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Chi è il nuovo direttore sportivo del Napoli
13 lug 2023
La storia di Mauro Meluso, che arriva a Napoli dopo una lunga carriera nelle serie inferiori.
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11 min
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IMAGO / Gribaudi/ImagePhoto
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Ieri pomeriggio mentre cercavo su Twitter notizie riguardanti Grosseto e dintorni, mi sono imbattuto in una foto di Mauro Meluso. Sopra una brevissima didascalia: Mauro Meluso è il nuovo ds del Napoli.

Immediatamente dopo, Meluso è diventato trend topic e tutti si chiedevano chi fosse questo uomo canuto che dirigerà il mercato della squadra campione d’Italia. Chi per necessità o passione seguiva già le categorie minori, come la Serie C e la Serie B, avrà sicuramente pensato che il Napoli aveva appena preso il direttore sportivo ideale per Aurelio De Laurentiis. Un dirigente che adesso ha l’occasione della vita dopo anni di gavetta, fra l’altro raggiungendo (quasi) sempre gli obiettivi fissati dalla società. Un direttore sportivo che ha saputo (senza quasi) sempre fare "le nozze coi fichi secchi", portando a casa risultati piuttosto strabilianti. Ma procediamo con ordine: chi è Mauro Meluso?

Le origini

Il nuovo direttore sportivo del Napoli nasce a Cosenza nel 1965. Il padre è stato scrittore, giornalista e dirigente dell’Azione Cattolica; il fratello della madre, Monsignor Augusto Lauro, morto lo scorso 9 marzo all’età di 99 anni, è stato uno dei sacerdoti più apprezzati e conosciuti dell’intera regione (tanto da avere anche una sua pagina Wikipedia) nonché primo vescovo della neonata diocesi di San Marco Argentano-Scalea.

La Cosenza calcistica dell’epoca, oltre ovviamente alla squadra cittadina che comunque gravitava fra Serie D e Serie C2, vantava innanzitutto la Morrone, la seconda storica formazione bruzia, e poi a livello giovanile una serie di squadre letteralmente di quartiere. Proprio in quella del suo (e mio) quartiere, la Panebianco (ma c’era anche la Popiliana, ad esempio, di via Popilia), Meluso inizia a farsi notare come attaccante a livello giovanile. Lo prende il Rende, squadra del comune confinante con Cosenza, e poi il grande salto fino a Roma, sponda Lazio, con cui esordisce in Serie A contro la Juventus.

Dopodiché va a Cremona e a Salerno prima di fermarsi a Monopoli, dove conoscerà anche quello che sarà prima suo capitano in Puglia, dopo suo cognato e infine suo successore a Cosenza, Massimo Cerri. Ma siamo andati troppo veloce, facciamo di nuovo un passo indietro. Con la maglia biancoverde, Meluso assiste da vicino alla promozione della squadra della sua stessa città, il Cosenza, che proprio a Monopoli con Gianni Di Marzio in panchina riconquisterà la Serie B a distanza di 25 anni dall’ultima volta.

Nell’estate del 1989 rimane in Puglia ma va a Foggia, agli ordini di Zdenek Zeman, che però gli preferisce Beppe Signori (come dargli torto) e lo usa pochissimo. Dell’anno a Foggia è stato recentemente riesumato un aneddoto narrato da Maurizio Miranda, che col "Boemo" giocò non solo in rossonero ma anche a Licata: narra di una partita notturna a carte alla quale lo stesso tecnico, una volta scoperti Miranda, Signori e Meluso, si aggiunse, per poi multare i suoi calciatori di 100mila lire, e se stesso di 200mila.

Chiusa la parentesi Foggia, la carriera da calciatore di Meluso si avvia verso la fine fra Casarano, Messina, Fermana, Sambenedettese e Monterotondo. Dopo aver tolto definitivamente gli scarpini, Meluso inizia il suo percorso da direttore sportivo che lo porterà fino al Napoli campione d’Italia.

Le prime tappe

Di Meluso il pubblico si è accorto prima con il Lecce, poi con lo Spezia e infine adesso con il Napoli, ma in pochi conoscono i suoi anni precedenti. La sua carriera nei professionisti inizia in modo piuttosto burrascoso, nel gennaio 1999, quando Franco Sensi (sì, quel Franco Sensi) lo nomina direttore sportivo dopo essersi aggiudicato il 66% delle quote del Foggia all’asta fallimentare. La stagione è completamente insensata: inizia con la squadra in mano al Tribunale di Napoli e finisce con la sconfitta ai playout per mano dell’Ancona, che spedisce i "Satanelli" in C2 dopo oltre quarant’anni dall’ultima volta.

L’anno successivo, dopo un’estate altrettanto problematica nella quale Sensi medita l’abbandono dopo meno di dodici mesi dall’acquisizione della società, Meluso viene nominato direttore generale ed è costretto a fare la squadra con un ritardo folle. In panchina Piero Braglia, che ancora non era il mago dei playoff che avrebbe portato quattro squadre in B. In rosa ci sono anche i giovanissimi Michele Pazienza e Franco Brienza, prodotti del vivaio, ma la squadra non vince il campionato e perde anche i playoff contro l’Acireale.

Trovare informazioni sugli anni successivi a Foggia è un’impresa anche per chi conosce bene la sua carriera: a Teramo, città della moglie, è DS sotto la guida dell’eclettico presidente Malavolta; nel 2004-05 è in Serie B con la Ternana, una stagione travagliata che termina all’ottavo posto; nel 2007 scende in C1 col Padova, ma anche coi veneti non va bene e verrà esonerato nel 2009 insieme al tecnico Carlo Sabatini, fratello di Walter, che lo seguirà però nell’avventura a Frosinone nel 2011/12. Curiosità sulla prima di queste avventure: si può ritrovare un articolo sull'edizione locale del Mattino in cui Meluso annuncia di aver adempiuto il voto di andare in bici da Teramo sino a Loreto per ringraziare la Madonna della promozione in Serie B.

Con il Frosinone il suo rapporto termina nel 2013. Dopo un anno di stop, decide di ripartire dalle sue radici, da Cosenza. E sarà da lì che inizierà la scalata fino alla cima del calcio italiano.

Il miracolo Cosenza

Presidente del Cosenza era (come oggi) Eugenio Guarascio, al quale si imputa sempre una certa propensione sia a improvvisare, sia a risparmiare. Misura della prima è la conferma del tecnico della stagione precedente, Roberto Cappellacci, prima ancora dell’arrivo di un direttore sportivo, che sarà poi Meluso. Vi ricorda qualcosa, questa scelta?

Quell’estate i rossoblù vengono dal ritorno fra i professionisti dopo due anni fra i dilettanti, è il primo anno di C unica dopo l’abolizione della Seconda Divisione (ex C2) e il girone meridionale presenta squadre del calibro di Salernitana (che vincerà il campionato), Benevento (che vincerà quello successivo), Foggia, Lecce, Matera e, soprattutto per i tifosi silani, le odiate rivali Catanzaro e Reggina. Meluso prova a fare i conti in tasca e allestisce una squadra fatta soprattutto di giocatori alla ricerca di riscatto: il primo colpo è Sasha Cori, centravanti di manovra, che si aggiunge a una rosa che definirla esigua le si fa un complimento. In ritiro partono in nove. Nel corso dei giorni successivi, però, arrivano giocatori di tutto rispetto: Luca Tedeschi, ex fra le altre anche di Crotone e Treviso in B; Andrea Arrigoni, mediano di categoria dal piede fino e dal cervello ancora più fino; Simone Ciancio e Niccolò Sperotto sulle fasce; e poi Nicola Ravaglia e Umberto Saracco, reduce dalla finale Primavera persa col suo Torino contro il Chievo, in porta, Giuseppe Fornito, vero colpo dell’estate, in prestito dal Napoli, e a ottobre, dagli svincolati, Cristian Caccetta. Uniti a chi era rimasto dall’anno prima, vale a dire Blondett (ex Samp), Calderini, Criaco, Alessandro, Mosciaro e Gianluca De Angelis, sinonimo di gol in Serie C, una formazione dignitosa. Il tutto con un budget che definiremo, per convenzione, scarno.

La prima parte di stagione, però, è un disastro: Cappellacci perde le redini dello spogliatoio per cause poco chiare e il Cosenza in campionato vince una volta sola, a Matera. Alla decima giornata, con la squadra penultima, il tecnico viene esonerato. Attenzione, però: in campionato non vince mai, ma in Coppa Italia il Cosenza batte i rivali del Catanzaro in casa loro dopo 64 anni dall’ultima volta. Inizia così un percorso che, a fine anno, con Giorgio Roselli in panchina, li porterà a sollevare il primo trofeo nazionale professionistico per una squadra calabrese.

Il secondo anno è quello in cui Meluso si mette sulla mappa dei migliori DS di categoria: il vero colpo sembra essere Andrea Arrighini, che arriva dalla B dopo anni deludenti, ma alla lunga in realtà emergono Luca Fiordilino, Pietro Perina e Andrea La Mantia, giocatori che dopo l’esperienza in Calabria arriveranno anche in Serie A. Il primo arriva in prestito dal Palermo come giovane di belle speranze e riserva di Caccetta: a causa dei frequenti infortuni di quest’ultimo, però, gioca diverse partite da titolare e diventa il miglior giovane della Serie C. Perina, invece, arriva da Melfi per giocarsi il posto di titolare con Saracco dopo che Ravaglia si è accasato alla Cremonese: al portiere bastano le prime tre giornate per prendersi la titolarità, tenendosela per due stagioni e mezzo consecutive (Saracco rimarrà il portiere titolare in Coppa Italia e della promozione in cadetteria). La Mantia, invece, reduce dalla retrocessione in D col San Marino di Sensi e Diawara, segna molto nelle prime giornate prima di fermarsi a causa di un problema al ginocchio. Un problema fisico che, insieme ad alcuni screzi con Roselli, lo tiene fuori dal campo per un po’. Ritornerà per il finale di stagione, che sarà un crescendo di gol incredibili (cito solamente quello di tacco contro il Melfi).

Tutto questo però non basta. Il Cosenza sogna la B per un campionato ma poi non riesce ad arrivare neanche ai playoff. A fine stagione il presidente Guarascio tentenna per rinnovare il contratto a Meluso. Così arriva una chiamata improvvisa: Lecce, Sticchi Damiani. Il direttore sportivo se ne va, lasciando dietro di sé una città che sognava il salto di categoria.

La consacrazione a Lecce

Il primo anno in Salento, per Meluso, va così così: da Cosenza, dove lo sostituisce suo cognato Massimo Cerri, porta via Ciancio, Arrigoni, Fiordilino e Vutov, ma nessuno di questi basta per centrare la promozione. Il campionato va al Foggia e la società, alla penultima giornata, esonera il tecnico Pasquale Padalino, del quale i tifosi da tempo chiedevano la testa per il suo passato di bandiera del Foggia. In panchina va Roberto Rizzo che perde ai quarti contro l’Alessandria la possibilità di accedere alle Final Four di Firenze.

L’anno successivo si parte proprio con Rizzo, che salta dopo la sconfitta contro il Catania alla terza: 3-0 contro la diretta concorrente per la promozione diretta è davvero troppo. Così Meluso si mette alla ricerca e tira fuori il colpo da maestro: il nuovo allenatore del Lecce è Fabio Liverani, reduce dalla salvezza con la Ternana in Serie B, che darà vita alla doppia promozione. L’ex centrocampista del Perugia non perde per un girone intero, cadendo soltanto il 25 febbraio contro la Juve Stabia.

Il Lecce creato da Meluso è una macchina da guerra: dopo un anno sfortunato, il DS sembra aver capito le necessità della piazza salentina e, confermati alcuni elementi dell’anno passato, porta a casa Di Piazza dal Foggia neopromosso, Armellino dal Matera e riscatta Caturano dal Bari. La squadra è una schiacciasassi, ma il Catania tiene testa. A gennaio, Meluso dimostra tutta la propria conoscenza della categoria prendendo il colpo che garantirà qualità al Lecce anche in B: si tratta di Andrea Tabanelli, reduce da annate sfortunate ma pronto a dare il giusto equilibrio alla squadra di Liverani. La sfida punto a punto col Catania si risolve alla terzultima: il Lecce, primo a + 1, riposa (campionato a 19 squadre), ma gli etnei cadono a Trapani. Alla giornata successiva i giallorossi battono la Paganese e i rossazzurri perdono a Matera: è trionfo, il Lecce torna in Serie B dopo sei stagioni.

L’anno successivo, il primo di B, Meluso fa quello che sa fare meglio: mantiene l’ossatura e puntella la squadra. Riprende La Mantia, tramite uno scambio che porta Caturano all’Entella e l’ex Cosenza a Lecce, dove segnerà 17 gol e si consacrerà come bomber di Serie B; dal Bari svincolato prende Jacopo Petriccione, faro del centrocampo salentino; dal Bologna prende Pippo Falco e lo mette a sfornare assist (saranno dieci a fine stagione). Risultato? Promozione in Serie A al photofinish contro il Palermo e festeggiamenti per il ritorno nella massima serie.

Nell’anno del covid il Lecce retrocede all’ultima giornata dopo un altro testa a testa, stavolta col Genoa. Ma Meluso resta in massima categoria.

Allo Spezia

Meluso viene assunto come direttore dell’area tecnica dallo Spezia, dove trova già comodo sulla panchina l’allenatore della promozione, Vincenzo Italiano. In molti, giornalisti compresi, danno i liguri già per spacciati e come sappiamo le cose andranno molto diversamente.

L’unico errore sarà l’acquisto di Zoet dal PSV, per il resto Meluso conduce una campagna acquisti perfetta: trattiene Nzola, che sarà capocannoniere del campionato, giocatore feticcio del suo tecnico; prende Tommaso Pobega, che l’anno prima si era messo in evidenza nel Pordenone in Serie B; punta su Daniele Verde, che dopo tanto girovagare aveva fatto bene in Grecia all’AEK Atene; innesta Agudelo dal Genoa, 29 presenze. Lo Spezia, grazie anche al suo mercato, naviga in scioltezza verso la salvezza, che arriva pure con una giornata d’anticipo. Nel frattempo, però, al vertice della società è arrivata la famiglia Platek, che ha un modo di fare mercato basato quasi esclusivamente su consulenze e statistiche. Di conseguenza Meluso viene esonerato.

Adesso per lui si apre una nuova pagina, quella da DS dei campioni d’Italia. Come gli era già successo a Cosenza e a Spezia, di nuovo con un allenatore già seduto sulla panchina. Una notizia rassicurante sia per chi crede nei segni del destino sia per lui, che di certo arriverà già allenato.

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