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5 giovani entusiasmanti dalla MLS 2018
30 nov 2018
I giovani della Major League Soccer che ci hanno rubato gli occhi quest'anno.
(articolo)
16 min
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Questo articolo è stato pubblicato originariamente (in inglese) sul blog di Wyscout, che vi consigliamo vivamente di seguire (ci sono anche i nostri autori).

Alphonso Davies, 17 anni, Vancouver Whitecaps

di Fabrizio Gabrielli

La storia di Alphonso Davies non è solo una bella parabola di integrazione - da figlio di rifugiati a più giovane calciatore a esordire con la Nazionale Canadese - ma anche l’esempio di come in certi contesti ben organizzati un diamante grezzo, dotato di grandi mezzi fisici e una buona dose di talento, possa trasformarsi in un progetto di campione.

Nel giro di due stagioni Davies è passato da quindicenne wunderkid a trasferimento record dalla MLS a uno dei club più prestigiosi d’Europa, il Bayern Monaco, nonostante non abbia ancora compiuto 18 anni. Tutto ciò è stato reso possibile dalla fiducia che l’ambiente ha riposto nei suoi mezzi: nell’ultima Regular Season ha collezionato 30 presenze, 26 delle quali da titolare, un dato impressionante per un giovane della sua età.

Alphonso Davies è un’ala molto fisica, estremamente rapida, che dà il meglio di sé negli spazi aperti che si spalancano quando punta e supera i diretti avversari: ama misurarsi continuamente nelle sfide 1vs1, che cerca con insistenza per creare superiorità numerica in fase di impostazione o per affondare sulla fascia alla ricerca del cross. Quando viene impiegato sulla fascia destra, a piede invertito, invece, cerca spesso di convergere alla ricerca più dell’ultimo passaggio (11 assist stagionali) che del tiro (un fondamentale nel quale non eccelle, ma nel quale le statistiche dimostrano margine di miglioramento: nell’ultima stagione ha trovato la porta in un terzo dei tiri effettuati, 13 su 35, con una percentuale realizzativa intorno al 50%, che gli ha permesso di collezionare 6 gol).

Con una media di 4,5 dribbling riusciti per partita è il dribblatore più compulsivo, ed efficace, della MLS. La sua giocata preferita, però, rimane sempre l’affondo sulla fascia, lo scatto a seminare il diretto avversario: riesce a imprimere, con apparente semplicità, un cambio di passo che gli permette di guadagnare spesso vantaggi importanti sui rivali nell’attaccare la profondità.

Il limite attualmente più evidente di Alphonso Davies è la finalizzazione di ogni giocata caratterizzata dai suoi strappi: il numero dei cross riusciti per partita è soltanto di 0,5. Una chiave di lettura importante del talento di Alphonso Davies, e quindi del suo potenziale sviluppo, è la sua duttilità. Oltre che come ala, quest’anno è stato schierato spesso (in 8 occasioni) anche come laterale basso con compiti offensivi.

Nel ruolo di terzino ha dimostrato una maturità nel decision-making e una responsabilità nella copertura. I compiti principali che gli vengono demandati, in ogni caso, anche quando parte da una posizione più bassa, inserito in una catena laterale con un compagno più avanzato, sono quelli di creare densità sulla fascia oppure imprimere strappi al ritmo della manovra, con scelte mai banali e surrogate dall’enorme fiducia che ripone nei suoi mezzi atletici.

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Riceve palla basso sulla sua trequarti: salta il primo avversario con un grand-ponte e si libera della pressione del secondo con uno strappo che lo porta, in allungo, a condurre una transizione offensiva solitaria.

Alphonso Davies è, in definitiva, un giocatore eminentemente verticale. La sua tecnica non è quella dell’entertainer che deve condurre le fila dello show - nonostante la leggiadria in conduzione e i primi tocchi di seta - ma è comunque quella di un giocatore già maturo, che gioca il pallone senza la frenesia dello stallone imbizzarrito, ma con la testa alta e la freddezza di chi conosce la giocata che può inclinare una gara. Caratteristiche che insieme a una conformazione fisica fuori dall’ordinario per un ragazzo di 17 anni (è alto 1,78m per 70kg), e alle sue doti atletiche, lo rendono uno dei prospetti più interessanti che siano mai sbocciati all’interno delle serre della MLS.

Yangel Herrera, 20 anni, New York City FC

di Emanuele Atturo

Il progetto del City Football Group è forse il più interessante e all’avanguardia del panorama del calcio mondiale. Al suo interno il Manchester City è la vetrina più splendente, ma alle sue spalle esiste un mosaico di squadre globalmente integrate attraverso il più alto livello di professionismo. Dai talent scout che si preoccupano di scovare il talento negli angoli più remoti del mondo, ai tecnici che poi devono preoccuparsi di svilupparlo.

Dopo Gabriel Jesus e Marlos Moreno, Yangel Herrera è stato un altro sudamericano acquistato dal Manchester City ancora prima arrivasse ad affermarsi ad alti livelli. Quando il City ha deciso di investire su di lui 2 milioni di sterline Herrera aveva 19 anni e 32 presenze con l’Atletico Venezuela. Il City lo ha girato subito in prestito alla franchise statunitense del gruppo, il New York City, e pochi mesi dopo Herrera ha maturato un’importante esperienza da capitano della sua Nazionale al Mondiale U-20, durante la quale ha subito ringraziato il proprio allenatore, Patrick Vieira, e il compagno Andrea Pirlo: «Vieira e Pirlo mi hanno aiutato moltissimo. Ho imparato che lo standard è molto alto e ho bisogno di imparare e migliorarmi se voglio consolidare la mia posizione».

Gli intercetti di Herrera, una delle sue migliori qualità.

Il 25 maggio Herrera si è infortunato all’anca nella partita contro gli Houston Dynamo, doveva restare fuori per tutto il 2018 ma è riuscito a rientrare il 21 ottobre, giocando 18 minuti contro il DC United e poi 90 contro il Philadelphia Union. Herrera può giocare mediano ma è impiegato soprattutto mezzala nel 4-3-3 di Patrick Vieira. Anche solo scorrendo velocemente le sue statistiche si possono intuire le sue caratteristiche: pur con un campione non enorme di partite (poco più di 1000 minuti) Herrera è il giocatore della MLS che prova più tackle ogni novanta minuti, che esegue più intercetti. È quindi un giocatore sempre nel cuore della fase difensiva della propria squadra. Un centrocampista di lotta.

Sarebbe facile immaginario il classico mediano sudamericano tutto cuore e agonismo esagerato, ma è esattamente il contrario. Pur avendo appena 20 anni, Herrera spicca per le sue letture, con e senza il pallone. Il suo lavoro è essenziale per cucire le distanze fra i giocatori nella fase di possesso, e ha un istinto speciale per leggere le tracce di passaggio avversarie. Nei tackle è chirurgico e spicca proprio per la scelta dei tempi e meno per la forza fisica. Se c’è un aspetto in cui Herrera non spicca è quello atletico: non è rapido sui primi passi e fatica a reggere il duello puramente fisico quando si alza il livello dello contro. Un paradosso per un centrocampista dalle caratteristiche difensive.

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Herrera al suo meglio possibile.

Herrera è un giocatore difensivo ma cerebrale. Un’attitudine evidente anche in fase di possesso, dove è pulito ed essenziale, ma quando il contesto della partita lo richiede diventa più verticale e sfrutta una visione di gioco per niente banale, a volte anche col sinistro. Herrera è bravo soprattutto a trovare dei traccianti rasoterra che tagliano da destra verso sinistra. In questo ha bisogno di migliorare il proprio gioco sotto pressione, specie se vorrà prima o poi sbarcare in Europa. Uno scenario non così lontano: in MLS la sua intelligenza tattica lo fa già spiccare al di sopra del contesto.

Milton Valenzuela, 20 anni, Columbus Crew

di Dario Saltari

Prima di approdare in MLS, Milton Valenzuela, 20 anni compiuti a metà agosto, aveva giocato appena 12 gare in 3 stagioni di Primera Division argentina con la maglia dei Newell’s Old Boys, per un totale di nemmeno 850 minuti. Ma da quando è sbarcato negli Stati Uniti, il terzino argentino ha giocato praticamente tutte le partite da titolare, esordendo con un assist, e affermandosi come uno dei migliori prospetti di tutta la MLS. Solo poche settimane fa, il campionato statunitense lo ha inserito tra i 22 migliori Under 22 della lega, precisamente alla posizione numero 12.

https://twitter.com/MLS/status/1047529630037659648

Quella dei Columbus Crew, insomma, è stata una grande intuizione, in un campionato che sta cercando in questi ultimi anni di invertire la bilancia dei trasferimenti, fino ad adesso fortemente sbilanciata dalla parte delle importazioni, con l’arrivo in massa di giocatori a fine carriera dall’Europa. «Mi piace il fatto che lavoriamo con i giovani e che questi giocatori abbiano un valore in fase di rivendita», ha dichiarato Gregg Berhalter, allenatore dei Columbus Crew, con una sincerità sfacciata «Ciò che vogliamo da Milton non è nulla di più di una carriera di successo in MLS e pretendenti in campionati più importanti che lo cerchino per le sue qualità». In una logica così dichiaratamente mercantilistica, viene naturale chiedersi se il terzino argentino sia già appetibile per una squadra importante di uno dei cinque principali campionati europei.

Valenzuela è un terzino prettamente offensivo, con una sensibilità tecnica molto raffinata e un’ottima visione di gioco. Visto esclusivamente da questo punto di vista interpreta il ruolo in maniera molto moderna, agendo da regista di fatto e venendo spesso dentro al campo con il pallone per associarsi con i compagni o creare direttamente occasioni da gol. Valenzuela è terzo tra i difensori della MLS in regular season per passaggi chiave ogni 90 minuti (1.3) e anche quando c’è da crossare non è mai meccanico nel buttare la palla in mezzo, ma alza sempre la testa per cercare la linea di passaggio più efficace per i compagni in area (e infatti è terzo anche per numero di cross riusciti ogni 90 minuti: 1).

I suoi limiti, sia di natura offensiva che difensiva, sono principalmente di natura fisica. Valenzuela è basso, leggero e per niente esplosivo, portandolo ad essere praticamente inoffensivo con i dribbling (appena 0.4 riusciti ogni 90 minuti) e molto vulnerabile quando è costretto a difendere all’indietro con molto campo alle spalle. C’è da dire che difensivamente può crescere anche tecnicamente, soprattutto con un migliore utilizzo del corpo negli uno contro uno (che lo portano spesso a commettere sbavature, anche gravi) e una migliore gestione dei tempi di intervento e attesa.

Se le imperfezioni tecniche potranno essere corrette con l’allenamento e l’accumulo di esperienza in un calcio di più alto livello, è difficile invece capire adesso se Valenzuela potrà superare i propri limiti fisici. Il terzino argentino ha un grande talento creativo e dovrà puntare molto su quello se vorrà entrare nel calcio europeo dalla porta secondaria offerta dalla MLS.

Latif Blessing, 21 anni, Los Angeles FC

di Marco D’Ottavi

Cresciuto nell’accademia dei Liberty Professionals, in Ghana, Latif Blessing a neanche vent’anni è stato eletto miglior giocatore del campionato ghanese, di cui è stato anche capocannoniere. Con questo curriculum si poteva aspettare di vederlo sbarcare in qualche campionato europeo, percorso spesso riservato ai migliori talenti africani, ma ad acquisire le sue prestazioni è stata invece la MLS, che da qualche anno sta puntando molto sui prospetti usciti dalle migliori accademie del Ghana (dagli ultimi due draft sono usciti quattro giocatori ghanesi). Nel campionato statunitense, Blessing ha giocato una prima stagione con lo Sporting Kansas City, per poi finire ai Los Angeles FC, scelto dalla franchigia californiana nel draft d’espansione del 2017 in quanto giocatore non protetto.

Latif Blessing è un giocatore elettrico e pieno di energia, velocissimo nei primi passi. Nasce come seconda punta, ma può giocare indifferentemente come ala destra e sinistra, dove spesso viene impiegato nel 4-3-3 dei Los Angeles FC. Nella regular season, Blessing ha segnato 7 gol e servito 7 assist, dimostrando una notevole lucidità negli ultimi 16 metri (gioca 2 passaggi chiave ogni 90 minuti). Il suo gioco è più naturale quando parte da sinistra, col destro, e può quindi entrare dentro al campo per cercare di associarsi con i compagni. Blessing infatti non ritiene il cross un'opzione: in 1771 minuti di campionato ne ha provati solo 11 (di cui 2 riusciti).

Il più grande limite di Blessing è quello fisico: alto 165 centimetri per 63 chili, nonostante la volontà che mette in ogni sua giocata, trova grandi difficoltà quando deve dare continuità alla sua azione, occupare una porzione di campo molto grande. Prova 4 dribbling ogni 90’, riuscendo in meno della metà dei tentativi: spesso riesce nel primo, partendo da fermo, o comunque approfittando della sua capacità di anticipare i movimenti del marcatore, ma trova più difficoltà se deve puntare l’avversario in corsa. Il tiro da fuori area è molto carente (il 20% dei suoi tiri arriva da questa zona del campo, ma mai con pericolosità), ma sopperisce con un buon istinto all’interno dell’area di rigore. Blessing è infatti un’ala un po’ atipica, quasi più una seconda punta adattata: si trova più a suo agio nei movimenti senza palla, ad esempio quando può arrivare dal lato debole e tagliare dentro l’area per sfruttare la sua capacità di anticipo sul difensore e la rapidità nei primi passi.

Il soprannome di Latif è “game changer” proprio per questa capacità di portare in campo un’energia e una voglia formidabili negli ultimi metri. Anche per questo Bob Bradley, l’allenatore dei Los Angeles FC, lo usa spesso come cambio in corsa, in grado di portare freschezza e imprevedibilità in fase offensiva. Latif ha un’energia contagiosa anche fuori dal campo: la sua competizione preferita e la MLS Open Cup, vinta nella scorsa stagione, perché ogni partita «devi dare il massimo per non essere eliminato» e quando era allo Sporting Kansas City è stato votato il miglior ballerino della squadra, dopo ogni gol Latif infatti balla. Anche per questo è subito diventato uno degli idoli della tifoseria di una squadra al suo primo anno di vita.

In un calcio che cerca sempre più giocatori fisici, Latif potrebbe essere un po’ in difficoltà a trovare spazio in un campionato più provante della MLS. Eppure non è facile scommettergli contro: se nei prossimi anni riuscisse ad incanalare tutta la voglia e l’energia che mette in campo, non sarebbe stupefacente vederlo arrivare anche in Europa.

Tyler Adams, 19 anni, New York Red Bulls

di Daniele Manusia

La prima volta che ho visto Tyler Adams mi sono sbagliato. L’ho visto portare a spasso lungo la fascia Bastian Schweinsteiger, che lo prendeva a calci nell’impossibilità di arrivare al pallone: la partita era quella tra Chicago Fire e New York Red Bulls di quest’estate, per cui ero anche in ritardo su Tyler Adams, considerando che questa è già la sua seconda stagione da titolare dei NYRB e che ha esordito in Nazionale ormai un anno fa. La clip di pochi secondi, che ha girato sui social mi ha tratto in inganno sulle sue reali potenzialità, ho pensato si trattasse dell’ennesimo trequartista u20 ipertecnico e leggero.

https://twitter.com/BrianSciaretta/status/1028467572897931264

Se anche voi vedeste Adams per la prima volta mentre riceve palla con la schiena alla porta, e resiste ad una prima carica di Schweinsteiger così violenta che per un attimo lo fa cadere a terra, girandosi come se niente fosse verso la metà campo offensiva, magari pensereste che si tratta di un trequartista.

Se poi lo vedeste passeggiare con Schweini alle calcagna nascondedo la palla a un secondo intervento del tedesco, rallentando con le spalle alla linea laterale e pettinando la palla con la suola, prima di allungarsela per evitare la scivolata spezzagambe di Kapphelof, allora forse pensereste di non esservi sbagliati su di lui.

E invece, sorpresa, Tyler Adams è prima di tutto un grande centrocampista difensivo.

Quello che però si può vedere chiaramente in quell’azione è la differenza tra due diversi “modelli” di “centrocampista difensivo. Non può esserci un passaggio di consegne più simbolico di questo: uno dei più grandi centrocampisti difensivi europei ormai a fine carriera, con 8 Bundesliga, 1 Champions League e 1 Mondiale in bacheca (tra le altre cose), che si fa aggirare da un ragazzino americano che probabilmente molto presto andrà a giocare in Germania.

Schweini è sempre stato un “duro”, un centrocampista più fluido di quelli che lo hanno preceduto ma con lo stesso stile di gioco scomposto in semplici funzioni: difendere e attaccare, prima l’uno e poi l’altro. Per Tyler Adams invece non c’è distinzione tra le fasi e il suo talento di base rende effettivamente difficile capire in quale ruolo sia sia specializzato in questi anni. Anche se il suo gioco è soprattutto conservativo - pressa, interrompe il gioco avversario e consolida l’impostazione della propria squadra - anche se, cioè, Tyler Adams si è specializzato nei compiti del mediano/mezzala, è un giocatore universale e polifunzionale che, infatti, ha giocato anche da terzino.

Tyler Adams è stato il primo sedicenne a firmare un contratto con la prima squadra dei NYRB. Ha segnato all’esordio (in amichevole con il Chelsea) e l’anno dopo (2017) ha giocato 24 partite, quasi tutte da titolare, finendo tra i finalisti per il premio del miglior giovane calciatore dell’anno. La passata stagione ha giocato i playoff e subito dopo è stato convocato in Nazionale maggiore. Viene da un paesino pittoresco nella valle dell’Hudson, Wippingers Falls e fino a un anno fa viveva con la madre e il padre: “È piacevole avere sempre pasti cucinati a casa, ma mi piacerà vivere da solo e crescere”, diceva. Sembra il classico sportivo prodigio con la testa sulle spalle: mentre bruciava le tappe in MLS e nella Nazionale si è diplomato e oggi prende corsi online di Psicologia Sportiva, alla Southern New Hampshire University (partner della MLS).

Con grande probabilità già da gennaio vedremo Adams in Europa, al Red Bull Lipsia. I New York Red Bulls sono arrivati primi in Eastern Conference con 2 punti di vantaggio su Atlanta, vincendo il Supporter Shield, ma sono stati eliminati in finale di conference proprio da Atlanta. Adams quest’anno è stato il giocatore con più passaggi dei New York Red Bulls, con un gioco semplice e preciso che alterna verticalizzazioni a un gioco più orizzontale. Non solo non è un trequartista, ma non è neanche uno di quei giovani che sentono per forza di cose il bisogno di spaccare il mondo. Tyler Adams piuttosto si esprime nella continuità e nell’adattamento al ritmo di gioco: se Schweini affonda il tackle lui lo dribbla, se ci prova di nuovo, lui dribbla di nuovo; ma se Schweini avesse temporeggiato, Adams avrebbe controllato e passato il pallone come fa quasi sempre.

Del trequartista a Tyler Adams manca la creatività, ma con la palla tra i piedi può fare tutto quello che gli chiede il contesto di gioco e sarà bello vederlo nel calcio verticale tedesco, con più linee di passaggio davanti e una durata delle azioni più breve. Quello su cui potrà contare, che gli fornirà una base solidissima per sentirsi a proprio agio, è l’intelligenza senza palla con cui porta pressione e toglie palla agli avversari. Adams vince la maggior parte dei duelli individuali che affronta (il 66,5% degli uno contro uno e dei dribbling che prova), anche se a volte tende a proiettarsi troppo in avanti scoprendo lo spazio alle proprie spalle. Ma ha un dinamismo eccezionale che gli permette di accorciare sempre al minimo le distanze con i suoi avversari.

In amichevole contro la Francia ha assaggiato il confronto con un centrocampo di alto livello - anzi, con il centrocampo campione del mondo - e con Matuidi davanti si è vista tutta la sua elasticità e la capacità di recupero quando la sua prima pressione viene saltata e si ritrova a coprire il buco che lui stesso ha creato. Con una squadra corta e aggressiva come lui, con giocatori vicini con cui scambiare il pallone sul breve, e far brillare la propria tecnica nei passaggi e nei controlli, Adams può puntare a diventare uno dei migliori in assoluto.

Certo, quando si parla di un giocatore che deve ancora compiere vent’anni e con un fisico che non può restare com’è per ambire al calcio di altissimo livello, le incognite sono molte. Reggerà l’intensità e i kg della Bundesliga? Avrà la stessa lucidità nel gestire la palla, la stessa calma in impostazione? Riuscirà a strappare palloni come fa in MLS? Il tempo, questo è certo, è dalla sua parte.

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