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Christensen, difensore universale
31 ott 2017
Lo stile di gioco del difensore danese, una delle migliori sorprese del Chelsea in questo inizio di stagione.
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13 min
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Il Chelsea U-19 è una delle migliori squadre giovanili a livello europeo: ha vinto per due anni consecutivi la UEFA Youth League, nel 2015 e nel 2016, dimostrando che gli investimenti stanno cominciando a dare i loro frutti. Tammy Abraham, Dominic Solanke, Isaiah Brown, Jeremy Brown, Ruben Loftus-Cheek, Kasey Palmer: da quelle squadre sono usciti tutti professionisti che giocano ad alti livelli. Qualcuno è andato in prestito (Abraham), altri sono stati venduti per monetizzare (Loftus-Cheek) oppure per assecondare le richieste dei giocatori stessi (Solanke). Di tutto quel gruppo solo due sono sopravvissuti in prima squadra: Charley Musonda e Andreas Christensen. E di questi due al momento solo Christensen ha giocato almeno tre partite da titolare.

Christensen è solo il quinto giocatore negli ultimi quindici anni ad aver giocato dall’inizio almeno tre partite di Premier League per il Chelsea tra quelli usciti dalle giovanili. Da quando Abramovich è arrivato al Chelsea, insomma, tutti i soldi spesi per creare un’accademia all’avanguardia si sono tradotti solo in qualche trofeo giovanile dall’importanza discutibile, non in quello che serviva di più, ovvero giocatori pronti per la prima squadra. Christensen esce da questa logica.

Il lavoro intangibile del difensore

Difendere è un’arte che non si può ascrivere solo al singolo duello, ma è un lavoro di squadra che parte dagli attaccanti. Per questo il ruolo di difensore centrale è veramente difficile: si hanno pochi strumenti per poter indirizzare individualmente una partita. Può vincere i singoli duelli individuali, ma rimane comunque importante capire come si muove in rapporto ai compagni. Perché ogni scelta può avere buone intenzioni, ma a seconda di come reagisce l’attacco avversario anche degli effetti negativi. Il centrale può fare benissimo il suo lavoro, ma può non bastare ad evitare che l’attaccante segni, nonostante tutto.

È un mestiere ingrato, che trova pochi momenti catartici per essere celebrato, come un gol, e a volte non sono neanche i più determinanti. È un lavoro poi ancora legato ad arti intangibili, come la capacità di tenere il contatto ravvicinato con il giocatore che si marca, e che ad oggi ancora non riesce ad essere rappresentato dal punto di vista statistico. Le statistiche premiano i giocatori aggressivi o che intervengono in modo deciso, perché i contrasti e gli intercetti sono quantificabili. Possiamo segnalare gli errori dati da mancanza di concentrazione ma è ancora difficile quantificare il valore di tutta quella serie di azioni difensive, come l’accompagnamento o il posizionamento, utilissime ma che possono essere notate solo ad occhio.

Non solo il ruolo del difensore centrale è difficile, ma è anche complicato astrarre il singolo dal contesto per provare a capirne il livello. Soprattutto perché i sistemi difensivi vengono costruiti proprio per esaltare le caratteristiche dei giocatori. In Nazionale e al Chelsea, ad esempio, Conte ha costruito il suo sistema alla Juventus attorno a due giocatori come Bonucci e David Luiz che esemplificano proprio questa particolarità. Sia l’italiano che il brasiliano sono giocatori con pregi spiccati che, se esaltati dal contesto, possono fare realmente la differenza come giocatori specializzati in determinate azioni. Conte ha permesso a David Luiz di mostrare i propri pregi di giocatore aggressivo ed estremamente dotato nel calcio del pallone e a nasconderne i difetti di concentrazione. I pochi errori personali del brasiliano non hanno comunque macchiato la sua grande stagione, che ha permesso al Chelsea di costruire da dietro contro ogni tipo di pressione, adattando sull’avversario diversi tipi di approcci difensivi. Nel mercato estivo Conte ha poi comprato Antonio Rüdiger, un altro giocatore dai difetti e dai pregi marcati, che se inserito in un contesto favorevole può far valere la sua grande capacità atletica, che gli permette di giocare bene sia in anticipo che in copertura contro ogni tipo di attaccante. Quello del Chelsea, insomma, è l’esempio perfetto di come profili precisi e specializzati in determinati facce del proprio gioco permettono la costruzione di un sistema ricco di sfaccettature. Per Conte il sistema migliore sembra essere quello con giocatori eccezionali che creano un sistema comunque superiore alle singole parti.

Un giovane vecchio

Proprio per questo motivo sta diventando uno dei temi più interessanti della stagione del Chelsea la gestione dello sviluppo di Andreas Christensen. Il danese è il centrale più promettente cresciuto nel club dai tempi di John Terry ma, rispetto ai profili specializzati che sembra preferire Conte, non spicca per alcune caratteristiche eccezionali ma per l’assenza di difetti significativi.

Christensen ha un gioco cerebrale, e per uscire dalle situazioni difficili si affida soprattutto alla lettura e a una base tecnica di ottimo livello. Sembra già un veterano, raramente perde la concentrazione ed è bravo a capire cosa serve alla squadra in un preciso momento della partita. In questo è aiutato dal fatto che ha già due anni da titolare in Bundesliga e in Champions League: se è vero che il mestiere del difensore è complicato, fare esperienza diretta sul campo ad alto livello aiuta poi a sapersi comportare.

Christensen ha pianificato con cura la sua carriera fin dai primi anni, in campo è posato e sobrio nei gesti, mentre fuori dal campo cura maniacalmente la preparazione fisica, aiutandosi con allenamenti specifici per aiutare la schiena ed evitare dolori futuri. La gestione della sua alimentazione, corredata da una dieta precisa lo fa sembrare, per sua stessa ammissione, “una persona noiosa”. A colazione uova strapazzate e avocado, a pranzo pasta al pesto accompagnata da pollo, pesce o vitello: «Anche prima delle partite stesso menù».

Con un padre ex calciatore, ha iniziato a giocare in club minori, prima di passare a 10 anni al Brøndby, dove il padre era preparatore dei portieri. Il Brøndby è la squadra per cui ancora ora fa il tifo e da cui il Chelsea lo ha prelevato a 16 anni, battendo nella corsa al talento gli altri grandi club d’Europa. Lui dice di aver scelto il Chelsea perché gli piace lo stile di gioco della squadra allenata all’epoca da Villas-Boas. Andando in Inghilterra ha deciso di abbandonare gli studi, non lasciandosi altra alternativa al mondo del calcio. Il Chelsea, dal momento della sua firma come professionista, a 17 anni, ha dovuto pagargli uno stipendio record per le giovanili inglesi dell’epoca: 20.000 euro a settimana.

Non è chiaro se l’assenza di difetti evidenti nel suo gioco sia parte del suo talento naturale o del lavoro costante su di esso. Invece di andare in prestito per qualche mese uscito dall’accademia del Chelsea, forza la mano per andare in Bundesliga e giocare con continuità, consapevole dell’importanza di tale aspetto nello sviluppo di un centrale: «Sapevo che alcune squadre mi volevano in prestito breve, ma un accordo biennale sarebbe stato più appropriato per me. Volevo un anno per ambientarmi ed entrare in rotazione, e poi un altro per giocare regolarmente». Arrivato in Germania con la prospettiva di giocare una ventina di partite stupisce in positivo lo staff del ‘Gladbach e si ritrova già a metà settembre tra i titolari. Da lì gioca tutte le restanti partite della stagione. Neanche ventenne è passato quindi dall’aver giocato solo una partita in Premier League con il Chelsea prima di andare in Germania (12 minuti in tutto, da subentrato a centrocampo all’ultima giornata contro il Sunderland) a essere al centro del sistema di André Schubert. «Affrontare gli attaccanti delle Bundesliga e della Champions League per due anni mi ha fatto fare molta esperienza. Il club non avrebbe potuto fare di meglio per mettermi sul sentiero giusto, ma come giocatore devi prenderti cura di te stesso. Non puoi certo aspettarti che tutto ti sia dovuto e devi giocare bene quando ti viene data l’occasione. Sono cresciuto perché mi sono preso cura di me stesso. Questi due anni sono stati un’esperienza di vita».

Christensen in Germania ha giocato per due allenatori diversi, Schubert prima e Hacking poi, venendo schierato come centrale di difesa a quattro, a tre e sporadicamente anche come mediano davanti alla difesa. Ha terminato il suo secondo anno dando 63 passaggi per 90’ con una precisione del 91% alternando corto e lungo (5 lanci lunghi per 90’ tentati). Ha quindi lavorato sia come parte di una linea che come giocatore fuori da essa; come difensore in una strategia reattiva e come giocatore che deve impostare l’uscita della palla.

Le qualità migliori di Christensen

Da giovanissimo, per via dell’altezza e delle buoni doti tecniche, Christensen giocava come punta. Poi ha pian piano arretrato la sua posizione, passando prima esterno, poi terzino e solo una volta al Brøndby passa al centro della difesa. Il suo allenatore delle giovanili del Brøndby spiega la scelta del ruolo come centrale non tanto in termini di vantaggi fisici, quanto di caratteristiche di gioco che si sposano bene con la posizione. Anzi, l’assetto fisico era proprio il difetto principale di Christensen nelle giovanili e quando l’allenatore vuole descriverne il gioco parla della sua capacità di lettura: «È sempre stato veramente molto bravo nel leggere il gioco. Quando ha iniziato a giocare al centro della difesa c’era chi pensava non fosse abbastanza strutturato per arrivare al massimo livello. Io però gli dicevo che ci sarebbe arrivato perché non ha bisogno di forza fisica, e che comunque l'avrebbe messa su più avanti in carriera. È così bravo a leggere il gioco che la forza fisica non è necessaria». I dubbi sul suo impatto fisico, soprattutto prima che sviluppasse, erano legittimi. Il calcio danese, per quanto si lavori da anni sulla tecnica di base a livello giovanile, impone comunque una grande capacità fisica e una carenza tanto grande, come la capacità di mantenere la marcatura o reggere i contrasti con gli avversari, non può essere lasciata cadere. Un centrale deve prima di ogni cosa sempre essere in grado di reggere fisicamente l’avversario diretto. Non sarà mai atletico quanto David Luiz o Rüdiger, ma Christensen ora possiede un controllo del corpo invidiabile, che lo rende temibile nei duelli individuali e gli permette di uscire da situazioni sfavorevoli anche con il fisico.

In Danimarca era soprannominato “la gazzella”, per via delle gambe lunghe e dal corpo dinoccolato, e ora che ha una struttura apparentemente pesante, ha mantenuto un passo leggero, e non è né lento nell’allungo né poco reattivo nel breve. La Premier lo mette alla prova con attaccanti ogni domenica fuori dal normale, rispetto a cui è naturale che Christensen mantenga un approccio più conservativo nell’uno contro uno. In queste situazioni ha imparato a trascinare il giocatore avversario in una guerra logorante, intervenendo poi per deviarne il passaggio o il tiro. È un modo di difendere che privilegia la lettura, e non è certo esaltante per un campionato dal gusto spiccato per il gioco aggressivo. Come diceva Xabi Alonso, stupendosi dell’enfasi che il calcio inglese impone ai contrasti: «Saper contrastare è un’ultima risorsa, e ti servirà, ma non è una qualità a cui aspirare, una caratteristica su cui definirsi». Chi sa leggere bene il gioco saprà indirizzare l’avversario o intercettare il pallone prima. Con 0.3 falli fatti per 90’ Christensen è il giocatore di movimento del Chelsea a cui ne hanno fischiati di meno. Ma in ogni caso, quello di Christensen, è proprio lo stile difensivo che più fatica ad entrare nelle statistiche, che si può cogliere solo guardandolo giocare.

Christensen sa usare molto bene il corpo per trascinare l’attaccante fuori dalla zona pericolosa, ed è una strategia che lo mette anche al sicuro di essere saltati in zone sensibili del campo per un tempo di intervento sbagliato. Uno stile intelligente, in un campionato che non permette errori a chi non possiede un atletismo eccezionale. Christensen si sta comunque adattando al contesto, e già ora ha un’ottima media di intercetti: 1.53 intercetti per 90’, meno solo di David Luiz, N’Golo Kanté e Bakayoko nel Chelsea. Con David Luiz, Christensen condivide il ruolo di centrale della linea a tre, una casella che nel sistema di Conte richiede ai giocatori di staccarsi dalla linea per difendere in avanti. Quello che fa la differenza è la lettura di gioco, il senso della posizione. Christensen è già un maestro nel gestire le distanze, quelle con i compagni, ma anche quelle precise per essere posizionato rispetto agli avversari e al pallone.

Il vantaggio della difesa a tre è proprio quello di permettere a un giocatore di staccarsi dalla linea, sia per difendere che per gestire l’uscita del pallone. Nasce da questo l’idea del vantaggio della Salida Lavolpiana rispetto all’uscita classica delle difese a quattro. Nella difesa a tre questo vantaggio è intrinseco nella disposizione e Christensen agisce come vertice basso in fase di uscita del pallone, ma sotto pressione la circolazione di palla punta ad aspettare il suo movimento oltre la prima linea di pressione per ricevere da lì giocare. Come in altri aspetti tecnici, il danese non è propriamente un fenomeno in impostazione. Non ha la naturalezza del calcio e la creatività di David Luiz, ma è comunque molto competente in ogni aspetto tecnico del passaggio, sia corto che lungo.

La capacità di lancio vale sia per impostare che per far circolare il pallone. Christensen è molto freddo nell’aiutare la squadra ad uscire dalle fasi di pressing, non lanciando ma cercando l’uomo al di là della linea di pressione. Conte vuole che il giocatore sia proattivo quando ha la palla: «Il mister vuole che tutti si prendano responsabilità con palla e se questo significa uscire dalla linea questo è quello che facciamo. A me piace».

In sostanza non si tratta solo di sapersi proporre in conduzione per rompere le linee, ma in generale di saper prendere decisioni con la palla anche in contesti frenetici. Conte ne sta assecondando la naturale evoluzione, usandolo come centrale che imposta della difesa a tre, ma la particolarità di Christensen è la sua universalità. Conte sta lavorando per abituarlo anche a giocare centrale ai lati della linea a 3: «Il posto al centro della difesa è sicuramente la posizione per cui sto lottando, ma in allenamento lavoro anche per gli altri due lati così se ci sarà bisogno non ci penserò due volte a farmi trovare pronto».

La grande qualità di Christensen, che è quella di saper interpretare qualsiasi situazione di gioco, può diventare anche un punto debole in un sistema che richiede tanta specializzazione. Per questo motivo, pur avendo mostrato naturalezza a giocare in partite d’alto livello come contro il City o contro il Tottenham, una volta tornati a pieno regime i titolari non è più riuscito a ritagliarsi spazio. Il danese ha giocato titolare contro la Roma solo perché David Luiz è stato dirottato in mediana. La sensazione è che Conte avesse in testa una difesa a tre con Rüdiger titolare e Cahill prima riserva, ma col tempo si sta accorgendo della stroardinarietà di Andreas Christensen nonostante l’età. «Andreas è anche meglio dal vivo che in televisione», ha dichiarato quest’estate il tecnico.

Il Chelsea sembra avere tra le mani un giocatore che interpreta il proprio ruolo in maniera moderna, capace di essere fonte primaria della circolazione e al contempo difendere ad alti livelli. Sta a Conte ora decidere quale sviluppo ulteriore dare alla carriera di Christensen: mantenerne l’universalità oppure specializzarlo in un aspetto specifico?

Il futuro è dalla parte di Christensen, ma la strada che prenderà sarà decisa soprattutto dalle prossime decisioni di Antonio Conte.

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