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Chi ha vinto il calciomercato 2018
22 ago 2018
Power ranking delle squadre di Serie A in base al loro mercato estivo.
(articolo)
41 min
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20. Chievo Verona

Il Chievo aveva smesso di vivere nel timore che dall’esito di una campagna acquisti dipendesse in senso vincolante la sua permanenza in Serie A. Nella passata stagione, quella sensazione è riaffiorata al termine di un mese di gennaio che aveva lasciato la società di Campedelli a soli 5 punti dalla zona retrocessione (in mezzo a un filotto di 10 partite senza vittorie). Eppure, anche in quel caso il Chievo è rimasto paziente ad aspettare che le cose migliorassero, ha confermato Maran alla guida e si è limitato ad aggiungere Giaccherini, è stato trattato per più di un mese all’interno della trattativa Inglese, e poi annunciato soltanto a un’ora dalla fine dalla fine del mercato.

Con lo stesso approccio blando, il direttore sportivo Romairone ha affrontato l’ultima campagna acquisti. In estate, l’attenzione pubblica è stata catturata dal “caso plusvalenze fittizie” che rischiava di condannare i veronesi alla Serie B. Al momento la procura sta riformulando le accuse, e non è escluso che possano arrivare penalizzazioni nel corso di questa stagione. Di sicuro non deve essere stato semplice, in questo clima di instabilità, proporre un progetto convincente ai primi obiettivi sulla lista. Quasi tutte le medio-piccole si sono regalate almeno un nome da urlo, una maglietta da incorniciare dietro ai banconi dei bar (Boateng al Sassuolo! Srna al Cagliari! Gervinho al Parma! Campbell al Frosinone!), mentre il Chievo è rimasto ancora paziente, a raccogliere nel silenzio generale quel che rimaneva.

Alla rosa dell’anno passato si sono uniti Barba, Rossettini, Obi, Burruchaga e Djordjevic (ma nel conteggio bisogna inserire anche Tanasijevic e Kiyine, rientrati dai rispettivi prestiti). Tutti i volti nuovi sono stati acquistati a titolo definitivo, anche se i 3 milioni spesi per Barba rappresentano l’investimento più oneroso. Sulla carta sono acquisti poco ambiziosi ma tatticamente inquadrati: Barba è alto e tecnico, il profilo giusto per una squadra che si ritrova spesso a difendere in area di rigore, e che affida volentieri la palla ai centrali per rallentare i ritmi di gioco; Obi è il centrocampista ideale per un 4-3-3 che si appoggia molto alle catene laterali, e chiede alle mezzali di svuotare il centro per i movimenti dei trequartisti; Djordjevic può tornare utile come riferimento centrale in situazione di svantaggio, quando i cross rappresentano la soluzione principale per arrivare in area di rigore.

Di fatto il Chievo non ha migliorato - al più ringiovanito, al più reso un po’ più profonda - la rosa che nella passata stagione ha fatto molta fatica a salvarsi, che sembrava spacciata prima dello scontro diretto contro il Crotone, e che nel frattempo ha perso Inglese e Castro, due dei riferimenti tecnici del sistema di Maran. Il 4-3-3 di D’Anna poggia invece sulla fantasia delle ali, e quindi in particolare su Giaccherini e Birsa, due giocatori che hanno già dimostrato di poter salvare a colpi di genio una squadra alla deriva. Se fosse arrivata almeno una terza opzione in grado di ereditarne i compiti di creazione e rifinitura, avrebbe gettato una luce diversa su questo mercato paziente e frugale.

19. Bologna

Probabilmente nessuno si sarebbe aspettato un calciomercato così sottotono a Bologna. L’esonero dell’allenatore e la cessione del giocatore più importante decretavano la morte (e il fallimento) del vecchio ciclo tecnico, e si pensava quindi ci sarebbe stata una rivoluzione.

Per certi versi è stato così: oltre a Verdi è partito Federico Di Francesco, forse il giovane di maggior valore in rosa e Antonio Mirante, leader dello spogliatoio. La scelta di Filippo Inzaghi in panchina ha dato però una certa continuità tattica: il Bologna è una squadra iper-pratica e che costruisce i propri risultati sulla solidità difensiva, come era stata già quella di Donadoni.

Per questo si è scelta una linea di calciomercato sobria ai limiti dell’austerità, che ha puntato su giocatori di temperamento ed esperienza, senza troppi picchi tecnici. Danilo, Federico Santander, Dijks: tutti acquisti che vanno in questa direzione. Il Bologna ha chiuso con un verde di bilancio di circa 11 milioni di euro. L’unico acquisto di alto profilo è stato in porta, dove è arrivato un portiere con alcuni limiti, ma fenomenale tra i pali come Lukasz Skorupski. Per il resto solo realismo. Come ha scritto un lettore de l’Ultimo Uomo nei commenti della guida al Bologna, “non c’è neanche un giocatore per cui andare allo stadio”.

Il Bologna solo lo scorso anno era una squadra con ambizioni da metà classifica: non da Europa, ma di quella parte di classifica al confine tra colonna sinistra e destra dove stanno le squadre che hanno almeno un progetto. Il fatto che ora si parli apertamente, e con toni un po’ depressi, di lotta salvezza dà la misura della negatività di questo mercato.

Il Bologna ha fatto all-in su Inzaghi: dalla sua capacità di moltiplicare le qualità di una rosa povera passa la salvezza del Bologna, che forse mai come quest’anno - dall’inizio dell’era Saputo - penserà soprattutto a salvarsi.

18. Udinese

Dopo anni a vivere volutamente al di sotto delle proprie possibilità, coscienti di poter mantenere la categoria facendo il minimo indispensabile (e riservando gli investimenti per il Watford), la scorsa brutta stagione deve aver veramente spaventato i Pozzo, perché il mercato dell’Udinese ha subito una svolta questa estate. Ha perso due giocatori importanti come Jankto e Danilo e venduto Meret prima ancora di vederlo titolare con la propria maglia, vero, ma ha soprattutto scritto il proprio record storico spendendo 20 mln per far arrivare un giocatore promettente come Mandragora (anche se con una formula che assomiglia più a un prestito biennale per via della clausola di riacquisto per la Juventus nel 2020 per 26mln e le clausole che di fatto “sconsigliano” all’Udinese di vendere ad altri il giocatore).

Poi è tornata a una versione vintage del proprio mercato, andando a fidarsi della propria rete di scout per prendere giocatori sudamericani e africani. Tutte vere e proprie scommesse, con l’attaccante esterno Ignacio Pussetto e il portiere Juan Musso le due più importanti (12 milioni in due).

L'idea di tornare ad affidarsi al mercato sudamericano e africano può essere positivo, ma anche il maggiore rischio. Può succedere di accorgersi troppo tardi di aver esagerato nelle scommesse: come nel caso di Felipe Vizeu dal Flamengo e Nicholas Opoku dal Club Africain, due giocatori ancora giovanissimi, che il precampionato ha mostrato ancora acerbi. Un fatto che ha costretto il DS Pradé nelle ultime ore di mercato a cercare una punta e un centrale con più esperienza.

Sono arrivati Lukasz Teodorczyk dall’Anderlecht e William Troost-Ekong dal Bursaspor, giocatori di livello medio ed esperienza europea. Non si può dire quindi che l’Udinese non abbia fatto un mercato proattivo per uscire dalla mediocrità degli ultimi campionati. Il problema però è che dopo tanti anni di mediocrità, il lavoro da fare è talmente tanto che non basta un’estate di scommesse. Sicuramente tra tutti i giocatori presi qualcuno risulterà di livello (al momento Machís preso dal Granada sembra il candidato) e certo dovessero pagare tutte allora il giudizio cambierebbe, ma un mercato fatto solo di scommesse (tranne Mandragora) raramente finisce per funzionare. Rimane però il fatto che finalmente l’Udinese si è svegliata dalla stagnazione in cui stava vivendo una società che per strutture e livello di scouting poteva fare molto di più da anni.

17. Frosinone

Con l’acronimo MDMA, oltre che alle metanfetamine, ci si può riferire al Mercato Delle Matricole/Ascese, delle neopromosse insomma: come l’ecstasy ha effetti eccitanti ed empatogeni sul cortissimo periodo, e potenzialmente dannosi - se non letali - sul lungo.

Il mercato del Frosinone di quest’anno, tra tutte le squadre di Serie A, è quello che più incarna tutti i crismi dell’MDMA: sedici giocatori nuovi, un quarto dei quali arrivati al fotofinish, molti in prestito, non tutti forse funzionalissimi all’idea di calcio dell’allenatore (per quanto, sotto questo punto di vista, i ciociari sembrerebbero invece essersi mossi sul mercato sull’onda di un’intuizione, cavalcata con coerenza) ma allo stesso tempo portatori sani di quel bieco entusiasmo che ammanta tutte le squadre che cambiano pelle in maniera così radicale, generando contesti ibridi nei quale convive un mélange apparentemente improvvisato di veterani, scommesse per le quali a dar retta ci vorrebbe la poker-face più impenetrabile di sempre, atleti in cerca di riscatto o Canti Del Cigno.

Così come a ogni Fantacalcio esiste sempre, alla fine dell’asta, un vincitore morale, allo stesso modo al Frosinone va riconosciuto il merito di aver tenuto fede a un principio, cioè quello di assicurarsi interpreti esperti - seppur non rodati - da incasellare sullo scheletro del 3-5-2 che è lo schema prediletto di Longo, e che per certi versi potrebbe anche sembrare un’iniezione di fiducia sul progetto del suo tecnico.

Sportiello, che dopotutto è sempre un portiere discretamente affidabile, sarà schermato da una difesa inedita per due terzi (o quattro quinti, se assumiamo che Molinaro e Zampano si abbasseranno spesso in fase difensiva) nella quale sono stati innestati Goldaniga e Salamon, e chissà che non diventi del tutto nuova con l’impiego anche dell’ex cagliaritano Capuano. C’è qualcosa più Neopromossa di una difesa completamente inedita?

Hallfredsson e Crisetig a centrocampo insidieranno l’esperienza militante di Chibsah e Maiello, ma è soprattutto in attacco che l’affollamento di volti nuovi è più vistoso. Pinamonti, Perica, Campbell e Ardaiz sono esattamente, come in un college-movie americano, la personificazione dei diversi fenotipi necessari a ogni matricola: il giovane in rampa di lancio, lo sfiduciato in cerca di riscatto, il diamante leggermente opacizzato che vuole tornare (o iniziare) a brillare e lo sconosciuto (per quanto sia possibile, nei nostri tempi) dall’appeal esotico, della cui abilità non riusciamo a farci convincere neppure dai video su YouTube.

Con il beneficio della smentita, ovviamente. Perché stupirci, poi, è la caratteristica principe di ogni MDMA, intesa come sostanza psicotropa, o acronimo per il mercato delle neopromosse.

16. Parma

Negli ultimi tre anni – quelli che hanno segnato la risalita in massima serie – il Parma ci ha abituato a sessioni di mercato molto vivaci, quasi eccessive: ogni sei mesi gli spogliatoi del Tardini venivano affollati da stormi di esterni offensivi, accompagnati da difensori rocciosi e centrocampisti box to box. Per questo motivo, le prime settimane di mercato sono state un po’ deludenti: sui giornali si parlava di Cassano e Balotelli, ma il diesse Faggiano predicava miseria: ‹‹Quando ho saputo il prezzo di Balotelli sono scappato, per noi certe cifre sono impossibili››.

Il Parma ha preso molti giovani in prestito (Sepe, Dimarco, Bastoni), e si è giocato qualche scommessa dalle categorie inferiori (su tutte, Galano e Stulac). A questi hanno aggiunto Bruno Alces, Gobbi e Rigoni, giocatori di grande esperienza (forse troppa: fanno 106 anni in 3). Al 13 agosto l’acquisto più esoso era stato quello di Biabiany, per 2 milioni.

Una cautela dovuta ai problemi con la giustizia sportiva (il ‹‹pippein-gate››), che rischiavano di mettere subito le ganasce alla stagione. La sentenza del 25 luglio ha garantito la permanenza in Serie A, quella del 9 agosto ha esonerato il Parma da ogni tipo di penalità, permettendo alla società di sbizzarrirsi.

Il primo acquisto è stato Roberto Inglese, arrivato in prestito oneroso dal Napoli al termine di una trattativa fulminea. Dopo l’attaccante il Parma ha chiuso altri tre giocatori, in scioltezza: i prestiti di Grassi e Sprocati, e l’incredibile acquisto di Gervinho.

L’attaccante ivoriano torna in Italia dopo l’esperienza in Cina, dove ha giocato pochissimo (solo 29 partite in due anni). A 31 anni Gervinho è un giocatore che può ancora dare garanzie, e magari uno di quei contropiedi che a Roma ancora ricordano (insieme ai tanti errori grossolani, parte inalienabile del pacchetto). Nessuno conosce il suo stato di forma, ma del resto il Parma ha già Di Gaudio, Ciciretti, Biabiany, Siligardi, Sprocati, Baraye, Ceravolo, Inglese e Da Cruz. Avranno pensato: "perché no?".

Dal canto nostro, è difficile capire se questa strategia di mercato sarà o no vincente. Il Parma riuscirà a dosare tutti suoi tanti attaccanti o naufragherà sotto il peso della sua bulimia?

15. Empoli

Come quello di ogni neo-promossa, il calciomercato dell’Empoli era un labirinto di difficoltà. I toscani avevano dominato la Serie B attraverso un’identità di gioco molto definita e ambiziosa. Ora come fare per non snaturarsi ma al contempo assorbire l’impatto con la categoria?

Non c’è una risposta chiara a questo dilemma. L’Empoli ha scelto di fatto un compromesso: ha inserito giocatori d’esperienza come Antonelli, Silvestre o Acquah e ha continuato a scommettere su giovani tecnici in cerca di rilancio come Uçan, Capezzi, Rasmussen e La Gumina. Nessun campione in decadenza, vecchi marinai di categoria solo nei ruoli difensivi.

È stato un mercato eccitante, da feticisti di un certo tipo di talento, leggerino e in generale indecifrabile, ma che è calibrato sulla capacità di Andreazzoli di riassorbire tutti dentro il proprio sistema. È stato quindi un mercato coraggioso ma coerente, che sposa l’idea di una squadra che vuole essere un laboratorio di calcio, raggiungendo i risultati attraverso principi di ampio respiro. Non so se il mercato dell’Empoli gli basterà a salvarsi, ma so che ci vorrebbero più squadre così in Serie A.

14. Genoa

Il Genoa ci ha abituato a sessioni di mercato rapsodiche e autolesioniste, ma in questa estate le cose sembrano essere andate leggermente meglio, pur lasciando un alone di dubbio che solo il tempo potrà sfatare o confermare. Pur non avendo tolto il piede dall'acceleratore (considerando anche le operazioni minori il Genoa ha registrato 81 calciatori in entrata e 69) il saldo finale del mercato è un sostanziale pareggio (-2,79 milioni di euro) e soprattutto ad uscite di rilievo hanno risposto ingressi sostanzialmente assennati.

La classica rivoluzione preziosiana non ha mancato di mietere vittime illustri avendo allontanato da Genova praticamente una squadra: il portiere titolare, Perin; il difensore dal rendimento migliore, Izzo; l’esterno a tutta fascia perfetto per il gioco di Ballardini (nonché miglior giocatore della rosa), Laxalt; nonché buona parte del centrocampo titolare della scorsa stagione, ovvero Veloso, Bertolacci (era in prestito), Rosi e Rigoni. In attacco sono partiti Galabinov e Taarabt, mentre è rimasto Lapadula, dato per partente fino all’ultimo minuto.

Quella che è migliorata, rispetto ad altre stagioni, è la qualità degli arrivi, oltretutto quasi tutti a titolo definitivo, un interessante pacchetto tra giocatori di esperienza e promesse da seguire. In difesa sono arrivati Lisandro Lopez, sostituto naturale di Izzo, e Domenico Criscito, tornato nella società in cui è esploso dopo l’esperienza in Russia. Il nuovo capitano dei Grifoni può giocare sia nei tre dietro che sulla fascia sinistra e nel precampionato è sembrato un giocatore di livello superiore.

A centrocampo gli innesti di Romulo e Sandro promettono un sostanziale upgrade nei rispettivi ruoli, anche se l’età avanzata dei due non deve essere sottovalutata. Il reparto in cui il Genoa si è preso più rischi è però l’attacco, il reparto meno efficiente nella scorsa stagione. Sono arrivati due giovani dalla serie B, Favilli e Kouame, mentre dal campionato polacco è arrivato in sordina Piatek, autore di un precampionato straordinario.

Malgrado gli sforzi, il mercato ha lasciato più di un dubbio: in porta Perin è stato sostituito da Marchetti, che non gioca una partita ufficiale da più di due anni. Sandro non ha un ricambio adeguato come regista, uno dei ruoli più importanti nel 3-5-2 di Ballardini, in quanto Rolon e Calligari non sembrano all’altezza. Mentre in attacco l’unica certezza rimane Pandev, che però ha appena compiuto 35 anni.

Ballardini sembra avere la ricetta per centrare almeno una tranquilla salvezza, cosa potrà arrivare in più è legato proprio al rendimento dei nuovi acquisti, soprattutto di quelli del reparto offensivo.

13. Sampdoria

La Sampdoria è una delle squadre che si è mossa di più sul mercato, rivoluzionando quasi completamente la rosa titolare. Della formazione tipo dell’anno scorso sono stati ceduti, o non riscattati da un prestito, ben 6 giocatori: Viviano, Silvestre, Ferrari, Strinic, Torreira e Zapata. Se mettiamo sul piatto della bilancia anche solo l’importanza che avevano gli ultimi due nel gioco di Giampaolo riusciamo a capire quanto pesantemente la società blucerchiata abbia scommesso in questo mercato.

Se ciò non bastasse, la Sampdoria ha fatto un mercato molto rischioso anche in entrata, comprando principalmente giovani scommesse (Audero, Ronaldo Vieira, Junior Tavares) e conoscenze più o meno vecchie del calcio italiano da rilanciare (Defrel, Ekdal, Tonelli, Saponara). Al netto del talento molto interessante di alcuni di questi (in particolare Ronaldo Vieira potrebbe essere una bella sorpresa), l’unico profilo già testato in Serie A e che viene da una stagione del tutto positiva è Jakub Jankto, che anche per caratteristiche tecniche sembra molto adatto al gioco verticale che Giampaolo vuole mettere in campo dalla trequarti in poi.

Per il resto l’allenatore di Bellinzona si ritroverà con una rosa quasi del tutto da scoprire e da plasmare. Non sarebbe facile per nessuno, lo sarà ancora di meno per un allenatore con principi di gioco così chiari e rigidi come Giampaolo.

12. Cagliari

Il mercato del Cagliari è stato molto ambizioso. Ha preso un allenatore dall’identità chiara (Maran), è riuscito a tenere il principale talento della squadra (Barella) e ha cercato di alzare il livello della rosa aumentandone la profondità. Non è stata un’operazione semplice né economica: per saldo netto in costi dei cartellini il club sardo si è posizionato al settimo posto in Serie A, con un negativo di circa 20 milioni (che però include anche il riscatto dal Napoli di Leonardo Pavoletti, arrivato la scorsa stagione).

Il Cagliari ha cercato il più possibile di venire incontro alle idee del suo allenatore acquistando un suo pupillo (Castro) e aggiungendo qualità in difesa con gli acquisti di Srna e Klavan. Si è andati alla ricerca di profili solidi e esperti, insomma, ma non è mancata qualche piccola scommessa. Filip Bradaric, arrivato dal Rijeka per una cifra vicina ai 5 milioni di euro, è ad esempio un regista con una grande visione nel gioco lungo. Non è più giovanissimo (27 anni) e va testato nei ritmi della Serie A, ma potrebbe entrare nelle rotazioni con Cigarini. Allo stesso modo, anche Cerri rappresenta un profilo ideale per far riprendere fiato a Pavoletti, nel caso in cui ne avesse bisogno. In questo senso, forse si è ecceduto in prudenza con il ritorno del giovane nord-coreano Han al Perugia, se non altro perché priva la Serie A di un talento eccitante.

Il Cagliari è sembrato badare al sodo, puntando su giocatori già pronti, ed è sorprendente se pensiamo che è una squadra che ha come primo obiettivo la salvezza. D’altra parte, una rosa esperta è probabilmente ciò che ha chiesto alla dirigenza Maran, che adesso dovrà lavorare per renderla anche competitiva.

11. Spal

Lo scorso anno la SPAL è stata l’unica neopromossa capace di mantenere la categoria, nonostante un campionato di fuoco. La salvezza all’ultima giornata ha dimostrato la bontà del progetto tattico di Semplici, e non è un caso che quest’ultimo calciomercato sia stato all’insegna della continuità. La società biancazzurra ha riscattato Viviani, Kurtic, Paloschi e Gomis, ha provato a trattenere Grassi (passato al Parma), e prolungato il prestito di Šimić.

Dopo le conferme, la SPAL ha puntellato la squadra con acquisti intelligenti e a basso costo. Milinković-Savić, Djourou, Dickmann, Missiroli, Fares e Valoti rinforzano la squadra, aggiungendo alternative di valore a un undici che rimarrà simile a quello dello scorso anno. In questo senso, sono state fondamentali le conferme di Lazzari e Vicari.

Davanti è arrivato Petagna, che aggiunge peso e centimetri al reparto offensivo. Un profilo prezioso, per il gioco di Semplici, che lo scorso anno è molto mancato. Dopo l’annus horribilis di Borriello - l’acquisto più importante della scorsa stagione, la delusione più cocente - il tecnico aveva chiesto un attaccante con “motivazioni feroci”. Petagna (che si trova a un crocevia importantissimo, per la sua carriera) sembra il giocatore giusto.

Nelle ultime ore di mercato la SPAL è riuscita anche a togliersi due “sfizi” di qualità: Kevin Bonifazi e Mirko Valdifiori. Il centrale (già a Ferrara, due anni fa, e mai dimenticato) può garantire le certezze che sono mancate a a Vasainen e Salamon, partiti in prestito; il regista è un’ottima alternativa a Viviani, in un ruolo che rischiava di restare scoperto.

In definitiva, la SPAL è stata capace di rinforzarsi senza rinunciare alle sue certezze, aggiungendo laddove molti si sono limitati a cambiare. La squadra di Semplici - l’allenatore più longevo, tra le piccole - può contare sul solco tracciato negli ultimi anni, e un miglioramento sensibile nell’organico. Questa volta, almeno sulla carta, gli spallini si candidano a una salvezza più tranquilla.

10. Sassuolo

Dopo un anno di transizione - il più grigio e faticoso da quando il Sassuolo è arrivato in Serie A - i neroverdi hanno ricominciato a fare le cose in grande. Il Sassuolo non si accontenta di far parte di un’anonima classe medio-bassa del calcio italiano, ma ambisce a un brand definito di squadra che gioca un calcio piacevole e capace di valorizzare i giovani talenti.

Dopo aver lanciato Di Francesco, quindi, il Sassuolo ha affidato la panchina a un altro allenatore dalle idee tattiche molto definite, Roberto De Zerbi, e il calciomercato è stata la conseguenza di questa scelta iniziale.

Sono partiti in pochi, Acerbi e Politano soprattutto, e sono arrivati in molti, tutti giocatori potenzialmente in linea con i principi di gioco proattivi immaginato da De Zerbi.

In difesa è arrivato un centrale bravo a impostare come Gianluca Ferrari dalla Sampdoria: un calciatore in ascesa (con una convocazione in Nazionale) che lo scorso anno faceva il titolare in una squadra arrivata molto più avanti in classifica. A centrocampo si è scommesso su un regista cerebrale come Locatelli, che però ha davanti il capitano Magnanelli. Davanti, per sostituire Politano, De Zerbi ha ripreso Brignola, suo scudiero, per fare da riserva a un Berardi che il tecnico ha comunque tutta l’intenzione di valorizzare. Sull’altra fascia è stato speso molto per portare in neroverde Federico Di Francesco: brevilineo, tecnico, già maturo nelle scelte. Anche lui ha l’aria del profilo che De Zerbi può esaltare. Il fatto che sia stato portato via dal Bologna, una squadra con cui il Sassuolo ha condiviso la lotta salvezza e le velleità da classe media, dà la misura della forza dei neroverdi sul mercato.

Kevin Prince Boateng, poi, non è solo un campione decaduto da cui spremere le ultime stille di calcio, ma anche un giocatore che in Spagna ha imparato i principi di un calcio di posizione. Alla prima giornata ha già dato l’impressione di giocare al Sassuolo a memoria.

Il Sassuolo si è poi dovuto spendere per il riscatto di Babacar. Il centravanti è stato pagato 9 milioni, una cifra alta per gli emiliani, ma non sembra avere le caratteristiche adatte al gioco del tecnico, che ha sempre preferito attaccanti di manovra bravi nel gioco spalle alla porta. Babacar potrebbe diventare l’unico equivoco di un mercato per il resto razionale e cucito attorno alle idee ambiziose di De Zerbi.

9. Atalanta

L’interpretazione del mercato dell’Atalanta non può prescindere dal punto di vista lapidario che il suo allenatore ha snocciolato a pochissimi giorni dalla chiusura: Gasperini lo ha definito «molto triste e molto esiguo», una doppietta di aggettivi che suona come una stroncatura senza possibilità di appello, ancor più inasprita, se possibile, quando lo stesso Gasperini ha aggiunto: «Per me adesso il mercato è chiuso, perché non c'è più tempo».

In quel momento mancavano in realtà ancora due giorni, al termine dei quali, infatti, in extremis, è arrivato l’annuncio del tesseramento di Emiliano Rigoni, prelevato dallo Zenit, una mossa magari non proprio a sorpresa (l’Atalanta lo aveva a lungo seguito e corteggiato prima che l’argentino scegliesse la Russia) ma che conferisce una sfumatura nuova anche ai rapporti di forza tra la società e il suo tecnico. Rigoni - il profilo di giocatore che incarna - era già nei piani del progetto tecnico o è stata la risposta della dirigenza al mood dell’allenatore? E se Rigoni è il risultato di uno scontro causa-effetto, è un’attestazione di accondiscendenza o una dimostrazione di autorevolezza?

Anche se l’esordio sfavillante contro il Frosinone non ha scoperto nessun nervo specifico è comprensibile che l’allenatore lamenti una mancanza di coperture adeguate in alcuni ruoli della macchina che sarà chiamata a muovere gli ingranaggi per inscenare l’idea di gioco che ha in mente.

Djimsiti e Reca sapranno affiancare Palomino e Gosens (e Castaigne) nel difficile compito di non far rimpiangere Caldara e Spinazzola, senza un anno di apprendistato a disposizione per metabolizzare meccanismi e movimenti?

La chiave interpretativa del mercato atalantino è tutto nella maturità e sì, nella copertura: Mario Pasalic, in prestito dal Chelsea e chiamato a una consacrazione che potrebbe essere imminente, per il momento si è cristantizzato perfettamente in termini di partecipazione alla manovra, peso specifico nel gioco, profondità verticale e contributo in quota gol, ma è pur vero che alle sue spalle ha Pessina, tornato dal prestito in B allo Spezia, che potrebbe davvero non essere ancora all’altezza.

In avanti, invece, l’Atalanta sembra essersi addirittura rafforzata, non foss’altro in termini di alternative potenziali. Rigoni può essere il prolungamento, a fronte degli impegni che gli orobici potrebbero trovarsi a dover fronteggiare competendo su più fronti, tanto del Papu quanto di Ilicic, e Zapata (così come Musa Barrow, che chissà non sia l’acquisto più eclatante di stagione) che sembrano molto più aderenti ai principi iperverticali di Gasperini di quanto non fosse Petagna.

Che voto dovremmo dare, insomma, al mercato dell’Atalanta? Basarci sul giudizio di Gasperini o sulle sensazioni delle prime uscite? È un po’ come guardare Rashomon di Akira Kurosawa, e trovarci nella situazione di cominciare a dubitare, casomai, che la verità si trovi - come sempre - nel mezzo.

8. Fiorentina

Pantaleo Corvino aveva annunciato che quest’anno la Fiorentina non era costretta a vendere, ed è stato di parola. L’unica uscita importante è stata quella di Milan Badelj, ormai in rotta con la società da un anno. Per parlare quindi del mercato della Fiorentina bisogna partire dal presupposto che non ha ceduto nessuno di importante: Chiesa è restato, così come Veretout, Simeone e Milenkovic, i giocatori di maggior valore della rosa. Una novità per una squadra per una squadra che da anni ormai era abituata a perdere la propria pelle in estate come i serpenti.

C’è poi stato un mercato in entrata intrigante e misterioso. Ne avevamo scritto circa un mese fa, catalogandone gli acquisti hipster. Da quel momento i viola hanno comprato anche Marko Pjaca e Kevin Mirallas, due giocatori che fino solo a un anno fa nessuno avrebbe associato alla squadra viola.

Quindi la Fiorentina non ha fatto solo un calciomercato di stile, pieno di giocatori sconosciuti che somigliano a tentativi di sparare nella folla di Corvino: prenderne 10 per azzeccarne 2. Ha preso anche giocatori forti. Certo, nessuno di loro è una certezza: anche Pjaca e Mirallas sono scommesse, ma questa è forse l’unica via per la Fiorentina di cercare di rafforzarsi senza galleggiare nella mediocrità. Sono quindi arrivati giocatori dal comprovato talento che devono però rilanciarsi - Pjaca, Mirallas, Gerson - insieme a giovani misteriosi scovati in giro per l’Europa - Norgaard, Hancko, Vlahovic. La ciliegina è stata poi Alban Lafont, forse uno dei giovani portieri con maggiori prospettive a livello mondiale.

In molti diranno che le certezze sono poche, ma esiste almeno una progettualità tecnica. La Fiorentina già lo scorso campionato era una delle squadre dall’identità più estremizzata, e il calciomercato estivo ha portato altri giocatori verticali, diretti e abituati a giocare ad alti ritmi. In più Chiesa, Simeone e Milenkovic avranno un anno in più e, si spera, un impatto ancora maggiore sul campionato.

Eppure i tifosi hanno contestato la società, interpretando forse come senza ambizioni il mercato della Fiorentina. Una contestazione che nasce dal rifiuto di una società che ha come modello il trading dei giocatori: nessuno di quelli arrivati, dovesse rivelarsi davvero forte, rimarrebbe in viola e sarebbe sacrificato quindi sull’altare delle plusvalenze.

Ma in assenza di ricavi strutturali per i club italiani esiste davvero una strada alternativa a quella del player trading?

La Fiorentina se non altro quest’anno sembra essersi mossa con coraggio, ed è indubbio che la squadra 2018/19 sia più forte di quella della scorsa stagione. Eppur si muove.

7. Torino

Quando si è diffusa la notizia dell’acquisto di Simone Zaza, molti tifosi del Torino hanno cominciato a temere per la cessione di Belotti. Un senso di inquietudine che ci dice che anche i tifosi granata erano sorpresi dall’opulenza di questo mercato.

Negli ultimi due giorni di calciomercato - quasi totalmente a sorpresa - sono arrivati Zaza e Soriano: due giocatori di alto livello, che danno consistenza all’idea del Toro di puntare all’Europa League, inseguita come un’utopia ormai da anni.

Ma sono soprattutto due acquisti coerenti con i principi di gioco di Mazzarri. A marzo il presidente Cairo aveva difeso il tecnico, che ha vissuto una seconda parte di stagione in chiaroscuro, dicendo che non aveva la squadra adatta al suo modulo. Gli sforzi fatti durante l’estate vanno proprio in quella direzione. Soriano è un centrocampista molto diretto e verticale, bravo col pallone ma soprattutto senza: perfetto, con i suoi inserimenti, in una squadra che costruirà molto attraverso le catene laterali.

Ola Aina, arrivato dal Chelsea in prestito con diritto di riscatto fissato a 8 milioni, sembra un’intuizione felice. Un giocatore dai grandi mezzi atletici e che alla prima giornata contro la Roma ha già mostrato discrete doti tecniche. Il profilo di un esterno a tutta fascia ideale per Mazzarri, innamorato di questi cavalli iper-atletici.

Per non parlare della batteria di centrali difensivi giganti e dal piede educato che sono arrivati: il brasiliano Bremer e il francese Djidji, selezionati sul mercato mondiale attraverso il filtro “Mazzarrilandia”. Davanti a loro è arrivato Armando Izzo, uno dei migliori centrali a tre del nostro campionato.

Ora il Torino ha praticamente due giocatori per ruolo, come se dovesse già giocare in Europa. Ansaldi e Berenguer a sinistra; Ola Aina e De Silvestri a destra. Bremer, Moretti, N’Koulou, Izzo, Djidji, Lyanco in difesa; Meité (una sorpresa in questo inizio di stagione), Rincon, Baselli, Soriano a centrocampo; Iago Falque, Zaza, Belotti, Ljajic, Edera, Niang davanti. Siamo sicuri che questa squadra non sarebbe già oggi all’altezza dei quarti di Europa League?

Zaza è stato il fiore all’occhiello del mercato granata. Con lui il Toro ha comprato una punta bravissima ad attaccare la profondità, furiosa nel lavoro senza palla - dove i granata hanno margini di miglioramento - e che ha già giocato con Belotti. Con lui in capo Iago Falque cambierà ruolo o c’è addirittura il rischio di una cessione? Dopo la prima giornata contro la Roma ha chiesto “più rispetto”, agitando il fantasma di una cessione: «Me ne andrei a testa alta». Ecco, forse dovesse andare via Iago Falque, 24 gol nelle ultime due stagioni, il giudizio sul mercato del Torino andrebbe per forza ridimensionato. Ma, con o senza di lui, Mazzarri sarà chiamato a fare una grande stagione.

6. Lazio

Con i 40 milioni di saldo positivo dalla scorsa estate e la qualificazione in Europa per un altro anno, la Lazio non aveva bisogno di vendere nessuna delle stelle della squadra. Lo si è capito bene quando ha rifiutato l’offerta del Siviglia per Luis Alberto e tenuto a bada le sirene per Milinkovic-Savic. Dei due unici addii illustri possiamo dire che: su De Vrij c’era poco da poter fare dopo la rottura delle trattative per il rinnovo del contratto arrivato poi a scadenza e l’offerta di 40 milioni da parte del West Ham per Felipe Anderson era veramente troppo alta per essere rifiutata dopo una stagione da “revulsivo” .

I 40 milioni della cessione hanno permesso praticamente di rifinanziare tutta la campagna acquisti, con i ricambi per lui e De Vrij trovati in giocatori all’altezza del compito, anche se non superiori, come Correa e Acerbi (25 mln in due) e continuare poi con l’arricchire la rosa di alternative, la cui mancanza è stata uno dei punti deboli della scorsa stagione. In questo senso Durmisi a sinistra è un profilo nuovo, come Badelj a centrocampo (lui è più una sorta di erede di Biglia arrivato con un anno di ritardo). Su tutti però l’acquisto probabilmente più importante è quello di Valon Berisha per 7.5 milioni. Un giocatore che nel breve periodo può essere tutto quello che Inzaghi vorrà come alternativa e che è destinato nel medio periodo a prendere il posto di Parolo nell’undici.

La Lazio quindi si presenta come una squadra il cui 11 avrà un anno in più insieme (con la sola differenza di Acerbi per de Vrij) e arricchita nelle alternative. Una squadra quindi fatta per poter avere almeno lo stesso livello della scorsa stagione, ma reggere anche le notti europee. Dovesse poi Luiz Felipe confermare la sua crescita e Berisha dimostrarsi da subito un giocatore superiore all’attuale Parolo, saremmo di fronte anche alla possibilità di avere una squadra superiore alla scorsa stagione. Il tutto con soli 3.5 milioni di saldo negativo.

Mettiamo in chiaro un punto: un mercato non costruisce di per sé la squadra, contribuisce solo a migliorarla o a peggiorarla, e la Lazio di sicur non è peggiorata e come lo scorso anno se la giocherà per un posto in Champions League. Quello della Lazio è stato un mercato conservativo, nel bene e nel male. Se da una parte sono rimasti tutti i componenti del tridente dello scorso anno - e non era affatto scontato - dall'altra non è arrivato un vero miglioramento nell'undici titolare: non è arrivato un Higuain, né un Fabian Ruiz.

La gestione Lotito non porterà mai nomi altisonanti nel nostro campionato e difficilmente con il suo lavoro certosino di ricambi della rosa smuove l’entusiasmo delle folle, ma come ogni anno la Lazio esce dal calciomercato competitiva.

5. Milan

L’estate del Milan non può che essere valutata a partire da due circostanze eccezionali: il cambio di proprietà da Li Yonghong al fondo Elliott, con il relativo ricambio dirigenziale, e l’incertezza sulla sua partecipazione all’Europa League, prima negata dalla UEFA per la violazione del fair play finanziario e poi restituita dalla sentenza del TAS. Il mercato rossonero è di fatto cominciato solo dopo la seconda metà di luglio, a meno di un mese dalla scadenza, e senza nemmeno un grande budget da investire.

Nonostante le difficoltà, le operazioni orchestrate da Leonardo, nuovo direttore dell’area tecnico-sportiva, hanno comunque esaudito le richieste di Gennaro Gattuso consegnandogli una rosa più forte rispetto allo scorso anno. L’allenatore rossonero aveva indicato due profili da aggiungere in squadra: un esterno d’attacco e una mezzala simile a Kessié. A coprire queste lacune sono arrivati Castillejo, in teoria alter ego di Suso ma schierabile anche a sinistra, e Bakayoko, un innesto potenzialmente di alto livello se riuscisse a tornare ai livelli dell’ultima stagione con il Monaco.

La manovra più brillante resta però quella messa in piedi con la Juvents, con lo scambio tra Caldara e Bonucci e l’acquisto di Higuaín. Leonardo ha saputo gestire il desiderio di Bonucci di tornare a Torino cautelandosi con uno dei difensori italiani più promettenti e ha approfittato della necessità bianconera di vendere Higuaín dando al Milan il “grande attaccante” che mancava ormai da diversi anni. Anche l’emergenza della malattia di Strinic è stata gestita con intelligenza, inserendo Laxalt, uno dei migliori esterni mancini del campionato, che aggiunge caratteristiche uniche con la sua corsa e la capacità di coprire ogni ruolo sulla fascia sinistra.

Complessivamente la rosa resta un po’ corta, soprattutto a centrocampo, dove manca un’alternativa a Biglia dopo la cessione di Locatelli al Sassuolo, e sull’altare della maggiore fisicità portata dai nuovi acquisti potrebbe essere sacrificata un po’ di qualità nella costruzione dal basso, se oltre a Bonucci dovessero uscire di squadra sia Biglia che Rodríguez. La presenza di Higuaín può però parzialmente risolvere i problemi, dando al Milan un giocatore di riferimento a cui affidarsi nei momenti grigi. Considerate le premesse, era difficile fare di meglio.

4. Napoli

I tifosi del Napoli hanno vissuto un’estate contraddittoria, anticipata dall’arrivo di Carlo Ancelotti in panchina - forse l’unico nome disponibile con cui addolcire la pillola della partenza di Maurizio Sarri - vissuta poi inseguendo chimere (Cavani, Benzema) che hanno distolto l’attenzione dal fatto che qualche nome nuovo è arrivato. Fabian Ruiz potrebbe rivelarsi uno degli acquisti migliori di tutto il campionato e le potenzialità di Simone Verdi sono evidenti a tutti. Kevin Malcuit magari non garantisce ancora una fase difensiva che gli permetta di passare davanti a Hysaj, ma aggiunge da subito un’opzione contro le squadre chiuse, e chissà che la sua influenza non cresca in un sistema come quello di Ancelotti in cui i terzini devono garantire l’ampiezza anche da soli. Alla batteria di esterni si è unito Younes, mettendo la parola fine a quello che era diventato un caso diplomatico. In chiusura di mercato, poi, è stato sostituito Reina con un portiere probabilmente migliore come David Ospina (aspettando Meret, cioè uno dei due portieri italiani giovani più promettenti).

E in tutto ciò se ne è andato solo Jorginho, una costola di Sarri. Jorginho ha qualità eccezionali ma può essere sostituito dal cambio di sistema. Ancelotti sta provando Hamsik ma non è che tutta la stagione del Napoli dipende da questo esperimento. Va detto anzi che se c’era un problema nel Napoli di Sarri era lo scarso minutaggio di giocatori evidentemente pronti come Diawara, che però non erano perfettamente adatti al suo gioco. Diawara ad esempio non ha mai deluso e può giocare da solo o in coppia, anche da Rog, Milik, e persino da Zielinski è lecito aspettarsi più di quanto hanno fatto vedere in passato.

Di fatto la più grande perdita del Napoli è quella avuta in panchina, che però De Laurentiis ha sostituito in maniera furba, con un allenatore in grado di valorizzare in un altro modo quella stessa rosa che ha portato al record di punti la passata stagione. Se ha avuto ragione o meno (avrebbe dovuto sperimentare con un tecnico più giovane e innovativo?) lo scopriremo più avanti, ma oggi niente ci dice che il Napoli si sia indebolito o abbia perso terreno rispetto alle concorrenti, pur venendo da un mercato non rivoluzionario.

3. Roma

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Il mercato della Roma è stato perturbato dalla cessione di Alisson che, volendo o no, ha generato malumore e aspettative elevatissime nel pubblico giallorosso che ha visto partire, negli ultimi due anni, tre dei propri giocatori migliori (difficile non sentire ancora la mancanza di Salah). Una reazione che però sembra proporzionata all’eccezionalità del giocatore in questione, che lo scorso anno ha contribuito, e non in piccola parte, al raggiungimento della semifinale di Champions League e più in generale a una tranquillità difensiva che fa stare tranquilli i tifosi.

La Roma ha perso anche Nainggolan, forse non solo per motivi calcistici, anche se il belga lo scorso anno era apparso leggermente in calo rispetto ai suoi standard da extraterrestre. Lo ha rimpiazzato con Pastore, sulla cui testa aleggia un grosso punto di domanda fantasma dopo le ultime stagioni in ombra col PSG (forse a questo si riferiva il social media manager dell’Inter quando ha contro-trollato quello dell’account inglese della Roma che faceva ironia sulle voci di Vidal in nerazzurro). Alisson, invece, è stato sostituito da Olsen, incognita ancora più grande che alla prima giornata contro il Torino stava già per compiere uno di quegli errori che dà vita a una settimana di meme e che i tifosi più cattivi salvano in apposite cartelle, pronti per essere chiamati a dirigere il museo della crudeltà su internet.

Inoltre, in una Serie A che non si vince da quasi vent’anni, in cui la principale competitor per lo Scudetto compra Cristiano Ronaldo, non solo la Roma non compra neanche un Messi, ma prende anche il due di picche da Malcom. Senza un nome da sventolare in faccia ai loro avversari i tifosi non sono tranquilli e più di qualcuno ha messo in discussione l’operato di Monchi.

Eppure possiamo vedere le cose in questo modo: la Roma non ha rimpiazzato Alisson con Olsen né Nainggolan con Pastore (né se è per questo pensava di sostituire Salah con Schick); li ha sostituiti con la profondità di rosa. Certo, c’è chi sostiene che è meglio avere un paio di fenomeni in squadra che due giocatori più o meno equivalenti per ruolo, ma (1) la Roma difficilmente potrebbe prendere un fenomeno e (2) Monchi non lavoro in quel modo. Fermo restando che i nomi portati da Monchi non sono poi così insignificanti. Cristante non solo può aumentare l’intensità e la fisicità a centrocampo ma può coprire uno dei problemi principali dello scorso anno: la solitudine di Dzeko in area di rigore (in questo senso tatticamente può ricoprire alcune funzioni di Nainggolan). Pastore, trasformato in mezzala o anche da trequartista esterno, aggiunge qualità in zona di rifinitura, dove la Roma ne aveva poca. Justin Kluivert è un diciannovenne incredibilmente maturo e anche avesse bisogno del tempo che gli ci è voluto a Cengiz Under per adattarsi si potrebbe rivelare uno dei giovani più interessanti del campionato.

Poi c’è Nzonzi, arrivato in chiusura di mercato per aumentare di molto lo spessore del centrocampo rispetto a quanto aveva fatto vedere Gonalons: Nzonzi sistema una lacuna strutturale ma ha le potenzialità per cambiare volto a un reparto già molto forte. La Roma è la seconda squadra ad aver speso di più in Serie A e Monchi ha alzato la competitività interna, aumentato le opzioni a disposizione di Di Francesco e sistemato alcuni problemi specifici (tipo quello del terzino, con Santon garantisce un backup su entrambe le fasce in caso di necessità; o quello del centrale difensivo di riserva, sostituendo un deludente Hector Moreno con Marcano). Ha aggiunto giovani interessanti in rosa (Coric, Zaniolo), senza ostacolare il possibile sviluppo dei molti giovani già in squadra (Lorenzo Pellegrini, Schick, Under).

L’impressione è che non tutto sia andato come voleva, e i tempi con cui sono stati annunciati acquisti e cessioni non sono stati i migliori, con Nzonzi come parziale happy ending di un mercato ambizioso, creativo, rischioso. Monchi non ha un cappello pieno di conigli ma ha una visione precisa del calcio e se manca qualcosa di sicuro se ne accorgerà e proverà a metterci mano (magari già a gennaio). Purché a mancargli non sia proprio il tempo: Roma non è stata costruito in un giorno, ma i romanisti a volte lo dimenticano.

2. Inter

In questo pezzo, forse a questo punto lo avrete capito, si tiene conto soprattutto dell’aspetto sportivo del mercato, anche se tanto ci sarebbe da dire su come l’aspetto economico, o meglio, finanziario, influenzi le strategie delle società sportive. Difficile, ad esempio, interpretare le entrate e le uscite dell’Inter senza guardare tutto il lungo elenco di giocatori coinvolti (e l’Inter non è di certo l’unica a muovere molte pedine); sta di fatto che privandosi solo di Santon, Murillo e Nagatomo, tra i giocatori con un minutaggio minimamente significativo lo scorso anno, è riuscita a restare in positivo acquistando Lautaro Martinez, Nainggolan, Politano, Keita Baldé e Vrsaljko.

A cui vanno aggiunti Asamoah e de Vrij a parametro zero. Un mercato che ha giustamente esaltato i tifosi interisti e che avrebbe fatto probabilmente a meno delle voci, più o meno veritiere, delle trattative per Modric e Vidal. L’Inter si è senza dubbio rinforzata, e una certezza simile ce la possono avere poche altre tra le squadre di vertice.

In realtà dovremmo considerare anche le rinunce a Joao Cancelo e Rafinha. Il primo era diventato uno dei giocatori più influenti lo scorso anno e vederlo indossare la maglia dell’eterna rivale Juventus non è il massimo; il secondo copriva un buco che oggi in teoria dovrebbe coprire uno tra Lautaro - come ha fatto nei primi 90’ stagionali contro il Sassuolo - Nainggolan e persino Keita Baldé. Basteranno?

Gli unici dubbi sul mercato dell’Inter sono gli stessi dubbi che valgono per (quasi) tutte le altre campagne acquisti: in fondo tutto dipende da come un giocatore si inserisce in squadra o si adatta alle idee dell’allenatore. E a questo genere di domande non può rispondere che il tempo.

Il mercato non è la panacea di tutti i mali in nessun caso e ovviamente giocare bene e vincere, lo scopo di tutti, dipende da moltissime cose. Per questo la sconfitta con il Sassuolo non deve spingere a rivalutazioni troppo negative del mercato: per ora non c’è nessun motivo di rivedere al ribasso il valore della rosa a disposizione di Spalletti e anzi vale la pena ripetere che nessuno dei giocatori sopra citati può essere considerato un acquisto azzardato: Lautaro Martinez non è Gabigol e Nainggolan non può ripetere le difficoltà di Kondogbia ad adattarsi.

L’Inter ha una rosa più profonda dello scorso anno, ha aumentato il proprio atletismo in tutte le zone di campo e la propria presenza in area di rigore, ha due dei migliori difensori del campionato a disposizione (Skriniar e de Vrij oltre a Miranda che viene da un ottimo Mondiale), un’infinità di giocatori iperdinamici e tecnici sulle fasce in grado di dare ampiezza o venire a giocare tra le linee. Tutto può sempre andare storto, per carità, ma Spalletti ha a disposizione molte opzioni tattiche e una squadra superiore a quella che l’altr’anno è arrivata quarta. Di più, difficilmente si può ottenere dal mercato.

1. Juventus

È facile dire che la squadra che ha vinto il calciomercato quest’anno è quella che ha comprato il calciatore più forte del mondo (o uno dei due…), ma le ragioni per cui abbiamo deciso di premiare l’estate della Juventus è più ampio. Anzitutto, quello di questa estate 2018 è stato uno dei mercati più ambiziosi degli ultimi anni per la Juventus: dal punto di vista finanziario, dove i bianconeri hanno creato per la prima volta degli squilibri a un bilancio di solito granitico (la situazione è comunque sotto controllo); ma anche dal punto di vista sportivo, e forse nelle valutazioni generali si è sottovalutato il rischio e il coraggio di un calciomercato che ha modificato la Juventus in maniera forte e decisa, senza possibilità di tornare indietro.

Innanzitutto bisogna guardare ai movimenti fatti in difesa. La Juventus ha ceduto i propri due terzini con più presenze lo scorso anno, Asamoah e Lichtsteiner. A sinistra ha tenuto Alex Sandro, che Allegri considerava troppo svagato per le partite importanti; a destra è invece arrivato Cancelo, un giocatore dall’alto tasso tecnico, ma la cui affidabilità difensiva è ancora tutta da verificare. È un cambio di paradigma forte, specie per un allenatore come Allegri, sempre così attento all’equilibrio complessivo e a minimizzare i rischi possibili.

Certo, va capito se alla fine non si sceglierà un atteggiamento un po’ più coperto, passando magari a una difesa a 3 già vista nel finale della scorsa stagione: sarebbe la soluzione forse ideale anche per un altro nuovo acquisto, forse il più chiacchierato, quello di Leonardo Bonucci. Il ritorno dell’ex capitano del Milan non è solo un altro grande colpo di scena narrativo, ma anche un miglioramento diretto a uno dei problemi dei bianconeri lo scorso anno, e cioè la prima costruzione. Ora la Juventus ha sia Cancelo che Bonucci in più per risolverlo, e Allegri ha a disposizione un cambio tattico non indifferente.

A centrocampo è arrivato Emre Can, che sembra un prototipo creato in laboratorio del giocatore perfetto per Allegri (oltre che il fratello più giovane di Khedira): forte fisicamente, tecnico, intelligente dal punto di vista tattico. Può giocare in diversi ruoli ed è il classico calciatore d’equilibrio che tornerà utile tutto l’anno. In attacco è uscito Higuain ed è entrato Cristiano Ronaldo, e non esiste scambio che sia sfavorevole a chi guadagna Cristiano Ronaldo.

È vero che dopo la prima partita in molti hanno notato che per CR7 può comunque essere meglio partire da una posizione esterna, per poi buttarsi dentro l’area, con un giocatore che occupi discretamente il centro, come ha fatto Mandzukic nel secondo tempo. Per questo qualcuno rimpiange la cessione di Higuain - peraltro un Higuain così in forma come è sembrato nel pre-campionato. Ma a livello tecnico e finanziario è stata una cessione sensata e Mandzukic ha dimostrato al Mondiale di poter fare discretamente il centravanti. È normale che Allegri non abbia ancora trovato l’equazione perfetta per valorizzare Ronaldo, ma è senza dubbio il tecnico più bravo ad associare i giocatori fra loro.

Ricapitolando: la Juventus ha aumentato la propria qualità tecnica in ogni zona del campo; ha allargato le soluzioni a propria disposizione; ha migliorato un undici che era di per sé difficilmente migliorabile scommettendo su un equilibrio complessivo un po’ più rischioso. In più, ha preso un giocatore fuori scala, di un livello altro rispetto a quasi tutti gli altri giocatori al mondo - e che pur non essendo più giovanissimo è un fenomeno a gestirsi e a uscire nei momenti più importanti della stagione: quelli in cui, in Europa, alla Juventus è mancato sempre pochissimo per eccellere.

Il mercato della Juventus, insomma, secondo noi è stato il migliore non solo e non tanto perché ha preso Cristiano Ronaldo, ma perché è riuscita a migliorare in maniera sensibile una rosa tra le più difficili da migliorare, e lo ha fatto mettendo in parte in discussione la propria visione.

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