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Chi è davvero Keita Baldé
31 lug 2017
Dai tempi di Barcellona, l'attaccante della Lazio non ha mai smesso di cercare la propria strada. E lo spazio giusto verso la porta avversaria.
(articolo)
11 min
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Come da consolidata tradizione, anche quest’anno il ritiro della Lazio è stato inaugurato dall’aperto conflitto tra la dirigenza e l’entourage di Keita. Quando è stato escluso (ufficialmente per problemi muscolari) dall’amichevole con la Triestina, dopo che già era stato escluso da quella con il Cadore, e poi spedito a Milano con un permesso per parlare con Lotito, Keita ci ha tenuto a rivendicare quella professionalità che non sentiva riconosciuta, e lo ha fatto con un tweet.

https://twitter.com/keitabalde14/status/887673048874307586

Keita ha osservato la partita a bordo campo, mentre gli altri infortunati lavoravano in palestra per recuperare.

Solo contro (quasi) tutti

La rivendicazione della professionalità è una formula ricorrente nei comunicati di Keita, o del fratello di Keita, o del procuratore di Keita (che azzarda il maiuscolo per sottolineare «TUTTO L’ANNO»). È una battaglia strettamente personale, che ha origini lontane: nell’estate 2010, il Barcellona non ritenne abbastanza professionale per un quindicenne lo scherzo dei cubetti di ghiaccio nel letto del compagno di stanza, e lo spedì nell’Under-16 del Cornellá, una squadra satellite di terza divisione.

Era il Barcellona di Guardiola, che aveva contribuito a rivoluzionare La Masía, a trapiantare con continuità in prima squadra i giocatori del vivaio, e a riempire la sala dei trofei. Era anche la società che lo aveva accolto all’età di 10 anni e lo aveva formato calcisticamente (tuttora, Keita indossa il numero “14” in onore di Cruijff). Non bastò a trattenerlo: segnò 47 gol in un anno con il Cornellá e poi sparì al momento di firmare il suo primo contratto da professionista.

Si presentò a Formello con il compagno d’attacco Domingo Berlanga, nei racconti dell’epoca una sorta di Benzema. Berlanga lasciò la Lazio dopo otto mesi, frustrato dal mancato accordo economico tra il Cornellá e la Lazio che gli impediva di disputare partite ufficiali. Keita seppe aspettare per altri otto mesi: non era ancora stato tesserato perché non riconosciuto comunitario dalla legge spagnola, nonostante fosse nato e cresciuto in Catalogna.

Firmò con la Lazio nel settembre 2012, una volta completato l’iter per ottenere la cittadinanza spagnola, per poi esordire in prima squadra esattamente un anno dopo. Quell’anno e mezzo trascorso in un paese straniero senza poter giocare spiega bene la volontà orgogliosa di affermarsi nella Lazio, di farcela da solo. Al suo arrivo in Italia, Keita è descritto entusiasta del progetto. E soprattutto - racconta l’ex agente Marchione - «dell'umanità che Lotito è riuscito a trasmettere ai suoi genitori».

Dal momento in cui ha firmato, Keita ha ricevuto tre adeguamenti di contratto nel giro del primo anno, un record per la gestione Lotito, e se ne è visti rifiutare altrettanti nelle tre stagioni successive. Attualmente percepisce 500 mila euro netti l’anno, e quest’anno guadagnerebbe meno di Biabiany, Giaccherini, Lapadula. Poche settimane fa il suo agente ha riconosciuto che «la cessione è la soluzione migliore per tutti».

«È stato detto di tutto: che era indisciplinato; che non era determinante; che era una testa calda. Invece si è sempre comportato da vero professionista accettando di giocare un minuto, trenta o dall’inizio con la stessa intensità», ha sostenuto Calenda in sua difesa. Il caso di Keita è estremamente particolare, perché entrambe le versioni sembrano verosimili.

Da una parte è vero che è indisciplinato: per le divergenze contrattuali di cui sopra, non è mai stato un dipendente lusinghiero verso i suoi datori di lavoro; ha anche frantumato una Lamborghini Gallardo che non avrebbe potuto guidare, all’alba, con leggero tasso alcolemico rilevato. Forse ha ragione chi dice che è una testa calda: soltanto nell’ultima stagione, ha litigato davanti alle telecamere con Biglia, con Milinkovic-Savic, con Lulic. E tutto questo potrebbero aver frenato finora i potenziali acquirenti. Memorabile il gol segnato all'86.esimo minuto contro il Torino: si gira, spacca la partita, corre polemico verso la curva. In settimana si era presentato in ritardo a Roma dopo aver festeggiato il compleanno a Barcellona, dell’esultanza dirà che era una dedica per gli amici accorsi a vederlo.

Dall’altra parte, però, le prestazioni in campo non hanno subito grandi flessioni, perché Keita ha imparato presto - da che voleva rivalersi dei dirigenti bacchettoni del Barcellona - come pretendere rispetto. Sia dai tifosi della Curva Nord, che scrivono a lui e Tounkara: «Abbassate la cresta o ve la tagliamo noi», sia dall’opinione pubblica, sotto forma ad esempio di quei giornalisti che a fine partita domandano a Inzaghi con tono paternalistico «come si fa per farlo ragionare di più?».

Il suo posto in attacco

Per riprendere le parole di Calenda, Keita è sicuramente determinante, e gioca con un’intensità che pochi attaccanti nel panorama mondiale possono unire a una tecnica raffinata come la sua, e a una capacità più che discreta di leggere il gioco. Le statistiche lo inseriscono già tra i migliori attaccanti del campionato, e i 22 anni compiuti da poco lasciano credere che ci sia margine di crescita. Keita è un attaccante completo, che ha mostrato di poter coniugare tagli senza palla, orientamento nello spazio, coordinazione in tempi brevissimi, tiro potente e preciso.

È uno dei 14 giocatori che sono riusciti a collezionare almeno 3 tiri tentati e 2 occasioni create ogni 90 minuti (3,3 e 2,1), una ristretta élite che comprende tutti i migliori creatori di gioco del campionato: Insigne, Dybala, Perisic, Gómez, fino a Saponara e Ricky Álvarez. È il primo giocatore per contributo offensivo nella Lazio (è anche l’ultimo per contributo difensivo, ma ci arriviamo tra poco), ed è ancora il tredicesimo del campionato per dribbling tentati (4,5).

Non solo è molto presente nel gioco, ma gli riesce quasi tutto bene: 81% di passaggi riusciti, ottimo per un attaccante, 54% di dribbling riusciti, buono per il volume che sostiene, 74% di tiri all’interno dell’area di rigore, una distribuzione molto matura, che gli permette di centrare la porta nel 40% dei casi. Non se la cava benissimo nei cross, 17% di precisione, e per questo ne tenta pochi, circa 3 ogni partita.

Da questo punto di vista, l’ultima stagione di Keita non è stata un clamoroso exploit come il dato relativo alle reti segnate lascerebbe credere: Keita ha segnato 16 gol dopo che ne aveva segnati 5, poi 1, poi 4, nelle tre stagioni precedenti, ma tutti gli altri indicatori si sono confermati sugli stessi volumi registrati in passato. Certo, il gol è quella cosa che fa la differenza e Keita ha saputo migliorare la sua selezione di tiro. Oltre a questo sono leggermente aumentati i minuti a disposizione, e così i gol sono improvvisamente arrivati, ma possiamo dire che lo stile di Keita è sempre lo stesso.

A conti fatti, non è neanche troppo cambiata la sua posizione in campo. Idealmente Keita parte largo a sinistra, per concedersi la possibilità di calpestare la linea laterale, ricevere palla in isolamento (dai piedi morbidissimi di Milinkovic-Savic e Felipe Anderson che lo cercano spesso dalla parte opposta), e sfidare il diretto marcatore con molto spazio intorno a sé. Il repertorio di finte e cambi di passo gli permette di puntare l’interno del campo con facilità, per liberare il destro, ma è difficile anticiparne le intenzioni: ha sensibilità nel piede sinistro per puntare il fondo e la pazienza di aspettare le sovrapposizioni per creare superiorità con il palleggio. Keita non è un'ala monodimensionale: tende a fermare il pallone, senza però arrestare il flusso dell’azione.

Nelle precedenti gestioni (Petkovic, Reja, Pioli), tutte legate all’utilizzo del tridente offensivo, gli è capitato di dover giocare anche sulla fascia destra, e ha interpretato il ruolo sostanzialmente alla stessa maniera. Con Simone Inzaghi ha poi completato il percorso evolutivo arrivando a giocare da seconda punta nel 3-5-2, al fianco di Immobile, o addirittura da unico riferimento offensivo come nel trionfale derby di ritorno.

Keita non ha un background da ala pura, così come dimostrano la formazione giovanile e il suo atteggiamento in campo. Ma quando riesce a posizionarsi con il corpo davanti alla palla diventa difficilissimo da contrastare. Può spostare il pallone dove vuole, con qualunque parte del piede, la suola, l’esterno, l’interno, e dispone di sufficiente forza fisica ed esperienza per assorbire i contrasti e ripartire da un momento all’altro, lasciando il difensore sul posto. Con i suoi mezzi atletici, una palla spazzata dalla difesa diventa un gol nel tempo di una gif. C’è tutto Keita: protezione del pallone, sensibilità fuori dal comune, bruciante accelerazione, pausa e tempo del passaggio.

Dategli spazio

Ritornare a occupare posizioni più centrali lo ha reso un attaccante più pericoloso, una minaccia realizzativa più concreta, ma non per questo ha particolarmente senso chiedersi se oggi Keita, che ha già definito le sue caratteristiche, debba proseguire il suo sviluppo nella posizione di ala o di attaccante centrale. Sarà piuttosto interessante verificarlo al di fuori del gioco della Lazio, che gli ha sempre concesso di ricevere, girarsi e attaccare la porta con molto spazio davanti a sé, sia che partisse largo, sia che giocasse al centro.

In transizione Keita è un attaccante fenomenale, con una progressione con un che di inesorabile e Immobile a fargli da partner ideale, dandogli quel riferimento che gli è mancato negli anni di alternanza tra centravanti statici come Klose, Djordjevic e Matri. A distaccare sensibilmente Keita dalla media degli altri giocatori del campionato è la capacità di conservare visione di gioco ed equilibrio ad alte velocità: a quel punto le opzioni per un ottimo passatore e un ottimo tiratore, sia con il destro che con il sinistro, sono praticamente infinite. Può puntare indifferentemente il lato destro o il lato sinistro, e questo per Maietta è un problema, in più non perde equilibrio e rimane lucido al momento del passaggio.

L’efficacia dell’attacco laziale è stata però la conseguenza degli equilibri trovati in attacco, e soprattutto in difesa. Nel sistema di Inzaghi ha funzionato molto bene l’utilizzo complementare di Keita e Felipe Anderson. Se il senegalese si affiancava a Immobile nel primo pressing, generalmente applicato con un’intensità piuttosto blanda, il brasiliano arretrava all’altezza del centrocampo per aiutare i successivi tentativi di aggressione del possesso avversario. La Lazio non cercava di attaccare il pallone molto in alto sul campo, ma provava in questo modo a conservare i suoi attaccanti sopra la linea della palla in caso di effettivo recupero.

Con il lavoro di interdizione caricato sui centrocampisti, a Immobile e Keita non restava che condurre il pallone in transizione alla massima velocità. Non a caso i due risultano nettamente i peggiori della squadra nella somma tra intercetti e contrasti tentati, con Keita che fa leggermente peggio di Immobile: 0,2 intercetti e 1,2 contrasti tentati con il 62% di successo. Il minimo sindacale per non consumare energie utili alla fase offensiva.

Per mezzi atletici e comprensione del gioco, probabilmente non avrebbe difficoltà a inserirsi in una squadra che applica sistematicamente il pressing in zone avanzate del campo, così come ormai praticamente tutte le grandi squadre sono in grado di fare, almeno a fasi alterne nel corso della partita. Sembra, oggi, meno adatto a difendere posizionalmente da esterno.

E sicuramente gli servirebbe del tempo per entrare nei meccanismi di una squadra aggressiva, considerando che è maturato in un contesto costruito proprio per rispondere a una specifica esigenza: concedergli più spazio possibile in cui correre. Nella stessa situazione di gioco, spalle alla porta con l'avversario in pressione, Keita può risultare molto efficace o molto inefficace.

Avere il tempo per leggere l’azione e lo spazio per far correre il pallone, fa tutta la differenza del mondo. Con la palla tra i piedi, quando lo spazio gli si chiude davanti, Keita non ha ancora maturato una sufficiente consapevolezza per tirarsi fuori dalle situazioni più complesse, reagire in tempo ai raddoppi di marcatura, capire come liberarsi del pallone, quando alzare la testa e quando tenerla bassa.

Quest’anno ha perso molte palle (4,4 in media ogni 90’) in una squadra che generalmente ne perdeva moltissime (nel totale delle palle perse, la Lazio fa meglio solo di Empoli e Atalanta) che accettava la confusione come rischio calcolato per sovrastare gli avversari con la rapidità di esecuzione.

Dopo la Lazio

Per compiere il definitivo salto di livello, Keita non avrà bisogno di «ragionare di più», come vorrebbe parte dell’opinione pubblica, ma di iniziare a ragionare sul piano puramente tecnico e tattico al di fuori del sistema-Lazio, in cui ha già espresso le numerose angolazioni e i (pochi) lati oscuri del suo talento.

Attualmente, Keita è un attaccante in grado di accendere l’interruttore e lasciarsi il vuoto alle spalle: 7 dei 16 gol stagionali sono arrivati nell’arco di tre settimane, a cavallo di marzo e aprile, in cui non sembravano esistere adeguate contromisure per contenerlo. In casa contro il Palermo ne ha segnati tre in sei minuti, la tripletta più veloce nella storia del campionato dopo quelle di Valentino Mazzola e Anastasi.

Presto o tardi, il suo percorso di crescita lo costringerà a fare i conti con il passato, con quei dettami del gioco di posizione da cui è fuggito per cercare di perseguire la sua personale dimensione di professionalità, che non è detto debba necessariamente combaciare con la nostra.

Per questo, in futuro, possiamo immaginarcelo più disciplinato, nel momento in cui sentirà di aver trovato una società che ne condivida l’ambizione, in un progetto che comprenda anche la sua trasformazione tattica; ma non chiediamogli di smettere di litigare, perché Keita ha bisogno di giocare sempre acceso, sempre teso alla ricerca della propria strada, e di un corridoio che lo conduca verso la porta avversaria.

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