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Cosa sta succedendo in Formula 1 con il caso Horner
14 mar 2024
Un contenzioso che potrebbe cambiare molte cose, non solo all'interno di Red Bull.
(articolo)
13 min
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IMAGO / NurPhoto
(copertina) IMAGO / NurPhoto
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Anche se non siete nella ristretta cerchia degli appassionati di Formula 1, in questi giorni avrete sentito parlare del team manager della Red Bull, Christian Horner. Negli sport di motori succede spesso: quando la pista dice poco, ammutolita da Max Verstappen e dalle sue vittorie a raffica, è il paddock a parlare. Nelle prossime righe entrerò nel dettaglio di ciò che si suppone stia accadendo nel mondo aziendale Red Bull e dietro le saracinesche chiuse della scuderia; analizzerò il lato sportivo della vicenda, provando a immaginare i possibili riflessi tecnici in pista per le monoposto con il toro rosso sulla fiancata. Vorrei che fosse chiaro dal principio il mio pensiero, però: il caso Horner non è una montatura creata ad arte dai nemici della Red Bull; non è nemmeno il frutto di pettegolezzi o di speculazioni giornalistiche, qualcosa buttato lì tanto per far notizia. Le accuse che gli sono rivolte sono gravissime, circostanziate e, a quanto si sa, ben documentate.

In qualsiasi altra azienda al mondo, un dirigente che avesse ricevuto le stesse accuse sarebbe stato messo alla porta. Horner, per ora, è ancora al suo posto. La Formula 1 è anche questo: un micro-mondo con regole a sé, che coinvolge un numero ristretto di persone che hanno tra loro una rete di relazioni fitta e quasi inestricabile.

Cosa è successo?

La bomba scoppia lo scorso 5 febbraio, quando ancora non si è smorzata l’eco del trasferimento clamoroso di Lewis Hamilton dalla Mercedes alla Ferrari, annunciato il 2 febbraio e previsto per il 2025. Il quotidiano olandese De Telegraaf annuncia che Christian Horner è oggetto di un’indagine interna alla Red Bull per "comportamenti controllanti e inappropriati" nei confronti di un lavoratore alle sue dipendenze. La notizia diventa virale in poche ore e successivamente il De Telegraaf specifica che il lavoratore in questione è una donna. Altre testate fanno riferimento alla natura aggressiva e afferente alla sfera sessuale dei comportamenti di Horner. Un portavoce di Red Bull GmbH, l’azienda della famosa bevanda che detiene la proprietà della scuderia di F1, ammette che è in corso un’inchiesta portata avanti da un soggetto terzo, il British King’s Counsel, un ufficio di avvocati associati esperti, tra le altre cose, di legislatura nel campo lavorativo.

Qui abbiamo un primo indizio circostanziale, diciamo così. Se fosse stato un affare da poco, Red Bull l’avrebbe risolto internamente. Coinvolgere un board di giudizio esterno è un modus operandi che, implicitamente, ammette che le accuse sono reali e gravi. Già quattro giorni dopo lo scoop del De Telegraaf, Horner è ascoltato dagli avvocati inquirenti.

La deliberazione del board arriva il 28 febbraio, alla vigilia dell’esordio stagionale al Gran Premio del Bahrain: Horner è scagionato dalle accuse. Il comunicato di Red Bull GmbH asserisce che l’indagine è stata "equa, rigorosa e imparziale". Pur concedendo alla querelante il diritto al ricorso, l’azienda austriaca chiede che sulla vicenda cada il silenzio: "I rapporti investigativi sono confidenziali e contengono le informazioni private di tutte le parti coinvolte, per questo non saranno fatti ulteriori commenti".

Nei giorni precedenti alla pronuncia degli avvocati, tutto il mondo della Formula 1, riunito in Bahrain per i test pre-stagionali, aveva chiesto la testa di Horner. Il CEO di McLaren, Zak Brown, è stato tra i più duri ai microfoni delle TV, chiedendo un’indagine rapida e trasparente: «Queste voci non fanno bene alla Formula 1 e le accuse nei confronti di Horner sono estremamente gravi». Anche il team principal di Mercedes, Toto Wolff, non le ha mandate a dire: «Non è solo il problema di un team, è il problema di tutta la Formula 1». Lo stesso Wolff, a dicembre, era stato accusato di abusare della sua posizione e di quella di sua moglie Susie, direttore della neonata serie femminile F1 Academy, trasferendo illegalmente alcune informazioni dalla Federazione Internazionale dell’Automobilismo a Liberty Media, l’azienda americana che organizza il campionato, con l’obiettivo di danneggiare la Red Bull di Horner.

L’assoluzione di Horner, insomma, non accontenta nessuno. Horner è in sella alla Red Bull dal 2005, con talento e caparbietà ha creato un team di Formula 1 vincente da quella che, inizialmente, sembrava una pura operazione commerciale. È diventato, strada facendo, uno degli uomini più potenti e ingombranti dello sport. Bernie Ecclestone, l’ex patron della Formula 1 prima dell’ingresso di Liberty Media, ha dichiarato di recente che la Formula 1 non potrà mai fare a meno della Red Bull per la quantità di denaro che la casa austriaca immette al suo interno. Insomma, per l'importanza che ha assunto la Red Bull all'interno della Formula 1 serve qualcosa di più per spazzare via il caso Horner.

Ciò che accade il giorno dopo l’assoluzione, il 29 febbraio, ha del clamoroso. Il presidente della FIA, Mohammed bin Sulayem, il presidente della Formula 1, Stefano Domenicali, e la quasi totalità dei giornalisti che seguono la Formula 1 ricevono nelle loro caselle una mail con un link a uno spazio di archiviazione Google Drive. Nel cloud sono presenti 79 file contenenti chat e foto che comproverebbero le accuse mosse a Horner, documenti che Red Bull GmbH non aveva intenzione di mostrare. È un attacco diretto e sporco, intenzionato a creare il massimo danno possibile. È un punto di non ritorno.

Come nota Stefano Ollanu, la persona che ha divulgato le informazioni è per forza di cose ben inserita nella Formula 1, perché in possesso dei contatti privati di molti degli addetti ai lavori. Una persona talmente ben inserita da avere accesso a documenti riservati di Red Bull GmbH e secretati nel corso dell’indagine. Insomma: probabilmente qualcuno dentro Red Bull.

La faida

Nessun giornalista si è ancora azzardato a utilizzare il materiale contenuto nell’ormai famoso Google Drive, anche perché, come molti di loro hanno sottolineato, si tratta di informazioni non verificate e provenienti da una fonte anonima. L’invio della email ha però svelato l’esistenza di una scacchiera dove si sta giocando da molto tempo un’enorme partita per il controllo di un’azienda che solo nel 2023 ha fatturato 10 miliardi di euro.

È una storia questa dove non esistono buoni o cattivi, ma yin e yang, polarità opposte di una stessa natura. Nell’attimo in cui Horner è tornato a sentirsi saldo sul ponte di comando della sua scuderia, si è indebolita la posizione di Helmut Marko, il racing director della Red Bull, un uomo dotato quantomeno degli stessi poteri del team principal all’interno della scuderia.

Marko, ottant’anni, è una vecchia volpe del motorsport. Nel 1971 ha vinto una 24 Ore di Le Mans a bordo di una Porsche 917. Dal 1989 gestisce la RSM Marko, una scuderia che nelle serie minori ha dato visibilità al talento di due piloti austriaci, Gerhard Berger e Karl Wendlinger. Berger ha raccolto 10 vittorie e 12 pole position, nel periodo in cui la Formula 1 era territorio di caccia delle leggende Senna, Prost, Mansell e Schumacher. La carriera di Wendlinger in F1 si è interrotta contro il guard-rail all’uscita del tunnel di Montecarlo. Marko è anche l’uomo che ha portato Juan Pablo Montoya in Williams. Dal 1999 la RSM Marko corre con le insegne della Red Bull e il manager austriaco, sotto l’egida del Red Bull Driver Development Programme, ha aiutato lo sviluppo delle carriere di tanti piloti, tra i quali due pluri-campioni mondiali: Sebastian Vettel e Max Verstappen.

Non sono stati solo i successi dello junior team a garantire un certo prestigio a Helmut Marko. Il legame personale con il fondatore di Red Bull, Dietmar Mateschitz, era saldissimo e i due, nonostante le differenze nella scala gerarchica aziendale, si consideravano alla pari. Marko, dopo la morte di Mateschitz nel 2022, ha detto: «Adesso è tutto più difficile. Devi prendere una decisione da solo, ora che non c’è più la possibilità di scambiarsi idee allo stesso livello».

Sembrerebbe che Marko non gode dello stesso ascendente sulla nuova dirigenza, una stima diminuita che lui stesso restituisce al nuovo capo. Il successore di Mateschitz ai vertici del gruppo, Oliver Mintzlaff, è l’uomo che ha reso il RB Lipsia una squadra da Champions League, ma che di motorsport ne sa poco o nulla. Un incontro tra Marko e Mintzlaff era in programma a Jeddah, in occasione del secondo Gran Premio stagionale, e i media hanno cominciato a rumoreggiare circa l’instabilità della posizione di Marko. Prima del meeting che avrebbe potuto decidere del suo futuro, all’imprenditore austriaco – Marko possiede alcuni hotel a Graz, la Formula 1 è più un hobby che un lavoro – è arrivato un endorsement potentissimo.

Jos Verstappen è un tipo dai modi spicci. Da pilota non le mandava a dire. Quando gli hanno chiesto se, ai tempi della Benetton di Flavio Briatore e Michael Schumacher, si usasse il vietatissimo controllo di trazione, ha dichiarato sibillino: «Posso solo dire che io non ce l’avevo». Anche come papà di Max non è certo stato sempre irreprensibile, e i suoi scoppi d’ira sono arcinoti tra la gente che vive il paddock. La spallata che rifila a Horner attraverso i microfoni dei media di tutto il mondo non è certo frutto di un istinto incontrollato, ma di un preciso calcolo: «Horner gioca a fare la vittima, ma è lui che sta causando problemi». Jos Verstappen ha capito che la posizione del team principal è debole, ha deciso di scendere in guerra per fare bottino e ha scelto da che parte stare.

Il destino di Marko e dei Verstappen sono legati a doppio filo. Ai tempi della Formula 3 lo strabordante talento di Max era già palese agli occhi di tutti. Alle avances prudenti di Mercedes e Ferrari, Marko ha risposto con una proposta folle e concreta: portare Max in Formula 1 con la Toro Rosso nel giro di un anno, quando ancora avrebbe dovuto compiere diciotto anni. Verstappen deve tutto a Marko, e otto anni e tre mondiali dopo Max è pronto a restituire al suo mentore tutto il supporto che serve: «La mia lealtà verso Helmut è enorme. L’ho sempre detto chiaramente all’interno del team. L’ho detto ai piani alti. Lui è una parte importante per ogni decisione che riguardi il mio futuro». Secondo numerose indiscrezioni, nel contratto di Verstappen esiste una clausola rescissoria che gli permette di liberarsi in caso di variazioni sostanziali nell’organigramma della scuderia. E l’allontanamento del racing director è sicuramente una variazione sostanziale. Mintzlaff ha fatto subito retromarcia e dopo aver incontrato Marko a Jeddah ha dichiarato che il vecchio manager ha il posto assicurato, almeno per i tre anni residui del suo contratto.

La palla è ricaduta ancora una volta nel campo di Christian Horner. Ora si rincorrono nuove voci di un suo imminente licenziamento. La situazione in Red Bull è incendiaria, gettare acqua sul fuoco, come ha tentato di fare Mintzlaff, è ormai inutile. Horner e Marko sono ai ferri corti da almeno due anni, dal mancato accordo che avrebbe permesso a Porsche di entrare nell’azionariato della scuderia. L’ingresso del marchio tedesco avrebbe cambiato i rapporti di forza all’interno del team, Marko era d’accordo, Horner no. Il primo aveva dalla sua il beneplacito di Mateschitz, se non addirittura già quello di Mintzlaff, viste le condizioni di salute già precarie del primo.

Horner è allora corso sotto l’ala protettrice di Chalerm Yoovidhya, l’erede del socio tailandese di Mateschitz, che ha mandato all’aria un accordo praticamente fatto, forte della sua quota maggioritaria del 51%. Sullo scacchiere Horner e Marko sono gli alfieri tra le parti in guerra, Red Bull è infatti un gigante a due teste, una posta in Europa, l’altra in Asia. Mateschitz era in qualche modo il garante degli equilibri tra le anime tailandesi e austriache dell’azienda. È stata la sua morte a far scoppiare la faida.

Cosa accadrà ora?

È ingenuo pensare che basterebbe fare a meno di Christian Horner per pacificare la situazione. Le ricostruzioni giornalistiche, forse forzando la mano, dipingono un faraone pazzo pronto a trascinare con sé nel sarcofago tutti gli uomini che ne hanno fatto le fortune negli ultimi anni. Horner che si dice certo che la Red Bull continuerà a vincere anche senza il suo campione olandese. Horner deciso a degradare Adrian Newey, il direttore tecnico della Red Bull (cioè una delle teste più importanti dietro l'ideazione delle monoposto), per mere questioni di costi. Horner che tenta la scalata alla Red Bull in prima persona, alle spalle di Marko e della dirigenza austriaca. La sua posizione è in bilico per questioni di decenza, ma anche per un mero opportunismo commerciale.

Sui media americani ha avuto enormerisalto la notizia della sospensione della dipendente che aveva denunciato i comportamenti inappropriati di Horner. Red Bull si è rifiutata di confermare l’indiscrezione, ma ora teme il boicottaggio dei propri prodotti negli Stati Uniti. Normalmente la sospensione delle parti in causa potrebbe anche essere una cautela nei loro confronti, il problema qui è che solo una persona è stata sospesa e non è Horner. Forse è perché la querelante ha ritirato la sua denuncia? Alcuni media riportano l’esistenza di un accordo tra le parti, con cifre variabili intorno al milione di dollari.

La sempre più probabile rimozione del manager inglese non sarà né immediata né indolore per la Red Bull. Il guascone con la camicia a maniche corte che si aggira da diciannove anni nei paddock della Formula 1 è in realtà un manager potentissimo. Al di là delle buonuscite da calcolare e delle partecipazioni azionarie da sciogliere, il nocciolo della questione è rappresentato dalle numerosissime responsabilità che Horner negli anni ha assunto all’interno delle aziende della galassia Red Bull.

L’asso nascosto nella manica è la direzione della divisione Powertrains, il suo progetto più ambizioso: dotare la Red Bull di una struttura che le permetterebbe di progettare e costruire i motori delle monoposto di Formula 1 in casa, senza ricorrere a fornitori esterni. I propulsori sono un concentrato di tecnologia e nel 2026 cambieranno i regolamenti, per cui la parte ibrida diventerà preponderante e il know-how necessario è in mano a pochi. Honda, che oggi fornisce supporto tecnico alla Red Bull, passerà a lavorare con Aston Martin. Horner si è premunito chiudendo un accordo con Ford, ma ora che è scoppiato il bubbone, prima di tornare a investire nella Formula 1, la casa automobilistica americana vuole vederci chiaro. I nuovi motori si vedranno in pista nella primavera del 2026, ma il debutto per i test al banco sarà anticipato di almeno un anno e mezzo. Cambiare a pochi mesi dal debutto i piani tecnici per una parte fondamentale di una monoposto è un rischio gigantesco. Powertrains può essere il salvagente di Horner o il primo chiodo sulla bara della scuderia Red Bull.

Le altre scuderie sono alla porta. Se cade un gigante come la Red Bull in molti sono pronti a gettarsi sulla carcassa. Non serve che la Red Bull chiuda i battenti: una semplice incertezza sulla governance della scuderia basta e avanza a destabilizzare l’ambiente di lavoro inglese. Se Red Bull non si affretta a fare chiarezza, molto presto i suoi uomini migliori presteranno orecchio alle offerte delle altre scuderie. Toto Wolff ha perso la faccia nell’affaire Hamilton-Ferrari e non vede l’ora di rifarsi, ha già dichiarato che le porte per Max Verstappen e Helmut Marko alla Mercedes sono aperte. Frederic Vasseur, da quando è team principal della Ferrari, è al lavoro per mettere sotto contratto i formidabili aerodinamici capitanati da Pierre Waché.

Cosa farà Adrian Newey se Horner dovesse saltare? Sarebbe disposto a traslocare in Italia all’età di sessantacinque anni, dopo aver già rifiutato la corte della "Rossa" in passato? Al di là delle turbolenze generate dalla questione Horner, Newey è già ora relativamente poco coinvolto nel progetto Formula 1. La sua presenza nella fabbrica di Milton Keynes si è via via ridotta negli anni e i suoi interessi si sono ampliatidi molto. Il cuore dei tifosi, però, non sente ragioni, e ci sono già indiscrezioni secondo cui John Elkann avrebbe pronto per Newey l’ennesimo assegno in bianco, dopo quello recapitato al domicilio di Lewis Hamilton in febbraio.

Per la Formula 1 che sarà dal 2026 in avanti, la Ferrari vuole farsi trovare pronta.

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