruttarle. Diventa uno dei pretoriani del portoghese, tanto da finire per assecondarne il rapporto più che difficile con Bale (si dice che per il gallese sia stato Isco uno di quelli che ha tentato di distruggerlo psicologicamente, facendogli mobbing nei peggiori momenti dell’ultima deludente stagione).
L’apporto con il pallone rimane sempre lo stesso: una volta chiamata la palla diventa sua, la protegge con la suola del piede prima di innescare la giocata. I tempi di cessione del pallone rimangono non del gusto di Ancelotti, ma visto quanto riesce a contribuire nelle altre fasi di gioco, l’italiano finisce per confermarlo titolare, definendolo “inamovibile” davanti alla stampa. Lo status del giocatore cresce tanto da far uscire allo scoperto anche l’icona Zidane: «Tecnicamente è molto simile a me. I tifosi lo amano, questo è un momento speciale per lui e sta dimostrando che comprarlo è stata una buona idea». Fino al rientro di Modric, Isco gioca praticamente ogni partita, finendo anche per guadagnarsi la chiamata con la Spagna che vuole rialzarsi dopo un Mondiale catastrofico.
Isco, partendo in Nazionale da sinistra come ai tempi del Málaga, può sprigionare tutta la sua creatività a piede invertito.
La ricerca del gol
Alla fine della passata stagione, il mancato successo in Liga o in Champions League porta l’esonero di Ancelotti e l’arrivo in panchina di Benítez. L’allenatore madrileno attua una rivoluzione del sistema che colpisce Isco in prima persona: Benítez abbandona il possesso ragionato di Ancelotti per passare a una squadra più diretta, che cerca rapidamente il proprio fronte offensivo per innescarsi in velocità. Bale viene posto al centro per sfruttarne l’impressionante progressione e Ronaldo, partendo da sinistra, finisce ancora più spesso in area a coprire il vuoto lasciato dai movimenti a uscire della punta Benzema.
Isco viene messo in concorrenza con James per il ruolo da titolare sulla fascia destra. James, da parte sua, inizia la stagione alla grande, dimostrando di interpretare subito a dovere i nuovi dettami di Benítez: Isco finisce quindi per tornare allo status di riserva di lusso. Il Madrid ha cinque titolari per quattro posti e l’escluso il più delle volte è lui, soprattutto perché rispetto a James non convince in zona gol. Secondo Benítez: «È un grandissimo calciatore e quello che deve fare è quello che ha fatto finora: lavorare sui dettagli di fronte alla porta avversaria per provare a segnare di più. Mi piace quello che fa senza palla e l’aiuto che dà alla squadra, se riesce ad aiutare fronte alla porta ancora meglio».
L’apporto senza palla non è cambiato con la nuova stagione.
Lo spostamento a mezzala da parte di Ancelotti non ha certo contribuito alle statistiche di Isco, che ha chiuso la stagione precedente con solo 6 gol segnati in 53 partite e una media di appena 1.3 tiri a partita. Tirando praticamente una volta a partita è difficile segnare molto: Benítez sta lavorando per far tirare di più il giocatore (per adesso siamo a 2.2 tiri a partita nelle sole 6 giocate nella Liga) e la cosa non sembra comunque preoccupare Isco: «Sono cosciente che devo migliorare e segnare più gol, ma la cosa non mi preoccupa. Sicuro che qualcuno arriverà nelle prossime partite». Evidentemente sa di poter aggiungere un altro tassello al proprio gioco, come fece la scorsa stagione.
Il motivo della richiesta di più gol da parte di Benítez va ricercato nell’infortunio di James, prima, e Bale, poi, che ha forzato la mano del tecnico: fino al ritorno di James, Isco è titolare inamovibile esattamente come successe con l’assenza di Modric, e visto che al centro non gioca Bale, per il momento Isco gravita verso la trequarti in una squadra che necessita anche dei suoi gol per non dipendere troppo da Ronaldo e Benzema.
James ha raggiunto un livello di coinvolgimento totale nel gioco di Benítez e questo Isco ancora non l’ha mostrato. Rimane però la capacità di inventare la giocata vincente, come dimostra il cross per Benzema contro lo Shakhtar. Curiosamente, con lo stesso cross Benzema segnerà poi col Granada.
Nel nuovo Real Madrid, che Benítez sta modellando sulla velocità dei suoi attaccanti, Isco ha cambiato zona di campo e responsabilità rispetto alla scorsa stagione: continua a ricevere da fermo per poi creare, ma gli viene chiesto di cercare più spesso il compagno in profondità, andando a riscoprire le doti di passatore negli ultimi trenta metri non sfruttate da Ancelotti. In questo contesto deve provare ad aggiungere una nuova dimensione al suo gioco, quella in fase realizzativa, senza abbassare il livello della prestazione in vista del ritorno di James.
Da quando è a Madrid, Isco è costretto a lavorare sulle lacune del proprio gioco, forzando il proprio talento a mettersi a disposizione del collettivo di cui fa parte. Isco probabilmente riuscirà a elevare ulteriormente il proprio gioco in vista degli Europei da giocare con la Nazionale, dove del Bosque lo considera il perfetto alter ego di Iniesta, il miglior talento della generazione precedente.