Un'altra sessione di mercato è finita e nonostante la pandemia e i suoi danni molto si è mosso anche in Serie A. Certo, sono usciti alcuni dei giocatori migliori del campionato (Cristiano Ronaldo, Hakimi, Lukaku e Donnarumma su tutti), ma proprio per questo i club italiani si sono trovati di fronte a uno sforzo di creatività a cui non tutti si sono dimostrati preparati. Eccovi, quindi, una valutazione a mente fredda di ciò che è successo nel campionato italiano, tra mercati riusciti e mercati disfunzionali, tra acquisti affascinanti e operazioni semplicemente strane.
Chi ha vinto il calciomercato: Fiorentina
Anche se apparentemente in maniera casuale, a volte addirittura contro voglia, la Fiorentina è riuscita a imboccare tutte le porte giuste del calciomercato (qui dovete immaginarvi il calciomercato come quel gioco di Mai Dire Banzai in cui i concorrenti percorrevano un percorso dove dovevano lanciarsi contro delle porte senza sapere se fossero murate o di cartongesso). Prima è uscita dalla controversa vicenda Gattuso prendendo uno dei giovani allenatori più interessanti del campionato (Vincenzo Italiano), poi per ragioni ancora meno chiare è passata dal vendere il perno della propria difesa (Milenkovic) in Premier League a rinnovargli il contratto. In mezzo ha preso uno dei talenti più interessanti della Bundesliga (Nicolas Gonzalez), ha promosso in prima squadra uno dei giovani più eccitanti della Serie B (Youssef Maleh, già acquistato nella sessione di gennaio della scorsa stagione ma poi lasciato in prestito al Venezia fino alla fine della scorsa stagione), ha scommesso su quello che fino a pochi anni fa avremmo scommesso sarebbe diventato il regista migliore del campionato (Lucas Torreira). Last but not least, soprattutto ha deciso di tenere la stella della squadra, Dusan Vlahovic, rifiutando offerte che non si potevano rifiutare. Nel giro di un’estate - che magari avrà fatto poco bene alle arterie dei tifosi, ma seguire una squadra significa anche consumarsi, mi dispiace - la Fiorentina è passata da essere una squadra senza forma in disfacimento tecnico a uno dei progetti più ambiziosi ed eccitanti del campionato. Magari finirà con un disastro anche quest’anno, ma le premesse per fare meglio delle ultime stagioni ci sono tutte. E per come sono andate le cose negli ultimi anni al Franchi non è poco.
Le squadre che avrebbero dovuto fare di più
Juventus
Non è facile giudicare il mercato della Juventus, bloccato per settimane dall’affare Locatelli e poi improvvisamente strapazzato dall’addio di Cristiano Ronaldo. Provando ad andare oltre le inevitabili domande intorno alla gestione del portoghese, la Juventus - dopo aver cambiato in pompa magna il direttore sportivo e i vertici della dirigenza - ha fatto un mercato non solo senza soldi, quello lo si sapeva, ma anche povero di idee. In difesa è stato ceduto Demiral, che doveva essere il centrale del futuro, e Dragusin è stato mandato in prestito all’ultimo minuto; in cambio è tornato Rugani dal prestito disastroso al Cagliari. Anche come terzini tutto quello che è successo è stato ri-accogliere De Sciglio e Pellegrini dando via Frabotta. In un reparto che aveva mostrato qualche crepa l’anno scorso, di certo la Juventus non è migliorata, anche considerando che Chiellini ha un anno in più e non può giocare molte partite.
A centrocampo il colpo è stato Locatelli, che verrà pagato poi, e non si può dire che non sia un miglioramento. Eppure Allegri aveva fatto capire che serviva almeno un altro giocatore, schierando Danilo regista contro l’Empoli. Si è parlato molto di Pjanic, meno di Witsel, ma non è arrivato nessuno. Probabilmente il motivo è dovuto all’impossibilità di cedere qualcuno dei centrocampisti presenti in rosa, un reparto che non si può definire corto, ma certamente male assortito e con stipendi troppo alti. Almeno fino al rientro di Arthur, difficile da ipotizzare in giorni, davanti alla difesa dovrebbe giocare Locatelli, che però servirebbe più come mezzala. La scelta di mandare in prestito Fagioli, pur mancando un giocatore nel suo ruolo, certifica che la società (o Allegri) non puntano sul giovane, avranno ragione loro o è un’altra scelta miope?
In attacco sono arrivati due giocatori giovani a prezzi contenuti, per il futuro. Ihattaren è stato subito girato alla Sampdoria, mentre Kaio Jorge è rimasto a Torino, ma difficilmente potrà contribuire da subito in maniera importante (è stato anche lasciato fuori dalla lista Champions). Il cambio tra Cristiano Ronaldo e Kean, invece, è stato più forzato che voluto. Ronaldo è scappato a pochi giorni dalla chiusura del mercato e la soluzione improvvisa Kean è anche buona visti i tempi (seppur arrivato con un costo complessivo parecchio più alto di quello per cui era stato ceduto). Kean offre maggiore flessibilità all’attacco della Juventus, ma anche meno certezze, in una stagione già piuttosto piena di incognite.
La Juventus si può consolare con il risparmio sul monte ingaggi, liberato dallo stipendio pantagruelico di Ronaldo, un risparmio che magari andrà a generare mercati migliori più avanti. Al primo settembre, però, è difficile parlare di una rosa “migliorata”. L’anno scorso è arrivato un quarto posto, ma molte delle colpe sono state scaricate sull’allenatore. Allegri dovrebbe essere quindi “il più” di questa sessione. Se sia stata una buona scelta, lo scopriremo durante la stagione.
Hellas Verona
Il Verona visto nelle prime due partite è una bella squadra, sebbene abbia raccolto zero punti. Certo, fossi un tifoso del Verona inizierei a inquietarmi per le statistiche riguardano il suo allenatore. Eusebio Di Francesco non vince una partita dal 7 novembre del 2020 col Cagliari. Da quel giorno ha allenato altre 16 partite col Cagliari e 2 col Verona, e non ha mai vinto. Quest’anno ha dichiarato di voler seguire la traccia tattica lasciata da Juric, e il suo Hellas in effetti - con pressing alto, marcature a uomo, possesso palla semplice - ha giocato bene seguendo uno spartito noto. Mancava un centravanti, certo, ma l’acquisto di Simeone - seppure ricco di incognite - era interessante. Il problema è che all’ultimo giorno di mercato il club ha ceduto il suo miglior giocatore, quello che più rappresentava una garanzia per la salvezza, il migliore in campo delle prime due partite di campionato: Mattia Zaccagni. Al suo posto è arrivato Gianluca Caprari, che ha esperienza di Serie A e qualità tecniche non trascurabili. Ma l’abbassamento di livello è sensibile. C’era la questione del contratto in scadenza e di qualche soldo da prendere dalla sua cessione inevitabile. Eppure era difficile immaginare una mossa peggiore per essere ottimisti per la squadra, magari la sua situazione si sarebbe potuta gestire meglio.
Salernitana
Con una situazione societaria poco chiara - il 7 luglio è stato approvato il passaggio della società al trust Salernitana 2021 che dovrà trattare la cessione - era difficile ipotizzare un mercato concreto, ma dopo essere tornati in A a distanza di 23 anni si poteva fare meglio. Con una rosa miracolosamente arrivata seconda in Serie B e un gioco molto conservativo, a Castori sarebbero serviti molti giocatori "di categoria" per una stagione serena. Poco invece è stato fatto: il colpo di copertina è stato Simy, accanto a lui giocherà Bonazzoli, dopo una stagione poco fortunata a Torino. L’ultimo giorno di mercato per la difesa è arrivato Gagliolo. Il resto sono o acquisti fatti a zero (esotici come l’esterno Kechrida, disperati come Obi) oppure giovani in prestito di cui è difficile dare un giudizio. Dopo la brutta sconfitta con la Roma, il secondo di Castori Riccardo Bocchini ha parlato proprio di una mancanza di giocatori: «Soprattutto sulla lunghezza della rosa c'è da lavorare. [...]Abbiamo bisogno di giocatori in tutti i reparti e oggi si è visto di più perché c'erano tanti assenti». Negli ultimi giorni invece non è stato fatto molto. Nelle ultime ore la Salernitana è stata indicata come una delle squadre più attive sul mercato degli svincolati: vedremo se sarà sufficiente.
Due squadre dal mercato ambiguo
Lazio
Passando da Simone Inzaghi a Maurizio Sarri, Claudio Lotito faceva una scommessa ambiziosa. Se l’allenatore è una garanzia di risultati e spettacolo, mettergli a disposizione una rosa capace di interpretare il suo gioco, dopo un lustro abbondante di 3-5-2, non era un’impresa semplice. Specie per un presidente non proprio spendaccione come Lotito. Molto c’era da fare, molto è stato fatto, molto rimane da fare. La Lazio ha comprato tanti giocatori, soprattutto davanti, per permettere al tecnico di schierare il suo 4-3-3. È arrivato un veterano nel calcio di posizione come Pedro, una vecchia gloria come Felipe Anderson e uno dei migliori esterni degli scorsi campionati, Mattia Zaccagni. A loro vanno aggiunti i giovani Luka Romero - arrivato a parametro zero circondato da un hype messianico - e Raul Moro, promosso dalla primavera. Numericamente la Lazio davanti c’è, e non era scontato. La qualità, anche, c’è. Il cambio Zaccagni-Correa aggiunge forse consistenza nel rendimento e controllo nel gioco. Zaccagni è meno verticale e ha meno strappi di Correa, ma protegge meglio il pallone e la sua linearità può essere un pregio in una squadra di Sarri. Ma al buon mercato offensivo fa da contraltare un carente mercato difensivo. A centrocampo è arrivato un profilo interessante come Toma Basic, una mezzala molto atletica e con un gran sinistro, ma non si è ragionato sul regista che può almeno dare il cambio a Lucas Leiva, in un ruolo delicatissimo per Sarri. Luis Alberto regista è una possibilità concreta? Nel reparto difensivo però è stato fatto poco e niente, a parte Hysaj, e le incognite sono diverse. I giocatori si adatteranno alla difesa a quattro? Non manca forse un po’ di atletismo per sostenere una squadra che inevitabilmente si allungherà in avanti per sostenere il pressing alto?
La Lazio, insomma, esce dal mercato con tante certezze in più e qualche punto interrogativo, ma si sa: Roma non è stata costruita in un giorno.
Milan
Tutte le squadre di Serie A, nessuna esclusa, deve fare i conti con i danni finanziari della pandemia che si vanno a sommare agli annosi problemi strutturali del calcio italiano. Per cercare di non crollare sotto il peso di questa situazione c’è chi ha deciso di risparmiare sui costi dei cartellini, chi di fare cassa cedendo i pezzi migliori e chi, infine, ha invece optato per ridimensionare il monte ingaggi e le relative commissioni ai procuratori e agli agenti. Il Milan, evidentemente, ha optato per quest’ultima strada accettando il sacrificio tecnicamente doloroso di perdere quello che era senza dubbio il miglior portiere del campionato, e tra i migliori d’Europa, e il trequartista dai cui piedi passava una grossa fetta delle occasioni create dalla squadra di Pioli. Per sostituire Donnarumma e Calhanoglu il Milan si è affidata alla creatività di Massara e Maldini, che in quanto a originalità delle scelte non hanno deluso. Dal Lille è arrivato immediatamente Maignan, portiere con una sensibilità tecnica da centrocampista che viene da una grande stagione in Ligue 1, mentre per sostituire il trequartista turco i tifosi rossoneri hanno dovuto aspettare fino all’ultima giornata di calciomercato. Dal Crotone è arrivato Junior Messias e il fatto che sia stato acquistato all’ultimo momento fa pensare che non fosse proprio la prima scelta: d’altra parte per tutto il mercato si sono rincorse voci diverse, da Ounas a Corona, da Faivre ad Adli (effettivamente acquistato ma lasciato in prestito per una stagione al Bordeaux). Questi nomi ci dicono comunque che Messias rientra perfettamente nel profilo a cui andava alla ricerca il Milan: un giocatore forte in progressione, che sapesse superare l’uomo con facilità, e che potesse quindi risalire molti metri di campo palla al piede. Caratteristiche che lo rendono piuttosto diverso da Calhanoglu, che d’altra parte però sarebbe stato difficile da sostituire in qualsiasi caso.
Al di là di come dovrà adattarsi il gioco di Pioli ai suoi nuovi interpreti, comunque, l’incognita principale che rimane sul tavolo è se Messias riuscirà ad alzare ulteriormente l’asticella tecnica, mentale e atletica del suo gioco fino ad arrivare a ciò che si aspetta il Milan. Lo stesso si può dire ovviamente anche di Mike Maignan, che comunque ha ancora 26 anni (un’età relativamente giovane per un portiere) e ha giocato solo 6 partite in Champions League. L’impressione è che il club rossonero, forse cosciente del fatto che sostituire Donnarumma e Calhanoglu con giocatori del loro livello sarebbe stato difficile in ogni caso, abbia preferito rischiare sui loro rimpiazzi pur di puntare sulla conferma del resto del gruppo che così bene ha fatto la scorsa stagione. Lo si vede anche nel modo in cui Maldini e Massara hanno deciso di tamponare la terza grossa “perdita” di quest’estate, e cioè Zlatan Ibrahimovic, che ancora non sappiamo in che condizioni fisiche tornerà. Nel suo ruolo sono arrivati Olivier Giroud e Pietro Pellegri, che in maniera diversa sono entrambi scommesse da vincere. In questo modo, il Milan ha fatto le scelte più importanti nel confermare alcuni elementi chiave dello scorso anno, spendendo una fetta consistente del budget sul riscatto di Tomori, rinnovando il prestito di Brahim Diaz (che a sua volta ha un diritto di riscatto molto consistente fissato a 22 milioni) ed evitando di essere costretti a vendere qualche altro pezzo dell’argenteria (leggi: Theo Hernandez). Quella del Milan è ovviamente una scelta rischiosa, come tutte le scelte, ma dipende anche da quali obiettivi stagionali utilizziamo per giudicarla: se è difficile sostenere che questo mercato abbia messo il Milan nelle condizioni di essere più competitivo dell’anno scorso (cioè in sostanza di vincere il campionato), il discorso cambia se invece l’obiettivo fosse quello di mantenere ciò che è stato conquistato lo scorso anno. E al Milan, inteso come azienda, ciò che interessa di più è rimanere in Champions League.
Una squadra dal mercato ambizioso: Roma
È la squadra che ha speso di più in Italia, quasi 100 milioni, una trentina più della seconda, il Milan, ma in mezzo a una trama di scelte che hanno cercato soprattutto di risolvere gli imprevisti del mercato. «Un mercato di reazione», lo ha definito Mourinho. La Roma sembrava voler investire molti soldi su un mediano - Xhaka? Zakaria? - ma il domino di mercato che ha portato Dzeko all’Inter l’ha costretta a spostare quei soldi su un centravanti. Il cambio Dzeko-Abraham ha accelerato un rinnovamento in attacco che era rimasto incastrato in un limbo da almeno tre anni (erano tre anni, più o meno, che Dzeko voleva andar via). L’impressione è che la Roma abbia guadagnato molto dall’arrivo dell’inglese: per integrità fisica, mobilità e presenza in area di rigore. Nelle prime quattro partite la pericolosità offensiva della Roma sembra essere su un altro livello rispetto alla scorsa stagione, anche grazie all’arrivo di Shomurodov, che aggiunge mobilità nelle corse senza palla e tanta flessibilità (è stato già impiegato a destra, a sinistra, al centro). Quest’emergenza ha però lasciato scoperto il ruolo del mediano, e Mourinho ha detto ai microfoni più volte che «Qualcosa manca». Diawara e Villar, sulla lista delle cessioni, sono rimasti, ma a Mourinho non piacciono e li utilizza mal volentieri. Dovesse farsi male Cristante, equilibratore delle distanze, sarebbero problemi. Anche dietro la coperta pare corta: manca una riserva di Karsdorp affidabile e i giovani Ibanez e Kumbulla hanno convinto a fasi alterne finora, soprattutto per la loro abitudine a giocare in sistemi a tre (Fonseca rinunciò alla difesa a 4 di fronte ai limiti della rosa). Starà a Mourinho, allora, rendere solida e affidabile una squadra che si è rafforzata in modo significativo solo in attacco, ma che lo scorso anno aveva una delle peggiori difese del campionato.
Due squadre dal mercato funzionale
Inter
L’Inter ha chiuso il mercato in attivo di 160 milioni, e non poteva essere altrimenti, dopo aver ceduto Romelu Lukaku e Achraf Hakimi, e cioè due dei migliori giocatori presenti nel campionato italiano. Due cessioni deludenti per modalità e tempistiche, forse, anche se un ridimensionamento era stato annunciato dalla società. In un’atmosfera di cupa decadenza, l’Inter è riuscita a mantenere i nervi saldi e a operare nel modo più razionale possibile, a cominciare alla scelta di affidare la panchina a Simone Inzaghi. Non si tratta solo di mantenere il 3-5-2 di Conte, ma anche di prendere uno degli allenatori più interessanti e al contempo affidabili del calcio italiano. Senza spendere molto, è arrivato un esterno interessante come Dumfries, una fonte creativa già testata nel nostro campionato come Calhanoglu, un riferimento offensivo di alto livello come Dzeko e un esterno con forse ancora margini di miglioramento come Correa. È inutile dire che l’Inter non sentirà la mancanza di due assoluti fenomeni come Lukaku e Hakimi, ma l’ossatura della squadra è rimasta comunque abbastanza solida, l’undici ha qualità e la possibilità di vincere lo Scudetto passa dal tipo di prestazioni che offriranno i nuovi arrivi: Dzeko riuscirà a segnare di più rispetto alle ultime stagioni? Correa sarà più concreto negli ultimi metri? Calhanoglu si adatterà al sistema di Simone Inzaghi? Quando si cambia molto le domande sono inevitabili, ma l’Inter è riuscita a mantenere una rosa molto competitiva, e ben assemblata, pur all’interno di una sessione di mercato di sacrifici.
Napoli
Sembrava un calciomercato di cessioni e trasformazioni, ma infine la rosa del Napoli è rimasta più o meno intatta. Poco si è mosso, a parte che l'infortunio di Demme ha costretto la dirigenza a muoversi per acquistare un mediano. La scelta di prendere Zambo Anguissa è tanto affascinante quanto difficile da leggere. Spalletti è abituato ad avere davanti la difesa centrocampisti essenziali nella gestione del pallone, che giocano a pochi tocchi e gestiscono i ritmi. Anguissa, invece, è un acceleratore: un centrocampista che ama partire in conduzione, dribblare, spezzare i ritmi. Un tipo di profilo interessante, che in genere in Serie A funziona bene per il livello di atletismo sopra la media. Bisognerà vedere se il Napoli non soffrirà l'assenza di un regista, visto che nelle prime due partite è sembrato piuttosto disordinato. Si è cercato come sempre un terzino sinistro per sostituire Mario Rui, e come sempre Mario Rui lì è rimasto lì dov'è, e alla seconda giornata ha servito un assist. Per il resto, non aver ceduto nessuno di significativo mantiene il livello della rosa piuttosto alto, nel contesto di un campionato in un cui squadre che le sono arrivate sopra sembrano indebolite o con qualche grossa lacuna. Nonostante un paio di prestazioni non del tutto convincenti, il Napoli può essere ottimista. Più che dai nuovi acquisti il miglioramento dovrà passare dalla mano di Spalletti e da giocatori che già c'erano e che sono chiamati ad alzare le proprie prestazioni: Koulibaly, Ruiz, Osimhen, Lozano, oltre a Ounas, in aria di cessione fino all'ultimo ma infine rimasto, con un talento nel dribbling che in pochi hanno in Italia.
Le squadre dal mercato più disfunzionale
Spezia
Lo Spezia nel giro di pochi giorni si è trovata scippata dell’allenatore che tanto bene aveva fatto e con il mercato bloccato per due anni dalla prossima sessione, non certo l’ideale. Per sostituire Italiano è arrivato Thiago Motta, un allenatore giovane e ambizioso ma tutto da provare, avendo allenato appena per una decina di partite il Genoa, senza grandi risultati. Il mercato, tra entrate e uscite, è stato molto movimentato. L’aspetto positivo è che è riuscita a tenere alcuni dei migliori giocatori della scorsa stagione, finendo per perdere, tra i titolari, diciamo, solo Pobega e Farias (più Ricci portato però a scadenza e altri come Chabot, Piccoli e Marchizza). N’Zola è rimasto, ma al momento è fuori squadra ed è difficile dire se è stato un bene oppure se avrebbero fatto meglio a monetizzare ora la sua cessione. Il mercato in entrata è stato colossale, ma di difficile definizione. Sono arrivati tanti giocatori (21), ma è difficile farne una valutazione. Alcuni colpi sono interessanti, come Kovalenko e Bourabia, giocatori con poco spazio in Atalanta e Sassuolo, altri misteriosi come Manaj, Sher e Strelec. È vero che bisognava adattare la rosa a un allenatore con un gioco molto diverso dal suo predecessore, ma smontare e rimontare una squadra che aveva fatto una buona stagione non sembra mai una buona idea. Certo: il fascino di un mercato abbondante ed esotico è alto e magari lo Spezia ha comprato qualche nuovo fenomeno nascosto. Guardiamo queste squadre anche per scoprirlo.
Venezia
Interpretare il calciomercato del Venezia è come leggere i fondi del caffè. In bocca al lupo a capirci qualcosa. Sono arrivati:
- Gli americani Tanner Tessmann, Jack De Vries e Gianluca Busio, trio interessante - soprattutto Busio - che vedrei bene anche nella nuova stagione di Fargo.
- Il centravanti idolo di Cosenza Okereke.
- Il giovane difensore inglese Ethan Ampadu, un tempo noto per i suoi dreadlock e oggi caduto un po’ in disgrazia.
- Lo sfortunato difensore incerottato Mattia Caldara.
- Il centrocampista offensivo islandese Sigurdsson, buon tiro, un passato in Russia.
- L’isaeliano Don Peretz, già definito «Un giocatore di grande spessore» da Zanetti.
- Tyronne Ebuehi, terzino proveniente dal Benfica B che mi chiedo con quale percorso mentale sia venuto in mente al genio dello scouting veneziano Alex Menta.
- Il centrocampista finora sembrato né carne né pesce, Sofiane Kyine.
- Ridgeciano Haps, terzino surinamese con diverse stagioni a buoni livelli alle spalle in Olanda, che a dispetto del nome esotico pare il più affidabile della lista.
- L’attaccante francese che giocava in Belgio Thomas Henry, che con senso dell’umorismo ha preso la maglia numero 14 di Thierry Henry.
- David Schnegg, terzino austriaco che viene dal LASK, che però aveva dato in prestito allo Swarovski Tirol.
- Il trequartista/mezzala belga, piuttosto enorme, Daan Heymans.
Come farà, Zanetti, a rendere questo cesto di giocatori una squadra?
L’acquisto più strano: Ethan Ampadu
Ethan Ampadu lo conoscevamo per i suoi rasta lunghi e l’aria confusa del liceale strafatto alla prima occupazione quando dalla panchina al Chelsea stava sempre per diventare il nuovo nome da segnarsi tra i giovani del club londinese. Oggi, però, la realtà è più grigia di così: Ampadu ha i capelli rasati e viene da due prestiti poco convincenti al Red Bull Lipsia e allo Sheffield United. Vederlo in Serie A con la maglia del Venezia sarà come rincontrare un vecchio amico del liceo che sembrava destinato a sfondare nel mondo della musica vestito in giacca e cravatta, e già due figli al seguito.
Ma davvero abbiamo già perso ogni speranza di vederlo sbocciare ad alti livelli? O Ampadu può ricostruire la sua strana aura di coolness con la glamourissima maglia del Venezia? Le ultime esperienze non sono proprio confortanti. Da quando Ampadu ha esordito con la maglia dei “Blues” nel dicembre del 2017 il mondo è sembrato lentamente crollargli addosso. L’allenatore che aveva avuto fiducia in lui (Antonio Conte) è scappato a fine stagione in rotta totale con lo spogliatoio facendo entrare il Chelsea in un lungo periodo di confusione tattica finito solo la scorsa stagione. Nel frattempo le squadre in cui ha provato a rilanciarsi hanno sempre finito in qualche modo per chiudergli la porta in faccia: il Lipsia con la forte coppia di centrali Upamecano-Klostermann, lo Sheffield United con la retrocessione dalla Premier League a fine anno. Quando quest’estate il Galles lo ha chiamato per gli Europei è risorta qualche speranza che potessimo finalmente affermarsi ad alti livelli, e invece alla sua prima apparizione da titolare, contro l’Italia, ha finito la partita al 55esimo per un’espulsione abbastanza severa. Ampadu, insomma, non è stato proprio fortunato: non il migliore degli auspici per una squadra che, per salvarsi, di fortuna ne avrà molto bisogno. In attesa di capire come andrà a finire, speriamo almeno che ritorni una capigliatura più coerente con la splendida maglia del Venezia. Si può sempre retrocedere, ma almeno bisogna farlo con stile.
La cessione più dolorosa: Romelu Lukaku
È stato un fulmine a ciel sereno: un giorno Lukaku era il simbolo della nuova Inter vincente, un centravanti fenomenale che non solo si era caricato la squadra sulle spalle, ma incarnava anche alla perfezione l’ideale di calciatore immagine: cool nella vita privata, serio nelle dichiarazioni, evidentemente attaccato ai tifosi; il giorno dopo, invece, era il nuovo centravanti del Chelsea fresco vincitore della Champions League. Certo, gli inglesi l’hanno pagato - 115 milioni di euro cash - ma era anche la società che per due volte l’aveva respinto. Questo abbandono improvviso, senza stare a indagare troppo se sia stato voluto più dal giocatore (che poi ha dichiarato il Chelsea essere «un sogno») oppure dalla società che in un colpo solo risolve molti dei suoi problemi economici, è triste per tutti. Per gli spettatori neutrali della Serie A, che perde uno dei giocatori più forti e carismatici, e - ovviamente e soprattutto - per i tifosi dell’Inter, che perdono un giocatore su cui avevano investito molto a livello emotivo. Cosa dire? Per farvi forza potete affidarvi alla frase da Baci Perugina “È meglio aver amato e perso che non aver mai amato”. Se pensate che sia di Shakespeare come me, vi sbagliate: viene da una poesia di Alfred Tennyson. Inglese, ma non tifoso del Chelsea (è morto tredici anni prima che il club venisse fondato).
Gli acquisti più affascinanti
Theun Koopmeiners
Esterni o centrocampisti per l’Atalanta significano una sola cosa: Nord Europa, o comunque paesi freddi, montuosi e che amano il formaggio (scusate, c’era Remo Freuler a fare da eccezione). Se il prototipo di questo tipo di giocatore per la squadra di Gasperini di solito significa atletismo eccezionale, grande intensità in campo e applicazione tattica maniacale, con Koopmeiners - olandese classe 1998 proveniente dall’AZ - l’Atalanta si è concessa un’eccezione. Particolarmente pesante sulle gambe, Koopmeiners sembra sempre fare tutto con grande calma: quando si prepara al lancio lungo con il sinistro, il suo principale marchio di fabbrica, sembra curare la coordinazione del corpo con la stessa cura di chi sta creando una composizione floreale. Insomma, è un regista con una grande responsabilità tecnica e che ama giocare molto sul lungo: un profilo che all’Atalanta mancava del tutto e che aggiunge quindi nuovi colori alla tavolozza di Gasperini. Senza più Gomez, e con Ilicic che sembra ancora lontano dalla forma migliore, forse l’Atalanta con Koopmeiners potrebbe abbassare il suo fulcro creativo dalla trequarti alla mediana, concedendogli una fetta delle responsabilità creative della squadra. Certo, mettere in panchina uno tra De Roon e Freuler in questo momento non sembra facile, ma va detto che Koopmeiners nella sua carriera ha fatto spesso anche il difensore centrale, anche se dovrebbe adattarsi all’intensità e all’aggressività richiesta da Gasperini in difesa. Insomma, un’altra scommessa di Giovanni Sartori che sarà interessante tenere d’occhio.
Junior Messias
Lo so che per i tifosi del Milan il fatto di aver preso un giocatore del Crotone che fino a qualche anno fa faceva il fattorino è esattamente la ragione per cui sono mediamente insoddisfatti di questo acquisto, ma vista da fuori non vi sembra una delle più grandi storie della Serie A degli ultimi anni? Al di là della facile retorica della favola di un giocatore che è passato dal dilettantismo alla Champions League nell’arco di sei anni - comunque giustificata, per una volta - vedere Messias con la maglietta del Milan sarà interessante anche da un punto di vista tecnico. La squadra di Pioli è una di quelle in Serie A che attacca meglio in transizione e per tutta questa sessione era alla ricerca di giocatori che portassero palla in conduzione e dribblassero molto (oltre a Messias, si è parlato molto di Ounas, Corona e Faivre), e la scorsa stagione Messias non solo si è dimostrato tra i migliori del nostro campionato a fare questo ma anche tra quelli che lo facevano con più stile. Messias è uno dei pochissimi giocatori arrivati in tarda età ai massimi livelli che non sembra giocare con il peso dell’umiltà e del sacrificio sulle spalle. Quando porta palla, al contrario, sembra sempre camminare su un cuscinetto d’aria, facendo cadere gli avversari ai suoi piedi con pause e finte che sono una rarità per la Serie A. Magari per la prima volta Messias si dimostrerà inadeguato al livello che inaspettatamente ogni anno si ritrova ad affrontare, come gli ripetono in continuazione da quando ha iniziato la sua scalata al professionismo, ma almeno lasciateci e lasciamoci il beneficio del dubbio.
Luka Romero
Quanto vi fidate dei giovani talenti che vengono paragonati a Messi? Il buon senso dovrebbe portarvi a rispondere “poco”, ma il calciomercato si fa anche con l’intuizione e un pizzico di romanticismo. Luka Romero ha 16 anni, il viso selvaggio da Libro della Giungla, il mullet e un talento che ha accecato tutti quelli che l’hanno visto da vicino. A guardare le poche testimonianze video dei suoi scampoli di partita sembra davvero di rivedere le movenze della Pulga, anche se con uno stile meno levigato, più selvaggio per l’appunto, un controllo palla in corsa meno irreale, più sporco. Romero è argentino ma è nato in Messico e ha vissuto in Spagna per quasi tutta la sua vita. La prima squadra ad arrivarci è stata il Maiorca, che lo ha reso prima il più giovane esordiente nella storia della Liga e poi, dopo la retrocessione, il più giovane marcatore nella sua storia, in Serie B spagnola.
Quest’estate la Lazio a sorpresa ha deciso di provarci, aggregandolo subito alla prima squadra. «Non ho mai visto un sedicenne con questa qualità e determinazione», ha dichiarato Sarri qualche giorno fa poco prima di farlo esordire in Serie A facendogli bissare il record di precocità dell’esordio anche nel club biancoceleste. Vedremo se questa dichiarazione rimarrà valida anche nei mesi e negli anni a venire.
Gli acquisti più cool
Tammy Abraham
Londinese di origine nigeriana, Abraham arriva in una squadra disperatamente bisognosa di musica decente da ascoltare. Che musica? Afrobeat, R&B, Hip Hop, «Qualsiasi cosa che mi tiri su». Se volete testare la sua conoscenza musicale eccovi un video, in cui dimostra anche un certo talento canoro:
Nello spogliatoio meno reggaeton e più Burna Boy, più Davido. Artisti che fondono l’hip hop e l’afrobeat e che stanno rivoluzionando il sound della scena rap britannica. Abraham altissimo, con le punte dei capelli biondi, le Jordan, porta un tipo di coolness londinese di cui la Serie A era praticamente sprovvista.
Mohamed Ihattaren
Calciatore olandese di origine marocchina, calzettoni bassi, piede mancino più sensibile delle mani di uno scultore, corsa a testa alta, la benedizione di Ibrahim Afellay. Tutto intorno a Ihattaren ha a che fare con i motivi per cui molti di noi guardano il calcio: vedere i ragazzi geniali diventare forti, vedere esseri umani che manipolano un pallone con senso artistico, portare il gusto del calcio di strada sui campi professionistici. E tutti questi motivi potrebbero anche cospirare per far fallire la carriera di Ihattaren, che nelle sue due stagioni col PSV è sembrato a tratti troppo fragile per il calcio contemporaneo. Troppo lento, troppo innamorato del pallone, forse, troppo incline a un calcio solo ideale. In ogni caso la Juventus lo ha pagato poco e quindi può permettersi anche il suo eventuale fallimento, guardandolo nel caso da lontano visto che nel frattempo lo ha girato alla Sampdoria. I blucerchiati hanno costruito un quadrato offensivo paradossale: Damsgaard-Ihattaren-Caputo-Quagliarella, due giovani talentuosissimi e peculiari, due vecchietti maestri dell’antico mestiere del centravanti. Un calciomercato che pareva minore per la squadra di D’Aversa, è diventato all’improvviso uno dei più interessanti.
L’acquisto col nome più bello: Ridgeciano Haps (Venezia)
Pochi dubbi, anche in un calciomercato di Ethan Ampadu. Nel 2016 finì anche nella nostra Top undici stagionale dedicata alla Eredivisie.
Quelli rimasti col cerino in mano
Domenico Berardi
È una vita che Domenico Berardi rimane col cerino in mano. È stato per anni proprietà della Juventus, senza che poi la Juventus se lo sia preso per davvero: pure in anni in cui la Juve si è presa un po’ tutti. Poi è stato lui, si dice, a rifiutare la corte della Juventus, scegliendo di restare al Sassuolo. Alla fine Berardi sarebbe stato peggio di Bernardeschi? Oggi per esempio non potrebbe fare comodo? Questa estate lui avrebbe voluto andar via, dopo nove anni al Sassuolo. Si diceva che la Fiorentina avesse offerto 30 milioni, e poi che l’Atalanta lo voleva per sostituire Ilicic. Infine è rimasto come sempre: «Per lui non è arrivata formalmente nessuna offerta. Non prenderemo in considerazione in ogni caso nessuna trattativa, non ci sarebbero tempi e comunque il giocatore per noi ha un valore economico ancora superiore a quello di Locatelli» ha detto l’Amministratore Delegato del Sassuolo Andrea Carnevali. E se Locatelli è stato pagato 37 milioni e mezzo per meno di 40 Berardi non sarebbe partito. A queste condizioni è facile che Berardi rimanga al Sassuolo per sempre, diventando a sorpresa una delle ultime bandiere del calcio contemporaneo.
Nahitan Nandez
Al suo ritorno dalle vacanze successive alla Copa America, Nahitan Nandez si era rifiutato di partire con la squadra per una amichevole in Spagna. Qualche giorno dopo aveva pubblicato una lettera sul proprio profilo Instagram per spiegare ai tifosi la situazione. «Mi è stata data una parola d'onore e voglio che venga mantenuta, come sempre ho fatto io dentro e fuori dal campo», scriveva, spiegando come i dirigenti gli avessero promesso di cederlo all’Inter, che in quei giorni sembrava spingere molto per l’acquisto del centrocampista. In quel momento Nandez sembrava totalmente fuori dal progetto Cagliari, ma con il passare dei giorni tutte le piste si sono raffreddate. L’Inter ha finito per prendere Dumfries come esterno di fascia e anche la Roma, di cui si è parlato negli ultimi giorni, ha preferito rimanere ferma. Addirittura nell’ultimo giorno di mercato il Cagliari avrebbe rifiutato un’offerta del Watford per Nandez. In una sessione di mercato all’insegna delle cessioni per ripianare il bilancio, il Cagliari ha fatto una scelta forte, tenendo il suo miglior giocatore, forse nella speranza di cederlo in sessioni di mercato più ricche. Ora però deve risolvere le questioni interne con Nandez. Avere un giocatore così importante e così scontento non è il massimo per una società che punta alla salvezza, ma neanche per un giocatore non così tanto affermato. Dovesse perdere il posto tra i titolari, o abbassare il livello delle sue prestazioni, è facile che le squadre che lo volevano in questa sessione possano in fretta dimenticarsi di lui.