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Dove può arrivare Filippo Ganna
18 dic 2020
Dopo un 2020 di successi, Ganna è diventato una delle grandi speranze dello sport italiano.
(articolo)
17 min
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Con le sue quattro vittorie, Filippo Ganna è stato uno dei grandi protagonisti dell’ultimo Giro d’Italia. Ganna ha dominato a cronometro, mostrandosi al mondo come il più forte in assoluto nella specialità. Un dominio che è stato sempre netto, inscalfibile, fatto di distacchi pesanti rifilati a quelli che sono due fra i migliori cronoman del momento, Victor Campenaerts e soprattutto Rohan Dennis, due volte campione del mondo nel 2018 e 2019. Ganna è riuscito non solo a battere i suoi rivali a cronometro, ma anche a migliorare in parte i suoi consueti limiti sulle lunghe distanze. Da specialista nell’inseguimento, Ganna ha sempre prediletto le cronometro brevi, fino ai 15 chilometri, più o meno. Oltre quella distanza tendeva ad affievolirsi, come una candela che brucia troppo in fretta. Ai recenti Mondiali di Imola su un percorso di 31 chilometri aveva accumulato un bel vantaggio nella prima metà per poi calare piuttosto bruscamente nella seconda.

Nella cronometro del Giro, la Conegliano-Valdobbiadene di 34,1 chilometri, Ganna è riuscito invece non solo a vincere (come aveva già fatto al Mondiale) ma anche a incrementare il vantaggio su Rohan Dennis nella seconda parte del percorso. Un’evoluzione molto attesa ma non per questo meno sorprendente per i tempi e i modi con cui è arrivata: e cioè molto presto in un percorso di crescita che si pensava necessariamente un po’ più lungo, e soprattutto in maniera così dirompente.

La grandezza di Filippo Ganna però va al di là delle semplici vittorie e sta anche nell’atmosfera che, consapevolmente o meno, è riuscito a creare intorno a sé. Un senso di attesa e di festa, cioè, che ricorda quello di quei grandi campioni italiani che in qualche modo hanno trasceso lo sport che praticavano. Un esempio tra i tanti è Alberto Tomba - un atleta che aveva il dono di fermare il tempo, di creare un senso di urgenza nelle sue esibizioni che portava tutti a fermarsi, ovunque fossero, per guardare le sue discese. Anche chi non era appassionato di sci, comunque stava lì ad ammirare quello sciatore fenomenale.

Ecco, durante il Giro d’Italia 2020, durante le tappe a cronometro, ho percepito nel mondo del ciclismo la stessa spasmodica attesa, la stessa curiosità, la stessa voglia di poter dire, un giorno, “io c’ero”. Ho visto persone, anche non appassionate di ciclismo, informarsi sugli orari di partenza delle varie cronometro solo per sapere “quando parte Ganna?”, per poterne ammirare la straordinaria eleganza mista a quella forza bruta che ricorda i più grandi di questo sport.

Ad aiutare ulteriormente l’appeal di Filippo Ganna nel pubblico subentrano anche due fattori non trascurabili. Il primo, molto semplice, è che le gare a cronometro sono più facili da seguire per un neofita, che non deve sorbirsi ore di corsa senza sapere se e quando succederà qualcosa di interessante. In una corsa a cronometro il tempo è definito a priori: si sa quando si parte e, all’incirca, si sa anche quanto durerà la sua prova. Ci sono stimoli costanti, i rilevamenti intermedi, i distacchi che si modificano chilometro dopo chilometro.

Il secondo fattore è che in Italia, paradossalmente, non si vedeva un cronoman così forte da anni. Forse da sempre. Certo, abbiamo avuto nella storia ciclisti fortissimi nella specialità, penso a Coppi e Moser, ma negli ultimi anni la cronometro era stata sempre terra di conquista per i ciclisti stranieri, si diceva più allenati in quella particolare disciplina. Filippo Ganna, invece, ha ribaltato tutto ciò a cui ci eravamo abituati, vincendo il Mondiale a cronometro regalando il primo oro di specialità nella storia del ciclismo italiano.

Per tutti questi motivi, Ganna rappresenta per il nostro ciclismo, e in un certo senso per il ciclismo in generale, la cosa più eccitante che ci sia in questo momento. Tanto che, a questo punto della sua carriera - cioè a 24 anni, nel momento in cui teoricamente si inizia ad entrare nel prime - è lecito chiedersi cosa potrebbe diventare in futuro, dove potrà arrivare.

Una domanda a cui al momento ovviamente non si possono che fare previsioni, tenendo sempre a mente che la vita di un ciclista è sempre legata alla metafora della coperta corta: se tiri da una parte, rischi di scoprirti dall’altra. Ma andiamo con ordine.

Foto di LUCA BETTINI/AFP via Getty Images

Filippo Ganna ha 24 anni, quindi è ancora all’inizio della sua carriera nel ciclismo dei grandi. Anche se negli ultimi due anni abbiamo assistito all’esplosione di ciclisti giovanissimi, persino più giovani di lui, comunque non dobbiamo dimenticare che 24 anni per un ciclista sono ancora pochi. Eddy Merckx, per dirne uno a caso, ha vinto il suo primo Tour de France proprio a 24 anni. Alla stessa età - e qui ci spostiamo davvero in “zona-Ganna” per caratteristiche fisiche e tecniche - Bradley Wiggins vinceva l’oro nell’inseguimento individuale alle Olimpiadi di Atene del 2004.

Non è che Ganna abbia iniziato a vincere quest’anno, sia chiaro. In pista ha già all’attivo quattro vittorie ai Mondiali su pista nell’inseguimento individuale, specialità di cui è anche primatista mondiale, avendo recentemente frantumato in più occasioni il record di Chris Boardman. Il primo Mondiale è arrivato nel 2016 a soli vent’anni; l’ultimo a febbraio 2020. Purtroppo l’inseguimento individuale non è più una disciplina olimpica e quindi Ganna non potrà eguagliare Wiggins ai Giochi di Tokyo nel 2021, ma questo non cambia molto il discorso.

Paralleli

Ganna è un pistard eccezionale, di quelli che sembrano venuti da un altro pianeta per il modo in cui riescono a dominare sugli avversari, a rendere la competizione più una sfida con se stessi che una vera gara contro gli altri. Dal 2016 a oggi ha dominato nella sua specialità - l’inseguimento individuale - come solo altri grandi del passato erano stati capaci di fare, come ad esempio Sir Bradley Wiggins, che abbiamo già citato, o Roger Rivière.

La storia di Rivière ci è utile per capire quali potrebbero essere i potenziali sviluppi di Filippo Ganna nel prossimo futuro. Rivière è un ciclista degli anni ‘50, professionista per pochissimi anni prima che un incidente al Tour del 1960 gli spezzasse la carriera e la schiena, costringendolo a soffrire di dolori lancinanti alle gambe per il resto della sua breve vita (nato nel 1936, morì a soli 40 anni per un tumore alla laringe). Prima che la sua vita deviasse rapidamente verso il baratro, però, Roger Rivière fu il miglior pistard della sua generazione, capace di vincere per tre volte consecutive il Mondiale nell’inseguimento individuale (dal ‘57 al ‘59) e di migliorare per due volte il Record dell’Ora. Nel 1959, a 23 anni, partecipa al suo primo Tour de France con la selezione nazionale francese. Vince due tappe a cronometro, in salita va sempre di pari passo con Jacques Anquetil. Alla fine chiude al quarto posto a soli 14 secondi dal podio e a 5 minuti e 17 da Federico Bahamontes. L’anno dopo torna al Tour de France del 1960 come capitano della nazionale francese vista l’assenza di Jacques Anquetil. Come abbiamo già detto, però, il suo Tour de France si concluderà tragicamente durante la 14ª tappa quando era secondo in classifica a poco più di un minuto da Gastone Nencini che vincerà poi quell’edizione della Grande Boucle.

Rivière, insomma, è un esempio di come un fenomeno nell’inseguimento su pista possa ottenere risultati eccelsi anche nelle grandi corse a tappe. Certo, c’è chi obietterà che Rivière aveva una struttura fisica diversa e che quelli erano altri tempi. Ma anche andando avanti nel tempo e prendendo ciclisti fisicamente più simili a Ganna la sostanza non cambia.

Se facciamo un rapido salto in avanti i due ciclisti a cui più spesso viene accostato Filippo Ganna sono due ciclisti più moderni e che rappresentano, se vogliamo, due poli opposti di come un cronoman può sviluppare il proprio potenziale: dell’accostamento a Bradley Wiggins abbiamo brevemente accennato in precedenza; l’altro è un altro grandissimo cronoman del recente passato che porta il nome di Fabian Cancellara.

Entrambi sono stati due specialisti delle prove contro il tempo, capaci di vincere ori olimpici e mondiali nella specialità. I due, però, avevano caratteristiche molto diverse e venivano anche da percorsi diversi. E infatti hanno finito per percorrere strade diametralmente opposte.

Ganna come specialista delle classiche del nord?

Fabian Cancellara è nato e cresciuto come cronoman e nella sua carriera ha sempre fatto quello ottenendo risultati straordinari. È stato per lunghi anni il più forte cronoman della sua generazione, ha iniziato a vincere titoli mondiali già fra gli Juniores e non si è mai fermato, fino alla medaglia olimpica di Rio 2016. Nel frattempo, però, si è anche specializzato nelle classiche del nord, sfruttando la sua potenza fisica e la padronanza del mezzo, la sua capacità di spingere rapporti lunghi rimanendo saldo sul sellino, senza scomporsi. Una dote, questa, che è importantissima quando ci si trova ad affrontare settori in pavé in cui è sconveniente alzarsi sui pedali ma bisogna rimanere ben saldi sulla bici per non perdere aderenza con il fondo stradale sconnesso. La potenza fisica di Cancellara, unita a un percorso ben preciso di sviluppo, hanno portato la “Locomotiva di Berna”, come veniva chiamato, ad essere il più grande rivale di Tom Boonen nelle classiche del nord, consentendogli anche di vincere per tre volte sia il Giro delle Fiandre che la Parigi-Roubaix e consacrandolo come uno dei più grandi interpreti di sempre in quel particolare tipo di gare.

Eppure, da giovane, Cancellara fu preso dalla Mapei con tutt’altro intento. Lo scopo della squadra finanziata da Giorgio Squinzi era quello di provare a farlo diventare un novello Indurain. Trasformarlo, cioè, in un uomo da corse a tappe, capace di bastonare gli avversari a cronometro e difendere il vantaggio in salita. Poi però la Mapei uscì dal ciclismo e la squadra si trasferì in Belgio per diventare la Quick Step che ancora oggi domina nelle classiche di ogni tipo. Cancellara scelse di restare in Italia e di passare alla Fassa Bortolo e da lì iniziò la sua lunga carriera per come la conosciamo oggi.

Una foto di Fabian Cancellara ai tempi della Fassa Bortolo, esattamente a 24 anni, dove si può apprezzare la sostanziale differenza fisica con Ganna (foto di JAVIER SORIANO/AFP via Getty Images).

Il parallelismo con Cancellara nasce quindi ovviamente dallo strapotere a cronometro che Filippo Ganna sta esprimendo in questo periodo e che probabilmente sarà destinato a esercitare ancora a lungo durante la sua carriera. Ma non solo, perché nel palmares di Filippo Ganna spicca anche una Parigi-Roubaix U23 conquistata nel 2016. Un successo che a tanti fa pensare che Ganna possa diventare un giorno uno specialista delle classiche del nord, così come lo fu Cancellara.

Ma su questo aspetto ci sono due cose da considerare quando si parla del possibile futuro di Filippo Ganna: il primo è che quella vittoria alla Parigi-Roubaix U23 vuol dire poco e niente. La Roubaix U23 (o Paris-Roubaix Espoirs, come si dovrebbe più correttamente dire) non ha molto a che vedere con la “vera” Roubaix. I settori in pavé non sono così tanti e così duri e selettivi come quelli che affrontano i professionisti, il chilometraggio non è neanche lontanamente paragonabile e perfino il periodo dell’anno in cui si corre è completamente differente. Basti pensare che di tutti i vincitori della Parigi-Roubaix Espoirs, l’unico ad aver vinto poi la Roubaix fra i professionisti fu Marc Madiot - vincitore fra i dilettanti nel 1979 e tra i professionisti nel 1985 e nel 1991. Di tutti gli altri, in oltre 40 anni di storia, nessuno dei vincitori Espoirs ha mai vinto la Roubaix. Certo, ci sono bei corridori nell’Albo d’Oro - non molti, a dir la verità - come Thor Hushovd e Bob Jungels, o più recentemente Tom Pidcock, vincitore nel 2019. Ma spesso e volentieri nessuno è mai neanche andato lontanamente vicino a vincere la Roubaix fra i professionisti.

Questo non significa che Filippo Ganna non potrà mai vincere la Parigi-Roubaix, ovviamente. Ganna è un talento straordinario, ha un motore fuori dal comune e potrebbe sicuramente dedicarsi con successo alle corse del nord. Questo, però, non rende il suo successo nelle classiche del nord scontato. Non c’è nessuna correlazione fra la vittoria della Parigi-Roubaix Espoirs e l’andare forte sul pavé, così come non c’è nessuna correlazione tra l’essere un grande cronoman e il saper andar forte nelle classiche del nord. E, soprattutto, c’è ancora quella seconda cosa da considerare quando parliamo di provare a vincere le classiche del nord: la concorrenza. Gli avversari di Ganna in un’eventuale campagna del nord sarebbero - o meglio: sono - dei fenomeni indiscutibili, gente che è nata e cresciuta sulle pietre, che sta dimostrando gara dopo gara di avere una marcia in più rispetto al resto del mondo. Non parlo solo di Mathieu van der Poel e Wout Van Aert, ma anche di più onesti mestieranti come il nostro Alberto Bettiol o l’ex campione del mondo Mads Pedersen.

Ganna in fondo non ha mai dimostrato di saper essere competitivo nelle classiche del nord in questi anni fra i professionisti: nel 2018 arrivò fuori tempo massimo alla Roubaix e il miglior risultato nella campagna del nord fu un anonimo 43° posto alla Gand-Wevelgem; nel 2019 andò ancora peggio: DNF a Roubaix e Gand-Wevelgem, 98° al Fiandre, 91° ad Harelbeke.

Ganna come dominatore delle corse a tappe?

Forse, quindi, per trovare un parallelismo più vicino a Ganna di Cancellara bisogna prendere un altro esempio. Una delle possibili direzioni punta dritta al di là della Manica e porta il nome di Sir Bradley Wiggins. Un ciclista molto più simile a Ganna rispetto a Cancellara sotto ogni aspetto. Fisicamente sono praticamente identici, entrambi viaggiano sul metro e 90 di altezza (1.90 Wiggins, 1.93 Ganna), entrambi pesano poco più di 80 chili. Due fisici slanciati, alti ma non pesanti, in un certo senso aggraziati.

Bradley Wiggins a Pechino 2008. Fisicamente è molto più simile a Ganna di quanto non lo sia mai stato Cancellara (foto di Ian MacNicol/Getty Images).

Sono simili anche nel percorso: entrambi vengono dalla pista e sono i più forti al mondo nell’inseguimento individuale. Anzi, sono sicuramente due tra i più grandi interpreti di sempre nella specialità, al pari del già citato Roger Rivière. Wiggins fra il 2003 e il 2008 è stato capace di vincere tre Mondiali e due ori olimpici nell’inseguimento individuale, consacrandosi come uno dei più grandi sportivi della storia britannica. Solo allora - dopo aver vinto tutto - ha deciso di dedicare più spazio alla sua avventura su strada con un preciso obiettivo in testa: vincere il Tour de France.

È stato un percorso lungo e faticoso, attraverso anni di profonda trasformazione. Passare dalla pista alla strada è facile, se vogliamo. Ma passare dall’inseguimento alle grandi corse a tappe non è la cosa più ovvia che si possa pensare. E questo nonostante attorno a Wiggins la federazione britannica avesse costruito un’intera squadra, finanziata dal magnate britannico Rupert Murdoch e guidata da David Brailsford, già performance director della federazione britannica.

La filosofia di Brailsford si basa fondamentalmente sul concetto dei “marginal gains”, ovvero lo studio dei dettagli per cercare di ottenere anche piccoli vantaggi che però, sommati fra di loro, possono portare a grandi benefici. «L’intero principio - ha spiegato lo stesso Brailsford in un’intervista del 2012 alla BBC - si basa sull’idea che se spezzetti ogni singolo elemento che ti viene in mente riguardo al correre in bicicletta, e poi lo migliori di un 1%, otterrai un significativo incremento quando vai a mettere tutto insieme».

Brailsford e i suoi tecnici hanno iniziato quindi a lavorare su Bradley Wiggins cercando di limare ogni piccolo dettaglio per portarlo ad essere competitivo nelle grandi corse a tappe. La base di partenza era ovviamente ottima, i tecnici del Team Sky avevano fra le mani uno dei più grandi talenti che abbia mai messo piede in un velodromo. Eppure il percorso non è stato facile né breve.

Solo nel 2012, dopo quasi quattro anni di tentativi nelle corse a tappe, è arrivata la tanto agognata consacrazione. In primavera vince la Parigi-Nizza e il Giro di Romandia, poi a giugno fa il bis al Delfinato e infine vince da dominatore il Tour de France, supportato da uno straordinario Chris Froome che l’anno dopo darà il via al suo dominio sulla Grande Boucle. Nel 2012, quando arriva a vincere il Tour de France, Bradley Wiggins aveva ormai 32 anni e una lunga carriera alle spalle.

Insomma, non è stata una vittoria che lo ha consacrato come un dominatore delle corse a tappe ma deve essere considerata più come il coronamento di un sogno. Dopo quella vittoria Wiggins non si ripeterà più su quei livelli ma tornerà a dedicarsi con più costanza alla pista con l’obiettivo - centrato - di vincere l’oro nell’inseguimento a squadre alle Olimpiadi di Rio del 2016. Questo per dire quanto sarà difficile e faticoso per Ganna seguire anche questa strada.

E quindi alla luce di questi esempi del passato cosa dobbiamo pensare del futuro di Filippo Ganna? Il cronoman italiano ha già dimostrato quest’anno il suo talento nelle brevi corse a tappe e la capacità di andare forte in salita, in primis alla Vuelta a San Juan in Argentina a febbraio quando ha tenuto testa a Remco Evenepoel nella tappa regina con arrivo all’Alto de Colorado. Una salita di 18 chilometri con pendenze non troppo dure ma costanti. Una salita da Tour de France, per intenderci, più che da Giro d’Italia. In quella Vuelta a San Juan, Ganna ha poi chiuso al 2° posto nella generale alle spalle del solo Evenepoel, facendo già vedere una buona capacità di mantenere lo sforzo su salite lunghe anche se non particolarmente dure.

Al Giro d’Italia di un mese fa, invece, Ganna ha vinto la tappa di Camigliatello Silano andando in fuga da lontano e poi staccando di forza i suoi compagni di avventura sul Valico di Montescuro, una salita di 22 chilometri e rotti con pendenza media del 5.7%. L’Alto de Colorado e il Valico di Montescuro non sono salite dure a livello di pendenza ma sono due salite molto lunghe e complicate da affrontare perché bisogna gestire lo sforzo spalmandolo su un lungo intervallo di tempo. Un ciclista come Cancellara, per dirne uno di cui abbiamo già parlato e che spesso viene accostato a Ganna, non sarebbe probabilmente stato in grado di fare quel tipo di azioni che abbiamo visto fare a Ganna.

Prima screma il gruppo in fuga, poi si riporta in testa con una gran progressione prima di salutare tutti di potenza.

Il fuoriclasse italiano ha dimostrato poi anche sullo Stelvio di saper tenere bene sulle salite lunghe facendo da gregario a Tao Geoghegan Hart. Una caratteristica sulla quale i tecnici del Team Ineos non hanno fatto mistero di voler lavorare per provare a rendere Ganna un potenziale uomo da corse a tappe.

Anche da questi elementi, insomma, sembra più probabile che Ganna possa seguire la strada già tracciata da Bradley Wiggins ormai circa dieci anni fa. Senza snaturare troppo il suo fisico, il cronoman italiano potrebbe migliorare quel tanto che basta in salita per poter pensare un giorno di essere competitivo in un Tour de France.

Questo, però, non deve portarci a pensare che questa evoluzione sia in qualche modo naturale. La transizione verso le corse a tappe costerà fatica e soprattutto sacrificio, in termini di un possibile snaturamento delle sue caratteristiche naturali di pistard e di cronoman. Il rischio è sempre quello di tirare troppo la coperta da una parte e dall’altra, per poi rimanere scoperti del tutto. Si parla di perdere peso, ma senza curarsi troppo dell’eventuale perdita di potenza che questo potrebbe comportare, né degli effetti collaterali che lo stravolgimento del suo corpo potrebbe comportare al suo talento.

E alla luce di questo rischio ci si potrebbe anche chiedere se davvero ne valga la pena di inseguire la chimera di una maglia gialla invece di cercare di entrare nella storia passando da altre strade. Ganna ha la concreta possibilità di diventare il primo uomo di sempre a scendere sotto i 4 minuti nell’inseguimento individuale, un primato che lo proietterebbe nella storia di questo sport più di qualsiasi piazzamento in un grande giro, tenuto conto che è possibile che alla fine non ce la faccia a trasformarsi in un dominatore come Indurain.

Certo, quando si ha a disposizione un talento come il suo è anche lecito pensare che tutto, ma davvero tutto, sia possibile. A noi, alla fine, non resta che continuare a fissare la sveglia ogni volta che c’è una cronometro per fermarci a guardare quel treno con le gambe che porta il nome di Filippo Ganna.

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