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Il ciclismo è diventato troppo pericoloso?
18 mar 2025
Sulla sicurezza delle corse si discute da sempre ma le soluzioni sono complicate.
(articolo)
13 min
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IMAGO / Belga
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La nuova stagione ciclistica, maschile e femminile, si è aperta con una caduta. Nell’ultimo chilometro della terza tappa dell’Alula tour, che si è tenuto dal 28 gennaio al primo febbraio in Arabia Saudita, Nils Eekhoff, per evitare un corridore caduto davanti a lui, è finito sul marciapiede dove ha sbattuto contro un lampione cadendo dalla bici. Il risultato, fa sapere il suo team Picnic PostNL, è stato un dente rotto e la mascella fratturata, oltre al ritiro dalla gara, e circa 6-8 settimane senza bicicletta. Come ha fatto notare il giornalista sportivo Stefano Rizzato, l’ultimo chilometro del tracciato era caratterizzato da lastricato, curve, cordoli e lampioni scoperti, mentre le transenne di sicurezza erano poste solo negli ultimi 300 metri, nonostante le normative dell’UCI, l’Unione Ciclistica Internazionale, prevedano che debbano essere poste negli ultimi 500 metri.

«Coprire i pali e i lampioni lungo la strada, soprattutto in vista di un traguardo in volata, è sempre buona prassi, perché sono pericolosi per chi corre», mi spiega Alessandra Cappellotto, ex campionessa del mondo e manager del CPA Women, l’Associazione delle cicliste professioniste, e parte di SafeR, una commissione dedicata alla sicurezza nel ciclismo su strada composta dai rappresentanti di tutte le parti interessate.

Qualche giorno dopo, all’UAE Tour femminile, a 50 chilometri dalla conclusione della prima tappa, si è verificata una maxi caduta all’interno del gruppo inseguitore, molto probabilmente causata da una frenata improvvisa sul lato sinistro del gruppo. La maggior parte delle cicliste coinvolte è risalita in bici e ha ripreso a correre, ma Letizia Paternoster (Jayco Alula) ha dovuto abbandonare la corsa e Alison Jackson (Education First), seppur abbia finito la gara, si è rotta lo scafoide.

I due incidenti, che possono sembrare simili (sbandata di un ciclista che ha provocato la caduta di almeno un altro corridore), portano alla luce un problema che da anni coinvolge il ciclismo professionistico: l’incremento delle cadute. In un anno, secondo il database degli incidenti di gara dell'UCI, si registrano circa 500 incidenti nelle corse World Tour e Professional femminili e maschili. Ma se all’UAE Tour il tipo di caduta è inevitabile ed è parte dello sport, i danni riportati da Eekhof, forse, sarebbero potuti essere minori con qualche dispositivo di sicurezza in più lungo la strada.

LA SICUREZZA DEGLI ARRIVI
«Nelle gare di ciclismo sono gli arrivi in volata, insieme alle discese, i punti più critici e pericolosi, ed è soprattutto in questi casi che gli organizzatori devono prestare un’attenzione particolare a mettere in sicurezza il percorso», dice Alessandra Cappellotto.

Da anni gli arrivi in volata, oltre a essere più veloci, sono sempre più affollati. Nel gruppo, insieme agli sprinter, si sono aggiunti anche tutti quei ciclisti disinteressati alla tappa ma che fanno classifica generale (soprattutto nei grandi giri: Giro d’Italia, Tour de France e Vuelta a España) e non vogliono perdere alcun secondo. Con così tanti ciclisti vicini, a quelle velocità, anche un piccolo errore può causare un effetto a catena nel gruppo.

Nel 2020, al Tour di Polonia, Fabio Jakobsen in una tappa per velocisti è stato stretto da un altro corridore e si è scontrato con le transenne cadendo dall’altro lato. Il caso fece molto clamore non solo per la caduta violenta di Jakobsen, ma soprattutto per i danni riportati: il ciclista è stato in coma farmacologico per mesi. Durante le volate, le spallate tra i ciclisti sono la norma (anche se alcuni comportamenti non sono ammessi, e vengono sanzionati): tutti corrono per assicurarsi la ruota migliore. Il problema, in quel caso, era la fisionomia dell’arrivo, che era in leggera discesa (dunque la velocità raggiunta dai ciclisti era ancora più alta del solito), e la tipologia di transenne, che non hanno per niente attutito l’impatto.

Ora, secondo il regolamento dell’UCI, le barriere troppo leggere (ad esempio di plastica) sono vietate. Non sono state fornite linee guide specifiche sul tipo di barriera da utilizzare perché si sta aspettando uno studio più preciso, mi dice Cappellotto, ma per ora devono essere appesantite in modo da non muoversi in caso di vento forte o quando sono soggette alla pressione degli spettatori o di altre forze.

Per evitare che gli sprint siano così affollati, di recente l’UCI ha allungato la regola dei 3 chilometri a 5 chilometri. Questa prevede che a un corridore vittima di una caduta, un problema meccanico o una foratura negli ultimi tre-cinque chilometri di una tappa con arrivo in volata verrà accreditato il tempo del/dei corridore/i con cui stava pedalando al momento dell'incidente. L'obiettivo di questa misura, richiesta dagli stessi ciclisti, è di ridurre la pressione e l’affollamento di corridori durante l’ultima fase della gara che porta allo sprint finale.

Un altro importante fattore da tenere conto negli arrivi in volata, per la sicurezza di chi corre, è lo stato della parte finale della tappa: abbiamo citato la pericolosità dell’arrivo in discesa (seppur leggera), ma anche strade disconnesse, dispositivi di moderazione del traffico come dossi, cordoli e restringimenti stradali sono importanti fonti di pericolo per il gruppo. Alla sesta tappa del Tour de France Femmes del 2023, a un chilometro dall’arrivo il gruppo si è ritrovato non solo a dover affrontare una chicane (una serie di curve) molto stretta, ma anche a dover evitare i binari del tram in cui avrebbero potuto incappare con le ruote della bicicletta. «Il finale era piuttosto pericoloso, è andato tutto bene fino a quando non abbiamo dovuto attraversare i binari della ferrovia con la chicane, che per me era un po' inutile e super, super pericolosa», aveva commentato all’epoca Ashleigh Moolman Pasio della AG Insurance-Soudal Quick Step. «Non sarebbe mai stato possibile per il gruppo superarla in sicurezza, quindi ovviamente c'è stata una caduta».

Anche una scarsa segnalazione stradale può portare a incidenti più o meno gravi e pericolosi. L’elenco, qui, è molto lungo, ma ricordiamo Mark Cavendish che alla Milano-Sanremo del 2018, a 10 chilometri dal traguardo, si era scontrato contro uno spartitraffico non segnalato dopo una rotonda. Per Cappellotto, l’infrastruttura stradale è forse una delle più grandi criticità a livello di sicurezza delle corse professionistiche, ed è fondamentale segnalare tutti gli ostacoli potenzialmente pericolosi. «Il ciclismo sta cambiando, si va sempre più veloce, ma anche le strutture delle strade stanno cambiando», dice «Capisco la difficoltà per gli organizzatori di trovare strade ben asfaltate, senza ostacoli, dossi, spartitraffico, ma devono fare il proprio meglio per avere il percorso meno pericoloso possibile».

Una chiara segnalazione del percorso è fondamentale per i ciclisti, ne è la prova quanto successo di recente alla prima tappa della Volta ao Algarve, in Portogallo, a poche centinaia di metri dall’arrivo. Qui, alla rotonda finale, il gruppo ha sbagliato strada e, invece di imboccare l’uscita verso il traguardo, ha preso la corsia parallela. A passare per primo il traguardo è stato Filippo Ganna, seguito da pochi altri atleti, mentre il resto del gruppo ha sprintato sulla via errata. La tappa è stata poi annullata e la scena è diventata una sorta di meme, ma si è potuto ridere della situazione perché nessuno si è fatto male. Il rischio che uno spettatore potesse attraversare la strada, o una macchina passare in quella via, era molto alto, e i danni sarebbero stati gravissimi. “Siamo grati che oggi tutti abbiano terminato la gara in sicurezza, ma sfruttiamo questa opportunità per continuare a fare luce sul fatto che lo sport più bello del mondo sia più sicuro”, ha scritto la Ineos Grenadiers.

«È un errore stupido, ma non c'era una segnalazione chiara», ha commentato subito dopo l’arrivo Jarrad Drizners (Lotto Cycling Team), il corridore che stava guidando il gruppo. «Se guardate il replay, mi vedrete già in mezzo alla rotatoria a guardarmi intorno. Non c'erano barriere fino al rettilineo. È successo tutto così in fretta e l'istinto ha preso il sopravvento. Abbiamo fatto una ricognizione ieri, ma non era molto chiara. Questo costa caro a tutti i corridori», ha raccontato sempre Drizners. L’organizzazione ha in parte ammesso le sue colpe, dichiarando che “erano state date tutte le informazioni tecniche, ed è stata una decisione sbagliata da parte del gruppo, ma è chiaro che non abbiamo fatto abbastanza per evitare questo risultato, di cui ci rammarichiamo molto”.

Una mancata segnalazione del percorso può essere causa di incidenti soprattutto nelle gare a cronometro. «I ciclisti hanno posizioni sempre più aerodinamiche in selle, sono portati a viaggiare a testa bassa, e per questo fanno fatica a vedere il percorso [vedi Remi Cavagna al Giro d’Italia del 2021, ndr]», spiega Alessandra Cappellotto. «Una soluzione a cui stiamo pensando è di segnalare le curve tramite dei segni e delle frecce sull’asfalto, o dei segnali acustici [già utilizzati nelle discese pericolose, ndr], ma non è così semplice come sembra: in Italia, ad esempio, non si possono utilizzare vernici, e poi non sempre i segnali acustici vengono sentiti, considerando le radioline, il rumore dei tifosi, delle moto e delle macchine lungo la corsa».

Tra l’altro, anche le moto e le macchine presenti nella carovana di una gara ciclistica possono essere una fonte di pericolo per i ciclisti in corsa: sorpassi azzardati, posizioni troppo vicine ai corridori, stop improvvisi e disattenzione degli autisti hanno provocato importanti cadute nella storia del ciclismo, o ci sono andati molto vicino.

I DISPOSITIVI GPS
Capita a volte che gli incidenti in gara risultino fatali. Muriel Furrer, 18enne svizzera, ai campionati del Mondo di Ciclismo a Zurigo del 2024, è caduta in discesa ed è finita tra alcuni alberi, ma è stata soccorsa solo circa 90 minuti dopo: nessuno si era accorto di lei e della sua caduta. L’anno prima, al Giro d’Austria, a perdere la vita è stato il 25enne norvegese André Drege, nel 2023 è toccato a Gino Mäder, al Tour de Suisse, e nel 2019 a Bjorg Lambrecht, schiantatosi contro una struttura di cemento durante la terza tappa del Giro di Polonia.

«Il ciclismo si corre su strada, sarà sempre pericoloso, ma dobbiamo fare di tutto per metterlo in sicurezza», commenta Alessandra Cappellotto.

Nel caso di Furrer, gli organizzatori hanno dichiarato di non aver ricevuto segnalazioni di pericolosità sulla sezione del percorso in cui la ciclista è caduta. «Come organizzatori eravamo consapevoli del fatto che non si tratta di un circuito di Formula 1, e che ci sono dei vuoti di sicurezza ai lati, ma dove pensavamo che fosse rischioso, abbiamo messo dei tappeti di protezione» ha dichiarato a The Athletic Olivier Senn, direttore sportivo del comitato organizzatore di Zurigo 2024. «Col senno di poi, è sempre facile guardare alla situazione specifica, ma in generale la discesa non è stata molto pericolosa. Penso che abbiamo adottato le misure di sicurezza che potevamo prevedere per una gara di questo tipo».

Ma se l’incidente, a volte, non è inevitabile, com’è possibile che ci si dimentichi di una ciclista? Soprattutto in un campionato del mondo, ai massimi livelli?

Al giorno d’oggi sono tanti i dispositivi di tracciamento GPS che rilevano anche le cadute e mandano un avviso ai contatti selezionati. Ai mondiali juniores, le cicliste avevano un transponder che registrava il passaggio attraverso i punti di controllo e che conteneva anche un GPS di base. Tuttavia, come fa notare The Athletic, questa tecnologia era limitata: i dispositivi era collegati alle moto, che dovevano essere nelle vicinanze delle cicliste, e servivano a identificare le atlete sullo schermo, piuttosto che come dispositivo di sicurezza o di visualizzazione della gara. «I GPS avrebbero potuto ridurre di molto il tempo tra l'incidente e il ritrovamento di Muriel», ha commentato Olivier Senn. «Se abbiamo la responsabilità di 100, 150, 200 atleti sulle nostre strade, è anche una responsabilità sapere dove sono e cosa fanno, ed è qui che entra in gioco la localizzazione GPS, perché è impossibile sorvegliarli tutto il tempo senza questi dispositivi».

Una proposta nata subito dopo l’incidente è l’inserimento del GPS nel casco (piuttosto che nella bici, che a volte può essere cambiata durante la corsa) delle cicliste e dei ciclisti. Ma la soluzione non è così facile come sembra. Come mi spiega Cappellotto, al momento molte aziende produttrici di caschi stanno studiando la tecnologia e si stanno facendo ricerche, ma un chip è fatto di metallo e, se inserito all’altezza della testa, può essere punto debole durante una caduta. L’altro problema, di natura organizzativa, è: chi segue i GPS? Chi si deve assicurare che i/le ciclisti/e stiano pedalando? L’organizzazione della gara, il commissario di giuria, i rispettivi team? Sono domande a cui ancora manca una risposta.

L'ATTREZZATURA
La sicurezza delle gare ciclistiche non si limita al percorso della gara, ma riguarda anche le attrezzature e i materiali utilizzati dalle cicliste e dai ciclisti: altezza dei cerchi, tipologia di freni, caschi, larghezza del manubrio, numero di rapporti del cambio e così via.

Quello su cui si sta discutendo di più, al momento, e che non mette d’accordo tra di loro corridori e associazioni dei ciclisti, è la proposta di limitare il numero di rapporti, e dunque anche la velocità che si può raggiungere in bicicletta. Per Wout Van Aert, della Visma-Lease a Bike, questa decisione «renderebbe lo sport molto più sicuro: se sei su quella discesa con un limite di rapporti, nessuno può aumentare. Ora i rapporti sono così grandi che si pensa ancora di poter sorpassare». È nella discesa, infatti, che i rapporti fanno la grande differenza (in termini di velocità e quindi di sicurezza). «In discesa si va forte perché il ciclista è capace, è aerodinamico, la strada ha pendenze pedalabili, ma anche perché la bicicletta monta un rapporto tale che ti permette di raggiungere velocità molto alte, fino ai 110 km/h in certi casi», spiega Alessandra Cappellotto. «La proposta è di limitare i rapporti nelle tappe alpine, perché togliere anche 20 km/h in discesa, a quelle velocità, può far la differenza nel rischio e nella pericolosità di caduta». Certo, «i discesisti non saranno d’accordo, perché le vittorie di tappe e dei grandi giri si giocano anche in discesa», aggiunge «Ed è anche difficile pensare a come controllare se si supera una velocità massima, ma bisogna pensare un po' a tutto e andare fuori dagli schemi classici».

La questione porta con sé anche alcuni problemi pratici e organizzativi: se si sceglie di limitare il numero di rapporti nelle tappe alpine di un grande giro, significa che bisogna avere più ruote con rapporti diversi, oppure che il meccanico deve fare ore in più di lavoro per cambiarli. Ma i meccanici hanno degli orari di lavoro massimi stabiliti da contratto, e avere più ruote implica maggiori costi e uno spazio in più per trasportarle durante le varie tappe: tutti i team hanno questi spazi?

Dall’altro lato, c’è chi non crede molto a questa proposta. Per Fabio Jakbosen, il problema della sicurezza non si risolverebbe comunque, perché «se si riduce il rapporto di trasmissione, molti ciclisti inizieranno a pedalare con pedivelle più corte, in modo da creare più giri al minuto». Per il ciclista del Team Picnic PostNL «il ciclismo sarà sempre pericoloso, si può cadere e farsi male, ma sono gli ostacoli in gara, combinati con il gruppo, a creare pericolo».

Pello Bilbao, della Bahrain Victorious, crede che questo genere di limitazioni sia solamente un escamotage per non guardare ai problemi più seri: «Sembra che vogliano concentrarsi sull’apportare cambiamenti materiali invece di guardare agli ultimi 5 chilometri all’arrivo con precauzioni che forse sarebbero molto più interessanti per i corridori». Arriveremo mai a una vera soluzione?

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