Dentro la base militare di Tai’an ci sono 55 giocatori con lo staff al seguito, tutti in uniforme, tutti con i capelli rasati il giorno stesso. Nella sala ci sono striscioni con scritte gialle su sfondo rosso: “Il sogno cinese, il sogno calcistico”. Stanno assistendo in diretta alla Nazionale cinese guidata da Marcello Lippi pareggiare per 0-0 in casa contro l’India. Il televisore è modesto, non è stato nemmeno utilizzato un maxischermo, ed è poggiato su due comunissime sedie, a loro volta issate su una scrivania. È una foto straniante dello scorso ottobre, che potrebbe assurgere a metafora di un calcio precario ed instabile.
Nel gennaio del 2016 si pensava che il calcio cinese sarebbe potuto diventare finalmente competitivo. Oltre due anni fa, a suon di decine di milioni di euro arrivavano in Chinese Super League star internazionali all'apice della loro carriera come Jackson Martinez, Alex Teixeira ed Ezequiel Lavezzi. I grandi investimenti da parte dei club e la riforma calcistica emanata dalle autorità statali cinesi facevano presagire uno scenario nel quale, nel giro di poco tempo, la Cina sarebbe diventata una vera e propria potenza asiatica nel calcio. Ma oggi quei sogni di gloria sembrano già lontani, tanto che i tifosi e i media parlano addirittura di morte del calcio cinese.
Nel 2015 la General Sports Administration (GAS), il Ministro dell'educazione cinese e gli esponenti della Chinese Football Association, si riunivano in un'assemblea straordinaria per redigere le linee guida in 50 punti che avrebbero dettato il trend dello sviluppo del calcio cinese, con un piano a breve e lungo termine. Uno dei punti chiave della riforma era quello di dare maggior indipendenza alla Federcalcio cinese e renderla un organismo professionale e soprattutto non governativo (in accordo con lo statuto della FIFA), scindendolo dalla GAS.
In realtà, tale proposito si è realizzato solamente sulla carta, perché la GAS, guidata dal ministro dello sport Gou Zhongwen, negli ultimi due anni ha scavalcato a più riprese la Chinese Football Association, andando a modificare i regolamenti della Chinese Super League in modo deleterio, compromettendone lo sviluppo che si auspicava nel 2016.
Gli ultimi passi indietro
Ad ottobre, oltre alle convocazioni di Marcello Lippi per l'amichevole internazionale contro l'India, è stata diramata dalla Chinese Football Association anche una lista di 55 giocatori Under 25 convocati per un training camp della durata di due mesi.
Una manovra difficile da capire da parte delle autorità calcistiche, che così facendo hanno privato i club di Chinese Super League di alcuni giocatori titolari per le ultime partite di campionato, nonché per la finale della Chinese FA Cup fra Beijing Guoan e Shandong Luneng. Secondo i regolamenti della FIFA, però, le Federazioni nazionali non potrebbero prelevare giocatori dai club al di fuori del periodo delle competizioni internazionali.
A rendere ancora più surreale l'intera situazione, c'è poi il programma che gli atleti devono seguire. I primi quattro giorni di raduno si sono tenuti alla Beijing Sports University con attività e seminari sul collettivismo, concetto ovviamente molto caro al Partito Comunista Cinese. Successivamente i giocatori e lo staff tecnico si sono trasferiti a Tai'an (nella provincia di Shandong) per due settimane di addestramento militare senza alcuna football related activity, come comunicato dalla stessa Federazione.
È difficile capire di chi sia davvero la responsabilità di una situazione così grottesca. Inizialmente tifosi e media se l’erano presa con la Chinese Football Association, ma nei giorni successivi alla delineazione del piano, l'officer della CFA, Wang Dazhao, ha dichiarato pubblicamente che la Federazione non centrava nulla con questa iniziativa. Probabilmente, dunque, ci ritroviamo di fronte all'ennesima ingerenza governativa orchestrata dalla General Sports Administration e dal Ministro dello Sport.
Proprio il Ministro dello Sport, Gou Zhongwen, a seguito delle disastrose sconfitte della Cina di Marcello Lippi nelle amichevoli contro Galles e Repubblica Ceca, aveva dichiarato che i risultati deludenti della Nazionale erano dovuti al fatto che i giocatori militavano in club differenti e che la sua idea, quindi, era di costituire una rappresentativa nazionale da inserire direttamente nella Chinese Super League, in modo che si potessero allenare insieme.
Secondo quanto riportato dal Beijing Evening News, sembra proprio che il training camp dei 55 Under 25 sia finalizzato alla realizzazione di questo disegno, con una Nazionale A da inserire nella Chinese Super League, ed una B in China League One (seconda divisione), a partire dal 2019. Secondo altri rumor, riportati su Twitter da wildeastfootball.net, la nuova nazionale cinese potrebbe addirittura partecipare ad un campionato dell’est Europa.
Ad oggi, fortunatamente, nessuno di questi propositi si è realizzato anche se, nei mesi successivi, altri gruppi di calciatori sono stati chiamati a prestare il servizio militare. Uno scenario di questo tipo, se dovesse confermarsi, in patria o all’estero, solleverebbe interrogativi non indifferenti: premesso che una Federazione (o qualsiasi altro ente) non può strappare giocatori ai club al di fuori dei periodi di match internazionali fissati dalla FIFA, come farà la Federazione cinese a prelevare i giocatori per oltre un anno? I club riceveranno delle compensazioni? E chi pagherà gli stipendi?
Sulla questione il consiglio di rappresentanza della Chinese Football Association non si è ancora espresso, ma i club sembrano già sul piede di guerra. Il presidente del Beijing Guoan, Zhou Jinhui, ad esempio, ha dichiarato, attraverso il proprio profilo Sina Weibo, che: «Questo sistema ha causato innumerevoli fallimenti nel calcio cinese e si continuano a fare gli stessi errori. È necessario un radicale cambiamento nel sistema manageriale, che rispetti le regole e faccia diventare la lega più professionistica e marketing orientated».
Inversione a U
La soluzione proposta in realtà non è senza precedenti in Cina. Ma per ritrovarli dobbiamo andare indietro negli anni ’60, e in seconda istanza agli anni '80 e '90.
In epoca maoista i migliori giocatori del paese giocavano per il club di Pechino (Beijing Sports Institute), ma la squadra non conquistava ne concedeva punti in classifica, si trattava solamente di amichevoli. Il progetto però non aveva un effettivo riscontro pratico dato che non esistevano ancora le Coppe d’Asia e inoltre, per motivi politici, la Cina di Mao Zedong nel 1958 aveva deciso di boicottare sia la FIFA che il Comitato olimpico per via della controversia legata al riconoscimento diplomatico di Taiwan.
Nel 1988 invece fu introdotta la Nazionale Cinese Olimpica nel campionato di massima divisione in vista dei Giochi di Barcellona. Addirittura, la selezione guidata da Xu Genbao (fondatore del club Shanghai Sipg ed in tempi recenti proprietario del club spagnolo Hoya Lorca) riuscì a vincere il titolo nazionale nel 1989. Quella Cina non riuscì però a qualificarsi per le Olimpiadi: nel torneo preliminare asiatico mancò per un soffio il terzo posto (solo per la differenza reti) che le avrebbe permesso di raggiungere il traguardo al quale si era lavorato per quattro anni.
Eppure, nonostante questa esperienza, lo stesso Xu Genbao è stato molto critico nei confronti di questa nuova iniziativa, come riportato dal China Daily: «La Nazionale che io avevo guidato ha ottenuto buoni risultati, ma ora siamo nel professionismo ed è tutto incentrato sul marketing. Dobbiamo considerare gli interessi dei club: se un giocatore cruciale lascia la sua squadra per la nazionale, questo potrebbe causarne la retrocessione. Inoltre gli sponsor potrebbero smettere di investire, il che influenzerebbe negativamente lo sviluppo dei club e della lega».
Cosa rischia la Cina
Le ingerenze governative negli affari Federali sono punibili dalla FIFA con la squalifica per club e nazionali da tutte le competizioni internazionali. Tale sorte è toccata ad esempio alla Sierra Leone ed in tempi recenti anche ad Indonesia, Pakistan e Kuwait. La Cina, però, nonostante abbia travalicato il limite più volte, non è stata ancora punita.
Nella differenza di atteggiamento da parte del principale organo calcistico mondiale è difficile non vedere il conflitto d’interessi legati alla grande quantità di sponsor cinesi che hanno fatto il loro ingresso dopo la fine disastrosa dell’era Blatter, come abbiamo avuto modo di osservare anche durante i Mondiali di Russia 2018. La FIFA annovera al momento ben quattro main partner provenienti dal colosso asiatico: il conglomerato Wanda di Wang Jianlin (ex sodio dell'Atletico Madrid, oggi proprietario del Dalian Yifang), il produttore di elettrodomestici Hisense, la Mengniu Group, il più grande produttore di latte e prodotti correlati della Cina, e il produttore di smartphone Vivo. Oltre a questi, non va dimenticato Alibaba, al momento sponsor della FIFA Club World Cup.
Molto semplicemente: se la FIFA dovesse squalificare la Chinese Football Association (impedendogli quindi di potersi qualificare a Qatar 2022), le autorità governative potrebbero ordinare alle aziende sopra elencate di interrompere il rapporto di sponsorizzazione della FIFA, causandone una crisi economica considerevole al suo interno. C’è da dire, inoltre, che la FIFA non ha mai ricevuto lamentele dalla Federcalcio cinese per quel che concerne le interferenze governative, come invece successo nel recente caso della Sierra Leone.
I buoni rapporti tra la Federazione cinese e la FIFA sono stati confermati nei giorni successivi all'inizio del training camp dalla visita del vicesegretario della FIFA, Zvonimir Boban, alla Chinese Football Association. Secondo quanto riportato da Xinhua Sports, il croato avrebbe consigliato alla Federazione di non avere fretta nei propri progetti di sviluppo e di perseguire un piano a lungo termine.
Le interferenze che stanno causando il declino
D’altra parte, non è la prima volta che le autorità governative si intromettono negli affari della Federazione anche in tempi recenti. Nel bel mezzo della sessione di mercato invernale del 2017, ad esempio, dopo gli arrivi estremamente dispendiosi di Oscar e Tevez nelle due squadre di Shanghai, che portò ad un grosso incremento anche del prezzo dei calciatori cinesi (in quella sessione Zhang Chengdong passò dal Beijing Guoan all’Hebei Fortune per 20 milioni di euro), la General Sports Administration intervenne in modo drastico andando a modificare le regole sull’utilizzo degli stranieri.
Se fino alla stagione del 2016 vigeva la regola del 4+1 (quattro stranieri in campo e uno in panchina, che poteva subentrare), dall’anno successivo, il numero di stranieri tesserabili era sempre di cinque, ma solo tre di questi potevano essere convocati. Al di là della riforma regolamentare, ciò che fu più grave fu quando avvenne, perché i club che stavano facendo mercato secondo quel regolamento si videro stravolgere improvvisamente tutto.
Oltre a questo cambio radicale, recentemente è stato introdotta una nuova regola, ovvero l’obbligo di schierare sin dal primo minuto un giocatore Under 23, dato lo scarso minutaggio dei giovani cinesi nelle stagioni precedenti.
Ma la regola sugli Under 23 ha finito per diventare un altro autogol per il calcio cinese: nel 2017, infatti, sono stati molti i club che, partendo con un Under 23 in campo, lo sostituivano dopo 10-15 minuti. Oltre al ridicolo modo con il quale è stata aggirata la regola nella prima stagione, si è creato un meccanismo economico malsano, nel quale i giovani calciatori si sono visti innalzare enormemente il proprio stipendio, per la sola ragione di essere degli Under 23.
Ma queste non sono le uniche novità introdotte negli ultimi anni. Le autorità sportive, infatti, tra l’estate del 2017 e l’inizio della stagione 2018 hanno introdotto una tassa del 100% sui giocatori stranieri il cui cartellino è pagato oltre 6 milioni di euro, con il risultato di andare ad alimentare l’economia parallela del calcio, attraverso le terze parti. Il Beijing Guoan, ad esempio, ha acquistato Cedric Bakambu dal Villareal, ma la clausola da 40 milioni di euro è stata pagata da una terza parte non specificata, al fine di evitare di incorrere nella tassa.
Inoltre, sono ulteriormente cambiate le regole sugli stranieri e gli Under 23: dalla stagione 2018 sono sempre tre gli stranieri convocabili, ma solo quattro i tesserabili. Inoltre, per ogni non cinese utilizzato in gara, devono essere impiegati altrettanti Under 23.
L’improvviso declino della Chinese Super League si è ripercosso inaspettatamente anche sui proventi derivanti dai diritti TV: la China Sports Media, che alla fine del 2015 aveva acquistato i diritti TV per 1.2 miliardi di euro da pagare in cinque anni, a causa della minor attrattività della lega, è riuscita a ad allungare il contratto già stipulato per altri tre anni. La Chinese Football Association, insomma, è riuscita in pochi anni a rendere lo spettacolo della Chinese Super League meno godibile (a causa di meno stranieri e meccanismi di sostituzione improbabili) e a ridurre la crescita economica dell’intero sistema professionistico.
L’influenza negativa delle autorità sportive cinesi è visibile anche in provvedimenti meno clamorosi di quelli citati finora come per esempio il tattoo ban, ovvero il divieto imposto ai giocatori militanti nelle squadre nazionali di esporre i propri tatuaggi, pena l’esclusione.
Scenari futuri
Nonostante la situazione sia già difficile, quella del presidente del Beijing Guoan rappresenta l'unica voce fuori dal coro ancora una volta: nei mesi scorsi il club di Pechino ha anche contestato alla Federazione il rinnovato accordo con la Nike, sponsor tecnico di tutte le squadre della Super League, perché vorrebbe sviluppare il proprio brand in maniera indipendente, non sottostando ad un accordo molto povero economicamente e che blocca le prospettive di crescita per dieci anni. Per il resto, invece, rimane il silenzio dei grandi imprenditori del calcio cinese, nonché gli uomini più ricchi del paese, come Jack Ma (Alibaba) e Xu Jiayin (Evergrande), proprietari del Guangzhou, e Wang Jianlin del gruppo Wanda.
Quello tra la Cina e il calcio, insomma, sembra essere un rapporto destinato a rimanere problematico. Come ci ha raccontato Cameron Wilson, fondatore del sito wildeastfootball.net: «È divertente vedere come gli stranieri che si approcciano alla Cina ne criticano il sistema culturale, di come la Cina dovrebbe cambiare in vari settori. Semplicemente non puoi farlo, la Cina sarà sempre più grande delle tue convinzioni e alla fine sarà lei a cambiarti.
«Ci sono poche cose al mondo più grandi della Cina, ed una di queste a mio avviso il calcio. Se questo paese vorrà veramente crescere dovrà necessariamente cambiare e adattarsi a quello che è un sistema educativo e culturale molto differente. È una sfida difficile che richiederà molto tempo».