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Felicità è Chiellini che difende
12 lug 2021
In finale lo ha fatto alla grandissima.
(articolo)
12 min
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Al novantaseiesimo minuto di gioco, a quaranta secondi dalla fine dei tempi regolamentari, l’Italia non sembra davvero stanca, come nel secondo tempo contro l’Austria o nei minuti finali col Belgio, né si può dire che stesse soffrendo come contro la Spagna. Aveva pareggiato a fatica e in modo rocambolesco una partita in cui però aveva avuto la palla per la maggior parte del tempo e adesso era ancora nella metà campo inglese, provando a risparmiarsi i supplementari, o comunque a chiudere in avanti. Emerson Palmieri stava tenendo palla sul lato sinistro, con Insigne e Bernardeschi vicino, ma nel tentativo di proteggerla dall’arrivo di Saka e prendere fallo se la fa togliere. La palla arriva rapidamente a Henderson che la controlla e lancia proprio Saka lungo la fascia, ma il suo passaggio è lungo e Giorgio Chiellini è in anticipo, mette il corpo davanti a Saka e aspetta di guadagnare un fallo laterale. Ma Chiellini non prende contatto con il corpo dell’avversario e Saka gli scivola al lato come un gatto e gli passa incredibilmente davanti. La porta era lontana, Chiellini e Saka erano cinque metri dopo la linea di metà campo e con i piedi sul fallo laterale, ma considerata la velocità dell’inglese e la distanza che lo separava dall’italiano più vicino, Bonucci, è verosimile pensare che avrebbe creato un pericolo alla porta di Donnarumma. Il tempo di rendersene conto, noi, che Chiellini ha già agito. Con entrambe le mani prova a fermare Saka e con una delle due, la destra, aggancia il colletto della sua maglietta attillata, con la precisione con cui un’aquila artiglia un topolino che corre in mezzo ai cespugli, e lo trascina a terra.

Non è un gesto tecnico calcistico, anche se la sua efficacia è indiscutibile. Saka rimbalza all’indietro e sbatte sul terreno da gioco come un wrestler lanciato contro le corde e abbattuto poi da un braccio teso all’altezza del collo (una mossa che nel wrestling si chiama clothesline, e lo dico solo perché il fallo di Chiellini ha più a che fare con il wrestling che con il calcio). Giustamente, Saka si rialza incazzato e rifiuta la mano di Chiellini. È un gesto cinico, violento – perché Chiellini accompagna Saka fino a terra e si direbbe che se potesse lo infilerebbe nel terreno da gioco lasciandogli una cannuccia per respirare – e oggettivamente antisportivo, nei limiti però del regolamento che punisce trattenute volontarie con il cartellino giallo. In questi casi si dice che il giocatore ha speso bene il cartellino, nel senso che il rapporto tra la sanzione e la convenienza del fallo stesso è sbilanciato verso la seconda. È un tipo di fallo che rispettiamo così tanto da avergli dato il nome di fallo tattico. Lo fanno tutti, ovviamente, come tutti simulano, tutti provano a prendersi rimesse laterali o calci d’angolo in cui sanno di aver toccato per ultimi la palla e tutti protestano quando gli viene fischiato qualcosa contro, anche il più palese dei falli (tranne questo tipo di falli; a parte che Verratti in questo caso protestava perché Saka, già trattenuto, aveva toccato la palla con un braccio). Anzi, andava fatto e se non lo avesse fatto, Chiellini, lo avremmo criticato. Ha commesso un errore, un’ingenuità, ma ha rimediato immediatamente nell’unico modo in cui poteva rimediare, a costo di fare la figura del bruto.

La partita sembrava iniziata già sull’1-0 per l’Inghilterra. Un tributo, forse, allo stadio in cui si giocava la finale, Wembley, un segno soprattutto dell’enorme pressione e anticipazione che aveva la squadra di casa. Il gol di Luke Shaw, arrivato prima che il cronometro segnasse due minuti di gioco è stata sia un’attestazione della forza dell’Inghilterra, l’annuncio di una finale potenzialmente trionfale, sia la chiusura frettolosa di una pratica burocratica. Almeno per come ha giocato l’Inghilterra dopo: si direbbe quasi che, se da una parte pensavano che vincere a Wembley potesse essere scontato, la cosa più naturale del mondo, dall’altra volessero farlo senza giocare veramente. Ok adesso abbiamo segnato, basta no? Dateci la coppa. Insomma l’Inghilterra aveva cominciato come ogni squadra sogna di cominciare una finale, con un gol di vantaggio, ma al tempo stesso si era messa in una brutta posizione dal punto di vista psicologico: quella di una squadra che aveva tutto da perdere.

Se gli inglesi sono usciti mentalmente dalla partita, a poco a poco, senza mai rientrarci veramente (bella idea far tirare i rigori a dei giocatori di diciannove e vent’anni completamente freddi e che nel torneo non hanno giocato neanche una partita intera), l’Italia, che non si era mai trovata sotto nel punteggio in questo Europeo, ha capito che l’aspettava un altro tipo di sofferenza, diametralmente opposta rispetto a quella provata in semifinale contro la Spagna. Eppure in qualche modo, pur senza sembrare mai davvero pericolosa, è riuscita a rimettere in pari la partita. Paradossalmente lo ha fatto su calcio d’angolo con un colpo di testa di un giocatore sotto il metro e settanta (Verratti) in un’area con almeno quattro inglesi sopra il metro e novanta. Verrà ricordata come un’altra vittoria tipicamente italiana, nata nelle difficoltà, ottenuta in un contesto ostile, contro ogni razionalità. E se il protagonista della partita è stato Donnarumma, uno di quelli dell’Europeo è stato senza dubbio Giorgio Chiellini.

«Distruggere è un atto creativo», ha detto Chiellini. Ma anche al di là del suo stile di gioco ci sono molte cose in cui dimostra la sua personalità unica. Ad esempio, nessuno vive il momento precedente ai rigori, quello in cui l’arbitro lancia la monetina, con l’intensità di Giorgio Chiellini. Dopo gli scherzi con Jordi Alba, il modo manesco di manipolarlo come fosse una bambola di pezza e quel «mentirossssssso» ripetuto più volte che potrebbe convincere Almodovar a fargli fare una parte nel suo prossimo film, si è messo vicino a Harry Kane – che non aveva per niente l’aria di uno con cui scherzare, che faceva finta che neanche ci fosse Chiellini al suo fianco – con una profonda serietà: ha chiuso gli occhi con dolore al primo lancio, quando l’arbitro ha indicato la porta sotto ai tifosi inglesi, ma quando poi la seconda monetina ha dato un esito a nostro favore, facendoci calciare per primi Chiellini si è battuto il petto come fa dopo i gol, esultando come un gorilla. Se è inutile ripetere quanto sia conveniente iniziare la serie di rigori, forse vale la pena riflettere sul fatto che il gorilla (a cui lo ha paragonato il compagno di squadra Morata, per descrivere l’esperienza di essere marcati da lui) è un animale che scoppia di energia, quasi umano, ma non pienamente umano, che è il modo in cui Chiellini gioca quasi a calcio, ma non pienamente a calcio, imitando, si direbbe, i veri calciatori, sfruttando però quel suo corpo primitivo meglio attrezzato per la pura e semplice sopravvivenza.

Non era neanche sicuro di giocarlo questo Europeo, Chiellini. È stato fermo quasi quattro mesi in questa stagione per problemi muscolari (soprattutto al polpaccio), è rientrato a marzo inoltrato e anche nei mesi successivi ha giocato una partita sì e uno no. Se Mancini avesse preferito far giocare dall’inizio Acerbi, o persino Bastoni che veniva da una grande stagione nell’Inter, non sarebbe stato così strano e persino a torneo iniziato ha dovuto fermarsi, nella seconda partita con la Svizzera. Ha saltato la terza partita, inutile, con il Galles e poi l’ottavo di finale durissimo con l’Austria. Ai microfoni, quando si parlava di quanto era utile combattere l’antirazzismo inginocchiandosi lui ha fatto confusione e ha detto che in ogni caso la nazionale italiana avrebbe combattuto «il nazismo» in altri modi. È diventato un meme, sulle copertine dei libri di Fenoglio, in cima al Reichstag al posto del soldato russo della celebre foto. Tutto giusto, se lo meritava, come il cartellino giallo per il fallo a Saka. Poi è rientrato in campo contro il Belgio e ha giocato una grandissima partita su Lukaku, sporcandogli tutte le ricezioni, maltrattandolo e tenendolo il più possibile lontano dalla porta italiana. Un antipasto della partita di sofferenza con la Spagna, in cui però una sua piccola sbavatura – un’uscita fuori tempo su Morata, che scambia con Olmo e va in porta – ha causato il gol dell’1-1.

Chiellini compierà 37 anni il prossimo agosto, sta perdendo i capelli e la sua struttura ossea tubolare è sempre più in evidenza. Non è più un ragazzo con le spalle larghe che avrebbe potuto fare il calciatore come il rugbista, o il velista, visto che è di Livorno, con gli occhi stretti contro il vento e l’acqua di mare. I suoi lineamenti sono stati levigati e scavati dal tempo e dalle intemperie, la sua pelle ha qualcosa della corteccia degli alberi, sembra un personaggio disegnato da Gipi, un uomo senza età, un padre che si occupa dei figli (lui ha due bambine) nell’apocalisse imminente. Molto meglio attrezzato di ognuno di noi per vivere in questo mondo (è anche laureato, con magistrale in business administration) e in quello a venire, o almeno nel mondo a venire per come ce lo immaginiamo, fatto di privazioni, violenza, cataclismi. Ma sembra anche genuinamente una persona simpatica, divertente. Se è in squadra con te, ovviamente. Carismatico senza essere arrogante, competitivo, duro e persino scorretto, mai senza ragione però, senza cattiveria, senza uscire da quelli che sono i limiti “fuori dai limiti” del gioco. Un difensore che si esalta e gode nel difendere, veramente felice solo quando le cose sono a un passo dal poter crollare. Ma non crollano. Grazie (anche) a lui.

Nella finale di Chiellini ci sono altri due momenti degni di nota. Il primo arriva dopo cinque minuti del primo tempo supplementare. Berardi spazza verso il centro del campo una palla vagante e la mette sul piede di Henderson, che di prima trova Sterling in profondità, sul centro-sinistra. Sterling è stato uno dei migliori giocatori del torneo, senza dubbio il più importante tra gli inglesi, la minaccia offensiva più diretta. E adesso sta puntando il centro dell’area di rigore palla al piede, con Kane solo al centro dell’area di rigore. Giorgio Chiellini non ci pensa neanche un secondo, infila la testa nel petto e corre il più veloce possibile: Sterling sembra una biglia di metallo su un piano inclinato, Chiellini una di quelle biciclette con le ruote quadrate dei cartoni animati. La sua macchina di ossa e nervi acquista velocità e – complice una piccola esitazione di Sterling che sbaglia il tocco prima del cross e deve farlo con la palla sotto al corpo – chiude la distanza arrivando al contatto col pallone, che esplode verso la curva, alla massima velocità. Stavamo per correre un rischio, ma Chiellini ha lanciato il proprio corpo sulla granata pronta ad esplodere.

Il secondo momento arriva dopo cinque minuti dall’inizio del secondo tempo supplementare. A dieci minuti, cioè, dalla fine dell’Europeo. Giorgio Chiellini sa che, con grande probabilità, a meno che la serie dei rigori si prolunghi fino a tirarlo in ballo, il suo compito si ferma alla fine dei centoventi minuti. Che altro non potrà fare, da capitano, se non portare la squadra fino al dischetto. A quel punto, anche se gli piacerebbe, non potrà più mettersi tra la palla e Donnarumma. C’è quest’ultima occasione, però, in cui Sterling dal vertice destro dell’area di rigore appoggia ad Henderson e si butta dentro l’area. Henderson, sempre di prima, lo serve con un filtrante tra tre italiani (Bernardeschi, Jorginho e Emerson Palmieri). Chiellini stringe ma Sterling lascia scorrere il passaggio di Henderson, forte il giusto, fino a passargli davanti, poi sterza col destro verso il centro. Forse pensa che quel tocco basti a mettere Chiellini alle sue spalle, ma ha sottovalutato la sua abilità puramente difensiva.

Chiellini arriva su Sterling come una valanga, sembra non avere nessuna percezione della palla, o del rapporto tra i loro corpi, e considerando la leggerezza di Sterling le possibilità che commetta un fallo da rigore sono molto alte. Invece arriva a contatto con la palla prima di arrivare a contatto con il corpo di Sterling, che è molto attento a non sbilanciarsi sfilandogli dietro, quasi facendosi d’aria. La palla sbatte sulla gamba di Sterling e resta alla sua portata, dato che è uno dei giocatori più rapidi ed esplosivi del calcio europeo. Ma anche Chiellini è riuscito a fermare la sua corsa sul posto e in modo miracoloso si gira alla stessa velocità di Sterling: le loro gambe si intrecciano, Sterling prova ad allargare la gamba sinistra per spostarsela di nuovo al centro ma Chiellini, sdraiandosi a terra, riesce a calciare verso l’esterno, lungolinea, sventando nuovamente la minaccia. Goffamente, scomponendosi, strisciando nel fango se ci fosse stato del fango a Wembley, ma riuscendo.

Di solito i difensori si dividono in due macro-categorie quando si parla di lotta corpo a corpo: ci sono quelli forti fisicamente, che spostano l’avversario dalla palla, e quelli forti tecnicamente, che guardano sempre e comunque la palla e cercano il momento giusto per mettere il piede sulla palla con un’intervento pulito. Sono due poli estremi e tra l’uno e l’altro ci sono molte sfumature. Milan Skriniar, uno dei giocatori più abili nell’uno contro del nostro campionato, pur avendo il fisico giusto per lottare con qualsiasi centravanti, è molto tecnico negli interventi, tiene gli occhi sulla palla e mette la gamba di traverso (vedi il blocco su Correa, la scorsa stagione). Nesta, ovviamente tecnico. Materazzi, fisico al limite da perdere di vista la palla, calciando il corpo dell’avversario al suo posto (vedi i duelli con Sheva nei derby). Fabio Cannavaro, tecnico, con l’ausilio di un fisico straordinario, da ginnasta, con un tappeto elastico immaginario sotto ai piedi. Samuel, fisico. Van Dijk, tecnico. Sergio Ramos, tecnico (a parte quando vuole far male agli avversari). Stam, fisico.

Sto parlando di grandi difensori, di maestri dell’arte difensiva. La maggior parte dei difensori, magari anche ottimi, naviga tra i due poli, provando ad usare a volte il fisico a volte la tecnica. Giorgio Chiellini usa entrambe le cose, sempre. Anche negli interventi più ruvidi, nei duelli corpo a corpo da cui sembrano uscire le scintille, sta provando a posizionarsi per arrivare sulla palla (vedi, ad esempio, l’intervento di Stones immediatamente precedente al colpo di testa di Verratti: lui non guarda neanche la palla mentre Chiellini era riuscito a piazzarglisi davanti, costringendolo a quello che, a mio avviso, sarebbe stato fallo da rigore).

E se tutti i grandi difensori si esaltano nell’anticipare gente come Kane, o Sterling, nel murare un tiro ravvicinato – ogni difensore idealmente vorrebbe rendere inutile il ruolo di portiere – Chiellini è quello che sembra più felice di tutti. Come se davvero non ci fosse altro, nel calcio, a parte difendere.

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