La prima regola dell’industria cinematografica recita: quando un prodotto funziona, bisogna insistere finché il pubblico in ginocchio non chiede pietà. Così, dopo i film sui supereroi, eccoci ai film sui crossover tra supereroi, che incassano una vagonata di soldi e sono paradossalmente riproducibili all’infinito. Si prendono due tra i personaggi più amati, li si mette l’uno contro l’altro con una scusa qualsiasi e si aspetta che si prendano a legnate. È un principio semplice quanto geniale che la narrazione sportiva, e in particolare i playoff NBA, hanno perfezionato ben prima dell’irruzione di Marvel e Dc. Così quando torniamo dal cinema e accendiamo la tv di casa possiamo passare direttamente da IronMan vs Capitan America a Kevin Durant vs Kawhi Leonard.
Aspettando i fuochi artificiali delle Finali di Conference chetuttisi aspettano, questo secondo turno ci sta offrendo un discreto antipasto grazie allo scontro diretto tra le due ali piccole più illegali della costa Ovest. Durant e Leonard sono un cinecomics senza il green screen, due che, se Naismith non avesse inventato il basket, probabilmente avrebbero indossato una tutina e difeso le nostre città dal crimine. Invece di impazzire cercando un senso nelle limitate leggi della scienza alle loro giocate, è consigliabile mettere a tacere il proprio spirito critico, accettare l’incredulità e stappare una Coca davanti alla tele.
Non essendo un esperto filologo dei fumetti Marvel lascio a chi di competenza di decidere chi impersoni Iron Man e chi Captain America, anche perché di solito queste discussioni finiscono in rissa. Vi lascio solamente delle mie riflessioni da profano. Una delle storie più iconiche su Kawhi è che giri ancora per San Antonio con la stessa macchina che aveva al liceo, una Chevy Tahoe del ’97, il che lo squalifica automaticamente per il ruolo di Tony Stark. Inoltre a Capitan America viene spesso rimproverato di essere un esperimento di laboratorio, e casualmente quale franchigia ha il miglior laboratorio della Lega?
Iron Man invece si definisce un miliardario, filantropo, playboy. KD ha firmato un contratto con Nike da 300 milioni di dollari e ha davanti una ricchissima free agency gestita nientemeno che da JAY Z e la sua Roc Nation; inoltre gestisce un fondo di beneficenza e ha recentemente dichiarato di mentire sulla sua altezza per piacere di più alle donne. Poi siete liberi di fare le vostre valutazioni.
Atto primo: San Antonio
Se c’è una cosa che Popovich ha imparato in gioventù mentre interpretava Hans Gruber in Die Hard, è che in questo tipo di blockbuster lo scontro finale deve essere costruito con pazienza, senza forzare i tempi. Quindi decide di assegnare Durant a Danny Green spostando Leonard su Westbrook. Billy Donovan invece vede solo commedie francesi e resta con l’accoppiamento classico.
Primo possesso Spurs, pick and roll tra Leonard e Aldridge con Kawhi che supera KD con irrisoria facilità e arriva al ferro volando sopra la difesa di OKC.
È il prologo di una carneficina annunciata. Kawhi gioca una partita di robotica perfezione e sguinzaglia Aldridge in versione Mid-range War Machine che colpisce i Thunder con una raffica di aria-aria così precisi che anche il Pentagono rimane sbalordito. Al suo fianco si erge Occhio di Falco Danny Green, che tutti davano a pesca con i figli e invece torna a scagliare i suoi dardi dal perimetro come fossimo ancora nel 2014. Oklahoma incassa 43 punti nei soli 12 minuti iniziali per poi collassare del tutto a fine primo tempo, chiuso sotto 73-40. Per la conta delle vittime rimandiamo al rapporto Onu.
Con le doloranti spalle al muro, Durant e Westbrook decidono in segreto di prendere un volo per raggiungere nottetempo le Stark Industries, dove gli ingegneri hanno lavorato a ritmo infernale per mettere a punto una nuova armatura rinforzata in grado di attutire la potenza di fuoco di San Antonio. Infatti la squadra di Pop, ignara delle contromisure prese degli avversari, in gara-2 tira un misero 26% da tre dopo il 60% di gara-1, facendosi risucchiare in un corpo a corpo senza esclusione di colpi che esalta le superstar dei Thunder. Pur subendo ancora la raffica di War Machine (ancora quarantello di Aldridge con il 60% dal campo) nessun altro neroargento riesce a graffiare la nuova canotta in vibranio (Oklahoma ha sempre vinto in canotta e ha sempre perso quando è scesa in campo con quel pigiamino a mezze maniche — stiamo parlando di supereroi, ma anche l’occhio vuole la sua parte), con solo Ginobili e Leonard in doppia cifra e un complessivo 34% di squadra, se si esclude il 15/21 di LMA. I due Vendicatori di OKC invece segnano o assistono 81 punti su 98 di squadra, rendendo credibili come supporting cast anche dei rinnegati come Enes Kanter e Dion Waiters e arrivando a giocarsela negli ultimi possessi.
Con San Antonio sotto di uno e la palla a lato per i Thunder, la terna arbitrale per un motivo ignoto a noi mortali decide di sostituire la legge di Secaucus con quella di Odino, lasciando che i supereroi in campo si scornino tra di loro per decretare un vincitore. In questo caos primordiale chi si sente a casa propria è quello strano Thor multiculturale (e qui si sente la mano della Disney) che risponde al nome di Steven Adams. Per comprendere ciò che combina in questi ultimi 13 secondi il centro Maori bisognerebbe avere uno di quei ralenty con la musica di Hans Zimmer sotto, perché nel delirio che si scatena dopo la palla medica lanciata in campo da Waiters, lì per lì non si capisce nulla. Adams prima blocca la ripartenza di Green, poi intimidisce Mills sotto canestro, aiuta sulla penetrazione di Ginobili e parte come un tappo di champagne a contestare la tripla dall’angolo di Mills. Dopodiché viene anche abbrancato da una tifosa delle prime file. WAT?
Volete sapere come sarebbe questo mondo se non esistesse la giustizia?
Atto Secondo: Oklahoma City
Gli Spurs atterrano quindi in Oklahoma con la serie in parità e il dovere di riprendersi il fattore campo. Leonard scende per ultimo dall’aereo, non ha detto una parola per tutto il viaggio ma i suoi compagni sono abituati e nessuno ci fa molto caso. Appena mette piede a terra lascia che le valige cadano rumorosamente sull’asfalto, si toglie il Fedora e comincia a sventolarsi per cercare del refrigerio. Il sole è alto in cielo e il terreno brucia come se fosse a diretto contatto con il centro della terra. Davanti a lui una pianura desertica intervallata da qualche brutto esempio di architettura industriale. “Non è poi molto diverso da casa, qui” mormora tra sé e sé. Dalla tasca interna della sua lisa giacca di camoscio estrae un vecchio taccuino su cui sopra è incisa una grossa croce araba. Lo apre con serafica tranquillità. Su ogni pagina c’è un nome e un numero, la gran parte dei quali è illeggibile perché cancellata da pesanti segni orizzontali. Uno di questi però è ancora immacolato, Kawhi si ferma e legge. “Kevin Durant, 35”. Lo fissa per alcuni secondi come se dovesse memorizzarlo. Poi finisce con due rapide aspirate la Malboro che tiene tra pollice e l’indice e chiude il quaderno serrandolo con un elastico a fettuccia. Si rimette con studiata tranquillità il Fedora e nello spazio di due falcate recupera la scia di Diaw, l’ultimo della fila. La sua mente è pronta alla sfida.
Quando a fine terzo quarto Pop lo prende da parte e gli indica l’airone in maglia bianca, Kawhi non annuisce nemmeno: chiude solo gli occhi e ripete mentalmente i gesti che ha ossessivamente preparato negli ultimi mesi. Dopo aver difeso su Durant per solo il 13% dei possessi nei primi tre quarti, Leonard si incolla al supereroe avversario costringendolo a soli quattro tiri dal campo. Durant chiuderà il quarto con un solo canestro quando viene marcato da Leonard, mentre sarà infallibile (2 su 2) contro gli altri difensori Spurs. Leonard nell’altra metà campo è indemoniato: segna tredici punti negli ultimi dodici minuti e recupera con gli arpioni il rimbalzo offensivo che garantisce agli Spurs l’extra possesso che chiude virtualmente la sfida.
Ferito nell’orgoglio, Durant torna sul parquet amico per quella che potrebbe essere l’ultima sua apparizione in maglia dei Thunder davanti al suo pubblico. Durante l’intervallo il mio feed di Twitter era un eterno ripetersi della stessa domanda.
Oklahoma City era sotto di 8 punti e Durant aveva concluso il primo tempo tirando 4 su 12 dal campo. L’intera Cheesepeake Arena suonava a lutto, come se avessero già visto nel futuro e sapevano che avrebbero perso tutto: partita, serie e il loro giocatore simbolo. Tutto in ventiquattro minuti.
Il primo tiro della ripresa di Durant viene sbagliato, un runner di sinistro contestato da Green e Aldridge, poi il 35 comincia a macinare. Finger roll in penetrazione, altro taglio verso il ferro lasciando il difensore sui blocchi, jumper da gomito. Con 12 punti in dodici minuti riporta i suoi a contatto.Poi, nel quarto più emotivamente probante della sua carriera, esplode sconfiggendo da solo l’intera armata avversaria.
Durant contro tutti
Ci sono dei momenti in cui il basket smette di essere solo un gioco e diventa una lotta per l’autodeterminazione. L’ultimo quarto giocato da Durant in gara-4 rientra precisamente in questa trasfigurazione, come se l’intera tifoseria si trovasse sotto la maglia numero 35 e giocasse insieme al proprio campione. Erano come due innamorati al momento dell’addio che cercano in tutti i modi di prolungare quella sospensione all’infinito. Nel momento in cui la sua storia personale era ormai tutta riversata sul parquet, Durant ha ricordato al mondo che incredibile talento lui sia, segnando in ogni modo possibile contro il miglior difensore del mondo. Nella ripresa mette a segno 29 punti con un incredibile 10 su 13 dal campo e il 90.9% di percentuale effettiva, annichilendo da solo San Antonio con un parziale di 9 a 1 negli ultimi tre minuti di partita.
L’unico canestro non segnato da Durant nel parziale conclusivo nasce comunque da una situazione provata e riprovata sul set
Durant ha finalmente recuperato il suo ruolo da Alpha Dog a Oklahoma dopo che i vari infortuni della scorsa stagione e l’ascesa al potere di Westbrook lo avevano relegato in una posizione da secondo violino (tanto che è finito dietro di lui nella votazione per l’MVP). Tutti i dubbi legati al suo ultimo anno di contratto scompaiono come per magia. Per ora la free agency può aspettare, c’è una serie da vincere.
Atto terzo: San Antonio Again
Ora che ha ripristinato il suo dominio mentale sulla serie, Durant può scongelare Bucky Westbrook, una delle più feroci macchine da guerra mai create dal genere umano a cui però gli ingegneri hanno dimenticato di montare un accessorio chiave: il volante. Contro il regime militare di formazione spartana degli Spurs, Russ risponde con l’unico antidoto possibile: un esagerato aumento di entropia tale da rendere indecifrabile ogni atto che accade in campo. Fanno un parziale i Thunder? È grazie a Westbrook. Fanno un parziale gli Spurs? È colpa di Westbrook. Riesce nell’impresa di far in modo che ogni cosa che succede dipenda da lui, ad essere allo stesso tempo il diversivo e la soluzione.
C’è un momento in Civil War in cui il cattivo di turno si avvicina a Bucky Barnes e comincia a declamare una serie di parole in russo che apparentemente non hanno alcune senso. Bucky però impazzisce e evade distruggendo l’intero carcere dove era confinato. Quando Capitan America lo ritrova e gli chiede cos’ha combinato, Bucky risponde che non lo sa, che non era lui in quel momento. Ecco, credo che sia successa la stessa cosa nello spogliatoio dei Thunder all’intervallo.
KD si sarà avvicinato a Russell chiedendogli perché stava giocando all’incontrario e Russell si sarà limitato a scrollare le spalle. Poi rientrati in campo improvvisamente l’incantesimo svanisce e Westbrook torna ad essere il solito Super Saiyan della tripla doppia (21 punti, 9 rimbalzi e 6 assist solo nel secondo tempo) dominando atleticamente la partita.
Voi ci credete che uno così è rimasto congelato vent’anni in Russia? Secondo me è una balla
Voler spiegare Westbrook è come voler spiegare i cerchi nel grano o il triangolo delle Bermuda: è un flusso di energia aliena che ogni tanto interferisce con quel gioco che gli umani chiamano pallacanestro. Durant ormai ha accettato questo dato empirico della materia e non tenta neanche di definirlo. Nelle partite in cui gli astri si allineano, i due creano un’onda d’urto a cui i pimpati ma umanissimi giocatori di San Antonio non sono in grado di resistere. Perché le munizioni di Aldridge e Green ad un certo punto finiscono e Duncan, Parker e Manu non possono ingannare Chronos per sempre.
Per fermarli Pop tenta una soluzione inedita: Parker su Westbrook, Green su Duncan e Leonard su Roberson. Cioè, teoricamente su Roberson: in pratica gioca da Safety a raddoppiare su i due alieni in blu (sarebbe interessante se Pop in gara-6 mettesse Duncan su Roberson a là Bogut su Tony Allen). Ma non ci sono match-up che tengano perché Durant e Westbrook mettono lo zampino su 80 dei 95 punti di OKC, ricevendo un insperato aiuto dal più improbabile degli antieroi.
Dion Waiters is Ant-Man!!!
Gli Spurs, che avevano perso una sola volta in casa in stagione e solo contro la squadra più vincente di tutti i tempi, si ritrovano nella scomoda situazione di dover andare a vincere in casa del nemico per allungare la serie. Dopo una gara-1 che avrebbe distrutto anche la Sokovia, gli Spurs hanno improvvisamente dimenticato come si attacca (Offensive rating passato da 108.4 a 99.2) e come si vincono le partite nei finali di partita. Nella vitale gara-6 Popovich si affiderà a Kawhi, l’unico All-Star che non passerebbe il test di Turing, e all’effetto Ultima Crociata dei suoi generali di mille battaglie.
Me … bloccare … palla
In ogni caso, tra pochi giorni questa serie incredibile sarà solo un ricordo e uno di questi due franchise sarà costretto ad interrompere qui la sua stagione. A me questa cosa fa impazzire: se fossimo in un film della Marvel, KD e Kawhi si alleerebbero insieme per formare uno S.H.I.E.L.D. che protegga il mondo dalle triple di Curry, invece di aspettare che l’Mvp all’unanimità distrugga uno dopo l’altro tutti i suoi nemici.
Chiederò ad Adam Silver di inserire la clausola Avengers nella NBA, vi terrò informati.
N.B. Ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale. Tutti i personaggi sono invenzioni della mente dell’autore, tranne Westbrook che è un’invenzione della mente di Westbrook.