Ci stiamo abituando alla grandezza di Kvaratskhelia? La sua capacità di segnare gol strepitosi, fare magie, trascinare la squadra prima in classifica, è qualcosa che stiamo cominciando a dare per scontata? Una cosa che succede, parte del paesaggio, la normalità?
A marzo ha segnato 2 gol e servito 1 assist nelle tre partite giocate e soprattutto ha dato un’altra dimostrazione di onnipotenza nella partita contro l’Atalanta. Quel gol, quello dell’1-0 allo Stadio Maradona, è uno di quelli che ricorderemo quando penseremo a questa stagione del Napoli, al primo anno di Kvicha Kvaratskhelia in Serie A. Quando racconteremo di questo fenomeno georgiano atterrato in Italia come un alieno, con l’aria del “tormentato poeta d’amore, o del sognante studente di scienze politiche” come l’ha definito Rory Smith sul New York Times.
Quel gol che ha segnato all’Atalanta è un’altra firma d’autore, l’opera di un artista ormai affermato, di cui abbiamo imparato a conoscere lo stile, i tic, i riferimenti. Le finte di corpo, gli assoli con cui piega le gambe dei difensori: sono come la luce irreale di certi dipinti di Magritte, le mani contorte di Schiele, dettagli che sono di Kvaratskhelia e di nessun altro. Ma quel gol all’Atalanta non possiamo darlo per scontato. Quando ci era successo di vedere un giocatore mettere in ginocchio un’intera difesa avversaria?
Forse l’ultimo grande gol in solitaria del nostro campionato lo aveva segnato Theo Hernandez contro l’Atalanta, pochi mesi fa che però sembrano un secolo. Era partito dalla sua difesa e aveva cominciato a sgasare su un binario immaginario che tagliava in diagonale il prato di San Siro. I difensori attorno a lui provavano a placcarlo, o ad appendersi come Fantozzi sull’autobus in tangenziale. Theo sembrava un mezzo di locomozione, un giocatore a motore. Nessun gol rappresenta meglio il desiderio, la convinzione con cui il Milan si è preso lo Scudetto. L’azione di Kvaratskhelia non è più bella, o più eccezionale, ma è un’altra cosa, perché il Napoli dominante di quest’anno è un’altra cosa. Non una squadra intensa, volitiva, diretta, come il Milan campione d’Italia; una squadra invece più associativa, raffinata, in cui il risultato è sempre più grande della semplice somma delle parti. Una squadra che si muove in campo come un unico organismo complesso, ma reso letale soprattutto da due o tre individualità.
Davanti l’intensità di Osimhen, che gioca in attacco come un fante al fronte, muovendosi con una fame quasi disperata verso la porta avversaria; e poi la classe strana, a tratti sciroccata, sempre imprevedibile, di Kvara, che quel giorno prende la palla sull’esterno sinistro e mette a sedere tutta la difesa dell’Atalanta. Kvaradona, o Kvaravaggio, appena fuori dall’area di rigore, tocca il pallone con l’esterno tre volte solo per preparare la finta di calciare. Una finta dopo cui i difensori dell’Atalanta svengono. Qualcuno di loro si stende a terra, qualcun altro gli dà la schiena. Come ha scritto Daniele Manusia il gol descrive le qualità di Kvaratskhelia, ma anche per riflesso il panico che getta nei difensori avversari, spazzati via come un gruppo di nuvole al minimo soffio di venti. Come avevamo scritto, Kvaratshkelia non completa poi così tanti dribbling in Serie A, perché non ne ha bisogno. Spesso gli basta la minaccia del dribbling, per vedere i difensori arretrare intimoriti, e concedergli tutto lo spazio e il tempo per la giocata successiva.
La sera di quel gol sui social circola lo screenshot della difesa dell’Atalanta piegata in due dalle finte di questo ventiduenne che un anno fa giocava alla Dinamo Batumi. Eppure non eravamo più di tanto stupiti. Non dopo il gol in serpentina contro il Sassuolo, dopo le serate di Champions contro il Liverpool, dopo tutti i terzini fatti ammattire in Serie A e in Europa, dopo i 14 gol e i 14 assist stagionali. Sapevamo ormai che quel tipo di eccezionalità appartiene a Kvaratskhelia.
Una settimana dopo il Napoli gioca contro il Torino; passa in vantaggio con il solito colpo di testa di Osimhen, poi il Torino si mette ad attaccare. Quando alza l’intensità può mettere sotto chiunque. Attacca e costruisce occasioni, va davvero vicina al pareggio quando Sanabria prende il palo a pochi centimetri dalla porta di Meret. Il Napoli poteva anche permettersi di pareggiare quella partita: il margine di vantaggio in classifica era abbastanza rassicurante da poter accettare un solo punto in casa del Torino. La squadra di Spalletti però non si accontenta mai, non alza mai davvero il piede dall’acceleratore. Si è discusso tanto del suo possibile crollo invernale, come lo status quo del calcio italiano dovesse finire per assorbire la forza del Napoli. E forse questi discorsi hanno finito invece per alimentarla, per darle una spinta nervosa. Nel momento di massima sofferenza, Kvaratskhelia si guadagna un calcio di rigore e lo trasforma, il Napoli va 2-0 e trasforma una partita spinosa in una facile. All’inizio del secondo tempo, ormai leggero e ispirato, Kvaratskhelia fa sbandare Singo, lo trascina verso il centro mentre Oliveira si sovrappone; lo serve col tacco, quello mette in mezzo, altro colpo di testa di Osimhen, altro gol. Un quarto d’ora dopo arriva anche l’assist per Ndombelé. “Ancora Kvarashow” si scrive in giro per descrivere questa superiorità venutaci quasi a noia.
È arrivato in Italia come un dribblatore barocco, virtuosistico, ma ora sta riuscendo a cambiare le partite anche attraverso le piccole cose: un rigore guadagnato, un passaggio fatto coi tempi giusti, un cross eseguito bene. Anche nelle giornate meno ispirate, quelle che sembrano mettersi per il verso sbagliato, Kvaratskhelia si mette lì a provare e a riprovare cose incredibili, come assecondando un flusso creativo. Sbagliare, sbagliare meglio, infine riuscire. Senza farsi troppi problemi di giocare in un calcio che cerca di star lontano dai rischi e dagli errori. Nella partita d’andata contro l’Eintracht Francoforte aveva giocato un primo tempo complicato, aveva sbagliato il rigore del possibile 1-0. In quel momento, però, non si è chiuso nel suo bozzolo, accontentandosi di giocare semplice, e così ha trovato quel tacco geniale per Di Lorenzo.
Kvaratskhelia non ha voluto e dovuto adattare il suo gioco: il Napoli di Spalletti sembra aver preso forma tutto attorno al suo stile. E quasi non ci facciamo più caso, alla facilità con cui Kvaratskhelia continua a passare sopra alle difese italiane. Forse sì, ci stiamo davvero abituando alla sua grandezza, e forse non c’è niente che riveli di più il suo valore. Siamo in un’epoca in cui i rapper sono costretti a rilasciare sempre nuovi singoli per non uscire dall’algoritmo, e gli attaccanti hanno bisogno di fare cose eccezionali in ogni partita per non uscire dalle compilation YouTube. Siamo in un’epoca, insomma, che esige dagli artisti la continua riproduzione dell’incredibile. Delle due o tre partite in cui Kvaratskhelia non ha brillato, si è infatti discusso molto. Delle partite contro l’Inter, o nel ritorno contro la Lazio, come in attesa che si rivelasse una truffa, o come se l’eccezionale per lui fosse una cosa dovuta in ogni singola partita. Questo gli viene chiesto.
Kvaratskhelia, 21 anni, in Italia da 8 mesi, non sembra avere grossi problemi con questo tipo di pressioni. Il premio di Calciatore del mese AIC di marzo, allora, ci serve soprattutto a non dare per scontato il suo rendimento, a celebrarlo con la giusta importanza, a farci accorgere un po’ di più della straordinarietà con cui Kvaratskhelia dipinge il quotidiano del nostro campionato.