La notizia che era nell’aria da qualche giorno ora è diventata realtà: Anthony Davis sarà un giocatore dei Los Angeles Lakers. Come riportato da Adrian Wojnarowski di ESPN poco dopo la mezzanotte italiana, i californiani sono riusciti a concretizzare un inseguimento durato sei mesi, portando a casa il talento dei New Orleans Pelicans in cambio di Brandon Ingram, Lonzo Ball, Josh Hart, tre prime scelte al Draft e la possibilità di scambiare un’ulteriore scelta.
Per quanto ancora fresca di detonazione, la bomba lanciata da Woj è di quelle che riecheggiano negli anni a venire. Perché questa trade non solo rischia di essere la più importante dell’estate, ma anche una delle mosse in grado di cambiare la storia della lega stessa.
Raramente una squadra si priva di un giocatore come Anthony Davis e, ancor più raramente, questo va poi ad unirsi con un giocatore della caratura di LeBron James. Certo, il nuovo Vice Presidente dei Pelicans, David Griffin, non ha fatto sconti: i tre giovani ottenuti hanno grandi prospettive e costi controllati (sono tutti ancora nei rispettivi contratti da rookie) e le scelte potrebbero essere davvero succose. Oltre alla prima 2019 (che giovedì prossimo verrà chiamata con la quarta assoluta), i Pelicans hanno ottenuto quella 2021 (protetta dai Lakers 1-8; altrimenti scala al 2022 – l’anno in cui presumibilmente torneranno ad essere eleggibili anche i giocatori provenienti dal liceo, e stavolta non protetta), la possibilità di scambiarsi le scelte nel 2023 e un’altra prima a scelta tra la 2024 o la 2025, entrambe non protette.
Ma Davis è già oggi uno dei primi dieci giocatori della lega (cinque?) e, a 26 anni, deve ancora entrare nel prime tecnico e fisico della propria carriera. Se hai la possibilità di mettere insieme due giocatori del genere e hai lo spazio salariale per un terzo big, gli incastri futuri vengono in secondo piano.
Cosa significa per i Lakers
Non lasciatevi ingannare da chi cerca di fare paragoni con la celebre trade tra Celtics e Nets o da chi ricorda storpiando il naso il caso di Dwight Howard e Steve Nash: con l’arrivo di AD i Lakers hanno fatto centro. Certo, leggere il futuro nella NBA è sempre molto difficile (ad esempio, pensate a quante cose sono cambiate per i Boston Celtics, forse la più grande sconfitta da questa trade, da un anno a questa parte!) ma il potenziale di questo scambio è innegabile.
Davis è una forza della natura in entrambe le metà campo, che ha già dimostrato di essere determinante anche quando il livello sale e che nell’ultima stagione ha chiuso con 25.9 punti, 12 rimbalzi e 2.4 stoppate nonostante una squadra mediocre attorno a lui. Non solo: Davis non ha mai avuto un compagno di squadra del livello di LeBron e questo tenderà a semplificargli (e di parecchio) la vita: tutti i raddoppi, le trappole e le attenzioni prioritarie delle difese avversarie che ha dovuto subito nei primi sette anni nella lega verranno per forza di cose smussate dalla presenza di James e ad oggi in pochi possono pensare di difendere in uno-contro-uno contro di lui.
Nonostante abbia chiuso la scorsa stagione a gennaio, Davis ha comunque regalato prestazioni del genere.
Le combinazioni con King James saranno entusiasmanti, con la possibilità di giocare uno dei pick-and-roll più indifendibili della lega e di passarsi vicendevolmente il peso dell’attacco nel corso delle partite. Per quanto abbia avuto compagni di squadra fortissimi, c’è il forte rischio che Davis sia il giocatore più forte con cui James abbia mai giocato e, ancora meglio, il giocatore perfetto con cui fare squadra in questo momento della sua carriera. Davis è ancora giovane e desideroso di prendersi le copertine che un fenomeno come lui meriterebbe: questo potrebbe permettere a LeBron - che nella prossima stagione compirà 35 anni - di non dover trascinare la squadra da solo, potendosi riposare maggiormente nel corso delle partite per arrivare più fresco da aprile in poi.
Non a caso i Lakers sono già diventati la principale favorita per il titolo, secondo i bookmakers. (Photo by Andrew D. Bernstein/NBAE via Getty Images)
Adesso per i Lakers arriva il bello. Oltre a LeBron, Davis e Kyle Kuzma (incedibile pupillo di scuderia) il General Manager Rob Pelinka avrà a disposizione ancora 27.8 milioni da spendere (32.5 se Davis togliesse dal proprio contratto il bonus previsto in caso di cessione) per provare ad aggiungere al firmamento gialloviola la terza stella incandescente. Alcuni scrivono già i nomi di Kemba Walker, altri Jimmy Butler o Kyrie Irving e se all’apparenza comporre dei nuovi Big Three sarebbe la mossa migliore per aumentare le possibilità di successo, c’è comunque da scegliere con accortezza. I Lakers avranno pochi soldi per completare il roster - in caso di terzo big, rimarrà di fatto solo la Room Mid Level Exception del valore di 4.76 milioni per la prossima stagione - e dalla profondità delle rotazioni molto spesso derivano i successi della squadra. E considerando le scelte poco chiare, diciamo così, degli ultimi anni, potrebbe essere una chiave di volta decisiva.
La mossa dei Lakers è stata forte, da franchigia che vuole ristabilire il proprio status nella lega e che non ha paura di mettere sul tavolo il proprio futuro pur di tornare ad essere una forza dominante della Western Conference, ma occorrerà muoversi con oculatezza. Davis è una garanzia di successo, soprattutto assieme a LeBron, e dopo stagioni tribolate la franchigia più glamour del mondo potrebbe essere davvero sul punto di tornare a calcare i palcoscenici più importanti. E questo vale probabilmente qualsiasi prezzo, anche nel malaugurato caso che le scelte date a New Orleans si trasformino in gemme preziose.
Cosa significa per i Pelicans
Il successo dei Lakers non preclude di per sé quello dei Pelicans, una franchigia che appena sei mesi fa sembrava sul punto di un crollo verticale e inesorabile e che invece, adesso, appare come uno dei paradisi più floridi di tutta la lega.
David Griffin è stato bravo nel ricavare il massimo dallo scambio, utilizzando il poco leverage che gli era rimasto per sfruttare a proprio vantaggio il no categorico dei Lakers a Kuzma, riempiendosi le tasche di scelte immediate e future. La sua opera di ristrutturazione potrebbe non essere finita, con la quarta scelta al Draft di quest’anno che potrebbe ritornare in gioco per arrivare a qualcosa di ancora migliore e in grado di dare una mano subito per puntare ai playoff.
LaVar Ball che parla con toni moderati della decisione dei Lakers di lasciar partire Lonzo.
Brandon Ingram e Lonzo Ball sono giocatori di qualità, che hanno appena compiuto 21 anni (entrambi classe 1997) e che lontano dai riflettori accecanti di Los Angeles potrebbero trovare l’habitat ideale per sviluppare al meglio il proprio potenziale. Essendo ancora nei rispettivi contratti da rookie, New Orleans può controllare il loro futuro a medio-termine, dandosi la possibilità di costruire con calma le fondamenta della squadra del domani. La timeline di crescita di Ingram e Lonzo è grossomodo in linea con quella di Zion Williamson (di tre anni più giovane di loro): il fenomeno da Duke che i Pelicans chiameranno con la prima scelta assoluta tra pochi giorni e che rappresenta il punto cardine attorno al quale costruire tutto il resto. Il loro fit naturale potrebbe non essere immediato (specialmente per le mancanze al tiro dei due ex Lakers), ma certo di potenzialità ce ne sono da vendere.
Tutti e tre sono, a loro modo, dei freak atletici, in grado di scindersi dai paradigmi delle posizioni tradizionali e giocare una pallacanestro futuristica nelle mani di Alvin Gentry. Lonzo è un giocatore in grado di giocare benissimo anche lontano dalla palla (anzi, nell’attacco a metà campo è forse meglio che stia in mano a Jrue Holiday) e che non ne ha assoluto bisogno per essere impattante. La sua raffinata capacità di leggere il campo nella sua interezza in contropiede, sommata alla debordante esplosività atletica di Zion, renderà la coppia un #LeaguePassAlert costante, infestando le notti di alley-oop e giocate spettacolari. Anche perché i ruoli potrebbero pure invertirsi, visti i mezzi fisici di Ball e le già notevoli doti da passatore di Williamson.
Siete pronti alla Lob City 2.0?
Più misterioso, e di conseguenza più affascinate, l’incastro con Ingram. Nel corso degli anni ha dimostrato di essere più a suo agio nel creare dal palleggio e di avere difficoltà nel rilocarsi sul campo restando incisivo quando non dirige lui le operazioni. Le spaziature della squadra potrebbero venire penalizzate dal momento che nessuno, ad oggi, offre garanzie di rendimento (neanche Holiday, un altro tiratore da 33% scarso da tre nella scorsa stagione e 35.5% in carriera) e occorrerà rifinire il roster con giocatori funzionali alla causa (Hart, ad esempio, potrebbe presto divenire un elemento molto prezioso per le alchimie tattiche).
Il sistema up-tempo di Alvin Gentry potrebbe mettere qualche pezza sulle zone d’ombra nella metà offensiva, sfruttando dalla sua i clamorosi mezzi atletici dei suoi giovani ragazzi per creare condizioni di corsa insostenibili per molti degli avversari. Durante la regular season le difese non sono ermetiche a metà campo come ai playoff e questo potrebbe aiutare parecchio nel creare l’identità della squadra. Inoltre, le potenzialità nella metà campo difensiva sono da capogiro, dal momento che Ball, Holiday, Ingram e Zion sono giocatori in grado di difendere almeno su tre posizioni diverse e in grado di eseguire con discreto agio tutti gli schemi difensivi più in voga in questo momento, specialmente cambiando sui blocchi.
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Le fondamenta dei Pelicans di domani e dopodomani.
È difficile pensare che questo progetto funzioni già dal primo anno, soprattutto in una conference tremenda come la Western, ma questa squadra sembra avere tutto il potenziale per generare picchi di entusiasmo elevatissimi e riportare la gente al palazzo, spesso uno dei più vuoti della NBA.
Lo Zion Effect ha già fatto sì che New Orleans riacquistasse credibilità agli occhi della lega dopo aver rischiato il baratro di una possibile relocation appena sei mesi fa, e questa trade ne aiuta sicuramente le potenzialità. Il futuro dei Pelicans sembra essere in cassaforte, anche perché Griffin ha già dimostrato negli anni a Cleveland di saper costruire con pazienza una squadra da titolo.
Cosa significa per la NBA
Per come si erano messe le cose per New Orleans, uscire con così tante garanzie da questa spinosa situazione è una vittoria di grande valore. Non solo per la franchigia in questione, ma anche per il futuro della lega stessa. La trade tra Lakers e Pelicans, infatti, è un macro-cosmo che può tornare utile anche per capire in che direzione stia andando la NBA, una lega in continua evoluzione e che nel corso degli ultimi anni ha dovuto fare i conti con situazioni nuove e inesplorate.
La volontà di Davis di voler forzare la cessione non è una novità, dato che recentemente anche altre stelle del calibro di Butler, Irving, George e Leonard lo avevano fatto prima di lui, ma in questo caso, per la prima volta, la volontà del giocatore ha fatto la differenza in modo netto. Davis e Rich Paul (il suo agente, la cui continua ascesa nella NBA è un altro elemento da tenere d’occhio) avevano Los Angeles come prima opzione, e Los Angeles è stata. È difficile, ad oggi, capire cosa significhi di preciso, ma è probabile che questo non finirà con l’essere l’ultimo caso simile.
Anche perché nell’ultimo caso i risultati sono stati discreti.
La vittoria dei Pelicans della Lottery dello scorso maggio è un altro snodo cruciale di quello che è successo nel mese successivo. I cambiamenti adoperati per limitare il fenomeno del tanking (che non è morto, semmai si è solo aggiustato) potrebbero vedere grosse variazioni di programmazione negli anni avvenire e questo non solo per le franchigie in difficoltà come NOLA. La situazione dei Lakers, infatti, è per certi versi molto simile: se è vero che i Pelicans hanno fatto saltare il banco, lo è altrettanto la salita fino alla quarta pick dei Lakers, che si sono dati una grossa mano nell’arrivare a Davis ― soprattutto dopo che i Knicks avevano perso la prima posizione al Draft e la (comprensibile) riluttanza dei Celtics nel muovere Jayson Tatum.
Il modello di costruzione dei Pelicans sarà un caso di studio tanto quanto quello dei Raptors nuovi campioni, un’altra squadra che ha saputo trovare vantaggi nelle difficoltà di altri. E a proposito di Toronto: complimenti per il vostro titolo, avete potuto godere dell’attenzione di tutti per ben… 43 ore! Dopo di che la lega ha prodotto un nuovo contenuto mediatico e la ruota ha ripreso a girare, in un vortice che dura veramente 365 giorni all’anno.
Forse è proprio questa la cosa che rimane più di tutte, alla fine. La NBA è una macchina da branding e contenuti come nessun'altra cosa al mondo e sembra aver raggiunto uno stadio evolutivo in cui niente sembra scalfirla. Anthony Davis ai Lakers è solo la prima goccia di quello che promette di essere un mare di momenti memorabili. Non resta che mettersi comodi e lasciarsi travolgere.