La normalità a volte è inevitabile, è più forte di noi. "Ciccio" Caputo ha provato a sfuggirle tingendosi di biondo, ma è uno di quei tentativi di sembrare qualcosa di diverso da quello che siamo - più giovani, più affascinanti - che finiscono per mettere in mostra l’esatto contrario. Se il platino è il colore scelto dai calciatori per manifestare esteriormente il proprio valore, il colore più materiale che c’è, quello dell’oro, in modo che si veda da lontano quanto sono speciali, nel caso di Caputo, che si è presentato biondo alla ripresa del campionato dopo la pausa dovuta alla pandemia di Covid-19, sembrava piuttosto che gli fosse successo qualcosa di scioccante da fargli sbiancare i capelli, come si dice sia successo a Maria Antonietta dopo che i rivoluzionari l’avevano catturata.
Caputo è condannato a restare un italiano qualsiasi, con una faccia un po’ a caso, difficile da ricordare (chissà se è libero di bersi una cosa a Milano o a Roma senza che nessuno gli chieda di farsi un selfie) e probabilmente verrà ricordato come uno di quei centravanti tipicamente italiani, di provincia. Non c’è niente di vistoso nel suo gioco, come nel suo aspetto, i suoi gol e le sue finalizzazioni sono essenziali, senza concessioni all’estetica, senza niente di superfluo.
Prendiamo il gol segnato all’Inter dopo tre minuti e mezzo, nella seconda partita dopo il rientro in campo (finita 3-3). Quando Muldur parte in diagonale da destra verso il centro e Djuricic si smarca alle spalle di Gagliardini nessuno fa caso al movimento di Caputo, che è venuto incontro alla palla trascinandosi dietro Ranocchia. Ma quando Djuricic punta la difesa dell’Inter, con una metà campo intera da cavalcare, Caputo sta già sprintando tra Ranocchia e Bastoni (preoccupato da Berardi e quindi largo). Djuricic porta palla finché può, poi serve Caputo da solo davanti ad Handanovic. La palla è un po’ troppo esterna e Caputo arriva al tiro con poca visuale, con il corpo quasi orizzontale al campo, ma ci sarebbe il tempo per fare qualcosa di artistico: un pallonetto, ad esempio, per il livello tecnico degli attaccanti di A potrebbe essere la soluzione più immediata considerando che Handanovic è già praticamente a terra.
E invece Caputo sceglie la soluzione più lineare: un rasoterra a incrociare, che passa vicino ai piedi del portiere ed entra al centro della porta. Ma è anche la soluzione più imprevedibile (e infatti Bastoni, che ha continuato a correre oltre il portiere ed è quasi sulla traiettoria della palla, sembra sorpreso quando la vede sfilare davanti a sé), quella più complicata, per come era messo con il corpo Caputo.
Cosa stava cercando di dirci Caputo, a 33 anni, alla sua quindicesima stagione da professionista, appena la terza in Serie A (la prima volta però risale a 10 anni fa), quando si è fatto biondo? Che questa è una dimensione che gli sta stretta? In ogni caso, dopo un po’ deve essersi accorto che non c’era niente da fare ed è tornato al suo colore di capelli normale. O magari ha capito che non c’era davvero bisogno, non solo perché è proprio la sua normalità a renderlo speciale ma anche perché ce n’eravamo già accorti che si tratta di un giocatore eccezionale.
Con la doppietta segnata al Genoa l’altro ieri, "Ciccio" Caputo è arrivato a 21 gol in stagione - che sommati ai 16 della scorsa stagione fanno 37 in due anni di Serie A. (E per capire quanto sia “normale”, come premio per aver sfondato la ventina Caputo diceva di voler conoscere Del Piero). In entrambi i gol al Genoa scivola alle spalle del centrale difensivo genoano, Romero, nel secondo sprinta senza palla per ricevere un cross basso, nel primo lo fa dribblandolo con l’esterno, con una sterzata minimale che gli fa sfilare la palla sotto le gambe. Si è spostato la palla sul suo piede forte, ma solo perché da quella parte poteva prendere in controtempo il marcatore, eliminandolo prima di tirare. Caputo si adatta in fase di finalizzazione, calcia come deve calciare, e non sempre benissimo, ma la cosa fondamentale è andare dove c’è spazio. E in questo è fenomenale.
L'idea che avevamo un paio d'anni fa di Caputo, quando lo abbiamo visto giocare per la prima volta con continuità contro le migliori difese del campionato, era più o meno che se avesse segnato tutte le occasioni che si creava sarebbe diventato Scarpa d’Oro. Oggi, questa, sarebbe una descrizione ingenerosa, ma rende ancora l’idea della sua capacità di muoversi e manipolare i suoi marcatori per trovarsi in condizioni ideali per segnare.
Per capire meglio il calcio a volte bisogna distogliere lo sguardo dalla palla, ormai è una verità che per quanto controintuitiva più o meno tutti hanno accettato. Ma che ci siano calciatori che è meglio osservare quando sono senza palla, quando sono i loro compagni (o avversari) a muoverla, distogliendo lo sguardo dal centro della questione, per capire davvero la loro influenza nel contesto di una partita, è un concetto più difficile da far passare al grande pubblico. In realtà è un aspetto del gioco fondamentale per tutti, anche per gli attaccanti da venti e passa gol a stagione, anche per quelli che hanno mezzi tecnici e fisici fuori dalla norma, anche per gli alieni come Mbappé. Ed è questo l’aspetto in cui eccelle Francesco Caputo.
Contro il Bologna, nella partita di andata (finita 3-1 per il Sassuolo), ha segnato uno dei suoi gol più “complessi”. Anche se persino la complessità di Caputo è sempre funzionale. In questo caso, partendo da sinistra, punta Danilo cambiando due volte direzione, fintando di rientrare sul destro e poi, mentre il marcatore è ancora di spalle, andando lungo-linea sul sinistro. Poi conclude incrociando di interno, con un angolo così stretto che sbatte sul palo prima di entrare in porta. Non ha davvero saltato Danilo, lo ha disorientato, lo ha fatto girare su stesso per guadagnare lo spazio e il tempo necessario a concludere.
La partita con la Juventus (finita 3-3) è un campionario dei suoi movimenti e al tempo stesso un tutorial per giovani attaccanti in erba. Caputo viene incontro, occupa il centrale spingendo in basso la difesa e creando spazio per il trequartista, si allarga quanto basta per ricevere senza l’uomo addosso oppure, se quello sceglie di marcarlo, per creare un buco al centro. Serve l’assist del 2-1 proteggendo una palla vagante nel cuore dell’area di rigore, usa l’appoggio di de Ligt per girarsi verso destra, verso il centro, dove sa che c’è Djuricic, e riesce a passargliela in spaccata, cadendo a terra (o forse la tocca Bentancur che arriva da dietro proprio in quel momento, ma insomma cambia poco perché Caputo stava facendo quello). Segna il gol del momentaneo 3-1 passando dietro all’intera difesa della Juventus per ricevere un cross rasoterra sul secondo palo, come aveva fatto quattro giorni prima con la Lazio, raccogliendo da pochi passi una sponda di testa di Peluso.
Caputo non ha i mezzi atletici o tecnici per trasformare queste sue letture in qualcosa di devastante come Cristiano Ronaldo o Immobile, per rappresentare una minaccia ogni volta che la palla capita nella sua zona. Il suo è un talento più vicino a quello di Filippo Inzaghi: la capacità di farsi trovare al posto giusto nel momento giusto, e quella simultanea di sapersi adattare alla situazione. Caputo non vince i duelli che affronta, li evita, non batte il proprio marcatore nell’uno contro uno, lo elude. Anche se ricava il massimo dal suo corpo, con protezioni intelligenti in cui prende contatto con l’avversario e lo usa come perno per spostarsi, Caputo gioca una segreta partita a nascondino con l’avversario. Che poi è quello che fanno tutti i grandi attaccanti.
«La spensieratezza ci aiuta», ha detto Caputo a inizio luglio, anche se stiamo vivendo il momento meno spensierato degli ultimi decenni. Mesi prima aveva provato a rassicurare tutti dicendo che sarebbe andato tutto bene, e forse il suo ottimismo è tra tutte le caratteristiche “normali” di Caputo quella che oggi ci pare più strana. Sarebbe un peccato considerare la stagione di Caputo come una conseguenza di quella del Sassuolo di De Zerbi. Sarebbe un paradosso, considerando quanto lavoro c’è dietro questo momento incredibile della sua carriera. Quanti anni passati nelle profondità del calcio italiano (cominciando dalla prima categoria) a prendere le misure, ad abituarsi a giocare sul filo del burrone del fuorigioco, sulla punta dei piedi pronto a scattare in profondità, cercandosi l’aria per respirare lontano dai difensori, pensando ogni giocata prima ancora che la palla gli arrivasse sul piede, sempre la giocata più giusta, più semplice.
Lui ha detto che la Nazionale resta un sogno ma più che altro sembra un merito acquisito. Se tutto va bene (stavolta davvero) e se Caputo mantiene questo livello fino alla prossima estate non ci sarà da sorprendersi se Mancini lo inserisse nei convocati. «Si va sempre dietro i nomi, però poi al Sassuolo c'è Caputo che a 32 anni fa tutti quei gol…», ha detto Aurelio De Laurentiis. E se anche quello di Caputo dovesse essere considerato “un nome”, invece?